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Autore: Finnick_    02/12/2013    2 recensioni
I Giochi della Fame sono cambiati.
Ogni persona può essere offerta come tributo negli Hunger Games.
John e Sherlock, Amy, Rory e il Dottore.
Nessuno è al sicuro.
POSSIBILI SPOILER HUNGER GAMES (Catching Fire & Mockingjay).
Genere: Avventura, Drammatico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3: il viaggio.
 
 
Sherlock è seduto immobile accanto a me.
Non ha aperto bocca dalla mietitura, questa mattina.
Lui non mi ha voluto nemmeno guardare negli occhi e io non pretendo che lo faccia.
Fisso fuori dal finestrino l’alternarsi dei colori in un’innaturale successione di strisce verdi, grigie, e ancora verdi. Siamo sul treno che ci sta portando a Capitol City.
Credo di avere ancora gli occhi gonfi, per cui sono grato a Sherlock di non avermi ancora rivolto uno sguardo.
Ho passato quattro ore a chiedermi come fosse stato possibile. Perché Sherlock si fosse gettato così a capofitto al mio fianco, pur sapendo che così uno dei due morirà sicuramente. E poi… Che cosa mi ha spinto ad offrirmi volontario al posto di Jena senza pensarci un secondo?
“Sei un soldato” la voce di Sherlock rompe la terribile monotonia del mio corso mentale.
Per la prima volta da quando siamo saliti sul treno, stacco lo sguardo da finestrino e lo rivolgo fuggevolmente a lui.
“Come?” chiedo, borbottando.
“Se ti stavi chiedendo come tu possa essere riuscito ad offrirti volontario al posto della bambina, la risposta è semplice: sei un soldato” dice, continuando a fissare davanti a sé.
Scuoto la testa. Vorrei chiedergli come ha fatto, ma mi limito a rispondere:
“Io ero un soldato.”
“Certe cose non si dimenticano.”
“Ci si prova, però” sospiro.
Ha ragione Sherlock, eppure, se ho dimostrato di avere tutto questo coraggio, perché adesso sto tremando?
Sposto lo sguardo sulla mano, la stringo e la riapro. La struscio sui pantaloni, per calmarmi, ma non si ferma. Questo clima gelido e impregnato di paura non è più nelle mie vene da anni. E stavo bene senza, sinceramente.  
Tilla fa il suo ingresso dalla porta automatica dello scompartimento. Indossa il solito vestito blu elettrico. Ha in mano un bicchiere vuoto. Si avvicina al tavolo sotto il finestrino, traballando lievemente e passandoci davanti senza degnarci di uno sguardo.
Io e Sherlock la seguiamo con gli occhi.
Apre una bottiglia di rum, o quel che è, e se ne versa un goccio. Un goccio molto lungo.
Beve in un sorso metà del liquido e appoggia il bicchiere sul tavolo con la mano instabile.
Poi crolla a sedere sulla poltroncina di fronte alla mia.
“Oh, ragazzi” esordisce, la voce stranamente roca.
Chissà quante volte gli sarà passata davanti l’immagine del nome di sua figlia, in queste ore.
“Deve…” comincia, poi socchiude gli occhi, li riapre e prova a ripartire:
“Deve arrivare il vostro mentore. Per cui fatevi trovare sorridenti e pronti.”
Pronuncia la frase in modo meccanico.
Noi rimaniamo in silenzio, lei ci squadra entrambi e scoppia a ridere.
Prima silenziosamente, poi rumorosamente.
Cerca di allungare la mano verso il bicchiere ancora pieno, ma io glielo allontano.
“Non mi sembra il caso” dico.
Lei smette di ridere di botto e mi fissa arrabbiata. Si alza in piedi, si accosta e mi mette una mano sul petto.
Si fa incredibilmente vicina e adesso riesco a sentire bene l’odore dell’alcool.
Cerco di voltarmi altrove, ma i suoi occhi sono fissi nei miei.
“Ascolta” mi sussurra, premendo sul mio petto, “se non fosse stato per te, io a quest’ora sarei a fare qualcosa di molto peggio che bere liquori. Quindi dovresti essere contento di vedermi sbronza, siamo d’accordo?”
