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Autore: Euachkatzl    12/12/2013    1 recensioni
“Di niente” risposi io, sfoderando il mio più grande sorriso, anche se in realtà avrei voluto sbattere la testa contro quel cazzo di tavolo verde. Chi è che va a rispondere ‘Di niente’ alla più figa della scuola?
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Slash, Steven Adler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una volta ho studiato di un poeta italiano che diceva che qualsiasi cosa tu faccia non riuscirai mai a migliorare la tua condizione sociale. Probabilmente aveva studiato al mio liceo, vista la piramide gerarchica che si organizzava ogni anno a inizio scuola. C’era una ragazza bellissima. Cazzo, se era bellissima. Era la classica moretta con gli occhi castani, che sarebbe passata inosservata agli occhi di tutti se non fosse stato per la sua parlantina e il suo sorriso contagioso. E così, parlando e sorridendo, era diventata la più figa della scuola, quella a cui sbavano dietro tutti, dai giocatori della squadra di basket ai poveri capelloni senza speranza. E io, duole dirlo, ero uno di quei capelloni senza speranza. La mia zazzera bionda e la mia pancetta, uniti a quello scarso metro e settanta che non si decideva ad aumentare, non lasciavano dubbi sulla classe sociale che mi ero ritagliato. Non che fossi uno sfigato senza uno straccio di amico, ci mancherebbe. Sotto di noi capelloni senza speranza c’erano i secchioni, le matricole e… e basta, direi. Vabbè, ma c’era qualcuno. Nel senso, non ero all’ultimo gradino di quella strana piramide gerarchica.
Vabbè, insomma, c’era questa gran gnocca. Ero pazzo di lei. Ero fuori di testa per lei. E a migliorare, o peggiorare le cose, c’era il fatto che abitassimo vicini. Quindi ogni mattina, ogni pomeriggio, ogni volta che doveva andare in centro prendeva il mio stesso autobus. E io passavo quei minuti di corriera a fissarla, facendo finta di studiare dietro l’enorme libro di storia, che nonostante la grandezza non riusciva comunque a nascondere i miei riccioli sparati in tutte le direzioni. Lei si sedeva ogni volta nello stesso posto. In fondo al centro. Come fanno tutte le più fighe della scuola, dopotutto. Stava lì a parlare con la sua migliore amica, che per essere schietti mi stava pure in culo, sgihgnazzando tutto il tempo. Un paio di volte scoprii che mi indicavano, probabilmente non ero così insgammabile per quanto riguarda lo spiare la gente. Passai tutto il primo e il secondo anno di liceo così, a fissare una ragazza da dietro il libro di storia. O di inglese, dipendeva dai giorni, ovvio.
 
Poi, al terzo anno, arrivò nella mia classe un tizio da Londra. Un negro che, in fatto di capelli, quasi quasi mi superava. E’ che i miei erano più incasinati, quindi ebbi la meglio almeno in quello. Questo negro venne subito relegato nella classe sociale dei capelloni senza speranza, per la sua zazzera e perché, a causa della sua poca voglia di studiare, non poteva essere messo tra i secchioni. Il problema è che quella casta gli stava un po’ stretta. Ce ne accorgemmo tutti dopo che si limonò quella moretta a cui sbavavo dietro da secoli. Non fu cosa semplice accettare l’idea che quel tizio, al quale mi ero pure un po’ affezionato, fosse riuscito a farsi la ragazza che volevo io. Sia perché era riuscito a entrare nelle sue grazie in appena un paio di settimane, sia perché… perché ero io quello che doveva limonarsela davanti a tutti scatenando lacrime e seghe mentali nei poveri sfigati che mi avrebbero fissato. Invece io mi ritrovavo dalla parte dello sfigato, in quel caso. La vita fa proprio schifo, a volte.
Non feci scenate o robe simili di fronte a Saul, quel negretto che dal giorno della limonata si era guadagnato un posto tra i più popolari della scuola: la mia fine diplomazia non me lo permetteva. Anche se in realtà, più che di diplomazia, si trattava di timidezza cronica, unita a scarsa autostima e poca abitudine nell’intavolare conversazioni. Queste tre cose, unite insieme, formano un mix micidiale. E indovina un po’, quel mix doveva toccare proprio a me.
