Libri > Le Cronache di Narnia
Ricorda la storia  |       
Autore: _Fedra_    03/12/2013    5 recensioni
Il primo giorno di scuola, il Cappello Parlante assegna Edmund a Serpeverde non appena sfiora la sua testa.
Ma siamo sicuri che la Casa più famigerata di Hogwarts sforni esclusivamente maghi e streghe cattivi?
E se il ragazzo destinato ad affiancare Harry Potter nella lotta contro Voldemort si trovasse proprio lì?
* AU in cui i Pevensie sono dotati di poteri magici; nuovi pairing e personaggi per entrambe le saghe *
Genere: Fantasy, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Caspian, Edmund Pevensie, Susan Pevensie
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'La profezia dell'Erede'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A





 

CAPITOLO 1

Insonnia

~

 
 
 
 
 
 
Quando Alhena Black riaprì finalmente gli occhi, si ritrovò distesa sul pavimento in posizione fetale, con le mani e i piedi legati da due robusti pezzi di corda.
Era ormai notte fonda e la luce perlacea della luna illuminava a tratti i mobili rovesciati del piccolo studio semicircolare, comparendo e scomparendo tra le basse nubi che promettevano pioggia.
La Strega Suprema ghignò nell’oscurità polverosa.
Di certo, le impressioni che le aveva dato Jane Potter quattro anni prima si erano rivelate esatte.
Dietro quell’aria da folletto impaurito, con quei grandi occhi verdi spalancati e la folta criniera di riccioli corvini, si nascondeva davvero un leone pronto a tirare fuori zanne e artigli nel momento in cui la sua sopravvivenza fosse stata in grave pericolo.
Una vera Grifondoro.
Di certo era cresciuta, negli ultimi tempi.
Pensava che avrebbe dovuto metterci molto di più a spaventare il piccolo angioletto e indurlo a fare qualcosa di completamente estraneo alla sua anima bianca come il latte, come per esempio afferrare una lampada e scaraventarla in testa a una donna voltata di spalle.
Avvertiva ancora il sangue rappreso colarle lungo la schiena dalla ferita che le aveva aperto tra i capelli scuri, che ora bruciava più che mai.
Ma non importava: sicuramente la Potter non era rimasta con le mani in mano e, per quell’ora, i prigionieri dovevano essere ormai lontani. In casa non era rimasto nessuno.
Era sola.
La lama d’argento di un corto pugnale abbandonato sul pavimento ricoperto di detriti rifletté i suoi occhi neri, sgranati in un’espressione folle.
Quanto erano belli, le diceva sempre sua madre.
Occhi d’ebano, che alla luce del sole si scioglievano in una densa sfumatura color cioccolato.
Erano grandi, allungati all’estremità, con delle ciglia folte e sensuali.
Gli occhi dei Black.
Ciascuno di loro li possedeva.
Erano il tratto distintivo della famiglia sin dalla prima generazione.
Chiunque ne era affascinato e impaurito allo stesso tempo.
In lontananza, un gufo lanciò il suo sinistro richiamo e il corpo di Alhena venne percorso da un brivido.
Conosceva bene quella sensazione, anche se negli anni aveva imparato a nasconderla, ma mai prima di allora era stata così forte, tale da farle battere i denti nell’oscurità.
Paura.
Il piano era funzionato alla perfezione, fino a quel momento.
Ora restava solo l’ultima parte, quella che temeva di più.
Erano quasi quindici anni che la Strega Suprema sapeva di essere condannata.
Era stata una decisione presa molto tempo prima e lei, come voleva la tradizione dei Black, non si sarebbe mai rimangiata un giuramento.
Solo che allora, presa com’era da tutt’altre emozioni, così giovane, potente e fragile allo stesso tempo, ignorava del tutto la portata che avrebbe avuto il suo gesto.
Tante volte aveva ucciso a sangue freddo e provato un misto di gioia ed eccitazione nel vedere scorrere il sangue.
Ma, ora che toccava a lei morire, il terrore la paralizzava.     
Sentiva che la morte era lì, sempre più vicina.
Avvertiva i suoi passi frusciare sul tappeto verde e argento, a pochi metri da lei.
−Alhena Black.
La Strega Suprema levò il capo a fatica e per poco non si lasciò sfuggire un urlo.
Tante volte aveva immaginato il suo ritorno, con un misto di paura e speranza.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per poter rivedere anche solo per un attimo quei tratti affilati e aristocratici, i fluenti capelli scuri e i suoi bellissimi occhi blu carichi di ardore.
Ma la creatura che in quel momento era china su di lei non era più il Tom Riddle che ricordava.
Al suo posto c’era un essere dagli occhi iniettati di sangue, la pelle cerea come quella di un cadavere che gli ricopriva il volto scarno simile a un teschio, in cui il naso e la bocca si aprivano come due fessure scavate nel gesso.
−Ti aspettavo – fu tutto quello che riuscì a sussurrare in risposta.
−Lui dov’è? – chiese Lord Voldemort.
−È morto.
Ci fu un attimo di silenzio.
−Bene, − sussurrò lui rigirandosi tra le lunghe dita il pugnale d’argento – vorrà dire che presto vi rivedrete all’inferno.
Alhena si sentì svenire per la paura, ma resistette con tutte le sue forze all’impulso di serrare gli occhi.
Voleva avere lui come ultimo ricordo della sua vita, quel volto simile a un teschio che era stato allo stesso tempo la sua felicità e la sua dannazione.
−Eccomi, sono pronta – gemette.
E, quasi senza rendersene conto, sorrise al suo destino.
 
