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Autore: Preussen Gloria    14/12/2013    8 recensioni
"Cresce. Assomiglia a te."
C'è ancora una storia che Odino non ha raccontato.
"A chi? Al principe delle illusioni o al re dei mostri?"
Riguarda il suo primogenito. Riguarda il figlio che ha adottato.
"Al giovane con gli occhi verdi e i capelli corvini che una volta conoscevo"
Riguarda i due principi che sono venuti prima di loro.
"Non è mai esistita quella persona, Odino."
Riguarda leggende che non sono mai state scritte.
"Non puoi dirmi questo! Non mentre mi guardi con gli stessi occhi di mio figlio"
E verità che sono sempre state taciute.
"Non è tuo figlio! Non lo è mai stato. È nato nell'inganno, vive nell'inganno, le bugie sono l'unica cosa che possiede..."
Thor e Loki hanno sempre saputo di essere nati sul finire di una guerra.
"... E un giorno, forse, ne diverrà il principe."
Ma nessuno ha mia raccontato loro l'inizio di quella storia.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Frigga, Laufey, Loki, Odino, Thor
Note: Movieverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Mpreg
Capitoli:
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 XVIII
Cuore
 
 
[Vananheim, oggi.]
 
Il sogno non era mai uguale ma era sempre lo stesso.
Laufey conosceva quel luogo.
Lo conosceva tanto bene quanto si poteva conoscere la propria casa.
Era tradizione che, tra quelle mura di pietre, spirassero quelli che erano considerati gli errori di Jotunheim.
Quelli che contavano, perlomeno.
Quelli nati da famiglie con alto lignaggio.
Per tutti gli altri vi era un destino ben peggiore.
Il vento di Jotunheim cantava la sua litania di morte e desolazione e portava con sé la canzone di una vita nuova, appena sbocciata. Un bambino piangeva dentro quel tempio.
Laufey corse… Corse, perché sembrava che quella vocina stesse chiamando lui.
L’altare era spoglio, cosparso di crepe ma ancora solido e oscuro, come ciò che andava a simboleggiare.
Per quel luogo passavano due tipi di bambini: i principi di Jotunheim e i piccoli errori.
Nati da un grembo caldo e accogliente, consegnanti ad un mondo freddo e dannato.
I nobili che partorivano piccoli diversi lasciavano lì i loro bambini: la legge di Jotunheim prevedeva che sarebbero entrati a far parte della comunità degli Jotun, se fossero sopravvissuti un intero giorno ed un’intera notte al freddo del loro mondo.
La maggior parte dei mezzosangue era forte abbastanza da farcela.
Per uno scarto, non c’era alcuna possibilità di scampo.
Ogni erede al trono era stato sottoposto alla stessa prova: che re sarebbe stato un principe che non riusciva a piegare l’inverno al suo volere?
Folli, pazzi… Non c’erano parole degne per descrivere quanto avveniva in quel luogo.
Nel sogno, l’altare non era vuoto.
Un giovane dai capelli corvini vi era davanti e fissava la superficie ghiacciata senza una reale espressione. Stringeva a sé un fagottino urlante.
Laufey cercò di farsi avanti ma le gambe non gli ubbidivano.
Il giovane adagiò il suo fardello su quella lastra di ghiaccio macchiata del sangue di tanti innocenti e la copertina cadde per rivelare un neonato dalla pelle rosea, grandi occhi verdi e curiosi ed una testolina ricoperta da ciuffetti corvini.
“Loki…” Chiamò Laufey e tentò disperatamente di muoversi, “Loki!”
Il giovane si voltò nella sua direzione: aveva il suo viso e gli occhi scarlatti ma non era lui, non poteva essere lui!
Il neonato piangeva disperatamente.
“Ha freddo!” Esclamò il principe di Jotunheim, “che cosa stai aspettando? Prendilo in braccio!”
L’altro non sembrava riuscire a comprendere.
“Questo non è posto per lui! Morirà se resterà qui!”
“Già…” L’altro se stesso annuì, “come deve essere, dopotutto.”
Laufey sgranò gli occhi, “che assurdità è mai questa?”
L’illusione non rispose.
“L’abbiamo desiderato!” Urlò, “Lo amiamo.”
L’altro sorrise tristemente piangendo lacrime silenziose.
“Già, proprio perché lo amiamo…” Sollevò una mano ed uno stiletto di ghiaccio comparve tra le sue dita.
“No!” Urlò Laufey inorridito, “No! No! No!”
Un frazione di secondo: Loki non piangeva più.
 
Stava piangendo e urlando, quando una guardia lo strappò dal suo letto.
“Cosa…?” 
Mani estranee lo stringevano con poco grazia e lo trascinavano di peso.
“Il re vuole vedervi!”
Nàl non capì e tentò, ancora, di liberarsi. Fu inutile.
“Lasciatemi!”
I corridoi del palazzo erano  bui e le improvvise luci delle torce non faceva che confondere i suoi sensi ancora intorbiditi dal sonno. Non seppe quantificare il tempo che impiegarono per giungere la destinazione ma non fu comunque pronto quando lo sbatterono con prepotenza sul pavimento.
“Basta così…”
Mormorò gentilmente una voce che conosceva bene.
“Potete andare.”
“Mia signora,” rispose con rispetto una delle guardie. Rumore di passi, una porta che veniva chiusa e, poi, il più assoluto silenzio. La mano di Bestla gli posò una fredda carezza tra i capelli.
“Dov’è Odino?” Domandò, suonava preoccupata. 
Nàl alzò il viso: gli occhi verdi pieni di rabbia.
“Perché ti ha lasciato da solo? Dov’è?”
“Che ve ne importa?”
Bestla sospirò e gli porse una mano per aiutarlo ad alzarsi. Nàl si rimise in piedi ignorandola completamente. Si guardò intorno: era stato portato in degli appartamenti che non riusciva a riconoscere. L'atmosfera era scura, con l’eccezione del fuocherello morente nel camino. Sembrava fosse avvenuta una rissa lì dentro.
Bestla era composta, come suo solito, ma c’era una luce quasi umana nel suo sguardo scarlatto.
“Il re ha richiesto la tua presenza,” lo informò. La sua voce tremava appena.
“Sì, mi è stato detto!” Replicò lui invelenito, “qualcuno dovrebbe ricordare al re come si trattano gli ospiti, specie se sono dei nemici vittoriosi!”
“Abbassa la voce, Nàl…”
“Non mi faccio condurre come una puttana nelle stanze del re nel cuore della notte!” Continuò il giovane imperterrito, “qualcuno lo informi che Jotun non è sinonimo di sgualdrina. Anche se, con voi come esempio, non posso biasimarlo così tanto.”
Bestla strinse i pugni ma non rispose alla provocazione, “abbassa la voce, Laufey.”
E il principe di Jotunheim raggelò: perché l’aveva chiamato col suo vero nome? Aveva tanta necessità di attirare la sua attenzione? Bene, qualunque cosa fosse, poteva aspettare il mattino!
“Io me ne vado,” la informò voltandosi ma lei gli afferrò il polso.
“Se esci da quella porta, te ne pentirai.”
“Siamo passati alle minacce, mia regina?”
“Non è una minaccia,” il tono di lei era fermo e serio, “il re ha chiesto la tua presenza e, se non rispondi alla sua convocazione, il sangue di un innocente ricadrà sulle mani di entrambi.”
Nàl sgranò gli occhi e la guardò: un orribile presentimento gli ostruì la gola.
“Seguimi, bambino…”
Annuì e si lasciò condurre nella stanza accanto.
La camera da letto del re giaceva in uno stato peggiore dell’ambiente precedente. Vi erano almeno tre calici rotti sul pavimento ed i loro frammenti  sembravano piccole isole su di un mare scarlatto di vino. Si voltò: Bestla era rimasta sulla soglia.
“Non mi è permesso andare oltre,” spiegò timorosa, poi accennò al letto, “sul lato in ombra.”
Nàl guardò le tende strappate del baldacchino, stando ben attendo a non calpestare un frammento tagliente con i piedi nudi. Tuttavia, non poté evitare di bagnarsi le piante con il vino. Una mano comparve nella sua visuale dall’angolo scuro: era pallida, quasi grigiastra.