“Se continui a guardarla così me la consumi” mi disse un giorno Saul, che stava pranzando con me e i miei amici al tavolo dove sedevamo di solito. Non so perché pranzasse sempre con noi se poteva stare benissimo con quelli diecimila volte più fighi; lui diceva che gli stavano tutti sulle palle. Mi sembrava una cosa inconcepibile. Ne avessi avuto l’opportunità io, sarei andato con loro anche a costo di sorridere e stare zitto per tutto il tempo.
“Cosa?” feci finta di niente io.
“Ma dai, si vede che le sbavi dietro” continuò lui, ignorando completamente la mia finta faccia sorpresa “Se ti piace tanto valle a parlare”
Mi misi a fissare la mezza bistecca rimansta sul mio piatto, giocherellando con la forchetta.
“Dai, chiamala e falla venire qui” mi incoraggiò Saul, ma io rimasi con gli occhi piantati su quel pezzo di carne che, in quel momento, mi sembrava l’unica ancora di salvezza che avevo. Tutti i miei amici mi fissavano, alcuni con una faccia compassionevole, altri divertiti. L’unico che non capiva era proprio quel caro negretto che voleva pure darmi una mano. Una mano che io non avrei afferrato per nulla al mondo.
“Io… io non so come si chiama” mugugnai piano, sperando che nessuno sentisse. E invece, giusto per dimostrare la veridicità della legge di Murphy, sentirono tutti. Pure l’amica della moretta, che si era avvicinata a Saul nel frattempo.
“Cioè la spii di nascosto da tre anni e non sai neanche il suo nome?” rise lei, con la sua vocetta irritante, passando un braccio attorno alle spalle di Saul
“Se è per questo, tu mi vieni dietro da quando sono arrivato qui e non ti sei ancora accorta che non mi interessi” commentò lui, masticando tranquillo. La tipetta diventò rossa dalla testa ai piedi, aprii la bocca per tentare una rispostaccia, ma non le venne niente. Quindi, ammettendo la sconfitta, se ne tornò a testa bassa verso le sue amiche, che la sfottevano di gusto. Come fanno tutte le grandi amiche, insomma.
“La Ross. Spero abbia capito una volta per tutte” concluse Saul, guardandola sedersi e abbracciare sconsolata la moretta della quale ancora non sapevo ancora il nome.
“Comunque si chiama Ele” mi lesse nel pensiero il negretto. Poi si alzò e se ne andò, non prima di aver urlato: “Ele, vieni un attimo qui, c’è Steve che ti vuole parlare”
Con grande orrore, vidi Ele abbandonare la Ross alla sua disperazione, alzarsi e venire verso il mio tavolo. E con altrettanto orrore, vidi i miei amici alzarsi ordinatamente ad uno ad uno e andarsene, per lasciarmi solo con lei. Che grande genialata, gli amici, eh?
“Grazie, mi hai salvata” mi sussurrò lei sedendosi proprio di fronte a me e sporgendosi sul tavolo per non far sentire a nessuno quello che mi stava dicendo “Quella lì è una palla assurda”
“Di niente” risposi io, sfoderando il mio più grande sorriso, anche se in realtà avrei voluto sbattere la testa contro quel cazzo di tavolo verde. Chi è che va a rispondere ‘Di niente’ alla più figa della scuola?
Lei sorrise dolce e, vedendo che sul mio viso restava stampato quel sorriso stupido, decise di iniziare la conversazione.
“Volevi dirmi qualcosa?”
Riflettei il più velocemente possibile per trovare una risposta figa a quella domanda. Cosa avrebbe risposto Saul? Bo, se la sarebbe limonata, probabilmente. Ma non è che io potessi inventarmi e baciarla così, davanti a tutti. Mi vennero in mente un paio di frasi da dirle, ma erano troppo stupide. Mi montò il panico e mi rispuntò quel sorriso da deficiente in faccia.
“Eh… no niente, volevo chiederti.. cosa fai oggi pomeriggio?”
“Non so, credo che mi tocca studiare… perché?”
