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Autore: alivinghope    09/12/2013    3 recensioni
“Mi piace il Natale, è il periodo dell’anno che preferisco. Quand’ero appena maggiorenne, ricordo di aver desiderato una cosa molto precisa, che mai avrei pensato di avere sul serio. Però, da quando sono qui, è successa tutte le sere.”
Sherlock gli lanciò un’occhiata interrogativa, anche se già sapeva che il suo compagno si stava lasciando andare al sentimentalismo più melenso. Eppure, non lo fermò.
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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Oh, the weather outside is frightful,
But the fire is so delightful,
And since we’ve no place to go,

Let it snow, let it snow, let it snow.

Frank Sinatra, Let It Snow.




A Sherlock piaceva passeggiare sotto la neve nell’esatto momento in cui la luce del giorno tendeva verso quel colore rossiccio che avrebbe presto lasciato il via alle tenebre. I leggeri fiocchi di neve gli s’impigliavano ai ricci e lì rimanevano, fino a sciogliersi. Non capiva perché le persone comuni si munivano di ombrello quando nevicava. Non capiva perché non riuscissero ad apprezzare quel fenomeno atmosferico che, almeno a lui, sapeva donare tenerezza e, paradossalmente, calore. Non erano nient’altro che cristalli di ghiaccio, e questo Sherlock lo sapeva. Eppure, quando camminava sotto quei gentili e soffici fiocchi stellati, non poteva fare a meno di pensare alle carezze che mamma Violet gli donava. Non riusciva a non pensare a quella mano morbida e calda che era solita carezzargli le guance, lasciando lievi scie di calore dietro di sé. Quello era l’unico contatto cui si era lasciato andare, perché Sherlock non era un tipo avvezzo ai sentimenti. Contrariamente, si può dire che non era proprio avvezzo a quella che viene definita umanità  pura e semplice. I brevi contatti, le brevi frasi che quel criptico ragazzo si concedeva, erano dovuti alla presenza della madre, l’unica donna che abbia mai avuto realmente importanza nella sua vita. Alla sua morte Sherlock si era chiuso definitivamente in sé stesso. Odiava il mondo e quel fantomatico Dio che tutti pregavano. Sua madre era l’equilibrio che a lui mancava, e che mancava al resto della famiglia. Era focolare acceso in pieno inverno, la cioccolata calda dopo una giornata stancante, l’abbraccio confortevole in cui Sherlock si perdeva quando ne aveva più bisogno. Casa Holmes si era improvvisamente cristallizzata come quei fiocchi di neve, ed era abitata a sua volta da tre uomini composti per lo più da ossa e ghiaccio. Sherlock, a quindici anni, sapeva che quel calore non sarebbe mai più entrato nella sua vita, ed aveva imparato a conviverci. Era mero spirito d’adattamento, il suo. Quell’anno aveva portato con sé solo freddo e consapevolezze; quell’anno, il Natale non avrebbe avuto alcuna ragione d’esistere. Passò davanti all’ennesima casa addobbata a festa e decorata da una quantità indefinita di lucine colorate, che illuminavano ad intermittenza il suo cammino. No, il Natale aveva perso il suo spirito più profondo. Questo era stato il suo ultimo pensiero prima di varcare il grande cancello in ferro battuto ed imbattersi nell’austerità di casa Holmes, pronto ad ignorare suo padre e suo fratello che, lo sapeva, avrebbero dedotto la sua scia di pensieri solo guardandolo in volto.


Quello era il suo primo Natale da maggiorenne, e John lo passò guardando con occhi trasognati fuori dalla finestra. La neve gli era sempre piaciuta perché creava un’atmosfera quasi fiabesca, non appena la vedeva posarsi sui tetti e sui sempreverdi decorati da mille e più luci differenti. Amava il contrasto tra il calore della casa piena di affetti e sorrisi ed il gelo che imperversava appena fuori la porta. Il Natale era decisamente il momento migliore dell’anno, perché poteva circondarsi di persone a cui voleva bene, scambiarsi i regali e prendersi alcuni momenti con sé stesso, spesso con la sola compagnia del fuoco scoppiettante all’interno del caminetto. John era solito guardare le fiamme alzarsi ed abbassarsi, in movimenti veloci e quasi sinuosi. Le fiamme erano la compagnia che più preferiva, quando si perdeva nei suoi pensieri e desideri più reconditi. Allungava le mani e lasciava che il fuoco si prendesse cura di lui e lo scaldasse fin dentro il cuore.