Appoggiò una mano ad una delle colonne del letto, come se temesse che, una volta ammirato quel macabro spettacolo, le gambe non lo avrebbero più retto. Si sporse ma non si mosse: aveva paura di vedere. Sgranò gli occhi, poi fece un passo all’indietro portandosi una mano alla bocca.
Nel tentativo di respirare attraverso le dita, gli sfuggì un singhiozzo.
Guardò il pavimento bagnato su cui poggiava i piedi, mentre le lacrime gli offuscavano la vista: non era vino…
“Skadi…” Chiamò inginocchiandosi accanto a quel corpo immobile.
Gli occhi scuri erano spalancati ma non lo vedevano.
“Skadi…” Nàl gli alzò la testa e l’appoggiò sulle sue ginocchia, gli portò due dita sotto il naso: respirava ancora. Njord era stato bravo: aveva creato un cadavere che fosse ancora in grado di sanguinare quando voleva.
“Che cosa ti ha fatto?” Mormorò con voce rotta dal pianto, “Perché? Perché?” Cominciò a ripeterlo come una litania posando un bacio disperato tra i capelli dell’altro Jotun. 
Perché? Quante domande contenute in una sola parola e Laufey, principe di Jotunheim, non possedeva neppure una risposta. 
“Guariscilo…”
Alzò il viso di colpo: Njord lo fissava dalla parte opposta del letto. 
Nàl si morse il labbro inferiore: avrebbe voluto fare tante cose a quell’uomo e nessuna di quelle che gli venivano in mente erano brevi o indolori. Si morse il labbro inferiore e sospirò: un altro giorno, era più importante altro, in quel momento.
“Gli serve un curatore, ha perso molto sangue.”
Njord cominciò a girare intorno al letto, “guariscilo.”
“Non ne sono capace!” Urlò Nàl, poi guardò Bestla che era rimasta muta ed immobile, “lei può! Lei ha delle conoscenze riguardo all’arte della guarigione.”
La donna abbassò lo sguardo.
“Lei no,” rispose Njord, “solo tu.”
Nàl scosse la testa, “vi ho appena detto che non lo so fare…”
“Allora morirà,” il re annuì, “se non sarai tu, morirà.”
Il giovane Jotun si sentiva soffocare e sapeva bene che cosa l’avrebbe liberato da un simile costrizione:  “ve la farò pagare…”
“Che cosa?”
“Ve lo giuro sulla mia stessa vita,” gli occhi di Nàl si tinsero di scarlatto, “ve la farò pagare con le mie stesse mani! A voi e a chiunque abbia mai osato torcere un capello alla mia gente e non avrà importanza se dovrò cominciare dai miei stessi simili. Non avrò pace, fino al giorno in cui tutti i Nove Regni s’inginocchieranno davanti al trono di Jotunheim!”
E se Nàl fosse stato un po’ più attento, avrebbe notato l’espressione di raccapricciante soddisfazione sul viso di Bestla, mentre pronunciava quelle parole. Al contrario, Njord ne sembrò divertito.
“Attento a quello che minacci, bambino,” disse, quasi dolcemente, “perché potresti scatenare una guerra che non puoi permetterti di perdere.”
Nàl fece per replicare, quando una mano gli toccò debolmente il braccio. Abbassò gli occhi per incontrare le iridi scure di Skadi.
“Mi dispiace,” singhiozzò disperatamente, “non so cosa fare, non so come aiutarti.”
L’altro Jotun scosse appena la testa ed il sorriso tremante che gli rivolse fu tanto gentile da fargli male.
“Non è vero che non puoi,” commentò Njord maligno, “posso sentire l’odore del potere che ti scorre nelle vene.”
Nàl lo guardò in cagnesco, “non so di cosa stiate parlando.”
“Della stessa cosa per cui Borr ti ha quasi bruciato vivo.”
“Il potere di cui parlate è solo il delirio di un folle!”
Njord scosse la testa, “io non credo, bambino,” replicò, “Borr è un folle, certo. Non riuscendo ad avere in pugno il seidr, decide di combatterlo ma, in cuor suo, desidera tutta la conoscenza che si possa avere su quell’energia. È così assurdo che un re di Asgard ne sia quasi privo, come è assurdo che non si sia mai accorto che il suo adorato erede potrebbe divenirne un maestro, se solo fosse educato in tal senso.”
“Odino ha molti talenti ma non quello che voi gli affibbiate.”
“Eppure gioca con la magia,” Njord ridacchiò, “è a lui che quel patetico scarto deve il suo aspetto Aesir, non è così?”
“Loki è completamente autonomo nel controllo del suo aspetto.”
Il re fece una smorfia disgustata, “già, alle volte, il seidr si nasconde nelle creature più infime,” lanciò un’occhiata carica di disprezzo a Skadi, “tipo questa bambola rotta.”
S’inginocchiò.
Nàl strinse Skadi a sé come poteva, “non vi azzardate a toccarlo… Non lo devete nemmeno guarda…”
Le dita di Njord si conficcarono nella carne tenera della sua gola impedendogli di respirare.
“Le Norne hanno parlato, bambino,” disse con tono glaciale, “non ha importanza cosa tu faccia. Potrai anche sedere accanto al trono dorato, un giorno, ma ciò che non cambierà il fatto che tu, i tuoi figli e qualunque altra feccia Jotun vivente non potrà mai… Mai! In nessuna era, sfiorare la luce del sole! Siete creature d’ombra ed è nell’ombra che siete destinati a rimanere! E se, per caso, qualcuno di voi possa disgraziatamente dimenticare questo fato…”
Qualcosa scintillò nell’ombra, sopra la spalla di Njord.
“Lascialo andare…”
Il re sorrise.
“Il tuo principe è venuto a salvarti.”
Odino premette maggiormente la lama della spada contro il collo del sovrano, “lascialo, ho detto!”
Njord eseguì e si alzò in piedi.
Nàl piegò la testa in avanti tossendo violentemente. Odino gli si parò davanti, l’arma puntata contro il re.
“Se solo sapessi cosa stai facendo, bambino,” disse il Vanir con tono pietoso.
“So quello che stavate facendo voi e mi basta,” sibilò Odino, “tornerò ad Asgard e racconterò a tutti i Nove Mondi che razza di essere malato siete e, statene certo, quando avrò finito, non ci saranno alleati pronti a correre in vostro soccorso!”
“Odino…” Mormorò Nàl alle sue spalle.
Il principe dorato allungò il bracciò sinistro all’indietro e il giovane Jotun gli afferrò la mano tirandosi in piedi. Gli occhi verdi si spostarono sull’entrata della stanza: Bestla era sparita.
“Non hai ascoltato tuo padre, ragazzino,” parlò Njord, “abbi un po’ di attenzione per la parole di un povero vecchio: uno Jotun è sinonimo di condanna.”
“È stato così anche per i fratelli di Thiazi?” Urlò Nàl, “li avete uccisi per impedire loro di condannarvi.”
Njord lo ignorò, “sono maledetti dalla nascita, Odino.”
L’espressione del principe non tradì il ben che minimo tentennamento, “il sangue di Jotunheim scorre anche nelle mie vene, non avrei speranza comunque,” rispose con sarcasmo.
Nàl gli strinse la mano.
“Forse,” Njord annuì, “ma non posso permetterti di condannarci tutti e restare a guardare, mentre raccogliete il frutto avvelenato del vostro patetico amore.”
Alzò la mano destra e la roteò di qualche grado: Odino cadde a terra urlando e la spada scivolò sul pavimento.
“Odino…” Nàl cercò di aiutarlo ma il re fu più veloce e gli afferrò, di nuovo, la gola spingendolo contro una delle colonne del letto.
“Non lo toccare, bastardo!” Urlò il giovane Aesir.
Nàl vide Njord sorridergli, poi alzare la mano libera e schioccare le dita. Le urla di Odino divennero disumane.
“Lo devo ammettere, però,” Njord si leccò le labbra, “dietro l’aspetto di mostri, nascondete dei veri capolavori.”
Nàl gli sputò in faccia colpendolo dritto in un occhio. 
Njord si pulì con una manica, poi strinse maggiormente le dita sulla sua gola.