Ma come faceva lei ad avere la risposta subito pronta? Ricominciai a far vorticare in testa delle possibili risposte, e alla fine mi uscì un: “Niente, era per sapere”
“Ah. D’accordo” rispose lei, un po’ stranita da quella conversazione “Vabbè, adesso devo andare…”
La guardai sparire in mezzo alla gente che si affollava all’uscita della mensa. La guardai finchè non la vidi più, poi mi decisi a riprendere a respirare.
“Allora?” mi urlò Saul appena misi piede in classe. Gli rivolsi un’occhiata tra lo sconsolato e l’acido e mi sedetti al mio posto, affondando il viso tra le braccia.
“Che c’è, non è andata bene?”
“Mannò scherzi, è andata benissimo. Tu mi abbandoni con quella che mi piace da tre anni e mi chiedi com’è andata? Cosa vuoi che ti risponda? Ci sposeremo in primavera e avremo tre figli che a diciotto anni se ne andranno di casa per inseguire i propri sogni e quindi io e lei ce ne andremo a vivere su un’isola tropicale finchè non moriremo e le nostre ceneri vagheranno per i cieli per l’eternità”
Solo in quel momento mi accorsi che stavo urlando. Tutti, dalla prof cicciona di inglese al secchione della prima fila, mi fissavano. Saul aveva gli occhi sgranati, sorpreso da quella rispostaccia.
“Prof posso andare? Non sto bene” borbottai. Afferrai lo zaino e uscii dalla classe in fretta, mentre la signora tentava di fermarmi ricordandomi che mi serviva un permesso del genitore.
Camminai a testa bassa fino alla fermata del bus, che arrivò pure in anticipo. Salii e mi lanciai di malavoglia su un sedile sul quale arrivava una corrente d’aria che avrebbe potuto togliermi i capelli dalla testa da un momento all’altro. Non che me ne importasse così tanto, in quel momento. L’unica cosa che volevo era il mio letto. O, meglio ancora, una pala. Per scavarmi la fossa.
L’autobus inchiodò di colpo e aprii le porte, lasciando entrare una brunetta che tentava di scusarsi tra le lamentele dell’autista. E non una brunetta a caso.
“Vabbè, non era la fermata, ma io ti pago, quindi portami a casa” gli rispose a tono, lasciandogli i due dollari del biglietto e prendendo posto sul sedile proprio di fronte a me. Mi partì un batticuore da record. Presi dei grandi respiri e tentai di riprendere un battito normale. Andavo a fuoco. Cominciai a pregare che Ele non mi avesse notato e che, soprattutto, non si girasse a parlarmi.
“Certo che sono dei rompicoglioni, sti autisti” disse invece, girandosi e guardandomi, tentando di ignorare lo stato pietoso in cui versavo. “Vieni qua, così almeno non mi faccio venire il torcicollo. C’è una corrente d’aria schifosa” mi sorrise, battendo la mano sul sedile di fianco al suo.
Piano, molto piano, mi alzai, togliendomi la felpa. Avrei voluto togliermi anche la maglietta, i pantaloni e tutto il resto, visti i diecimila gradi che ormai avevo raggiunto.
“Come mai tutta sola?” improvvisai una conversazione, rimanendo piacevolmente colpito dal fatto di non aver detto una cazzata, una volta tanto.
“La Ross continuava a rompere, non ne potevo più. Ho fatto finta di star male e sono andata via”
“Ah…” lasciai morire la discussione, non sapendo già più cosa dire.
“No, seriamente, Saul sarà anche bello e tutto il resto, ma lei si deve rassegnare. Cioè, se non la vuole non la vuole. E’ inutile insistere. Non è che un giorno lui si sveglia e dice ‘Oggi mi piace la Ross’”
“Sì, Saul non è tipo da queste cose…” commentai debolmente. Ele non sentì e continuò imperterrita.
“Sì, anche perché Saul è un figo, ti pare che va con una del genere? Cioè, si è capito che lui vuole me. E che io voglio lui. E’ che c’è qualcosa che mi sembra strano… Del tipo, secondo te lui non me l’avrebbe già detto, che gli piaccio? Vabbè, ci siamo fatti, ma credo ci voglia proprio una discussione a parole. Sì, è ovvio, perché Saul se la tira tanto, ma secondo me sotto sotto è dolce… Steve, posso chiederti una cosa?”
Investito da quella marea di parole, sentire il mio nome provenire dalle sue labbra ebbe un piacevole effetto rinvigorente.
