“Louis
teneva costantemente la sigaretta tra le labbra, non
l’accendeva mai. Eppure si
ostinava a cambiarla ogni qualvolta le sue mani raggiungevano il
pacchetto
aperto di Malboro. Apriva la scatolina di carta, guardandone
attentamente il
contenuto, disturbandosi anche di scegliere accuratamente quale di
quelle
portarsi ad ornare la sua bocca. “
Quella
ventosa mattinata di fine gennaio, Louis Tomlinson, ripeté
la stessa azione,
mordicchiando cautamente il filtro e passando la lingua ad accarezzare
quest’ultimo, quasi a volerne lasciare un marchio di
possessività.
Lanciò
uno sguardo oltre il vetro sporco della finestra, si
scompigliò leggermente i
capelli con il palmo della mano ed iniziò a sfogliare le
carte sparse sulla sua
scrivania da lavoro.
Conti,
prenotazioni, addebiti e ricevute, Louis non riusciva nemmeno ad
immaginare
quanti soldi stessero sfiorando metaforicamente le sue dita in quel
momento.
Cominciò a riordinare i fogli cercando di alleviare il
disordine che da sempre
lo perseguitava, dividendo i vari documenti in pile improvvisate.
Sbuffò
sonoramente quando il pensiero della sua stressante professione gli
saltò in
mente, e si fece scappare una risata quando ricordò che era
stata proprio lui a
sceglierla.
In
effetti, ritrovarsi a 21 anni proprietario di uno dei ristoranti che
lavorava
maggiormente nei pressi di Doncaster non era cosa da poco.
Dopo
essersi scarsamente diplomato al liceo Alberghiero, Louis, aveva
sfruttato il
patrimonio del nonno defunto per intraprendere la carriera del libero
professionista,
aprendo quello che doveva essere una piccola locanda e che in poco
tempo era
diventato un distinto e discretamente frequentato ristorante.
Dover
fingere tutte le sere smorzati sorrisi e intraprendere squallide
conversazioni
con i clienti lo irritava, gli saltavano i nervi solo dover girare il
cartellino che giaceva sulla porta alle 20:00 di ogni sera, cambiando
la
scritta in esso da ‘chiuso’ a
‘aperto’.
Scosse
la testa come a scacciare quei pensieri, passandosi la mano sul viso
nel
tentativo di riprendere a pieno le energie, per poi lasciarsi cadere a
peso
morto sulla poltroncina rovinata al di là del bancone.
Fece
per riprendere il suo lavoro, ma qualcos’altro
attirò l’attenzione del moro. La
porta del ‘One Direction’, così si
chiamava il locale, si spalancò, e la
campanellina che risiedeva in cima a quest’ultima
cantilenò l’arrivo di una
persona.
Un ragazzo, dai ricci scuri
e dai jeans
attillati, fece la sua entrata di scena portandosi dietro di se un
trolley
rosso. Questo, richiuse la porta alle sue spalle per poi guardarsi
intorno
disorientato.
“Ti
serve aiuto?” La voce cristallina di Louis
riecheggiò limpida nella sala,
facendo trasparire quel velo di noia e irritazione che essa conservava.
“Sono
Harry, Harry Styles.” Apostrofò il ragazzo
dirigendosi a grandi falcate verso
la persona che gli aveva parlato poco prima. “Sono qui per
l’annuncio sul
giornale.” Tossì, schiarendosi la voce.
“Cercavate un cameriere, giusto?”
Concluse.
***
Louis
rimase piacevolmente sorpreso quando il suo nuovo impiegato si
ricordò al primo
tentativo quali dei diversi barattoli contenevano le spezie,
solitamente non ci
riusciva mai nessuno. Guardò come il ragazzo riccio mostrava
il suo agio
all’interno della cucina, ovvero quello che sarebbe diventato
il suo piano di
lavoro.
“Gli
attrezzi per la pulizia sono in quello stanzino.” Lo
apostrofò indicandogli con
un cenno del volto una porta poco distante. “Mentre i
foglietti per le
ordinazioni stanno su questo tavolo.”
Harry
annuì pigramente senza smettere per un attimo di guardarsi
intorno, per poi “A
che ora si inizia a lavorare?” Chiedere.