“Laufey!” Urlò Odino in preda al panico, “Laufey!”
Nàl sentì un poco di aria entrargli nei polmoni.
Gli occhi di Njord erano pieni di sorpresa e di compiacimento.
“Laufey,” ripeté, “Laufey Ymirson…  Ora capisco perché questi magnifici occhi verdi mi erano così familiari. Assomigli tanto a tuo padre quando giocava a fare l’Aesir, lo sai? Non sono mai riuscito a togliermi lo sfizio con lui…”
Nàl sentì lo stomaco comprimersi, quando sentì due dita fredde accarezzargli la coscia e sollevare l’orlo della camicia da notte.
L’aria gli mancò di colpo.
“Non vedo l’ora di vedere l’espressione sul viso di Ymir, quando gli riconsegnerò il suo cucciolo soffocato e violentato,” Njord gli rivolse un sorriso malato, “è questo che ho fatto con i fratelli di Thiazi: li ho soffocati lentamente, mentre li prendevo. Uno ha dovuto assistere alla fine dell’altro ed ora, il tuo bel principe assisterà alla…”
Il re sgranò gli occhi di colpo, il respiro gli si bloccò. Nàl sentì la stretta sulla sua gola sparire lentamente, poi abbassò gli occhi: Skadi era riuscito a sollevarsi in ginocchio ed aveva trafitto il fianco sinistro del re con uno stiletto di ghiaccio. 
Gli occhi scuri incrociarono quelli verdi, poi lo Jotun perse i sensi e cadde a terra.
Nàl non esitò a reagire: estrasse l’arma accidentata dal corpo del re che indietreggiò di un paio di passi.
Un istante. Uno solo.
Lo pugnalò dritto allo stomaco e, quando ritrasse la mano, una gran quantità di sangue cadde sul pavimento mischiandosi a quello già versato.
Non si fermò. Il terzo colpo arrivò al petto ma non al cuore. No, aveva tutte le intenzioni di farlo durare più che poteva. Il quarto gli trafisse una spalla, il quinto finì sul fianco rimasto sano…
Un istante prima che la porta si aprisse ed un gran numero di persone diventasse testimone di quell’orrida scena, Nàl sentì due braccia forti e calde circondarlo
“Lasciami!” Urlò, ormai cieco dalla rabbia, “lasciami andare!”
“Laufey…” La voce di Odino era dolcissima, mentre lo chiamava, “è tutto finito. È tutto finito…”
Lo ripeté come una litania, fino a che lo Jotun non decise di rilassarsi contro le sue braccia e lasciò andare lo stiletto di ghiaccio: si sciolse non appena toccò terra.
Nàl scoppiò in un pianto dirotto.
Odino lo strinse contro il suo petto, mentre entrambi scivolavano sul pavimento.
Una risata li riscosse.
Il giovane Jotun alzò gli occhi e rabbrividì: Njord non era ancora morto e, peggio, sorrideva. 
Tossì e barcollò ancora, finendo contro il parapetto della balconata. 
“Le Norne hanno parlato,” disse, “non ho bisogno di maledirvi perché siete già condannati.”
Nàl volle strapparsi le orecchie pur di non ascoltarlo.
“Ricordate le mie parole, miei principi: Caos…”
Nàl singhiozzò. 
“È questo che siete destinati a dare alla luce… Caos…”
Njord si sporse oltre il parapetto e cadde dalla balconata.
 
[Midgard, oggi.]
 
Thor sapeva che aveva visto qualcosa che non avrebbe mai dovuto vedere.
Non ci voleva certo un genio per capirlo.
Loki gli aveva mostrato, con l’estrema sincerità di chi crede di essere da solo, la versione integrale del frutto proibito che tanto agognava di poter assaggiare e che gli veniva negato. No, Thor non si riferiva al segreto che suo fratello custodiva tra le gambe, no.
Era tutto… Tutto…
Era Loki.
Era la sua espressione mentre quel piacere nuovo, inesplorato prendeva il sopravvento.
Era il modo in cui si muoveva inconsciamente, mentre si accarezzava.
Era il suono della sua voce, mentre chiamava il suo nome.
Thor corse in cucina ed aprì il rubinetto: immerse la testa sotto l’acqua gelida perché temeva che, se non avesse fatto qualcosa, sarebbe scoppiata da un momento all’altro, come il suo cuore.
Era stata la cosa più bella che avesse mai visto, che nulla aveva a che fare con le volgarità a cui era abituato lui. In realtà, ora che l’aveva sbirciata, Thor aveva addirittura paura di poterla toccare, quella bellezza.
Chiuse il rubinetto e rise istericamente: non c’erano pericoli, Loki non gli avrebbe mai concesso nulla di tutto quello. Non aveva importanza che lo desiderasse anche lui.
Probabilmente, gli avrebbe dato la colpa di quanto era accaduto, poi avrebbe negato ogni cosa. Avrebbe sporcato quella meraviglia con qualche velenosa menzogna che potesse separare i loro cuori ancora di un palmo. Loki gli aveva chiesto di distruggere quella parte di sé, quando gli aveva chiesto di violentarlo.
Non era vero ciò che aveva detto, suo fratello sapeva esattamente cosa stava chiedendo, mentre lo supplicava di fargli male.
Durante la loro adolescenza, secoli addietro, era quasi successo.
L’unica volta in cui Thor aveva visto suo padre perdere completamente il controllo.
Chissà se Loki ci aveva pensato, mentre tentava di concedersi sul pavimento del salotto? 
Chissà se, invece, aveva tentato di dimenticarlo?
A quel tempo, Thor aveva avuto una reazione pessima e l’aveva avuta con la persona sbagliata.
Solo ora rammentava, solo ora vedeva il fatale errore che aveva commesso quel giorno quando, con una crudeltà che ora lo faceva rabbrividire dall’orrore, aveva detto a Loki che, se si era ritrovato in una situazione così umiliante, era soprattutto colpa sua.
Ricordava lo schiaffo di sua madre. L’unico che avesse mai ricevuto da lei.
Quel gesto non era servito ad altro che separarli ulteriormente.
Ora, Thor vedeva tutt’altra cosa in quell’evento. Vedeva quei cinque ragazzi avventarsi su suo fratello. Vedeva Loki tentare di difendersi con ogni mezzo che conosceva, tranne l’implorazione.
Non avrebbe implorato mai, non il secondo principe di Asgard.
Si sarebbe fatto violentare, piuttosto che chiedere aiuto.
Erano state sua madre e le sue dame ad intervenire sulla scena.
Era stato un puro e semplice colpo di fortuna.
Nessuno c’eraservito stato per proteggere Loki.
Loki stesso non avrebbe permesso a nessuno di aiutarlo, pur di non farsi vedere da altri in quella situazione.
Thor conosceva quei giovani, erano stati i suoi compagni d’addestramento.
Avevano all’incirca la sua età. Thor immaginò le loro mani sporche e indegne toccare la pelle candida di suo fratello. Immaginò cosa avrebbero fatto, se nessuno li avesse fermati.
Avrebbero scoperto il segreto di Loki e avrebbero avvertito un’eccitazione mai provata prima di fronte ad una simile opportunità. E Loki non avrebbe comunque implorato.
Gli avrebbero tenuto le gambe aperte e si sarebbero fatti strada dentro di lui a turno, trovando nel suo dolore la conferma del loro malato concetto di virilità. 
E Loki non avrebbe urlato.
No, neanche per il dolore.
Non avrebbe concesso a loro niente che non potessero prendersi con la forza.
Non l’avrebbero mai piegato. Mai.
Questo era Loki Odinson e, con un ritardo incalcolabile, Thor vedeva quanto grande fosse il ragazzino che si nascondeva dietro a quella tragedia sfiorata. L’aveva additato come debole, effeminato, indegno… diverso. 
Quello stesso ragazzino, ora uomo, gli toglieva i vestiti di dosso e s’infilava tra le sue cosce prendendosi e dando piacere.
Un’altra risata isterica gli sfuggì dalle labbra. Si prese tra le mani la testa, i capelli erano ancora grondanti d’acqua ma non se ne curò.
Chissà che immagine c’era dietro le palpebre chiuse di Loki, mentre si accarezzava?