La sua voce è profonda. Non riesco a rispondere: non capisco se è un ringraziamento per aver salvato la vita di sua figlia, o la dimostrazione del fastidio che le ho dato quando le ho tolto il rum da sotto il naso.
In quel momento qualcuno la prende dolcemente per le spalle e la trascina via da me, bisbigliandole qualcosa nell’orecchio.
Lei continua a guardarmi, ma lascia che il ragazzo la accompagni fuori dallo scompartimento.
Io sospiro pesantemente, mi tiro su e sistemo la camicia.
Sherlock mi guarda di sbieco e sorride.
Improvvisamente ci ritroviamo a ridacchiare entrambi.
Non so perché, la situazione non è stata comica, eppure ci viene spontaneo.
Il ragazzo che ha portato via Tilla rientra nello scompartimento, sospira e si mette a sedere.
Ci analizza entrambi e sorride:
“Ecco i due nuovi disgraziati.”
Sherlock fa sparire il sorriso dalla faccia e comincia a guardare in cagnesco il nostro mentore.
“Comunque piacere” dice lui, “Sono Finnick Odair e d’ora in poi mi odierete perché vi preparerò in ogni particolare per morire con quanta più dignità possibile.”
A queste parole noto che Sherlock cambia improvvisamente espressione, ma non so definirla.
“Tu sei John Watson, complimenti per il gesto” mi dice ed io annuisco. Credo che sia sincero.
“E tu devi essere…”
“Sherlock Holmes, l’unico consulente investigativo del Distretto 4 e con grande probabilità anche dell’intera Panem. So chi sei, hai vinto gli Hunger Games qualche anno fa, la signora Hudson ti adora. Dice che sei così umano.
Sherlock pronuncia quella parola con particolare disprezzo.
“Non ora…” sussurro, preparandomi al peggio.
Finnick rimane immobile ad osservarlo, con un mezzo sorriso sulle labbra.
“Beh, spero di potervelo dimostrare…”
Viene interrotto di nuovo da Sherlock:
“Ah, andiamo, chi è umano al giorno d’oggi? Io non sono umano, John non è umano, e se in questo momento esiste qualcuno di ancor meno umano di noi, quello sei tu.”
“Sherlock…” cerco di fermarlo.
Lui ride: “Oh no, no. Che stupido. Dimenticavo il motto dei mentori: devi piacere alla gente. E tu hai imparato a recitare la parte della vittima talmente bene che ti risulta quasi naturale. E dico quasi, perché in questo momento la tua sudorazione è aumentata, stai intrecciando le dita tra loro per trovare un espediente su cui attrarre la tua attenzione e toglierai lo sguardo dal mio viso tra tre, due, uno…”
Finnick distoglie lo sguardo e lo porta sulle dita.
Io guardo Sherlock incredulo, mentre lui si alza di scatto, si dirige verso la porta e se ne va.
“Sherlock!” lo chiamo, mi alzo per raggiungerlo.
Sono in piedi accanto a Finnick. Stringo le mani, poi mi rivolgo a lui:
“Mi dispiace, scusalo.”
Lui alza la mano in segno di diniego e sorride:
“Vallo a riprendere. Che gli piaccia o no, io sono anche il suo mentore e dobbiamo parlare.”
Annuisco e mi fiondo nello scompartimento accanto.
Cerco Sherlock per qualche vagone, fino a che non lo trovo disteso su un divano, le maniche della camicia tirate su fino ai gomiti, le mani congiunte sotto il mento e gli occhi chiusi.
Per un attimo penso al discorso da fargli. Mi viene in mente che potrei arrabbiarmi per il comportamento, oppure mostrarmi d’accordo con lui per non farlo innervosire ulteriormente.
Alla fine dico le prime parole sensate che mi vengono in mente:
“Se tu non sei umano, perché ti sei offerto volontario al posto del secondo tributo?”
Sherlock sembra immobilizzarsi ancora di più, se possibile.
“Quello è un altro discorso, di mezzo c’eri tu.”
“E non ti sembra un comportamento… umano?”
Sherlock non risponde e per un attimo penso che non lo farà mai.
 
 
**
 
 
Seeder sta girando il cucchiaino nella tazza di tè.
Probabilmente lo sta facendo da quindici minuti e io me ne accorgo solo ora.  