Tomlinson
alzò un sopraciglio percependo quel pizzico di menefreghismo
nella voce,
sorridendogli in modo complice e “Il ristorante apre alle
otto, ma visto che
sei nuovo, e che dovrai mettere a posto la cucina ti consiglio di farti
trovare
pronto per le sei, se ci tieni al posto di lavoro.”
Dicendogli.
Il
più piccolo, per quanto la differenza d’altezza
non faceva sembrare, ricambiò
il sorriso, avvicinandosi fino ad appoggiarsi con il busto al bancone
della
sala.
“Perfetto.”
Commentò. “Sarò puntuale.”
Aggiunse. “Ma visto che oggi è il mio primo
giorno,
penso che mi fermerò qui fino a stasera.” Concluse.
Louis
fece spallucce per mostrargli la sua indifferenza mentre terminava di
spiegargli
le ultime regole base del ‘One Direction’.
-
Alle
quattro di pomeriggio, come di routine, Tommo
estrasse dalla tasca il solito pacchetto di Malboro scegliendosi e
portandosi
una sigaretta alle labbra, per poi inglobarne il filtro con la bocca.
“Posso?”
Chiese Harry rivolgendosi al suo capo. Questo
annuì con la testa, porgendogli il pacchetto e lanciandogli
l’accendino, nuovo
di pacca, che teneva nascosto nella parte posteriore dei jeans.
Louis
guardò ammaliato come il fumo grigio uscì
sensualmente dalla bocca di Harry,
come lui stesso traeva piacere dal retrogusto del tabacco, chiudendo
gli occhi
e facendosi arrivare la nicotina fino ai polmoni.
“Non
l’accendi?” Il moro si risvegliò dal suo
stato di trance.
“Come?”
sbatté le palpebre.
“Ho
detto.” Ridacchiò. “Non
l’accendi?”
Louis
rise insieme a lui, per poi scuotere la testa.
“Se
l’accendessi” Guardò la sigaretta tra le
sue dita. “Primo o poi finirebbe.”
Disse.
Harry
lo osservò confuso ed incredibilmente incuriosito, trovava
in quel ragazzo un
qualcosa di impossibile da spiegare a parole, e fu proprio quella
strana
sensazione che lo spinse a chiedergli altro.
“Tutto
prima o poi finisce.” Approcciò con voce roca
fissandolo negli occhi per la
prima volta, rendendosi conto del loro colore cristallino,
maledettamente
ipnotico, e successe quasi nello stesso momento in cui Louis si accorse
di
stare fissando due gemme smeraldine al posto di un paio di iridi.
“Boobear.”
Il riccio interruppe il silenzio che si era creato, suscitando in Louis
una
reazione che parve strana ai suoi occhi.
“C-che
hai detto?” Balbettò.
“Boobear.”
Ripeté Harry. “Ce lo hai scritto sul
polso.” Fece notare.
Tommo
si sbrigò a tirarsi giù la manica della felpa per
non lasciare neanche un
secondo in più le lettere di inchiostro in bella vista,
mentre le sue guancie
assunsero un colore più vivace del normale.
L’altro ragazzo lo notò.
“Cosa
sarebbe?” Domandò curioso grattandosi il retro
della nuca, leggermente pentito
di aver creato una così imbarazzante tensione tra loro.
“Solo
un… soprannome.” Rispose passandosi la lingua
sulle labbra secche.
“Tuo?”
Continuò. Louis annuì, imbarazzato.
“Se
sei così a disagio a parlarne come mai te lo sei
tatuato?” Chiese impertinente
Harry, provocando una smorfia nell’espressione
dell’altro che prontamente “L’ho
fatto per portare sempre con me un mio ricordo, di certo non per dover
dare
spiegazioni al primo sconosciuto che passa.” Rispose.
Il
riccio face un gesto di resa con le mani per poi tornare ad osservare i
lineamenti sinuosi del ragazzo che gli si presentava davanti. Era
bello, forse
troppo.
“Non
volevo offenderti.” Si giustificò dispiaciuto.
“Ero solo curioso.”
Il
moro ignorò le sue scuse per fargli capire che in
realtà non se l’era presa, e
perché c’era qualcosa nel viso di Harry che lo
attirava da morire. Forse era la
bocca, pensò Tomlinson, non ne aveva mai visto una
così.
“Quando
l’ho fatto,” Fece una pausa breve.
“Volevo ricordarmi di essere diverso.”