Thor premette un braccio contro la credenza e vi appoggiò la fronte.
Dietro le sue cosa c’era?
C’era Loki disteso sul suo mantello rosso. Tutt’intorno, vi era solo neve. 
Non indossava vestiti.
La pelle nuda era pallida, perfetta, quasi surreale.
Lo sguardo smeraldino di Loki era a tratti malizioso e a tratti annoiato, mentre lo accarezzava.
E Thor era lì per sentirsi inadeguato, perché nessuno aveva mai toccato Loki, ma il sé stesso nelle sue fantasie aveva fatto un ottimo lavoro negli ultimi secoli e avvalendosi solo di una mano che non era neanche la sua. Avrebbe mai retto il confronto?
Oppure, il potente desiderio che Loki aveva sempre covato per lui si sarebbe affievolito non appena avrebbe capito che il grande Thor, a sorpresa, soffriva di una forma improvvisa di eiaculazione precoce?
Perché, che le Norne fossero maledette, se Loki avesse avuto quell’espressione e avesse chiamato il suo nome con quella voce… Thor sarebbe venuto ancora prima che la sua verginità potesse dirsi persa.
No, non era un pensiero confortante,
E la fama da grande amante che correva per i corridoi dorati di Asgard non migliorava la sua situazione.
L’amore che voleva Thor era molto più modesto delle gloriose imprese sessuali di cui sembrava essere protagonista. Chiuse gli occhi e lo vide…
Vide Loki che lo attendeva disteso sul mantello, mentre si mordicchiava distrattamente un’unghia e si solleticava la peluria scura del pube. Vedeva  i suoi occhi verdi accendersi e le sue labbra piegarsi in un sorriso, mentre si chinava su di lui e lo accoglieva in quell’alcova d’inverno.
Thor nemmeno si rese conto che le due dita erano scese a slacciare il solo bottone dei jeans.
La pelle morbida delle cosce sarebbe stata la prima cosa che avrebbe sentito.
S’infilò una mano dentro i boxer.
Le dita fredde sul viso e tra i capelli sarebbero state le seconde.
Un pesante sospiro gli sfuggì dalla bocca.
 Le labbra umide e affamate sarebbero arrivate per terze.
Le gambe lo reggevano a stento.
E, alla fine… Alla fine…
Si morse il polso per non far uscire alcun suono dalla sua gola, mentre la mano esperta compieva il suo dovere in modo automatico. Quando riabbassò lo sguardo c’erano tracce di sperma anche sul ripiano d’acciaio del lavandino. 
“Eiaculazione precoce…” Mormorò, senza pensarci. Diede un pugno contro la credenza e l’intero mobile si smembrò facendo un gran baccano. Thor rimase immobile a fissare il muro, ora vuoto.
“Fanculo…” Sibilò. 
Non aveva mai capito realmente cosa volesse dire, ma sentiva che l’atmosfera della situazione era adatta per sperimentare quel modo di dire mortale per la prima volta. 
“Sei arrabbiato, papà?”
Thor sobbalzò e si ritrovò premuto contro il bancone della cucina con il cuore in gola.
Un bambino lo guardava dalla porta. Aveva i capelli neri ma non era lo stesso che aveva visto più di un mese prima. 
Quello assomigliava a Loki.
Questo, invece…
“Va tutto bene, papà?”
C’era preoccupazione negli occhi azzurri del piccolo. I suoi stessi occhi azzurri
Thor si rese conto che aveva ancora i pantaloni slacciati e si affrettò a ricomporsi, per quanto le sue mani tremanti gli permettevano. 
“Sei arrabbiato, papà?” Chiese il bambino una seconda volta.
Aveva i capelli di Loki ed il suo viso.
“Magni…” Mormorò ripensando ad eco vecchio di quattro di settimane.
“Sì, papà?” Il piccolo era confuso, “hai promesso che mi avresti portato al lago, oggi.”
Thor non rispose.
“Dove sono i tuoi fratelli?” Chiese, invece.
Magni scrollò le spalle, “Thrud non vuole venire…”
“Thrud…” Occhi verdi. Capelli neri. Il ritratto di Loki. Thor sorrise, “Thrud…”
“Modi è con la nonna…”
“Perché non andiamo al lago tutti insieme?” Si ritrovò a proporre, come se quella fosse una situazione del tutto normale. Magni non rispose: non sorrideva facilmente come Thrud, dedusse.
Aveva ereditato il lato serioso di Loki, oltre ai suoi capelli neri.
Di Loki, sì… Perché non poteva che essere suoi, vero?
“Il nonno non lo permetterà mai,” Magni scosse la testa.
Thor sgranò gli occhi, “per quale ragione?”
Il bambino abbassò lo sguardo, “il nonno dice delle cose brutte… Ne ha detta una molto brutta a Thrud e lui non vuole vederti più.”
“Cosa?” Thor fece il giro del tavolo e s’inginocchiò davanti al piccolo.
“E la nonna? Perché Modi è con la nonna?”
“Dice che non è il caso che stiamo con te tutti insieme.”
“Perché?” Thor non comprendeva, né quelle parole, né il dolore acuto che sentiva all’altezza del cuore.
“Dice che è pericoloso…” Gli occhi di Magni erano tristi e pieni di lacrime.
“Pericoloso?” Thor sorrise e scosse la testa, “sono vostro padre, no? È con me che siete al sicuro!” 
Lui stesso aveva pensato questo di suo padre, quando era bambino. 
Magni scoppiò a piangere, “che cosa hai fatto alla mamma, papà?”
Thor si sentì gelare, “Cosa? Perché me lo chiedi?”
“Il nonno,” un singhiozzo scosse il bambino, “il nonno ha detto a Thrud che, se la mamma non c’è più, è colpa tua.”
Il Dio del Tuono si sentì morire. 
“Non è vero,” si alzò in piedi, “non devi credere a quel che dice Odino! Non è vero!” Tuonò e Magni indietreggiò di un paio di passi, “non ho fatto nulla a Loki! Nulla!”
No, non poteva essere. Non era possibile che fosse successo.
"Abbiamo solo litigato," tentò di convinversi forzando un sorriso, "abbiamo sempre litigato spesso, fin da quando eravamo piccoli come te e Thrud."
Prese il viso del bambino tra le mani. Avrebbe voluto stringerlo a sè e tenerlo vicino al suo cuore fino a che non avesse smesso di piangere e si fosse convinto che non c'era niente da temere, che la mamma ed il papà ci sarebbero sempre stati per lui e oer i suoi fratelli e che nulla... nulla sarebbe mai andato male.
Ma Magni non gli diede nemmeno la metå della fiducia che quel gesto richiedeva. Fece un passo all'indietro allontanandosi dalle sue mani come se lo avessero schiaffeggiato. 
Thor sentí la voce della ragione avvertirlo, dirgli che tutto quello non era reale che, se solo ne avesse avuto ilncoraggio, si sarebbe voltato e quel bambino sarebbe sparito per sempre insieme al suo cuore infranto. 
Perchė non esistevano occhi come i suoi che potessero guardarlo con delusione da dietro una zazzera di capelli neri. Non esisteva Magni, come non esistevano Thrud e Modi.
Quel dolore non era reale proprio come non era reale.
Allora perchè sentiva di amare quella creatura così tanto?
Perchè ricordava cose che non erano mai avvenute? Perchè credeva di riuscire a rammentare con estrema esattezza i nove mesi in cui lui e Loki lo avevano aspettato? Perchè percepiva l'emozione che aveva provato la prima volta che lo aveva stretto tra le braccia? Perchè sentiva con così tanta urgenza che sarebbe morto, se non avesse avuto il suo amore?
"Tesoro, ti prego vieni qui..."
Magni piangeva.
Thor protese le braccia in avanti.
"Come puoi credere che potrei farti del male, amore mio?"
Fu lui ad avvicinarsi, ad afferrare le piccole spalle e a stringere quel corpicino contro il suo petto.
Magni non si ribellò, anzi, si lasciò andare completamente tra le sue braccia piangendo e pretedendo una rassicurazione che Thor sapeva sarebbe stato pronto a garantirgli fino alla fine dei suoi giorni. 