John era un tipo socievole, ma amava quegli attimi in cui era il silenzio a parlare. Purtroppo per lui, quel silenzio veniva sempre mal interpretato da chiunque lo conoscesse. Perché il silenzio di una persona doveva necessariamente avere a che fare con i sentimenti negativi? Lui non ne aveva, voleva solo qualcuno che potesse apprezzare quel clima e condividerlo con lui, senza il bisogno di riempire i vuoti con parole inutili. Ecco, ecco cosa cercava John. Cercava alchimia, cercava qualcuno con cui condividere quei bellissimi momenti colmi di calore.
Un pensiero andò ad i suoi genitori che riusciva a vedere con la coda dell’occhio. Erano abbracciati e sorridevano, felici. John si chiese se da qualche parte nel mondo, esistesse qualcuno che fosse in grado di completarlo. Guardò i suoi genitori e si scoprì ammirato verso quell’amore che si era fatto strada in mezzo a loro e che mai li aveva lasciati nel corso degli anni. Si domandò se quel tipo di legame esistesse per chiunque ma, soprattutto, se lui stesso era destinato ad esserne vittima.


~*~



Il salotto del 221B era caldo e accogliente. Sherlock sospirò di sollievo quando vi entrò, togliendosi con lentezza disarmante la sciarpa di cashmere blu notte. Gli tornò in mente la sua infanzia ed il suo cammino fino a quel momento e si ritrovò a sospirare sorpreso quando, improvvisamente, si accorse delle luci rosse e oro che ornavano ogni angolo del piccolo salotto. Alcune erano state messe sull’ampia finestra che dava sulla strada e ricadevano come pioggia dorata che si rifletteva sul vetro; altre, erano state poggiate sulla mensola fredda in marmo del camino e giravano attorno allo scheletro che veniva illuminato ad intermittenza dalle stesse, creando disegni curiosi su quell’ammasso di calcio. Gli occhi cristallini del consulente investigativo vagavano da una parte all’altra della stanza, trovandosi quasi fuori luogo. C’era troppo calore, c’era una sensazione di appartenenza troppo evidente in quell’appartamento. Un’appartenenza che lì per lì gli parve strana, poiché non era per nulla abituato a tutta quella luce. Un piccolo fuoco ardeva, scoppiettante, nel camino e bastava a rischiarare l’ambiente.
“John?”, chiamò il consulente, liberandosi anche del lungo cappotto nero e dei guanti in pelle. Doveva essere uscito, pensò. Lasciò che due bottoni della sua camicia viola si liberarono dalle rispettive asole e che scoprissero il collo niveo. Ignorò le due poltrone poste l’una di fronte all’altra e si sedette sul tappeto bordeaux della signora Hudson. Guardò ammaliato le fiamme e si chiese più e più volte cosa aveva fatto per meritare tutto quello. Una casa accogliente. Un calore inestinguibile. Un compagno tanto fedele quanto buono. Cosa aveva fatto il grande Sherlock Holmes per meritare tutto ciò che di bello la vita riserva alle persone comuni? Aveva lasciato la famiglia, aveva abbandonato gli studi e si era rinchiuso in un lavoro che di fatto non esisteva. Aveva messo in moto tutti gli ingranaggi del suo cervello strabiliante, bloccando per sempre le emozioni con una spessa e fredda lastra di ghiaccio. Cos’era successo? L’unica risposta a quella domanda corrispondeva ad un nome: John.
John era casa. John era l’unica persona a cui il consulente aveva dichiarato silenziosamente tutti i suoi timori, l’affetto, la simpatia, il rispetto. Gli aveva aperto le porte del Palazzo Mentale e gli aveva donato le chiavi perché sapeva, ne era certo, che le avrebbe custodite con cura come si fa con il più prezioso dei tesori. D’altronde, era questo che le persone comuni facevano, no? Erano soliti consegnare al proprio partner le chiavi del proprio cuore – ma che sciocchezza! – e così, lui, ammettendo di non averne uno, gli diede le chiavi della sua mente. Legame più intimo non poteva esistere per uno come Sherlock Holmes.