“Dimmi” dissi con una vocetta acuta a cui non badai. Mi stavano già partendo una serie di seghe mentali sulla nostra prima volta.
“Non è che potresti chiedere a Saul se gli piaccio?” mi chiese lei, per la prima volta un po’ imbarazzata. Il mio sorriso ebete si spense una volta per tutte e, con aria mogia, risposi che avrei fatto quello che mi chiedeva. Aggiunsi anche che ero arrivato, nonostante mancasse quasi un chilometro a casa mia.
Appena sceso dal bus, guardai tristemente Ele dal finestrino. Il suo profilo morbido e i suoi capelli corti. Sentii un groppo alla gola.
Il giorno dopo, entrai in classe che ero uno straccio. Saul non c’era, e questo mi diede la possibilità di riflettere fino a mezzogiorno sul fatto di domandargli davvero quello che mi aveva chiesto Ele o no. Alla fine glielo domandai alle quattro del pomeriggio, sicuramente a causa della canna che mi aveva offerto che mi aveva sciolto la ligua.
“Ma sei scemo?” rispose, abbandonato su una panchina del parco con un’aria serena e pacifica. Mi sedetti di fianco a lui e chiusi gli occhi, ricevendo come sveglia un pugno sul braccio.
“Non chiudere gli occhi, che sennò dopo parti e mi lasci qua da solo”
Con una fatica inimmaginabile, costrinsi le mie palpebre a restare aperte, almeno fino a quando Saul avrebbe finito il suo monologo.
“No, comunque non mi piace. Me la sono fatta perché è gnocca, perché è popolare e tutto il resto, ma lei vorrebbe una storia seria, è una di quelle che sognano un bel marito e una casa in campagna… sinceramente, se non fosse per le sue tette, sarebbe una sfigata senza speranza”
“Capisco…” commentai piano, gettando a terra il mozzicone della canna e buttando la testa all’indietro “E quindi cosa le devo dire?”
“Bo, niente, magari che sogni di scopartela tutte le notti”
“Non credo la prenderebbe così bene…”
“Invitala al ballo di fine anno”
Mi andò di traverso la saliva e cominciai a tossire. Gli occhi si riempirono di lacrime e la mia pelle assunse un colorito violaceo. Saul mi diede un paio di pacche sulle spalle ma, visto il rincoglionimento in cui versava, più che due pacche furono due carezze.
“Ma sei scemo? A momenti mi fai morire con le tue idee del cazzo”
“Maddai, fallo e basta. Adesso andiamo da lei e glielo chiedi” mugugnò lui, alzandosi e partendo verso la casa di Ele. Che, tra parentesi, non sapeva neanche dove fosse.
”Ehi, ciao bella” ammiccò, per poi abbracciare la fonte di ispirazione delle sue fantasie. Che in quel momento era un albero.
“Andiamo a casa mia, che è meglio” conclusi io, prendendo Saul a braccetto e svoltando a destra all’uscita dal parco.
Mi buttai sul letto e Saul, per dimostrarmi tutta la sua riconoscenza per averlo accolto in casa mia, si buttò sopra di me.
“Togliti” urlai cominciando a dimenarmi. Continuai a scalciare finchè non riuscii a buttarlo sul pavimento.
“Bastava chiedere dolcemente” si lamentò lui, rialzandosi e andando alla finestra. “Ehi Ele, vieni su che Steve deve dirti una cosa”
Mi alzai, ovviamente non prima di aver insultato Saul per la sua coglionaggine e per aver fatto finta di aver trovato Ele guarda caso proprio sotto la mia finestra. Mi affacciai pure io e guardai verso il basso, trovando la moretta che mi fissava con gli occhi spalancati.
“Non è che puoi dirmela da qua? Sono di fretta”
“Vuoi venire al ballo con me?” le gridai, mentre dei pallini verdi cominciavano a spuntare nel cielo.
“Eh, mi dispiace, ma ci vado con qualcun altro” rispose lei mogia, guardando Saul con occhi speranzosi, che lui però non notò.
“Io non ci voglio venire con te, vai con Steve” fu la sua dolce proposta, che lasciò Ele un po’ basita.