Apostrofò. “A volte la banalità, stufa.”
Ridacchiò
amaramente facendo appello a tutte le sue forze per mantenere la
massima
discrezione con il ragazzo nuovo. “Non credo che tu possa
capire.”
Il
piccolo non comprese il suo tono, ma non si fece intimidire.
“Invece
ti capisco eccome.” Disse orgoglioso, accennando un sorriso
sghembo che si
allargò su una sola guancia. “Anche io sono diverso.”
Enfatizzò l’ultima parola, incuriosendo
maggiormente Louis che “Ti ascolto.”
Disse.
Harry
sorrise maliziosamente, facendo accendere un luccichio ardente nei suoi
occhi,
un luccichio troppo sconosciuto all’animo inesperto di Lou.
“Sai,
amo il cinema.” Disse rimanendo sul vago, non facendo capire
a Tommo di che
cosa stesse parlando. “E adoro gli attori maschi.”
Concluse ghignando e pregustando già la reazione
dell’altro.
“Non
mi dire.” Esordì Louis poco sorpreso, ma imitando
comunque un’espressione
giocosa.
“A
me piacciono molto gli scrittori.” Ricambiò lo
sguardo. “Scrittori maschi.”
Puntualizzò.
“And
I can't change
Even
if I tried
Even
if I wanted to
And
I can't change
Even
if I tried
Even
if I wanted to
My
love, my love, my love”
-
Per
tutta la durata del servizio ai tavoli, Harry, non fece altro che
pensare a
Louis.
Per
tutta la durata della serata in generale, Louis, non fece altro che
pensare ad
Harry.
Il
primo immaginava le labbra del più grande posate con
prepotenza sulle sue, sognava
il calore delle guance dell’altro nel momento in cui gli
avrebbe fatto
scivolare la lingua in gola e riusciva persino a percepire i suoi
gemiti rochi
che avrebbe emesso nel mezzo di quella che sarebbe stata una notte
indimenticabile.
Harry non riusciva a capire per quale motivo, ad un tratto, si era
messo a fare
fantasie poco caste sul suo datore di lavoro.
Il
secondo, a differenza del riccio, era pressoché spaventato.
Non si era mai
aperto così tanto velocemente con nessuno, e aveva paura
che, svelato il suo
piccolo segreto, se ne sarebbe potuto pentire; per non parlare della
grande
confusione che aveva in testa ogni volta che si incantava a guardare
gli occhi
smeraldini di Harry. Da quando si sentiva in quel modo? Louis non lo
sapeva, e
per questo decise di declassare le sue inutili paranoie con una
semplice
attrazione fisica verso il piccolo.
-
“Non
vai a casa?” Chiese Harry al moro quando vide che aveva
ancora addosso i
vestiti usati nel servizio.
Con
un gesto esperto Hazza si portò all’indietro un
ciuffo di capelli, cercando in
qualche strano modo di riordinarli. L’altro lo
osservò, e quasi gli venne
voglia di allungare una mano per toccare quei riccioli perfetti. Non lo
fece.
“Questa
è la mia casa.” Rispose prontamente ottenendosi
uno sguardo più confuso che
altro da parte del riccio. Era adorabile.
“Dormi
sui tavoli?” Lo rimbeccò ironico Styles,
incrociando le braccia al petto e
poggiandosi al bancone dell’entrata con un fianco. Lo stava
provocando.
Louis
ridacchiò divertito. “Il mio appartamento e questo
posto sono collegati da
quella porta là in fondo.” La indicò
con nonchalance.
“Sei
organizzato.” Commentò combattendo contro un
sorriso che nacque sulle sue
labbra.
“Non
mi lamento.” Fece spallucce.
Un
silenzio che non risuonava imbarazzante si creò
nell’abitacolo.
Harry
non riusciva a smettere di pensare all’estenuante bellezza di
Louis. Louis non
faceva altro che cercare di reprimere quel pizzico di eccitazione che
gli
invadeva il corpo quando guardava Harry.
Entrambi
volevano la stessa cosa.
“Ti...
ti va qualcosa da bere?” Il viso di Harry si
allargò in un sorriso quando
l’altro balbettò quella domanda. Lo voleva eccome,
e non solo da bere.
Si
mordicchiò il labbro per evitare di dire fesserie, per poi
“Dipende.” Dire.
Cercò
il più possibile ti tenerlo sulle spine.