Baciò una guancia morbida e madida di lacrime, poi la fronte ed i capelli e fu certo che sarebbe morto se mai avessere cercato di portarglielo via. 
Il cuoricino batteva in sincronia con il suo e non esisteva musica più dolce per le orecchie del principe dorato.
"Andrå tutto bene," promise, anche se non poteva saperlo, "andrà tutto bene, piccolo. Papà è qui e non vi lascerà mai, lo giuro!"
Semplicemente, disse l'unica bugia che suo padre non aveva mai avuto il coraggio di dire a loro.
Chiuse gli occhi.
Un istante.
Freddo.
Thor sollevò le palpebre: nel suo abbraccio stringeva il vuoto.
Scattò in piedi, "no..." Scosse la testa impercettibilmente, "no!"
"Perchè ti disperi?" 
Thor si voltò talmente velocemente che cadde a terra, tra l'atrio ed il salotto: una fanciulla era comparsa alle sue spalle. Non riusciva ad intuirne l'età: poteva essere solo una ragazzina, ma quegli occhi scuri sembravano aver visto cose antiche quanto l'universo stesso.
I capelli erano neri, lunghi, intrecciati e sporchi.
A coprirla vi era solo una lunga tunica sporca di terra.
"Non era reale, perchè ti disperi?"
Se fosse stato nel pieno delle sue facoltà, Thor avrebbe reagito con fermezza di fronte all'intrusa ma, al momento, la sua percezione del reale e dell'illusorio era troppo confusa per permettergli di organizzare un'azione. Si tirò in piedi a fatica e la fissò come se non ci fosse nulla di strano nella sua presenza.
"Sei tu a farli venire qui?"
La fanciulla non rispose.
"Falli tornare da me, ti prego."
Lei scosse la testa, "non posso, non dipende da me."
"E da chi allora?"
"Da te."
Thor inarcò le sopracciglia, "da me?"
"Certo, sono i tuoi sogni... I tuoi desideri."
"I miei desideri?"
Lei sorrise dolcemente, "non è questo che vuoi? Dei bambini... I bambini tuoi e di Loki."
Thor sorrise tristemente, "quello di cui parli non ha senso."
"No, forse nella realtà in cui vivi no," la fanciulla annuì, "ma in quella che hai dentro non c'è nulla d'impossibile. Basta che lo desideri abbastanza intensamente da dargli vita."
"Non esiste una magia così potente."
"Odino non si è servito di alcuna magia con te e Loki, no?" Il sorriso di lei divenne una smorfia sinistra.
Thor sgranò gli occhi e fece un passo indietro, "ma chi sei...?"
Un inteso dolore al petto gli bloccò il respiro e lo fece collassare a terra. Non riuscì neanche a gridare ma sentì chiaramente la fanciulla emettere una risata cristallina.
"La regina non poteva più avere figli, non ci sarebbe stato nessuno fratellino per il piccolo principe... Eppure, è bastata la bugia giusta al momento giusto per dare ad Asgard il principe oscuro di cui non aveva bisogno. Tutto questo è molto più potente della magia, principe Thor."
Lei gli girò intorno, mentre Thor sentiva che, velocemente, il dolore che lo invadeva stava prendendo il sopravvento su tutto il resto. 
Loki, non aveva più voce per chiamarlo, Loki...
Sarebbe morto e suo fratello non si sarebbe accorto di nulla. 
Mjölnir!
Se quella doveva essere la sua fine, non l'avrebbe accettata senza opporre la minima reistenza. No... Non l'avrebbe accettata e basta. Non prima di aver salvato il cuore di Loki, non prima di avere avuto l'occasione di amarlo almeno una volta, non prima di aver stretto Thrud, Magni e Modi tra le braccia. Non aveva importanza quanti secoli avrebbe dovuto aspettare, non avrebbe accettato la morte, fino a che non avesse potuto prendere quelle fredde manine tra le sue con la certezza che fossero vive, reali.
Un tonfo improvviso gli fece sgranare gli occhi. Il suo martello era lì, a poco più di due metri da lui, a terra, come se fosse un oggetto comune senza alcun valore.
"Le tue armi non possono nulla contro di me, tuonante."
La creatura s'inginocchiò accanto a lui, "tuttavia, c'è ancora una cosa che voglio da te, prima di porre fine alle tue sofferenze..."
Gli prese la testa tranle mani e lo obbligò a guardarla negli occhi.
"Dammi il suo cuore."
La stretta al petto si fece impossibile dansopportare e Thor reclinò la testa all'indietro lasciando finalmente libero l'urlo che aveva bloccato in gola. Lei lo colpì in faccia per farlo tacere.
"Dammi il suo cuore," sibilò, "se non vuoi che ti strappi il tuo, mentre sei ancora cosciente!"
Gli appoggiò una mano sul petto e Thor ebbe come la sensazione di essere trafitto da una lama rovente. Urlò ancora e ancora, per nulla intenzionato a perdere i sensi.
Il martello vibrava accanto a lui ma c'era come un muro invisibile a separarlo dal suo potere.
Il suo cuore... Il suo cuore... Il cuore chi?
"Dammelo..." La fanciulla piangeva, "dammelo, lo voglio."
Gli occhi azzurri si aprirono di colpo. Nonostante il dolore indescrivibile che provava, le rivolse un ghigno pregno di arroganza e sicurezza di sè. Da quanto tempo non provava una sensazione simile sul campo di battaglia: la certezza che il suo nemico poteva anche ucciderlo, ma avrebbe perso comunque.
È mio, mosse le labbra ma non pronunciò alcun suono, e se mi uccidi prima che lo faccia lui, sarà mio per sempre.
La creatura, in qualche modo, dovette comprenderlo, perchè gli rivolse un'espressione tanto rabbiosa da deformarle ogni angolo del volto. Uno stiletto di ghiaccio apparve nella mano grigiastra e ossuta, lo sollevò... Thor battè la testa contro il pavimento. Il dolore era sparito di colpo.
"Che cosa sei?"
Thor avvertì quella voce glaciale prima di vederne il proprietario e gli venne quasi da ridere: non sapeva se l'idea che il suo fratellino lo avesse salvato lo divertississe o, addirittura, lo commuovesse. 
"Che cosa sei?!" urlò Loki, poi s'inginocchiò sul pavimento per sollevare la testa di Thor ed appoggiarla contro il suo petto.
La creatura fissava i due fratelli con aria confusa. Il colpo del giovane Jotun le aveva provocato una ferita alla testa, ma lei non sembrava curarsene.
Loki lanciò un'occhiata veloce allo stiletto che si stava sciogliendo a terra, una mano oremuta contro il petto di Thor, mentre la sua magia esaminava il suo corpo alla ricerca di eventuali danni.
"Che cosa sei?" chiese per la terza volta.
La creatura piangeva.
"Loki..." Chiamò Thor, alzando una mano per toccargli il viso. Il principe oscuro ne afferrò il polso e posò un bacio veloce sul palmo. Quando alzò di nuovo gli occhi' la creatura non c'era più.
"Che cos'era?"
"Non lo so..."
 
[Vananheim, secoli fa.]
 
"Che cosa è successo?"
Loki era accanto a lui ma Nàl lo percepiva come se fosse distante chilometri.
"Tutto il palazzo è in delirio, nessuno vuole spiegarmi nulla!"
Se le braccia di Odino non lo avessero sorretto, dubitava sarebbe stato capace di camminare.
"Trova mia madre," sentì dire il principe dorato, "fatti raccontare ogni cosa, devo pensare a lui ora."
Una porta che si apriva, due mani gentili che lo spingevano all'interno di una stanza.
"Siete sporchi di sangue, fratello..."
"Loki, vai!"
Nàl chiuse gli occhi, non appena il frastuono che proveniva dal corridoio venne chiusi fuori dalla pesante porta lastrata d'oro. "Va tutto bene," si sentì dire, poi due kabbra sfiirarono le sue, "è tutto finito, ora."
No, avrebbe voluto replicare, no, non è vero, non finirà mai!
Odino lo condusse nel loro bagno privato, sentì il rumore dell'acqua mentre riempiva la vasca, poi il suo principe gli tolse di dosso i vestiti sporchi di sangue, senza scordarsi di baciargli il viso e mormorargli parole di conforto durante l'intero processo. 
