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Autore: Doe    07/12/2013    1 recensioni
DAL TESTO:
“Come hai detto che si chiamano? Agaporno?”
Lui era scoppiato a ridere. “Agapornis, amore, Agapornis. Più comunemente noti, però, come gli Inseparabili.” Aveva sorriso, il cuore di lei aveva perso un battito. “Perché dal momento in cui si trovano non si lasciano più.”
Genere: Drammatico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Avrebbe voluto strapparsi via anche a morsi la pelle sul quale riposava, tranquillo, quel tatuaggio. Gli occhi neri come inchiostro dell'animale sembravano fissarla di proposito. Avrebbe potuto giurare di averli visti luccicare di malizia, una volta. Come se godesse nel tormentarla col ricordo di quando, in un pomeriggio di pioggia e spensierata follia, lui l'aveva convinta a farselo incidere sulla pelle.


"Io lo farò con te", le aveva sussurrato.

Lei lo aveva guardato negli occhi e quello era stato il primo grande errore, in quanto avrebbe dovuto sapere che al suo sguardo era impossibile dire di no. Il secondo errore era avvenuto giusto qualche minuto dopo, e adesso era lì, sul suo petto, in corrispondenza del cuore, e la fissava senza pietà.


Le ricordava, per l'appunto, i suoi occhi blu. E la stretta della sua mano, mentre l'ago la pizzicava. E i suoi piccoli baci di conforto, sulla fronte e sugli zigomi, che la distraevano dal dolore. E la sua risposta, alla domanda di lei sul perché avesse scelto proprio quell’animale, quegli uccelli.


“Come hai detto che si chiamano? Agaporno?”

Lui era scoppiato a ridere. “Agapornis, amore, Agapornis. Più comunemente noti, però, come gli Inseparabili.” Aveva sorriso, il cuore di lei aveva perso un battito. “Perché dal momento in cui si trovano non si lasciano più.”

Lei aveva fatto una smorfia, lui aveva riso. “Lo so che stai pensando ‘quanta sdolcinatezza ’ o ‘diabetico’ o qualunque commento sprezzante quella tua testolina cinica sia in grado di produrre, ma ti giuro che è vero. Loro si cercano, si trovano e trascorrono la vita insieme. E quando uno dei due muore, l’altro si lascia morire di fame.”

“È triste”, aveva sentenziato lei.

 “È romantico”, l’aveva corretta lui.


Ripensare al giorno in cui si erano fatti il tatuaggio la reindirizzava automaticamente ad altri giorni. A quei giorni. Quelli in cui era toccato a lei stringergli la mano, dargli conforto e sussurrargli che presto il dolore sarebbe passato. I giorni in cui la malattia si era presa i suoi bei riccioli, la sua forza, la sua spensieratezza e minacciava di prendersi anche i suoi respiri e i lenti battiti cardiaci al di sotto del piccolo e stilizzato volatile.


Anche il pomeriggio in cui la morte le aveva strappato via dalle braccia il suo Agaporno pioveva.

Lei non toccava cibo da allora.


Per la verità, non faceva proprio nulla da allora, fuorché fissare il suo petto nudo allo specchio del bagno e convincersi che sì, quel dannato uccello la stava fissando di proposito e dietro quegli occhi d’onice c’era tanta crudeltà.


Forse aspettava che il nero sfumasse in blu, che la crudeltà diventasse dolcezza; forse sperava che il suo microscopico becco iniziasse a muoversi e ne venisse fuori la sua voce calda, sempre pronta a canzonarla per il suo eccessivo cinismo.


“Prima o poi ti guarirò”, le aveva detto spesso.

Nessuno era stato in grado di guarire lui.


L’immagine dell’Agapornis, allo specchio, iniziò a sfocarsi. Di nuovo. Si sfregò il dorso della mano su entrambi gli zigomi, tagliando nettamente il corso che i due luccichii avevano intrapreso sulla sua pelle.


Si graffiò il petto una volta. Poi un’altra e un’altra ancora.

Non funzionava.

Avrebbe potuto scuoiarsi l’intero corpo, non avrebbe comunque funzionato.


Quell’animale – quelle parole, quelle carezze, quei baci, quegli occhi, quei ricordi - ce li aveva sotto pelle.





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