***
   
−NO, TI PREGO! NOOOOOOOOOOO!
Gli ci vollero diversi secondi prima di rendersi conto di essere al sicuro in camera sua e che l’ombra che incombeva su di lui non era altri che Peter, che lo fissava carico di preoccupazione.
−Non è niente, Ed, calmati. È tutto finito – cercò di consolarlo il fratellastro prendendolo tra le braccia robuste.
Edmund si lasciò andare sulla sua spalla, scosso dai brividi.
Era completamente madido di sudore e non riusciva a smettere di tremare.
Peter lo cullò per qualche secondo, sussurrandogli parole di conforto.
Sussultarono entrambi quando la porta si spalancò di colpo e nella semioscurità comparve il volto scarmigliato di Susan.
−Volete smetterla con questo casino? – sussurrò inviperita. – Così sveglierete Lucy!
−Scusaci, Susan – si schermì Peter.
Edmund si staccò da lui, colmo di imbarazzo, scostandosi la frangia sudata dagli occhi.
−Di nuovo quell’incubo, Ed? – chiese la ragazza sedendosi sul letto.
L’altro annuì.
Susan sbuffò.
–Vieni, ti preparo una tisana – disse prima di rialzarsi e andare di sotto.
Edmund abbassò gli occhi.
Si sentiva un verme.
Peter gli diede una pacca di incoraggiamento sulla spalla.
−Dai, andiamo – gli disse con un sorriso, porgendogli la sua vestaglia.
−No, davvero, vado da solo…
−Non dire sciocchezze!
−Peter, hai bisogno di dormire.
−Sono sveglissimo.
Il ragazzo gli lanciò un largo sorriso, anche se si vedevano fin troppo bene i due aloni violacei al disotto degli occhi azzurri.
Con uno sbuffo, Edmund si liberò delle coperte, infilandosi la vestaglia celeste e seguendo il fratellastro al piano di sotto.
Susan era già ai fornelli nell’angolo cottura.
I colori fosforescenti dell’orologio annunciavano che erano da poco passate le quattro del mattino.
Dalle finestre penetrava la luce pallida dei lampioni.
Nel soggiorno, la televisione era accesa a volume basso.
Trasmettevano un documentario della National Geographic sulla vita degli animali selvaggi in Africa.
Una testa scura emergeva dalla testiera del divano, tutta presa dal programma.
−Siamo mattinieri, eh? – chiese una voce vellutata.
−Lasciamo stare! – sibilò Susan mentre versava la tisana calda in quattro grosse tazze.
Caspian si stiracchiò sul divano, trascinandosi accanto a lei.
Salutò Peter ed Edmund con uno dei suoi sorrisi cordiali.
–Allora, − chiese tranquillamente – quale incubo ti ha tenuto sveglio, stavolta?
−Non mi va di parlarne – rispose Edmund sempre più imbarazzato, prendendo a giocherellare con la bustina del tè che galleggiava pigramente nella sua tisana.
−Ah, no! – sbottò Susan inviperita. – Adesso, per favore, fai lo stesso sforzo di giugno e ci racconti che cosa ti tormenta. Insomma, Ed, è ormai un mese che vivi a casa nostra e ogni notte ti svegli urlando come se avessi visto il demonio in persona. Io non ho problemi a prepararti tisane calmanti e aspettare che ti tranquillizzi, ma non può continuare così. Secondo me, è ora che ti fai vedere da qualcuno, che Silente lo voglia o no.
−Silente è stato fin troppo chiaro su questo: niente psicologo – le rammentò Peter.
−Silente è rimasto ancorato al Medioevo, per certe cose – ribatté Susan. – Non lo vedete come sta? Ha subìto dei traumi terribili, ha bisogno di un sostegno per superarli! Non guarirà mai, se continua a prendere solo tisane. Sbaglio, Ed?
Edmund la fissò con uno sguardo carico di afflizione.
–Non lo so – si schermì. – Non ho mai sentito parlare di cose simili. Si tratta per caso di un Guaritore?
−In un certo senso – disse Peter. – Diciamo che è un Babbano che si occupa delle persone che hanno avuto dei traumi. Tu ti siedi, gli racconti i tuoi problemi e lui ti aiuta a risolverli.
−Ma io non voglio parlare dei miei problemi!
Susan levò gli occhi al soffitto, esasperata.
−Coraggio, ragazzi – tentò di calmare le acque Caspian. – Se Edmund non vuole, non ha senso costringerlo. Sappiamo fin troppo bene che quello che ha vissuto è a dir poco disumano e che ci vorrà del tempo per superarlo, quindi non bisogna forzarlo.
−Parli facile tu, che vivi al contrario – bofonchiò Susan.
