Videogiochi > Silent Hill
Segui la storia  |       
Autore: Teiresias    09/05/2008    0 recensioni
"La vita umana nel suo insieme, non è che un gioco, il gioco della pazzia." (Erasmo da Rotterdam)
E Silent Hill non è che un serraglio destinato a raccogliere animali rari che non potrebbero sopravvivere altrimenti.
Genere: Drammatico, Poesia, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Angela Orosco, Eddie Dombrowsky, James Sunderland, Mary Sheperd Sunderland
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il gioco del serraglio

IL GIOCO DEL SERRAGLIO ~ by teiresias

Locatelli – Concerto Grosso in Si Maggiore op.1 n.3

Aggrottando pensierosa le sopracciglia, Mary tolse il cappuccio alla penna e ne posò la punta sulla superficie bianca: una goccia di inchiostro cominciò ad allargarsi sul foglio, segno che stava esercitando troppa pressione, quindi la rialzò prima di fare una macchia troppo vistosa.
Evidentemente troppo nervosa per scrivere dopo tanto tempo, rifletté in silenzio; forse avrebbe combinato solo un pasticcio inutile nel fare quella sciocchezza…tormentare così suo marito non le sembrava la cosa giusta, ora che probabilmente le acque si erano calmate.
No.
Era lei la sciocca. Non era vero che le acque si erano calmate, lo sapeva bene. Sapeva perfettamente che con ogni probabilità la crepa che lei avrebbe scolpito avrebbe finalmente rotto qualcosa, anche se non sapeva dire esattamente cosa; non era per quello che aveva deciso di scrivergli una lettera? Per rendergli le cose più facili? Più semplici che se gli avesse parlato di persona?
Una ferita che ha reciso un importante vaso non si rimarginerà mai se non si agisce tempestivamente, e se succede troppo tardi continuerà a sanguinare finché ci sarà sangue da buttare. Facendo così stava soltanto perdendo tempo.
Coraggio, tesoro. Una volta eri brava a scrivere. Ti dicevano sempre che eri portata.
Stringendosi di più nel suo pigiama, buttò giù le prime parole.

“Nei miei sogni tormentati,
vedo quella città.

Silent Hill.”

Si accigliò. Non era così che aveva intenzione di cominciare quella lettera: le sapeva di troppo… troppo scontato, ecco.
D’altronde, aveva imparato negli ultimi tempi che i suoi pensieri tendevano ad avverarsi in maniera repentina, a dispetto di quanto li nascondesse, quindi doveva averlo pensato, in qualche modo.
Pazienza. Era piena di fogli, se proprio non la convinceva.
Scrollò le spalle.

“Avevi promesso che un giorno
mi ci avresti riportato.

Ma non l’hai mai fatto.”

Per colpa sua, ovvio. Non era una stupida. Sapeva benissimo che non si poteva muovere da quel maledetto letto, figurarsi poter viaggiare fino a una località di villeggiatura!
Ancora non capiva dove sarebbe andata a parare. Mordicchiò il cappuccio, pensando a come continuare.
Beh, tanto valeva fare due più due, a quel punto.

“Ora sono sola qui...
Nel nosto ‘posto speciale’”

Si guardò intorno: ormai non c’era più nulla di speciale in quel posto. Il senso dell’ironia non le era mai mancato.

“Ti aspetto...”

Sospirò rumorosamente; se ci fosse stato qualcuno nelle vicinanze, forse si sarebbe avvicinato preoccupato chiedendole come stava. Ma per fortuna era sola. Completamente sola.
Però la lettera non le piaceva granché fino a quel momento.
Si chiese come poteva recuperare quella vaga nota di patetismo che trapelava dalle righe.

“Aspetto che tu
venga per vedermi.

Ma non lo fai mai.”

Forse perché l’ultima volta sono stata io a cacciarti, pensò lei.
Lo sapeva che James non poteva sopportare di vederla in quelle condizioni: doveva essere duro per lui immaginare il suo corpo ormai macilento e in decomposizione, quando aveva passato tanto tempo a lodarlo in passato, quando ancora era profumato e sensuale.
Come doveva essere amare un cadavere?

“E allora io aspetto, intrappolata nel mio
bozzolo di dolore e solitudine.”

Un bozzolo che ho contribuito a crearmi.
Ricacciò indietro le lacrime tirando su con il naso, mentre guardava all’esterno e l’occhio le ricadeva sul disegno che aveva ricevuto in regalo un mese prima: ah sì, doveva anche lasciare qualcosa alla sua amica Laura. Quella bambina si era talmente affezionata a lei, che si sarebbe sentita perduta senza più la sua amica al fianco.
Si ripromise di scrivere qualcos’altro.

“So che sono stata una cosa
terribile per te. Qualcosa per cui tu
non potrai mai perdonarmi.

Vorrei poter cambiare tutto questo,
ma non posso.”

Sarebbe stato meglio lasciarlo solo, in effetti. Senza dover far tornare a galla vecchi rimorsi e dolori…
Si zittì da sola.

“Mi sento così patetica e brutta
sdraiata qui, ad aspettarti...”

Alzò nuovamente gli occhi verso il soffitto: l’intonaco stava cedendo.

“Ogni giorno sto a fissare le crepe
nel soffitto e tutto ciò che penso
è quanto ingiusto sia tutto questo...”

Basta tergiversare. Adesso era venuto il momento di arrivare al punto. Coraggio Mary, tira fuori un po’ di coraggio.