Si scosse dai suoi pensieri quando una mano familiare intrecciò le dita ai suoi ricci. Sbatté le palpebre e, voltandosi, trovò un John al settimo cielo. Sorridere gli venne spontaneo.
“Sherlock”, lo salutò il compagno. Chiuse gli occhi, perché gli piaceva come il suo nome così particolare suonasse bene se pronunciato da quella voce. Annuì e aprì nuovamente gli occhi: davanti a lui c’era sì John, ma quest’ultimo aveva una grossa scatola in mano. Non aveva fatto male a comprargli un regalo, allora. Sicuramente in confronto a quello che aveva comprato John, il suo era una sciocchezza, ma per lo meno non era a mani vuote. Che sia benedetta la signora Hudson.
John si spogliò del cappotto e si sedette accanto a lui, alla sua sinistra. Poi, iniziò a parlare.
“Mi piace il Natale, è il periodo dell’anno che preferisco. Quand’ero appena maggiorenne, ricordo di aver desiderato una cosa molto precisa, che mai avrei pensato di avere sul serio. Però, da quando sono qui, è successa tutte le sere.”
Sherlock gli lanciò un’occhiata interrogativa, anche se già sapeva che il suo compagno si stava lasciando andare al sentimentalismo più melenso. Eppure, non lo fermò.
“Volevo trovare qualcuno che sarebbe stato in grado di sopportare i miei silenzi e, anzi, di parteciparvi. Qualcuno che non avrebbe interpretato male quei miei momenti di calma assoluta. E, inaspettatamente, eccolo che appare con quel suo cappotto nero, quegli zigomi affilati e che si atteggia a fare il figo!”, rise John indicando il compagno alla sua destra. Sherlock si lasciò andare ad una risata liberatoria, perché ricordava il momento in cui gli aveva detto quella frase – i Mastini di Baskerville era forse uno dei casi a cui teneva di più. Il consulente capiva perfettamente ciò che John aveva detto e si ritrovò a concordare con lui, dal momento che i loro silenzi erano così carichi di elettricità tanto da essere diventati indispensabili all’interno di quelle quattro mura.
Il dottore sfiorò delicatamente la mano dell’altro, per poi sorridere nuovamente con occhi e bocca.
“Ti ho preso un pensierino”, gli annunciò con finta noncuranza.
“Chiamalo pensierino, John.”
“Allora, non lo apri? Non provare a dedurre cos’è, Holmes!”
“Altrimenti?”
“Niente sesso per due settimane.”
“Oh mio Dio”, Sherlock si spalmò teatralmente la mano sul viso e John rise rumorosamente.
Il detective gattonò fino a raggiungere quella grande scatola che, poteva intuire, conteneva qualcosa di molto prezioso. Vista da fuori, era una semplice scatola chiusa con del nastro adesivo per pacchi. Evidentemente, John voleva fare di tutto per evitare che il suo compagno deducesse vita, morte e miracoli del suddetto regalo.
Sherlock si alzò e prese il taglierino che teneva sul caminetto ed iniziò a tagliare lo scotch marrone. Gli bastò uno spiraglio per capire cos’era e saltare addosso al buon dottore nell’arco di due secondi.
“John Watson, sei un malato di mente!” urlò, in preda all’eccitazione. John rise e gli accarezzò una guancia, coprendola interamente col palmo.
Il consulente gli scoccò un bacio veloce e tornò davanti alla scatola che nascondeva un microscopio nuovo di zecca, bianco e lucido.
Aveva speso parecchio ma, in cuor suo, sapeva di aver fatto la scelta giusta. L’espressione di Sherlock era impagabile, sembrava davvero un bambino. Si chiese com’erano i Natali di casa Holmes, se mai ci fosse arrivato per davvero il Natale da lui. A volte sembrava che Sherlock non avesse vissuto tutte le tappe tipiche di ogni bambino, ma che fosse stato semplicemente catapultato nel mondo adulto da un momento all’altro. E, forse, era proprio così.
“Non sono bravo in queste cose, ma – per quanto strano possa sembrare – ti ho preso un regalo anch’io”, Sherlock si alzò in piedi e si diresse verso il cappotto nero che aveva abbandonato sul divano. Dalla tasca interna, ne estrasse due pacchetti: uno era ampio e piatto, mentre l’altro era rettangolare e spesso. John lo guardò stupito perché, davvero, tutto si aspettava meno che il suo compagno gli facesse ben due regali. Probabilmente, se gliel’avesse detto qualcuno, gli sarebbe scoppiato a ridere in faccia. Si rimproverò mentalmente, il dottore, per la scarsa fiducia verso il suo Sherlock.
Il consulente gli porse per primo il pacchetto più sottile e gli fece cenno di aprirlo. John prese tra le mani quel regalo rigido e lo scartò, rivelando un Moleskine in pelle nera. Non fece in tempo a proferire parola, che Sherlock gli spiegò il motivo.