−Che ci posso fare se la notte tendo a dormire pochissimo? – si schermì lui con un’alzata di spalle.
−Se vuoi, domani sera lo parcheggio nella stanza degli ospiti con te. Poi ne riparliamo.
−Domani sera saremo così stanchi che persino Edmund si godrà un po’ di sano riposo – scherzò Peter.
−Già, domani – Susan si era fatta di colpo cupa e pensierosa, mescolando il suo tè con più foga.
−Potremmo anche dire fra qualche ora, già che ci siamo – soggiunse Peter, lanciando un’occhiata all’orologio.
Edmund prese a sorseggiare nervosamente la sua tisana.
Quella sera, anche lui avrebbe finalmente avuto un padre.
Era il 2 agosto, il giorno in cui Evelyn Pevensie e Charlie Winston si sarebbero sposati.
Ecco che cosa rendeva Susan così furiosa.
Lei non aveva mai accettato del tutto il fatto che i suoi genitori avessero divorziato e che Philip, il suo vero padre, fosse andato a vivere con un’altra donna senza dire niente a nessuno.
−Per fortuna, la zia Alberta questa volta non pernotta a casa nostra – commentò lei nervosamente.
−Sì, ma come ce l’ha fatto pesare, anche se lei dice sempre che non vuole disturbare! – soggiunse Peter con un sospiro.
−Ma che senso ha venire il giorno prima, con tutte le cose che abbiamo da fare?
−Lei dice per aiutare la mamma – ipotizzò Peter.
−Per farsi gli affari altrui, vorrai dire! – lo corresse Susan.
−Perlomeno, io le ho fatto una buona impressione – scherzò Caspian.
−Come può fargliela un ragazzo di ventuno anni con i capelli lunghi e l’aria da cantante rock fine anni ‘80 che sta con una sedicenne! – brontolò Susan.
−Ma grazie! – rise l’altro.
−Fidati, con te è stata molto carina e formale, ma non appena è uscita di qui sarà sicuramente andata al primo pub a lamentarsi con il mondo intero su che razza di delinquente frequenta sua nipote.
−Non vorrei essere nei panni di zio Harold e Eustace, poveretti! – esclamò Peter.
−Lascia stare, sono due santi. Non capisco come abbia fatto lo zio a sposare una simile arpia.
−Diciamo che non è mai stato un tipo molto sicuro di sé, altrimenti avrebbe puntato senza esitazione su qualcosa di meglio.
Dal suo canto, Edmund non poteva proprio rimproverare tutte le varie perfidie che i fratelli maggiori stavano lanciando ai loro zii materni.
Aveva avuto la sfortuna di incontrarli per la prima volta proprio quella mattina e aveva avuto immediatamente un’impressione molto sgradevole di loro.
Era stato lui ad aprire la porta, nel momento in cui aveva sentito suonare il campanello.
Si era ritrovato davanti un ragazzo grassoccio con la faccia da roditore e l’aria corrucciata, con indosso un triste maglioncino color cachi.
Per diversi istanti, i due si erano squadrati lungamente, come se fosse scontato che si conoscessero; poi il roditore aveva chiesto in tono sbrigativo: − Sei tu quello nuovo?
−Eh?
Edmund non capiva.
Nessuno, nemmeno la Strega Suprema, si era mai rivolto a lui in quel modo prima d’ora.
−Volevo dire, sei tu il ragazzo che la zia ha adottato? Quello con problemi mentali?
A quelle parole, gli occhi di Edmund si sgranarono a tal punto da assomigliare paurosamente a due palle da tennis.
Lui un malato mentale?
−Non so che cosa ti abbiano raccontato a casa, ma, per quanto mi riguarda, io sto benissimo – ribatté sulla difensiva.
−La mamma mi ha raccontato che all’orfanatrofio ti maltrattavano e per questo hai dei disturbi comportamentali – rispose il ragazzino gonfiando il petto orgoglioso. – Stai tranquillo, so bene che cosa stai vivendo. Sono un appassionato di scienza e medicina, sai,  leggo un sacco di libri a riguardo e posso affermare con certezza che soffri della sindrome di…
−Nessuna sindrome, Eustace – era intervenuto tempestivamente Peter, frapponendosi tra i due come se temesse che stessero per prendersi a pugni. – Come al solito, la zia tende a precipitare un po’ troppo le cose – fece l’occhiolino a Edmund, che nel frattempo aveva assunto un cipiglio omicida. – Bene, ragazzi, perché ora non rientriamo?