Nàl non si era reso conto che Odino si era sbarazzato, a sua volta, dei propri vestiti.
Non si oppose in alcun modo, quando lo invitò ad entrare in acqua e lo seguì avvolgendogli subito le braccia intorno al corpo ed adoperandosi per lavar via ogni traccia di sangue da quella pelle di neve.
Nella tranquillità di quel bagno, circondato dai vapori dell'acqua calda, Nàl sentiva solo un suono riecheggiare nella sua testa, l'ultima parola che Njord aveva pronunciato: caos.
E, come se tutto quel calore avesse sciolto il dolore e la rabbia congelati nel suo cuore, scoppiò a piangere.
"Shhh..." Odino lo strinse contro il petto baciandogli i capelli neri, "siamo soli, Laufey, va tutto bene."
Nàl lo spinse via, gli occhi scarlatti, "dove lo trovi il coraggio di dire una bugia simile?"
Odino scosse la testa, "Njord non può più fare del male a nessuno."
"Ma nulla cancellerà quel che i Nove Regni gli hanno permesso di fare!"
"Lo so ma... Io devo pensare a te, ora!"
Nàl si ritrasse come l'altro cercò di toccarlo, "che cosa c'è nel nostro sangue?"
Odino inarcò le sopracciglia, "cosa?"
"Che cosa vuol dire che da noi non può nascere altro che caos?"
"Sono solo i deliri di un pazzo in punto di morte, Laufey!"
"Non è vero!" Nàl scosse la testa, "continuo a fare degli incubi tremendi! Ho sognato mio padre tagliare la gola al nostro bambino nappena nato, poi vedo me stesso compiere il medesimo crimine!"
Odino sgranò gli occhi.
"Loki piangeva... Piangeva così tanto ed io sapevo che stava chiamando me ed io non..." Nàl nascose il viso tra le mani e l'Aesir gli si avvicinò.
"Temi che le parole di Njord si riferiscano, in qualche modo, ai nostri figli?"
Nàl lo fissò implorante, "dimmi che starà bene," ne aveva bisogno più di qualunque altra cosa al mondo, non aveva importanza che fosse una bugia, "dimmi che sarà nostro, che sarà libero e che il suo nome sarà Loki ed è con questo che tutti lo conosceranno non... Caos."
Odino inclinò la testa da un lato, "è questo che temi? Che il nostro bambino sia il Caos?"
"Una paura più che plausibile," commentò una voce alle loro spalle.
Odino trasalì e si voltò facendo scudo a Nàl col proprio corpo ma questi si sporse oltre la sua spalla per identificare l'intruso che aveva osato spingersi così oltre nei loro appartamenti.
"Bestla..." Sibilò.
Lei sorrise, "felice di vedere che sono utile a farti riacquistare la tua forza di carattere, mio principe... Oh, Odino, tesoro, non arrossire: ti ho visto nudo molto tempo prima che le donne di Asgard potessero godere del mio capolavoro," un sorrisetto sarcastico, "e non solo loro."
"Crepa..." Fu la lapidaria replica di Nàl.
"Che cosa vorresti?" Domandò Odino con urgenza con le guance paonazze.
"C'è una storia che non vi ho ancora raccontato, bambini," prese la via della porta, "finite pure con calma, vi aspetto in camera. Tuttavia, vi sarei grata se voleste rimandare il comcepimento del futuro erede al tronondi Asgard e Jotunheim a più tardi."
Nàl fece una smorfia, "puoi sempre restare e lasciare che ti mostri come si monta un principe Aesir, se la cosa non t'imbarazza," Odino lo fissò con gli occhi quasi fuori dalle orbite, lo ignorò, "dopotutto, sembra che tra me, te e mio padre... L'unico che sia riuscito nell'impresa sia io."
Bestla sorrise divertita, "stai cercando d'impressionarmi, bambino?" Domandò, "sali su quel trono di ghiaccio e falli inginocchiare tutti davanti a Jotunheim... Tutti, nessuno escluso. Allora, forse, riuscirai a stupirmi..."
 
[Jotunheim, oggi]
 
Helblindi aveva un ricordo molto chiaro del giorno in cui suo padre l'aveva preso da una parte e gli aveva spiegato che nel giro di un paio di stagioni sarebbe divenuto un fratello maggiore. Il principe di Jotunheim, al tempo, era troppo piccolo piccolo perchè potesse avere una reale reazione alla notizia, ma Laufey l'aveva detto sorridendo, come se ne fosse sinceramente felice e Helblindi non era abituato a vederlo così.
Quindi, non aveva potuto fare altro che esserne contento a sua volta.
Poi Býleistr era nato e non era stato semplice accettarlo.
Non era facile da capire per un bambino il concetto di fratello.
L'interpretazione che Helblindi decise di fare sua fu la creatura più vicina e simile a me.
Gli era sembrato un pensiero logico, dato che erano venuti al mondo allo stesso modo, dagli stessi genitori, durante la stessa guerra, solo nel bel mezzo di due inverni differenti.
Crescendo, però, Býleistr era divenuto il suo esatto opposto.
Impulsivo, spontaneo, sincero fino al fastidioso e con un carisma che intimoriva i nobili ostili a suo padre più di quano il titolo di erede al trono che possedeva lui potesse fare. Di Helblindi avevano sempre detto che era il degno figlio di Fàrbauti ma non aveva neanche un briciolo della stoffa del guerriero che aveva contraddistinto lo Jotun che lo aveva messo al mondo.
Helblindi apparteneva a quella derisa razza d'intellettuali a cui nessun primogenito sarebbe dovuto appartenere.
Era curioso, affamato di conoscenza ma evitava di esporsi, se possibile. Un difetto che nessuna corte avrebbe accettato dal proprio re.
"Quando verrà il suo momento, tutti i giovani della sua generazione lo monteranno senza rispetto, se non fai qualcosa, Laufey," dicevano i nobili più vicini a suo padre lanciandogli occhiate che avrebbero fatto rabbrividire anche la prostituta di un bordello.
Suo padre aveva reagito, isolando lui e suo fratello dal resto del mondo.
Condizione che Helblindi aveva accettato di buon grado, perchè se c'era qualcosa della natura da soldato che aveva ereditato era questa: l'assoluto rispetto degli ordini, quasi fino all'abnegazione di sè.
Býleistr invece poteva non avere l'oscura ambiguità che aveva contraddistinto Laufey nella sua giovinezza, ma aveva la stessa indole ribelle, la stessa superbia, la stessa insofferenza nel sentirsi inferiore a qualcuno.
Helblindi lo aveva sempre invidiato per questo.
Il suo fratellino non lo aveva mai guardato con l'adorazione con cui si guardano i fratelli maggiori, era stato Helblindi a guardarlo dal basso verso l'alto per tutta la vita. Nella sua umiliante solitudine, Býleistr era stato la sua luce e la sua oscurità. La sua personalità riflessiva lo aveva salvato da molti guai, ma non era mai stato capace di proteggere il suo fratellino. Era sempre stato il contrario.
C'erano cose dei suoi figli che nemmeno Laufey sapeva. 
Il re non sapeva che, durante l'adolescenza, Helblindi si era lasciato andare molte volte trable braccia di giovani nobili dalle cattive intenzioni. L'aveva fatto nella speranza che lasciandosi amare da qualcuno avrebbe trovato quella normalità che tanto desiderava.
Nessuno l'aveva mai amati, nessuno.
Tutti si lasciavano sedurre ed erano ben felici di dargli un poco di piacere, prima di proporgli di fare ancora un passo in avanti. L'ultimo...
Nessuno veniva a letto con lui solo per desiderio.
Tutti lo facevano per sete di potere.
Credevano che se lo avessero tenuto buono con qualche orgasmo, lui, alla fine, avrebbe accettato di accogliergli dentro di sè in quel modo che era riservato solo ai compagni. tenuto
"Mi fareste l'onore di dare alla luce mio figlio, mio principe?"
Quante volte Helblindi aveva desiderato essere abbastanza stupido da poter dire di sì.