“Per i casi. È giusto che tu prenda appunti, ma quel vecchio taccuino marrone è indecente, John. E comunque, il vero regalo è un altro.”

Il dottore guardò incuriosito l’altro pacchetto e lo sfilò dalle dita affusolate del compagno, per poi iniziare a scartarlo silenziosamente. All’interno della carta da regalo rossa, c’era una custodia in pelle nera rettangolare. John la aprì e vi trovò una penna elegante perfettamente adagiata nel centro.
“È una Waterman, una delle penne stilografiche più famose ed eleganti in circolazione. Ho pensato che potesse piacerti, visto che ami scrivere. È un gioiello, nel vero senso della parola.”
Sherlock iniziò a pensare di aver fatto un errore a comprare quei due regali. Non gli piacevano? Non aveva capito il significato? Avrebbe voluto qualcosa di diverso? Iniziò a tormentarsi il labbro inferiore mordendolo nervosamente, fino a far uscire alcune gocce di sangue.
Finalmente, dopo alcuni minuti, John alzò lo sguardo e lo intrecciò al suo.
“È bellissima, Sherlock. Grazie.” Disse, commosso da quelle attenzioni.
Si alzò da terra e lo abbracciò piano, portandogli le braccia al collo, ringraziandolo mille e più volte silenziosamente.


Sherlock Holmes aveva finalmente trovato quel calore inconfondibile di casa, quella familiarità che non aveva provato in nessun’altra circostanza e, soprattutto, con nessun’altro. John era il suo fuoco personale che gli ardeva dentro e lo scaldava. Alla fine, aveva capito di avere un cuore e quel cuore era proprio il suo compagno.

John Watson aveva finalmente trovato qualcuno con cui condividere un silenzio complice carico d’affetto, di fronte ad un fuoco scoppiettante. Alla fine, era riuscito a legarsi all’unico uomo a cui era mai appartenuto sul serio. Sherlock gli faceva scorrere  l’adrenalina nel sangue; stare con lui non implicava mai una via di mezzo: o tutto, o niente. E John aveva deciso di prendere tutto.

Mentre quei due corpi, avvinghiati a formarne uno, si dedicavano le dovute attenzioni, Baker Street veniva invasa da soffici fiocchi. La neve scendeva silenziosa, attecchendo sui tetti e sulle strade, come a voler essere testimone di quell’intimità che, lo sapeva, sarebbe durati decenni.







NdA:
Hi people! :3
Questa è una piccola schifezza senza pretese, scritta in poche ore dopo aver fatto l'albero di Natale. Non so, volevo immaginare i nostri due beneamini durante le festività al 221B - e riempirli di fluff, ovviamente. So che è un po' presto, ma è venuta fuori così, senza preavviso e ho deciso di pubblicarla di getto.
Mi scuso se i personaggi risultano un po' OOC, ho fatto del mio meglio ;__;

Spero di riuscire a riprendermi dopo il trailer interattivo anche se ho dei seri dubbi sulla mia sanità mentale. Ma sono convinta che scrivendolo qui, avrò l'appoggio di chiunque si imbatta in questo piccolo aborto :D
Bye, cupcakes!

 
  
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