La prima impressione di Edmund  su colui che da quel giorno in poi sarebbe stato suo cugino non si era rivelata affatto errata.
Eustace Clarence Scrubb era davvero il ragazzo più odioso che avesse mai visto.
Brutto come la fame e dotato di un’insopportabile aria da saputello, si aggirava in ogni angolo della casa armato di un inquietante taccuino, annotando qualsiasi cosa attirasse la sua attenzione, allungando critiche e perle di saggezza a chiunque avesse avuto la sfortuna di incontrarlo.
E non era affatto facile scollarselo di dosso, dal momento che si attaccava come una cozza a tutti quanti, minacciando di seguirli ovunque, persino in bagno.
Dopo una serie di vani tentativi di levarselo di torno, Edmund si era arreso a quella ingombrante presenza, cercando di autoconvincersi che la sua insopportabile voce nasale sarebbe stata il sottofondo fisso dei prossimi due giorni.
Del resto, non ci si doveva stupire se a sedici anni Eustace versasse in quelle condizioni, visti i genitori che si ritrovava, i quali stravedevano per lui, il loro bellissimo, perfetto, unico figlio.
Della coppia, zio Harold era certamente quello più innocuo.
Era l’essere più insignificante che Edmund avesse mai visto.
Piccolo di statura e pingue come il figlio, zio Harold aveva l’aspetto più anonimo che si potesse immaginare, con la sua testa pelata e lucida e i corti baffetti grigi che spiccavano sul volto grassoccio da tenore.
Alternava alle maniche di camicia d’estate il solito maglioncino grigio d’inverno e parlava pochissimo, quasi sempre di politica.
Lavorava in un ufficio del comune, da cui non usciva quasi mai.
Sicuramente, la sua mancanza di loquacità era compensata dalla lingua biforcuta di zia Alberta.
Alta, magrissima, sempre fresca di parrucchiere e alla moda, la zia Alberta si riteneva la perfezione incarnata.
Nulla a questo mondo sembrava degno di essere risparmiato dalle sue critiche implacabili.
Era completamente diversa dalla sorella maggiore, sempre calma e pacata, che però si portava decisamente meglio io suoi quarantacinque anni di età.
Di poco più giovane, infatti, la zia era già un intrico di rughe.
Forse, suggeriva malignamente Susan, per il fatto che sin da adolescente avesse usato senza ritegno una quantità spropositata di creme e lozioni di bellezza.
Ora la vecchia arpia si aggirava per ogni angolo della casa con il pretesto di aiutare gli altri nelle varie faccende che precedevano la cerimonia, che nascondeva in realtà la scusa di impicciarsi di tutto l’impicciabile.
Spesso allungava commenti e frecciatine con il suo sorriso falso, accompagnato da uno sguardo di sufficienza misto a compassione che avrebbe fatto saltare i nervi a chiunque.
Il problema non erano tanto queste piccole torture psicologiche, quanto il fatto che zia Alberta era una donna tremendamente invidiosa e pettegola, che avrebbe annotato ogni particolare della cerimonia con la stessa minuzia maniacale di suo figlio nei confronti del taccuino, andando poi a sparlarne con le amiche una volta rientrata a casa.
Era chiaro che tutti non vedevano l’ora che quell’incubo finisse e che quella vecchia arpia se ne tornasse a Cambridge, specialmente Susan.
Quella donna orribile stava dando il meglio di sé per rovinare il giorno che sua madre aveva atteso per mesi, finalmente amata da un uomo che accettava la natura magica dei figli.
Certo, Charlie non avrebbe mai sostituito Philip come padre, ma non si poteva dire che non lo aveva superato in responsabilità.
Quando a giugno Lucy era stata rapita, aveva preso personalmente l’iniziativa di raggiungere Peter e Susan a Hogwarts e aveva fatto di tutto per aiutare Evelyn a superare quel terribile momento.
Era stato lui a incoraggiarla ad adottare Edmund e, la settimana precedente, li aveva accompagnati tutti con entusiasmo a Diagon Alley a comprare l’occorrente che serviva per il nuovo anno a Hogwarts.
Non poteva accettare un simile scempio proprio adesso.
−Allora, possiamo tornare a dormire per un altro paio d’ore? – chiese a un certo punto Peter con un sorriso.
Edmund fissò il fondo della sua tazza ormai vuota e annuì.