“D’accordo Steve, allora sabato prossimo alle sette di fronte alla scuola” urlò di rimando lei, con un tono che non ammetteva repliche. Quel due di picche l’aveva un po’ fatta alterare.
Fu una settimana lunga, lunghissima, infinita, composta da schizzi isterici, crisi d’ansia, iperventilazione continua, Saul che mi insegnava ad essere figo, conversazioni di fronte allo specchio. Fu una settimana durante la quale Ele non si avvicinò a me nemmeno una volta. Non mi rivolse nemmeno una parola. Probabilmente perché praticamente ero un’appendice di Saul, che lei guardava male ogni volta che era a meno di tre metri di distanza. Alla fine, arrivò sabato. Ovviamente, anche quel pomeriggio Saul era a casa mia a darmi gli ultimi consigli.
“Non tirare su col naso. Non mangiare come un morto di fame. Anzi, non mangiare e basta. Bevi. Falla bere. Fattela. Dille cose dolci. Non far finta di essere un bravo ragazzo. Non farti vedere troppo solo perchè sei con lei. Sta attento a non macchiarti lo smoking. Non ballare troppo che dopo sudi e puzzi”
Ripassando mentalmente tutte le istruzioni che mi erano appena state date, avanzai incerto verso la fermata del bus, che per fortuna stava arrivando proprio in quel momento. Salii e porsi i due dollari all’autista, che mi guardò un po’ male, probabilmente perché un diciassettenne con dei riccioli d’oro sparati ovunque con uno smoking addosso è una cosa un po’ assurda da vedere. Mi sedetti sul sedile, duro come un baccalà. Guardai un po’ in giro, di Ele non c’era traccia. Per fortuna. Non avrei sopportato l’idea di trovarla pure nello stesso autobus. Sentii picchiettare contro il vetro e girai la testa spaventato. Saul stava cercando i attirare la mia attenzione. Abbassai il finestrino e gli rivolsi un ultimo sguardo disperato.
“Perché non vieni?” gli chiesi con un tono da cane abbandonato.
“Perché non ho voglia. Piuttosto, volevo dirti una cosa. Può essere che Ele..”
Non sentii le ultime parole perché l’autista decise proprio in quel momento di partire, lasciandomi con un palmo di muso, la mia solita faccia da deficiente e un dubbio assurdo in testa. Che cos’era possibile che facesse Ele?
Scesi due fermate prima della scuola, giusto per essere sicuro che nessuno mi vedesse arrivare in autobus. Non volevo far sfigurare Ele di fronte a tutti, facendo vedere che usciva con uno appartenente alla classe sociale dei capelloni senza speranza. Erano le sette meno un quarto. Non mi sembrava di vedere nessuno. O meglio, non mi sembrava di vedere nessuno che mi interessava, perché di persone ce n’erano, eccome se ce n’erano: le ragazze con i vestiti lunghi e i fiori legati al polso, i ragazzi in smoking che le accompagnavano tenendole a braccetto, quelli più grandi che per farsi fighi arrivavano in auto.
“Buonasera…” mi salutò una vocetta angelica alle mie spalle. Sentii suonare le campane del paradiso e, quando mi voltai e vidi Ele, alle campane si unirono anche cori gospel e una batteria. Era stupenda, con i suoi capelli corti e un abito blu scuro che metteva in risalto le sue carte migliori. E ne aveva parecchie, di carte.
“Ciao” balbettai con una voce stridula della quale mi pentii subito “Entriamo?”
Senza rispondermi, lei mi prese per mano e ci avviammo verso la palestra. Elettricità su elettricità vagava per il mio corpo a causa della sua mano che stringeva la mia con determinazione. La mia temperatura stava tornando ad essere intorno ai diecimila gradi, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine: era così ogni volta che mi guardava, ogni volta che pensavo a lei.
Appena entrati in palestra, tutti si voltarono a guardarci. O meglio, all’inizio guardarono Ele. Poi si accorsero del tappo che la accompagnava. Quindi tornarono a guardare Ele, che era decisamente uno spettacolo più bello del sottoscritto.
“Amore!” urlò la Ross, che si fece strada attraverso un gruppo di ragazzi che erano accorsi in massa a salutare Ele. Non mi cagò neanche di striscio, stampò due baci sulla guancia alla sua ‘migliore amica’ e la squadrò dalla testa ai piedi.