Nessuno dei suoi amanti aveva mai voluto un bambino, sul serio, solo lo strumento che avreebbe permesso a loro e alle loro famiglie di ottnere il trono di Jotunheim e far decadere il re che gli aveva coinvolti in una guerra catastrofe.
"Noi siamo nati per essere degli strumenti!" Býleistr era crudele.
Crudele come poteva esserlo un figlio di Laufey.
"Vorresti veramente condannare una creatura a questa vita solo per illuderti che qualcuno ami te e non quello che rappresenti?"
No, Helblindi non avrebbe mai compiuto un crimine simile.
Poi, però, pensava al secondo fratello che non aveva mai visto crescere. Pensava all'espressione di suo padre, mentre tentava di ucciderlo e pensava che quello era l'unico dei suoi figli ad essere venuto al mondo per amore ed era stato destinato a subire una sorte ben peggiore della loro.
Alla fine, qualunque cose fosse nata da loro era destinata ad essere maledetta ed era con questa convinzione che Helblindi aveva preso a collezionare amanti senza, però, la speranza di poter trovare un compagno in una di loro.
Býleistr sarebbe stato il suo unico compagno in quella vita dannata.
E gli stava bene.
Sì, gli era sempre sembrato più di quel che potesse sperare. Il dono più grande che i suoi genitori gli avessero mai fatto.
Poi, quel dono aveva smesso di essere suo.
Alla fine, Helblindi si era deciso che l'unico modo per poter guarire da quella ossessione che aveva preso le fattezze di Loki, era parlarne con suo fratello. Questa era la sola ragione che lo aveva spinto a strisciarennegli appartamenti di Býleistr nel cuore della notte, proprio come quando erano bambini e si svegliavano a vicenda quando un incubo ricorrente tormentava uno dei due.
Býleistr era sempre stato più furbo di lui, non aveva mai concesso le sue attenzioni a nessuno, ben consapevole che ad Utgard non c'erano giovani degni di lui. Aveva imparato la sua stessa lezione senza essere costretto a subirla, il suo fratellino.
Per questo, non si era posto il problema che potesse già esserci qualcuno a far compagnia a Býleistr, quella notte.
Qualcuno... Una persona che conosceva bene...
"Býleistr, devo parlar..." Non aveva annunciato la sua presenza in alcun modo. Era stato un completo stupido.
Gli occhi di ghiaccio di suo fratello erano colmi di sorpresa e timore, le guance rosse per l'imbarazzo.
Helblindi, invece, era pallido come un morto.
Bàli sibilò qualocosa tra i denti e si spostò, permettendo al principe di sedersi e coprisi con la pelliccia sotto di loro. 
L'erede al trono non faticò a riconoscerlo ma lo ignorò completamente, la sua attenzione era tutta per il fratello minore che sosteneva il suo sguardo senza la minima vergogna.
"Helblindi," chiamò, nel tentativo d'infrangere il muro di silenzio che era calato tra loro, "io... Te lo avrei detto, dopo che... Puoi uscire, per favore? Aspettami in corridoio."
Helblindi non se lo fece ripetere due volte ma non assecondò le intenzioni del fratello minore.
Non lo aspettò.
Non voleva parlare.
Non c'era nulla da dire.
Strinse la tunica tra le dita all'altezza del petto.
Non voleva sapere, non voleva sentire.
Corse via.
 
[Midgard, oggi]
 
Loki era fuori di sè.
Spalancò l'armadio e buttò sul letto un borsone a cui Thor non aveva mai fatto caso.
"Mettici dentro più vestiti che puoi," ordinò.
Thor non si mosse, "che intenzioni hai, Loki?"
"Fa come ti dico e non perdere tempo!" Tuonò lui prendendo i propri abiti dalla sua parte di armadio.
L'altro lo afferrò per le spalle e lo costrinse a guardarlo negli occhi, "che intenzioni hai?"
Loki sbuffò, "facciamo i bagagli, io porto entrambi via da qui e poi pianifico qualcos'altro per te!"
"Per me?" Thor non capiva, "vuoi andartene? Hai ragione, andiamocene! Ma dove vai tu, vengo io, fine della pianifcazione!"
"Andiamo a New York," dichiarò Loki occupandosi anche dei vestiti del fratello, dato che quell'energumeno non sembrava avere alcuna intenzione di collaborare.
"A New York?"
"Cercherò di capire le loro intenzioni, poi li spingerò a seguirmi in qualche luogo remoto dei Nove Regni."
Thor sgranò gli occhi, "vuoi scappare?"
Loki chiuse il borsone con un gesto veloce.
"Vuoi liberarti di me?"
"Piantala!" Urlò Loki, "se volessi liberarmi di te, ti lascerei qui e permetterei a quel mostro di ucciderti come meglio crede!"
"Oh, certo!" Thor rise istericamente, "proteggiamo la povera, indifesa principessina di Asgard!"
Loki gli lanciò addosso il borsone, "quanto sei infantile!" Esclamò, "non prendi come un'umiliazione che ti scopi ma non sopporti che ti protegga, sei un moccioso stuoido e viziato!"
"Tu non vuoi proteggermi, tu vuoi liberarti di me! Te ne vuoi andare!" 
Loki si passò una mano tra i capelli esasperato.
"Non hai mai lottato contro nemici simili!" Gli spiegò il più giovane, "sei quasi morto per mano di una ragazzina, senza che tu riuscissi a difenderti!"
"Insegnami a farlo," era una preghiera.
Loki scosse la testa, "non posso."
"Per quale ragione?"
"Ho impiegato tutta la vita per diventare quello che sono oggi," rispose Loki, "esattamente come te. C'è del Seiðr anche nel tuo sangue, lo sento ma non posso insegnarti ad usarlo in pochi giorni. Quella creatura era Seiðr puro, nemmeno il tuo martello può scalfirla! Non avrai alcuna possibilità se ti ritrovi con lei da solo!"
"E quale sarebbe il tuo piano, sentiamo!"
"Te l'ho già detto mi pare!"
"Dopo?" Domandò Thor minaccioso, "dopo che avrai capito chi ci sta dando la caccia e li avrai attirati via da me? Dopo, Loki?"
Il più giovane lo guardò negli occhi per una manciata di secondi, poi sospirò pesantemente, "ti lascerò dai tuoi amici mortali. Non sono un esercito, ma il nostro nemico non sarà più lì per minacciarti. Una volta scomparso io, Heimdall sarà in grado di vederti e non ci sono dubbi sul fatto che Odino e Frigga verranno a recuperarti."
Thor sentì un nido stringergli dolorosamente la gola.
"E come farò a ritrovarti, allora?" Domandò timoroso.
Loki non rispose.
Il principe dorato scosse la testa, "no..." Gettò il borsone a terra, "assolutamente no!"
"Sapevi che non sarebbe durata..."
"Ma non ho alcuna intenzione di lasciare che finisca sotto i miei occhi, senza che io possa oppormi in alcun modo!"
Loki si lasciò cadere in fondo al letto con espressione stanca, "smettila di sognare, siamo nella vita reale."
"Questa non è una buona ragione per lasciarti andare."
"Non devi lasciarmi andare!" Esclamò Loki, "potrebbero volerci mesi a New York prima che io possa completare il piano. Quella creatura è come noi, ha tutto il tempo dell'universo per organizzarsi e tentare di attaccare di nuovo."
"Ed io dovrei vivere ogni giorno con la paura di svegliarmi in un letto vuoto?"
"Non è quello che fai già?" Fu la domanda diabolica di Loki, "non sei continuamente vigile per paura che me ne vada mentre dormi? Non conti a mente tutte le volte che facciamo l'amore così che tu possa convincerti che, finchè provo desiderio per te, non c'è rischio che ti abbandoni? Non durerà per sempre, fratello ed è arrivato il momento che tu cominci ad accettarlo. Oggi siamo noi. Domani potremmo essere solo io e te."
"Fino a che tu non deciderai che è ora di scrivere la parola fine, vero?" Gli occhi di Thor erano lucidi ma la sua voce era ferma. Si chinò, aprì il borsone e recuperò una felpa da indossare sopra la t-shirt.
"Che cosa stai facendo?" Domandò Loki confuso.
Thor recuperò il martello che aveva appoggiato sul letto.