“Oggi è venuto il dottore.
Mi ha detto che potrei andare
a casa per qualche tempo.

Non è che mi sento meglio.
E' solo che questa potrebbe essere
la mia ultima occasione...

Credo tu sappia cosa voglio dire...

Anche così, sono felice di
tornare a casa. Mi sei mancato terribilmente.”

Si accorse in quel momento che una lacrima aveva imbrattato il foglio in un angolo; quando portò una mano alle sue guance, si rese conto che erano rigate di lacrime. Si pulì appena, facendone finire qualcuna sulle labbra e sentendone il sapore salmastro, imponendosi autocontrollo.
Autocontrollo, Mary.
Hai fatto tanti progressi in questi ultimi tempi, che non vale la pena cedere per così poco.

“Ma mi dispiace James.
Mi dispiace che tu non voglia
davvero che io torni a casa.

Ogni volta che vieni a vedermi,
posso dire quanto sia difficile questo per te...”

Riusciva sempre a scorgere nei suoi occhi il rimpianto di tanti anni che avrebbero potuto passare insieme. Tutte le volte che sarebbero potuti stare sotto le coperte, dopo aver fatto l’amore durante la notte. I figli che avrebbero potuto avere insieme. Il tempo che avrebbero potuto passare da soli, a perdersi l’uno nei pensieri dell’altro, a isolarsi da tutto quel mondo impazzito che sembrava dettato da regole fin troppo bislacche per essere comprese.

“Non so se tu
mi odi o mi compatisci...
O forse ti disgusto soltanto...”

Forse tutte insieme.

“Mi dispiace per questo.”

Davvero. Credimi quando dico che ti amo, James. Su questo non mento.

“Quando ho saputo per la prima volta
che sarei morta, non volevo
proprio accettarlo.

Ero così arrabbiata per tutto il tempo e
mi sfogavo con chiunque io amassi molto.
Specialmente te, James.

Ecco perché capisco
se tu mi odi.”

Ormai le lacrime che le sgorgavano dagli occhi erano fin troppo copiose da fermare.
E comunque non voleva smettere di scrivere.

“Ma voglio che tu
sappia questo, James.

Io ti amerò sempre.”

Il vetro della finestra le rimandò un pallido riflesso del suo volto piangente, colpito dai raggi del sole che entravano dall’esterno e si rifrangevano per le pareti della stanza.
C’era il sole anche il giorno in cui si erano conosciuti, ricorda improvvisamente: si erano incontrati una domenica assolata, in un parco pieno di gente, nella città in cui entrambi avevano vissuto per anni prima di incontrarsi. Una curiosa coincidenza che sembrava essere un ritornello ricorrente nella sua vita.
Tutte coincidenze. Più simili a una mano di gioco nel pocker.

“Anche se la nostra vita insieme dovrà
finire così, non la cambierei per nulla
al mondo. Abbiamo passato degli
splendidi anni insieme.”

Chissà se anche lui ricordava la volta in cui avevano riso fino all’alba, bloccati con una barca in mezzo al lago di Toluca perché avevano perso un remo, ed erano riusciti a tornare a riva solo il giorno dopo grazie al riflusso dell’acqua e al faro dell’hotel.

“Questa lettera sta diventando
troppo lunga, quindi ti saluto.

Ho detto all'infermiera di dartela
dopo che me ne sarò andata.

Questo significa che mentre la leggi,
io sono già morta.”

Non poteva essere più secca di così nel ricordarsi da sola che non stava guardando un album fotografico, ma il suo stesso testamento spirituale. Poteva già immaginare suo marito mentre la apriva e la leggeva, e le sue espressioni che mutavano a ogni singola parola.
Cercò di smorzare un po’ i toni.

“Non posso dirti di ricordarmi,
ma non posso sopportare che tu
possa dimenticarmi.”

Una volta sua madre le aveva parlato dell’amicizia: le aveva detto che morire senza un amico a farti da testimone voleva dire morire senza che nessuno avesse sentito il tonfo che avresti fatto cadendo a terra.
Allora aveva dieci anni, e probabilmente sua madre non aveva avuto idea che sarebbe finita così.
Però adesso capiva quella frase, visto che ci era finita dentro.

“Questi ultimi anni da quando mi
sono ammalata... mi dispiace tanto per
quello che ti ho fatto, che ho fatto a noi...

Mi hai dato così tanto e
non sono stata capace di restituire
neanche una cosa.

Ecco perché voglio che tu viva
per te stesso ora.
Fai ciò che è meglio per te, James.”

Posò la matita. La mano le tremava per lo sforzo, e si sentiva davvero stanca, come se qualcuno l’avesse svuotata con un cucchiaino alla maniera di un melone: forse sotto il letto avrebbe trovato tutto quello che aveva riversato fuori in quegli ultimi venti minuti. Si chiese che forma dovessero avere.
Non si sentiva neanche le forze sufficienti per piangere in maniera migliore. Tutto quello che voleva fare era sdraiarsi e chiudere gli occhi, dentro cui stavano vorticando fin troppe immagini passate.

“James...

Mi hai reso felice.”

Le sembrò quasi di vedere suo marito accanto a lei, mentre le teneva la mano e la guardava come un uomo che sta per perdere tutto quello per cui ha vissuto fino a quel momento.
All’esterno, si era alzata la nebbia.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Silent Hill / Vai alla pagina dell'autore: Teiresias