−Bene − commentò Susan incrociando le braccia.
–Sparite – soggiunse lanciando loro un sorriso di sfuggita.
Dopo un rapido saluto, i ragazzi si defilarono al piano di sopra.
Rimasti soli, Susan e Caspian crollarono davanti alla televisione.
Sullo schermo, un ghepardo rincorreva una gazzella tra l’erba alta della savana.
−Forse abbiamo sbagliato a portarlo qui – disse a un certo punto Susan.
−In che senso? – esclamò Caspian accarezzandole il fianco.
−Edmund. In fondo, non sappiamo nulla di lui. E se ci avesse raccontato un sacco di sciocchezze?
−Lui? Non credo. Guardalo, Sue: è solo un ragazzo. Un ragazzo molto solo e spaventato, per di più. Anche io lo sarei, se avessi avuto un’infanzia simile.
−Gli hanno scagliato addosso la Maledizione Cruciatus un sacco di volte. E se gli avesse davvero danneggiato il cervello?
−Madama Chips dice di no.
−Ma comunque si vede che è ancora sotto shock. E se fosse segno di disturbi comportamentali o della memoria? A queste persone succede.
−Quelle sono ferite che vanno curate con molto, molto tempo. Ma credimi, secondo me faremmo solo un danno a portarlo da un medico babbano, una persona che non crede alla magia. Sarebbe costretto a raccontargli un sacco di balle e di certo questo non lo aiuterebbe a guarire. L’unica cosa di cui ha bisogno adesso è di ricominciare daccapo, in tranquillità. Vedrai che, una volta a Hogwarts, le cose andranno subito meglio.
−Dici? Per me, parlare di magia lo terrorizza ancora di più. Hai visto com’era teso a Diagon Alley? Continuava a guardarsi alle spalle, come se temesse di essere seguito.
−Anch’io l’avrei fatto, se fossi stato nei suoi panni. Cerca di capirlo. Tu-Sai-Chi è di nuovo là fuori e sicuramente gli starà dando la caccia.
−È proprio questo a preoccuparmi.
−Stai tranquilla: Silente ha stregato la casa. Fino a quando non sarete tutti e quattro maggiorenni, nessuno potrà farvi del male qui dentro.
−Non sono preoccupata per un possibile attacco dei Mangiamorte a Victoria Street. Sto dicendo che ci sono parecchie cose del passato di Edmund che non mi tornano. Hai visto come viveva?
−Era in un sotterraneo.
−E che sotterraneo! Quella stanza, okay, era da incubo, ma aveva tutti i comfort. Non era mica il buco puzzolente dove quella psicopatica ci ha sbattuti quando ci ha catturati! E poi, come mai voleva trasformarlo in un mago oscuro, allevandolo sin da quando era un neonato? E perché, una volta scoperto il suo fallimento, non l’ha ucciso come tutti gli altri? Ci sono troppe cose che non mi tornano in questa storia.
−Silente si fida di lui, altrimenti non gli avrebbe mai permesso di entrare in casa vostra.
−Silente è un essere umano e si può anche sbagliare. Hai visto che Harry Potter non riesce neanche a guardalo in faccia senza provare dolore alla cicatrice?
−Me ne ha parlato lui di persona. Dice che, ogni volta che entra in contatto con Edmund, avverte la rabbia di Tu-Sai-Chi dentro di lui. È furioso perché gli è stata sottratta una vittima. Non capisci che lo vuole morto, Susan? Edmund è pericoloso, per lui.
−Per quale motivo?
−Non lo so, ma è chiaro che Alhena avesse in mente un piano ben preciso. Sicuramente aveva capito che Tu-Sai-Chi sarebbe caduto e voleva correre ai ripari. In che modo, non lo so. Forse un giorno lo scopriremo. L’importante, ora, è aver salvato un innocente.
−Già.
Susan levò lo sguardo verso il caminetto.
Dalla mensola, l’immagine di suo fratello David le sorrideva raggiante, ignaro che tutta quella felicità sarebbe stata spazzata via dopo poco tempo.
−Sto vivendo troppi cambiamenti tutti insieme, Caspian – sussurrò rannicchiandosi ancora di più contro il suo fianco.
−Ma tu vuoi bene a Charlie ed Edmund, vero? Nessuno ti chiede di rimpiazzare le persone che hai perso, ma sappi che loro sono molto legati a te. Sei una figlia e una sorella.
Susan annuì piano.
–Devo solo abituarmi, tutto qui.
−So che è difficile, per te.
−Aiutami, se puoi.
Caspian le sorrise dolcemente, baciandole i lunghi capelli castani.
–Sono qui per questo – sussurrò.
 