Non ho ancora alzato lo sguardo dal mio piatto colmo di fragole e cioccolato. Dovrebbero essere buone, è un mix di gusti che non ho mai assaggiato, nel Distretto 11.
Tristemente mi rendo conto che nella mia vita non ho fatto tante cose.
Andare in bicicletta sulle colline, portare di Dottore a fare un giro completo della zona… Mangiare fragole con cioccolato.
E non lo farò mai. Primo, perché adesso la fame proprio non ce l’ho; secondo, perché mi va bene se riesco a sopravvivere una quindicina di secondi, nell’arena.
“Vi siete un po’ riprese?”
Domanda Seeder, interrompendo la fluidità incontrastata del mio pessimismo.
Io alzo allora lo sguardo e mi ritrovo indecisa su dove posarlo. Sento gli occhi pesanti.
River sta guardando Seeder con aria assente.
“Tu che dici?” domanda mia figlia.
“Non lo so, dovete dirmelo voi.”
Nessuna delle due apre bocca, quindi lei prosegue:
“C’è stata della confusione, durante la mietitura. Adesso però dovete riprendere fiato.”
Mi scappa una risata di scherno. Che sia diretta a lei, che in questo momento sta parlando, o all’intero sistema di Capitol City, poco mi importa.
“Cosa c’è da ridere?” chiede, rivolgendomi uno sguardo irritato.
Io continuo a sorridere:
“C’è che se non rido, piango, e attualmente mi pare di aver già fatto la mia parte. Non ho bisogno di qualcuno che mi chieda come sto.”
Le parole escono dalla mia bocca come un fiume in piena e mi accorgo di averle pronunciate solo quando River mi chiama per nome e mette la sua mano sopra la mia.
Sospiro, la guardo e non dice niente. I suoi occhi mi sorridono.
Sono gli occhi di Rory.
Improvvisamente il volto di mio marito si sovrappone al suo e mi prende un attacco di panico.
Sottraggo la mano di scatto, comincio ad ansimare e allontano la sedia dal tavolo.
“Mamma…”
River che mi chiama così mi fa ancora più male.
Guardo fissa a terra e ansimo, con la bocca spalancata. Intanto Seeder afferra il mio bicchiere vuoto, lo riempie di gin e lo fa scivolare lungo il tavolo fino a farlo arrivare a me.
Dovrei pensarci? Al diavolo, lo afferro immediatamente e butto giù.
Per un secondo credo di soffocare e mi metto a tossire come se fosse la prima volta che mi faccio un goccio.
Seeder batte una mano sul tavolo, mentre River mi prende il bicchiere dalla mano e lo appoggia sul tavolo.
“Adesso vedi di tirare fuori i tuoi attributi, Pond, perché ne avrai bisogno. E mi dispiace dirtelo, ma sì, hai bisogno di qualcuno che ti chieda come stai.”
Respiro lentamente e conto fino a dieci prima di rispondere. Così le parole della nostra mentore mi scivolano lentamente nella mente e acquistano un senso.
Ha ragione, io ho bisogno di qualcuno che mi chieda cosa mi sta succedendo e che mi aiuti. Ma non voglio ammetterlo e non lo farò adesso, di fronte a mia figlia.
“Cosa dovremmo fare?”
Seeder sorride. Beve un sorso di tè dalla sua tazza e si sistema meglio sulla sedia.
Intanto io allungo una mano verso River, che la prende subito.
Da questo momento in poi la nostra mentore ci spiega nei dettagli cosa succederà una volta che il treno sarà arrivato a Capitol City: la preparazione per l’intervista, le sessioni degli allenamenti, la locazione dei nostri alloggi, e conclude con la lista dei partecipanti degli altri Distretti.
Accende un ologramma dall’altra parte del vagone in cui ci troviamo e cominciano a scorrere le immagini delle varie mietiture.
“Distretto 1: Wenna e Tyrion, entrambi giovani. Si sono addestrati per anni per questo momento. Sono temibili” comincia Seeder, passando in rassegna i nomi e le caratteristiche dei tributi.
Quando arriva al Distretto 4, l’ologramma della mietitura dura di più.
Sia io che River ci sporgiamo in avanti sulle sedie, quando vediamo il volto dell’annunciatrice del Distretto sbiancare. Una bambina si fa spazio tra la folla e poco dopo un uomo corre per offrirsi volontario al suo posto. La scena si svolge velocemente ed io riesco solo a notare il volto deciso e allo stesso tempo sconvolto dell’uomo che ha agito.