“Ma stai d’incanto” le disse, tradendo un’invidia che avrebbe potuto uccidere.
“Grazie” commentò Ele, sorridendo al vestito blu della Ross, che guarda caso era uguale al suo.
“E’ vero, quel vestito sta meglio a te che a lei” risposi rivolto verso Ele. Solo dopo mi accorsi di aver detto una cosa che avrei fatto meglio a tenere per me. O che avrei dovuto dire almeno a bassa voce. Qualche ragazzo rise, a qualcuno partì un ‘uuuh’ terrorizzato, come a preannunciare la tempesta. Senza neanche vederlo, sentii sulla mia guancia uno schiaffo non molto aggraziato da parte della Ross, che sparì tra la folla prima che potessi rendermi conto di essere appena stato schiaffeggiato davanti a mezza scuola.
“Vieni, andiamo” mi urlò Ele al di sopra della musica, prendendomi di nuovo per mano e trascinandomi fuori. Erano passati dieci minuti e avevo già fatto una figura di merda colossale, mettendo in imbarazzo pure la ragazza dei miei sogni, che per qualche motivo a me oscuro aveva accettato di venire al ballo con me.
Uscimmo in giardino e ci sedemmo su una panchina, mentre mi massaggiavo la guancia, che formicolava un po’. Chi è quell’idiota che ha detto che le donne sono il sesso debole?
“Come stai?” mi chiese lei.
“Bene. Non era niente” mentii, anche se volevo sotterrarmi seduta stante, magari pure sotto quella panchina verde. Lei sorrise dolce e abbassò gli occhi.
“Saul… non c’è?”
“No, ha detto che non aveva voglia di venire” risposi innocente.
“Non aveva voglia?” Ele tentava di nascondere la sue espressione sconvolta, ma con scarsi risultati.
“Mi ha detto così”
“D’accordo. Capisco. Torniamo dentro, ti va?”
Tornammo in palestra e Ele si dileguò tra gli studenti. All’inizio provai a cercarla, pensando che magari mi avesse perso per sbaglio, ma dopo un po’ mi arresi e mi sedetti sugli spalti della palestra, a fare tappezzeria come ad ogni festa. Mi sentivo uno schifo. Ele non mi voleva. Non capivo perché avesse accettato il mio invito, se tanto voleva solo Saul. Mi chiesi perché non potevo essere un po’ come lui. Non del tutto, solo un po’. Perché tutta la figaggine doveva andare ad una persona sola?
Rimasi impalato a pensare con lo sguardo perso nel vuoto per non so quanto tempo, sta di fatto che quando misi a fuoco davanti a me comparve di nuovo lei. Lei e il suo abito blu, mentre rideva con dei ragazzi. Mi alzai e la presi per mano, chiedendole dove fosse finita per tutto quel tempo. Lei mi guardò strano per un po’, poi decise di tirarmi da parte e parlarmi.
“Senti, tu non mi piaci. Ho accettato di venire qua con te perché speravo che ci fosse Saul, perché volevo farlo ingelosire. Ma lui non c’è. E io con te non voglio farmi vedere. Vattene”
E io, da bravo scemo, me ne andai pure. Con la testa bassa, la gola secca e i lacrimoni agli occhi. Camminai fino a casa, una strada di circa 4 chilometri. Entrai in camera e senza aprir bocca mi lasciai andare sul letto, lasciando andare insieme a me anche le lacrime, che inzupparono il lenzuolo blu. Non mi sarei rialzato da quel materasso per nulla al mondo.
E così fu. Passai tre giorni senza uscire dalla mia stanza, senza mangiare, facendo capolino fuori giusto per andare in bagno, autocommiserandomi e piangendomi addosso. Quando poi Saul arrivò. Per portarmi in spiaggia.
“No, non vengo”
“Muovi quel culo e cambiati”
“Ma vacci tu, manca solo che incontriamo Ele”
“Per forza che la incontriamo, l’ho invitata io”
Un fiume di pensieri scivolò veloce nella mia testa. Sì, Ele mi aveva ucciso, mi aveva fatto a pezzi senza neanche conoscermi bene, ma era pur sempre la protagonista delle mie seghe mentali più belle. Nella mia testa, lei era ancora la ragazza dolce e carina che non mi avrebbe fatto male per nulla al mondo.