***
   
Hold up 
hold on 
don't be scared 
you'll never change what’s been and gone 

may your smile
shine on
don't be scared
your destiny may keep you warm 

cos all of the stars 
are fading away 
just try not to worry 
you'll see them some day 
take what you need 
and be on your way 
and stop crying your heart out

 
Edmund ascoltava le parole degli Oasis sussurragli nelle orecchie attraverso gli auricolari del lettore CD disteso sulla schiena, con le coperte tirate su fino al petto e gli occhi fissi al soffitto.
Coraggio, gli dicevano, doveva avere coraggio.
Era stata Jane a regalargli quel CD, pochi giorni prima di partire per l’Austria insieme ai Collins, la sua famiglia adottiva.
I due si assomigliavano molto: entrambi orfani, entrambi all’oscuro del loro passato per anni.
Avevano avuto immediatamente un’incredibile empatia, anche se Edmund agli inizi aveva fatto molto per nasconderlo.
Non era abituato ad avere qualcuno accanto con cui si sentisse a proprio agio.
Era stato proprio a Jane che aveva confidato per la prima volta gli orrori del suo passato, senza temere il suo giudizio.
Aveva qualcosa che lo rassicurava.
Forse il suo sguardo dolce.
O il modo in cui l’abbracciava al momento giusto, quando aveva bisogno di avvertire un po’ di calore umano.
Jane era l’unica persona da cui Edmund avrebbe voluto farsi toccare.
Odiava il contatto fisico più di ogni altra cosa.
Lo associava al dolore del suo passato.
Proprio quello che sognava ogni notte, da quando era entrato in casa Pevensie.
Certo, si sentiva già molto legato alla nuova famiglia. Erano stati immediatamente adorabili con lui.
Ma ciò non era sufficiente a cancellare il senso di colpa che lo torturava.
Non riusciva a sopportare l’idea di dormire nel letto di un altro che avrebbe dovuto essere al posto suo, quel ragazzino sorridente e lentigginoso la cui foto era ancora esposta sul caminetto del salotto.
Quel ragazzino che aveva visto uccidere davanti ai suoi occhi.
Sono un mostro.
Edmund strinse ancora più forte il lettore CD al suo petto.
Nell’oscurità, Peter si rigirò tra le coperte.
Come potevano quelle persone tollerare il solo pensiero di avere la causa della morte di David in casa loro?
Si sentiva un impostore, della risma più spregevole.
Un pulcino di cuculo introdotto con l’inganno in un nido a cui era stato sottratto un uovo.
In effetti, che cosa c’entrava lui con i Pevensie?
Nulla.
Erano diversi anche fisicamente.
Loro erano tutti dei ragazzoni dal fisico atletico, con i capelli chiari e gli occhi azzurri.
Lui era piccolo e mingherlino, con una folta chioma di capelli neri, i tratti affilati e due grandi occhi scuri.
Tante volte, il peso dei suoi incubi si era fatto così insopportabile da indurlo a fuggire, ma all’ultimo istante ci aveva ripensato.
Voldemort era là fuori e gli stava dando la caccia.
Sapeva che gli era sfuggito.
Per questo aveva ucciso Alhena.
  