“Da
cosa?” Chiese, mentre la sua mano si allungava verso il banco
per afferrare le
chiavi rovinate della sua dimora.
“Da
quello che mi offrirai dopo.” Harry lasciò
trapelare un pizzico di malizia dal
suo doppio senso, sfoggiando contemporaneamente un sorrisetto obliquo e
complice e facendo tingere le guance del grande di un porpora sbiadito.
“Non
so ancora cosa ti offrirò dopo.” Louis stette al
gioco. “Devo, valutare le
opzioni.” Ricambiò l’espressione.
Odiava
non essere nel lato dominate.
Lui era Louis William
Tomlinson, ed aveva
sempre e costantemente il controllo su ogni cosa, conosceva alla
perfezione
ogni parte del suo ristorante, sapeva recitare a memoria il
menù del pranzo e
della cena e poteva dirti, nell’arco di pochi secondi, quante
posate c’erano
all’interno della cucina. “180 in tutto, 40
forchette, 40 coltelli, 40 cucchiai
e 20 cucchiaini da caffè.” Di solito rispondeva.
Harold
Edward Styles, in pochissimo tempo, aveva sconvolto tutto.
“Non
devi valutare un bel niente.” Se ne uscì Harry
avvicinandosi pericolosamente a
quello che sarebbe dovuto essere il suo capo.
“Devi
solo agire.” Gli soffiò sensualmente
all’orecchio.
Tommo
era combattuto.
Sulla
sua spalla sinistra l’angioletto della sua coscienza gli
stava urlando che non
si sarebbe dovuto spingere oltre con quel ragazzo. Dall’altra
parte, la piccola
sagoma del diavolo, gli ripeteva di non pensare a niente che non sia la
bocca
di Harry.
Quale
vocina doveva ascoltare?
“Tic
toc.” Cantilenò il più piccolo tenendo
il tempo, cercando di velocizzare la
decisione dell’altro.
Cercò
comunque di dargli una mano.
Infatti
quest’ultima gliela posò sul cavallo dei pantaloni.
Louis
sussultò per la sorpresa, ma rimase lo stesso immobile
quando il palmo di Harry
si mosse lentamente contro il suo membro coperto, per poi gemere
più piano
possibile quando le sue dita lunghe gli strinsero con estrema
determinazione la
protuberanza cresciuta in mezzo alle gambe del moro.
Lo
desiderava da morire.
“Valutato le
opzioni?” Ridacchiò Harry, quando
percepì l’erezione di Louis farsi spazio tra il
tessuto dei jeans.
“Direi
di si.” Ansimò schiacciato contro il suo corpo.
Valutazione
finale: Lo voleva come non aveva mai voluto nessuno.
-
Un
bacio, due baci, tre baci, ormai avevano perso il conto.
Dopo
che Louis aveva accorciato le distanze tra di loro e aveva timidamente
posato
le labbra su quelle del ragazzo riccio, la lingua di Harry non aveva
perso tempo
e, dopo aver chiesto come da manuale l’accesso, aveva
esplorato ogni minimo
particolare della sua bocca sottile.
Lou
perse il nume quando i baci caldi di Harry raggiunsero la parte
più sensibile
del suo collo.
Tra
piccoli morsi e languide leccate era sicuro che sarebbe potuto
benissimo venire
con un semplice succhiotto. Quel ragazzo era Dio.
Haz,
invece, non voleva altro che strappare quei fottuti pantaloni al
ragazzo che,
secondo lui, era decisamente troppo vestito.
Sperava
di poterlo fare presto, i suoi boxer non avrebbero resistito ancora per
molto.
-
Quella
notte, fu proprio come Harry l’aveva immaginata.
Le
loro pelli sudate erano rimaste in contatto per ore mentre i loro corpi
rotolavano tra le candide coperte bianche del letto di Louis.
“…”
“Ci
credi nell’amore a
prima vista?” Chiese Harry ansimando con la faccia contro la
soffice piuma
d’oca del cuscino.
“No.”
Un altro gemito,
più roco degli altri questa volta. “Non ci
credevo.” Spinse forte contro i
glutei del piccolo. “Fino a stamattina.”
“…”
Alla
fine, non avevano bevuto.
Quegli
alcolici che avevano accidentalmente rotto scontrando contro il tavolo
che li
separava dalla camera da letto erano l’ultimo dei loro
pensieri.