“Lei è Jena, la figlia di Tilla, ovvero l’annunciatrice del Distretto 4” spiega Seeder, “lui è John Watson. L’anno scorso è rimasto vedovo. La moglie fu estratta come partecipante agli 84° Hunger Games e fu uccisa da un nostro tributo.”
Sospiro pesantemente. Lui ha dato la vita per la bambina. E’ rimasto vedovo, come presto sarà Rory.
“E lui chi è?” chiede River, indicando un uomo alto dai capelli corvini, che si mette a correre verso il palco, sale e strappa dalle mani di Tilla il foglietto con il nome.
La scena è plateale. Anche quest’uomo si sta offrendo volontario, ancor prima di sapere chi è il secondo candidato. Lo sta facendo per… l’altro?
“Sherlock Holmes. Ama definirsi l’unico consulente investigativo di Panem. E probabilmente John Watson è l’unico amico che ha.”
Mi lascio andare sulla sedia.
“Non solo nel Distretto 11 c’è stata confusione” accenna Seeder, bloccando momentaneamente l’ologramma, “Capitol City è entusiasta, il presidente Snow un po’ meno. Troppa speranza, troppo cuore in queste due mietiture. Non sarà facile arrivare in fondo all’arena né per voi due, né per quelli del 4. Quindi statemi bene a sentire e fate come vi dico” fa ripartire l’ologramma e continua la lista.
Al termine dell’esposizione sento lo stomaco farsi minuscolo.
Se voglio sopravvivere devo uccidere quelle persone?
Io e River ci proteggeremo a vicenda, ma a che prezzo? Faremo fuori la ragazzina di undici anni del Distretto 6? Riusciremo ad avere la meglio sul giovane cacciatore del Distretto 12?
Tenendomi lo stomaco con una mano, mi alzo e cambio vagone.
Probabilmente Seeder mi sta richiamando indietro, ma io non mi volto. Quando sono nello scompartimento accanto, mi appoggio alla finestra e prendo a giocare con il mio anello di matrimonio.
Lo passo tra le mani, ricordando con un mezzo sorriso il giorno in cui io e Rory ci siamo sposati.
C’erano proprio tutti: parenti, amici, conoscenti. E il Dottore stropicciato era terribilmente in ritardo.
Ma quando arrivò si scatenò l’intera festa, ballammo fino a stare male.
Mi scappa una risata al ricordo dei movimenti strambi e improvvisati del Dottore mentre cercava di mettere in piedi un ballo sensato. In quel momento una lacrima cade proprio sull’anello. Non mi ero resa conto di stare piangendo.
Una mano si poggia sulla mia spalla.
Mi volto e incontro lo sguardo di River.
Sorrido quasi impacciata, infilo l’anello e cerco le parole giuste:
“Sai, avresti dovuto essere al nostro matrimonio. Il Dottore era così esuberante. Sareste stati una coppia perfetta…”
La mia voce finisce in un sussurro.
River mi abbraccia. Ci stringiamo forte per qualche secondo.
Quando ci stacchiamo, mi asciugo le lacrime e do un calcio lieve alla parete dello scompartimento.
“Perché quell’imbranato non si è offerto volontario al posto tuo?”
“Perché è il Dottore.”
“Già, e mio marito è Rory Pond, ha tentato di offrirsi volontario, ma io l’ho fermato. Perché il Dottore non ci ha nemmeno provato?”
“Sa che io avrei fatto lo stesso. Gli avrei impedito di entrare con te nell’arena.”
Annuisco, sbuffo e mi appoggio alla parete incrociando le braccia.
“Amy Pond, sul serio ancora non hai capito che tipo è?”
Io la guardo inarcando un sopracciglio.
“Lui non si è offerto al posto mio perché sa di essere molto più utile dall’esterno.”
“Che intendi?” La mia attenzione si fa acuta.
“Dove credi che sia stato per tutti questi mesi? Ha indagato, Amy, e l’ha fatto bene.”
Faccio per aprire bocca e chiedere di più, quando il treno entra in un tunnel, tutto si fa buio.
Siamo arrivati a destinazione.  
  
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