Stop crying your heart out
Stop crying your heart out
 
Edmund si tirò le coperte fin sopra la testa.
Ai suoi incubi si aggiungeva il dubbio di essere stato ingannato da coloro che si proclamavano i suoi salvatori.
Per quattordici anni, gli era stato detto che Silente e i suoi seguaci erano dei pericolosi criminali che lo volevano morto.
Eppure, erano stati proprio loro a dimostrargli il contrario.
Che fosse una trappola?
Chi aveva ragione?
Stava forse impazzendo?
Nelle settimane che erano seguite, Edmund si era letteralmente barricato nella biblioteca del loro quartiere.
Per fortuna, era molto fornita.
Negli anni della sua solitudine, l’unica compagnia erano stati i libri.
La biblioteca di villa Black era un vero gioiello.
Al suo interno vi erano custoditi dei manoscritti di inestimabile valore sulla storia e la cultura della comunità magica.
Nel mondo babbano c’erano altrettanti libri, di cui non aveva mai sentito parlare prima d’ora, ma che ora gli risultavano altrettanto utili.
Di certo il suo aspetto da sociopatico non giocava a suo favore nel momento in cui faceva ingresso nel reparto di Medicina e Criminologia.
Alle occhiate diffidenti che gli scoccava la bibliotecaria, la signora Mason, Edmund rispondeva esibendo il certificato scritto e firmato da Peter.
Era una richiesta di prestito per motivi di studio, cosa che in parte era vera, dal momento che il ragazzo si era iscritto nella facoltà di Medicina.
Peter era infatti l’unico membro della famiglia che appoggiasse le ricerche di Edmund.
In fondo, il fratellastro non stava certo progettando di sterminare l’intera famiglia Pevensie.
Voleva semplicemente informarsi su ciò che aveva vissuto, accertandosi per primo della portata delle conseguenze del suo shock psichico.
Era vissuto per quattordici anni da solo con una serial killer affetta da una grave forma di disturbo bipolare, non poteva certo essere biasimato per questo!
Ciononostante, quando Susan aveva trovato uno di questi volumi sul comodino di Edmund, aveva scatenato il putiferio.
Diceva che già il ragazzo era a pezzi e a poco sarebbe servito alimentare la sua mente con ulteriori immagini da incubo.
Per fortuna, sia Peter che Caspian si erano opposti, ed Edmund continuava le sue consultazioni di nascosto.
In fondo, aveva scoperto delle cose interessanti.
Innanzitutto, non era lui a essere pazzo, almeno non per il momento.
Aveva ritrovato la malattia di Alhena in un volume dedicato alle patologie neurologiche: eccessiva aggressività, lunaticità, crisi di pianto e tendenza a mentire.
Con un tuffo al cuore, aveva scoperto che ciò che gli avevano detto i suoi nuovi amici era vero.
Alhena soffriva davvero di disturbi psichici e quel male la stava uccidendo lentamente, giorno dopo giorno.
Ora il problema restava lui. Perché mai la Strega Suprema aveva scelto di allevarlo di nascosto, lontano da tutti gli altri esseri umani?
Che cosa aveva visto di tanto terribile da considerarlo un mago oscuro potente quanto Voldemort?
E che cosa aveva fatto lei di così grave da passare dalla sua più grande alleata a una vile traditrice?
Che stesse pensando di usarlo come un’arma per spodestarlo?
Edmund si sentiva sempre più confuso e spaventato.
Avvertiva dentro di lui qualcosa di oscuro e inafferrabile, che gli suggeriva di essere diverso da tutti gli altri.
Qualcosa che, di tanto in tanto, si agitava come un aspide, insidiandogli la mente con pensieri velenosi.
Aveva trascorso troppi anni nella rabbia e nella paura, senza poter sfogare in alcun modo le proprie emozioni con qualcuno.
Ora temeva che quei sentimenti prendessero il sopravvento, trasformandolo nello spettro di quella donna crudele che era stata il suo unico punto di riferimento.
Non lo avrebbe mai ammesso, ma in quel momento Edmund desiderava più che mai il contatto con quelli della sua specie.
In quelle quattro settimane nel mondo babbano, gli era mancata la confidenza con qualcuno che capisse che cosa provava e che sapesse dargli i giusti consigli.
In casa Pevensie questi discorsi non si potevano fare. Conoscevano la magia da troppo poco tempo per essergli di aiuto in quel senso e, soprattutto, ne erano intimoriti quasi quanto lui.
Persino Peter, dopo aver concluso i M.A.G.O. con ottimi voti, aveva deciso di appendere la scopa al chiodo e di iscriversi a Medicina.
No, gli serviva la compagnia di qualcuno che con la magia avesse una confidenza viscerale, in particolar modo con la Magia Oscura e i modi per combatterla.
E non era Caspian.
Erano due maghi molto più giovani e, Edmund ne era sicuro, molto più potenti.
Come a rispondere ai suoi pensieri, un improvviso tonfo contro il vetro della finestra per poco non gli provocò un infarto.
Peter, completamente immerso nel mondo dei sogni, bofonchiò qualcosa che riguardava Susan e si girò dall’altra parte.
Tremando come una foglia, Edmund estrasse la bacchetta dal cassetto del comodino (come se servisse a qualcosa, visto che non sapeva pronunciare neanche mezzo incantesimo) e strisciò oltre il letto del ragazzo.
Scostò le tende e, con un altro tuffo al cuore, si trovò a fissare gli occhi tondi e scuri di un gigantesco allocco che lo fissava impettito, arruffando le piume.
Aveva una busta legata alla zampa.
Fremente dall’eccitazione, Edmund spalancò la finestra e afferrò la lettera, mentre il gufo faceva schioccare il becco acuminato, nella speranza di rimediare qualche biscotto.
Dalla calligrafia minuta e tondeggiante, il ragazzo intuì subito chi fosse.
 