Arrivammo in spiaggia e ricevetti una fulminata da Ele e un’altra ancora dalla Ross. Le altre ragazze insieme a loro sembravano non avermi riconosciuto, cosa che mi fu di gran sollievo.
“Cosa ci fai tu qui?” chiese la Ross con la sua vocetta odiosa e i suoi modi di fare da vamp.
“E’ venuto a parlare con Ele, e se non ti dispiace tu ti levi dai coglioni” fu la gentile risposta di Saul, che prese la Ross per mano e la trascinò fino a riva. Quando passò di fianco a Ele, sentii che le diceva: “E credo che hai molte cose da dirgli, no?”
Lei arrossì e si avvicinò a me.
“Ciao” salutò timidamente, passandosi una mano tra i capelli “Senti, ho davvero fatto la stronza al ballo, non volevo dirti quelle cose”
“Non c’è problema” risposi io, dimenticandomi in un lampo tutte le lacrime che non si erano ancora asciugate dal cuscino “Non è neanche la prima volta che qualcuno me le dice. E’ capitato pure che le abbia dette io”
A parte che era una risposta idiotissima, era una grande bugia. Io avevo voluto sempre e solo lei, lei, lei, lei.
“D’accordo allora, volevo essere sicura di non averti ucciso” rise “Amici come prima?”
Pensai che non eravamo mai stati amici, ma poteva essere un inizio.
“D’accordo” le sorrisi, tendendole la mano. Lei la afferrò e andammo da Saul, che nel vederci mano nella mano mi rivolse un sorriso soddisfatto.
“Ci facciamo il bagno?” propose, ovviamente strappando consensi a tutti.
 
Saul partì a fine giugno per Londra, dove vivevano ancora i suoi nonni. E così fui lasciato solo. All’inizio mi sentii un po’ perso, senza il mio consigliere di fiducia, ma bene o male riuscii a non dire cazzate su cazzate ogni volta che parlavo con Ele. Non ci vedevamo spesso, e ogni volta eravamo in compagnia di amici, ma a me non interessava: io avevo lei vicino, e sinceramente ero felice.
A inizio settembre ricevetti una telefonata dal negretto che mi diceva che sarebbe tornato il giorno stesso. Mi chiese di andarlo a prendere all’aeroporto, diceva che gli mancavo e che l’Inghilterra era una palla assurda.
Decisi di chiedere anche a Ele di venire con me. Lei accettò, facendomi andare in brodo di giuggiole.
“Guarda che siamo solo io e te”
“Vabbè, non c’è problema”
Arrivammo in aeroporto in taxi, un po’ di fretta, e con orrore ci accorgemmo che il volo di Saul doveva essere appena arrivato. Letteralmente corremmo su e giù per l’enorme aeroporto di Los Angeles, scartando turisti e valigie a destra e a sinistra, per poi arrivare finalmente al corridoio giusto. Una massa informe di ricci stava mostrando il suo passaporto ad una hostess piuttosto formosa. Ele mi diede un pizzicotto sul braccio per attirare la mia attenzione.
“Ti ricordi che ti avevo detto che ti avevo invitato al ballo solo per far ingelosire Saul?”
Annuii mestamente, riportando alla mente il tragico inizio di quell’estate, che a mano a mano aveva però preso una piega ben diversa.
“Ecco, volevo dirti che adesso, sinceramente, inviterei Saul per far ingelosire te” rispose e, mentre ero ancora perso a capire il senso compiuto di quella frase, si avvicinò al mio viso e appoggiò le sue labbra sulle mie, lasciandomi senza fiato. Durò un secondo, forse due. I due secondi migliori della mia vita.
Iniziammo con un piccolo bacio, come quello.
 
Ciao Ele,
volevo farti tanti auguri di buon compleanno e dirti di non saltarmi addosso domani a scuola, grazie. Hai presente quella one-shot a cui stavo lavorando da tipo una settimana e che volevo a tutti i costi finire in fretta? Ecco, era questa. Il tuo pseudo-regalo. Quello vero te lo do domani.
Sei importante per me, e sinceramente questa è una cazzata in confronto a quello che farei per te.
Un bacione, la tua poppy <3
  
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