In
primo piano, quella notte non troppo ventosa di gennaio,
c’erano due ragazzi.
Il
primo, fedele sostenitore del ‘Carpe Diem’, non era
mai riuscito a sopportare
la condivisone della sua stanza con la sorella, smalti rosa e tacco a
spillo
non erano il suo forte. Un giorno, senza una meta precisa e con venti
sterline
in tasca, se ne andò.
Il
secondo, grande appassionato di romanzi storici e opere teatrali, era
la
reincarnazione della normalità, o almeno così
pareva a tutte le persone che non
lo conoscevano veramente. In realtà, quel ragazzo dai
capelli castani e occhi
color acqua marina, era tutto meno che normale.
Possono
questi uomini avere un legame nella loro diversità?
***
“Boobear.” Esordì
Louis guardando come
Harry si era accoccolato sul suo petto nudo.
Aveva
il respiro regolare e la bocca semichiusa, ma non stava dormendo, ne
era certo.
“Avevo
17 anni quando me lo sono fatto tatuare.” Deglutì,
inghiottì il groppo in gola.
“Ed era il soprannome con cui mi chiamava Stan.” Si
inumidì le labbra. “Il mio
primo fidanzato.”
“…”
“Hai
intenzione di
andartene?” Louis prese un lungo respiro. “Dopo
tutto quello che abbiamo
passato, hai veramente intenzione di lasciarmi?” La sua voce
tremolava sotto
l’aspetto di determinazione.
“Mi
dispiace, Boobear.”
Le scuse di Stan erano davvero poco credibili.
Che
vada al diavolo.
“…”
“Mio
padre è morto quando avevo quattro anni.” Harry
parlò proprio quando il moro
crebbe che si fosse davvero abbandonato tra le braccia di Morfeo.
Lo
strinse più forte tra le sue braccia, non
protestò.
“Non
dirmi che ti dispiace.” Disse nel mezzo di uno sbadiglio,
quasi supplicò. “Odio
la compassione.” Concluse.
Louis
appoggiò la bocca sulla cute del riccio lasciandogli un
innocente bacio sopra,
accorgendosi di come i suoi capelli profumavano di un aroma che
ricordava tanto
un frutto tropicale di cui Louis non conosceva il nome.
“Non
stavo per farlo.” Si difese, ed era vero.
Harry
era l’essere più incasinato ma altrettanto
affascinante che Lou avesse mai
conosciuto. Semplicemente non lo capiva, e questo lo attirava da morire.
Haz,
era arrivato a pensare che il ragazzo su cui stava praticamente
dormendo fosse
la reincarnazione di qualche Dio greco. Tanta bellezza poteva essere
considerata umana?
Si
appartenevano.
-
Louis
si diresse a piccoli passi verso il balconcino del suo appartamento,
aprì la
porta vetrata e rabbrividì quando l’aria fredda
entrò in contatto con la sua
pelle ancora accaldata.
Estrasse,
come da manuale, la sigaretta dal suo fidato pacchetto di Malboro, se
la rigirò
per qualche secondo fra le dita e poi se la portò alle
labbra.
Successivamente,
raggiunse con la mano libera il taschino sul retro dei pantaloni,
infilando il
palmo all’interno di quest’ultimo e assicurandosi
di afferrare l’accendino nel
verso giusto.
La
fiammella che poi fuoriuscì da questo si scontrò
con una delle due estremità
della sigaretta, bruciandone appena la carta e accendendola del tutto.
Louis
guardò come, pian piano, essa si consumava, finiva.
Ma
non gli interessava più.
Prese
un lungo tiro dal tabacco e poi si fece scorrere il fumo in ogni angolo
dei
suoi polmoni.
Fumare
non era mai stato così bello.
∞
Un
giorno, un ragazzo dai capelli ricci ed i jeans attillati, ne conobbe
uno dai
capelli castani e gli occhi color acqua marina.
Lo
stesso giorno, la cucina del ‘One Direction’, non
era mai stata più pulita. I piatti
brillavano.
Ventiquattrore
dopo, il sorriso di Louis Tomlinson, non era mai stato così
raggiante.
“And
I can't change
Even
if I tried
Even
if I wanted to
And
I can't change
Even
if I tried
Even
if I wanted to
My
love, my love, my love”
♥