Edmund Pevensie
Camera da letto
Victoria Street n° 17, Londra, UK
 
Era Jane, che annunciava il suo arrivo per le dodici di quel giorno.





Buongiorno a tutti! :) Vi sono mancata? * spero di sì! *
Avrei tanto voluto aggiornare prima, ma i miei soliti impegni (università e ora anche il lavoro in redazione) sommati alla mia intramontabile pignoleria mi hanno portata a rimandare di continuo questo momento.
Mi scuso innanzitutto per l'ennesimo salto sulla sedia che vi ho fatto fare all'inizio della storia, promettendovi che da ora in poi farò la brava (almeno in questo sequel, perché man mano che andremo avanti l'atmosfera diventerà sempre più dark).

Per tutti coloro che mi leggono per la prima volta, vi lascio volentieri il link de "Il risveglio delle Streghe", il prequel di questa fanfiction: 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1703500&i=1
Non è necessario che la leggiate, ma se comunque vi va di passare a trovarmi sappiate che siete i benvenuti!

Se avete voglia di contattarmi su Facebook e conoscere in tempo reale notizie, foto e curiosità sulle mie storie, vi invito a visitare la mia pagina ufficiale:
 https://www.facebook.com/LeStorieDiFedra

Sappiate fin d'ora che gli aggiornamenti cadranno ogni martedì mattina, salvo imprevisti, che vi verranno comunicati per tempo.

Colgo l'occasione per mandare un saluto calorosissimo a Joy_10, mia carissima amica di penna e straordinaria scrittrice!

Un abbraccio a tutti e a presto! :)

P.S. La canzone che ascolta Edmund è "Stop crying your heart out" degli Oasis, la band preferita di Jane insieme ai Killers. Vi invito tutti ad ascoltarla!

F.
   
 
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Le Cronache di Narnia / Vai alla pagina dell'autore: _Fedra_