“Ti rendo felice,” rispose, “finiamola qui.”
Loki lo osservò in silenzio, mentre apriva la porta a si voltava a lanciargli un’ultima occhiata: c’era tristezza e rassegnazione in quegli occhi azzurri e ne fu terrorizzato.
Si avvicinò, gli posò una mano sulla guancia e fece incontrare le loro labbra in un bacio semplice ma col potere dibspezzare il cuore di entrambi.
Se ti arrendi
Scosse la testa ma Thor se ne andò comunque.
Combattendomi ci ferisci, ma se ti arrendi mi uccidi.
“Thor…” Chiamò con voce tremante, quando capì che suo fratello non sarebbe tornato indietro, “Thor!”
Uscì di casa, stava cominciando a piovere.
Sapeva dov’era andato ma l’angoscia lo portò a correre, come se avesse paura di non arrivare in tempo. Per cosa, poi? Che cosa poteva accadere per terrorizzarlo in quel modo?
Si bloccò, fissò la fila di alberi ed intravide l’acqua scura in lontananza. 
Finiamola qui. 
Anche Odino l’aveva detto secoli prima? O, forse, era stato Laufey?
Era così che doveva finire il suo momento? Senza nessuno evento eclatante, senza nessun addio sentimentale come piaceva tanto a suo fratello?
Finiva così e basta.
Che cosa si aspettava? Un colonna sonora strappalacrime in sottofondo?
“Thor!”
Nessuno rispose.
Thor se n’era andato, gli aveva solo concesso un ultimo bacio. 
“Thor!” Prese a correre tra gli alberi.
Faceva dannatamente male inseguire, quando era stato capace solo di scappare.
“Thor!”
Scappare e capire che la direzione era quella sbagliata.
Un luce abbagliante, improvvisa, violenta. Un fulmine? Un’illusione ottice?
Il Bifrost?
Loki scosse la testa con forza, “Thor! No, Thor!”
Aveva esaudito il suo desiderio, alla fine.
L’aveva fatto senza fare nessuno dei soliti capricci. Se n’era andato, l’aveva lasciato solo, come lui sempre aveva chiesto. Loki era libero, finalmente, da Odino, da Asgard, dal fratello che era divenuto sua ossessione, suo nemico, suo amante.
Loki non aveva più catene, non aveva più padroni, non aveva più limiti inviolabili tracciati dai sentimenti perché tutto finiva lì. Con Thor che se ne andava e Loki re di se stesso.
Era scritto nel destino.
Era scritto persino nella storia di Jotunheim e Asgard.
Era, semplicemente, così che doveva andare.
E a me non sta bene per niente! 
“Thor!” Non si fermò in tempo e finì con i piedi nell’acqua gelida del lago. La pioggia divenne più fitta, “Thor…” Non c’era alcuna traccia di suo fratello nei paraggi. Non era arrivato in tempo. Si lasciò cadere in ginocchio nell’acqua e si prese la testa tra le mani.
Perché faceva così?
Perché si sentiva morire?
Ti senti morire quando svanisce quell’illusione?
Ma la loro non era un’illusione!
La pioggia cadeva e Loki piangeva, piangeva e piangeva non riuscendo a dare ordine al caos che era divenuta la sua anima. 
“Thor!” Urlò con rabbia e disperazione.
“Sono qui, Loki…”
Nell'alzarsi e voltarsi rischiò quasi di cadere, ma due mani forti lo sorressero, due occhi azzurri lo rassicurarono.
Lo aveva già lasciato cadere una volta, Thor non avrebbe compiuto lo stesso errore due volte.
Non lo avrebbe lasciato andare. Mai.
Loki lo capì. Non aveva mai avuto intenzione di andarsene, voleva solo metterlo alla prova.
Thor aveva bisogno di vedere quel cuore che stringeva senza esserne consapevole.
Loki, invece, lo sapeva... L'aveva sempre saputo anche se aveva lottato per non accettarlo.
Ma ora... Ora che il freddo dell'abbandono l'aveva sfiorato ancora una volta, anche se solo in una dispettosa illusione, quelle mani calde erano le sole cose nell'intero universo a farlo sentirenal sicuro.
"Ti odio..." Mormorò Loki, ma le sue dita si aggrapparono con più forza alla felpa del suo principe, "ti odio..."
Thor sorrise, "ti amo, ti amo, ti amo..."
Solo le labbra di suo fratello ebbero il potere di farlo tacere.
 
Pioggia, pioggia.
Un tuono.
Ancora pioggia.
Loki tremava ma non per il freddo: riusciva solo a percepire il calore del corpo che ricopriva il suo, il profumo della sua pelle lo confondeva e, dove non potevano arrivare le mani di Thor, ci pensava la pioggia ad accarezzarlo, ad adorarlo, ad amarlo.
Suo fratello era bellissimo con i capelli gocciolanti e i muscoli lucidi. L’immagine perfetta della virilità, la rappresentazione del suo più antico e profondo desiderio. Loki lo baciava e, quando riprendeva fiato, cercava disperatamente i suoi occhi, perché solo quelle iridi blu in tempesta potevano stordirlo abbastanza da indurlo a lasciarsi andare tra le sua braccia.
Quelle dita esperte conoscevano il modo giusto per toccarlo ma erano caute, lente, delicate. Avevano impugnato un arma per secoli, Loki lo sapeva bene, aveva assaggiato quella violenza sulla sua pelle ma, in quel preciso istante, le pensò impossibili di compiere azioni simili.
Le mani di Thor erano quelle di un artista e Loki era la sua opera. La migliore. La più importante.
Tutto ciò che era venuto prima era servito solo a prepararlo a quel momento.
Ora, da uomo vero, consapevole del dolore e della sconfitta, come del rispetto e dell’umiltà, Thor sapeva come far sbocciare quel giovane corpo: petalo, dopo petalo, fino a renderlo il fiore più bello che in tutto l’universo si fosse mai visto.
Le labbra di Loki si schiudevano tremanti, le palpebre si abbassavano e, dopo poco, si riaprivano mostrando due iridi più verdi dell’erba bagnata su cui erano distesi.
Aveva paura, Thor.
Loki cercava di nascondere la sua.
Le loro dita si cercarono, si trovarono, s’intrecciarono. I loro occhi non si erano mai persi.
Thor gli sfiorò le labbra con le proprie.
Posso avere l’onore di amarti?
Loki rispose con un bacio altrettanto leggero, “Thor…” Lo chiamò.
Gli occhi blu si accesero di colpo.
Non ti fermare… Se ti fermi, mi uccidi…
“Thor…”
 
[Vananheim, secoli fa.]
 
Bestla li accolse con un sorriso perfettamemte costruito.
Si era accomodata su di una poltrona davanti al caminetto acceso e aveva dato ordine di portare vino e cibo.
Come se qualcuno di loro potesse avere lo forza di mangiare, dopo tutto il sangue che avevano lavato via.
"Coraggio, sedetevi."
Nàl si accomodò sulla seconda poltrona, dal lato opposto a quello di lei.
Odimo rimase in piedi al suo fianco.
"Di cosa volevi parlarci?" Chiese quest'ultimo.
"Non essere impaziente, tesoro, la storia che devo raccontarvi è molto lunga."
"Allora sbrighiamoci," fece pressione Nàl, "vorrei recarmi nella stanza della guarigione il più in fretta possibile."
"Il giovane Jotun se la caverà, se è questo che temi," rispose Bestla prontamente, "e la principessa non è rimasta sconvolto dalla dipartita del padre, quanto dal sapere che il suo unico amico giace in pessime condizioni."
"Nemmeno io piangerei mio padre," replicò Nàl, "questa notizia non mi sorprende affatto."
Bestala annuì, "tornamdo a noi... Nàl, hai fatto deinsogmi di recente?"
"Siate più precisa."
"Quando ti ho curato, deliravi qualcosa su di un bambino," ricordò lei.
"E voi eravate ben disposta a farlo rimanere un delirio, se non ricordo male."
La donna sospirò, "non essere così scontroso. Sono ancora dell'idea che un figlio vostro sarebbe solo causa di sofferenze inutili, non ve lo nascondo."
"Il tuo giudizio non influenza la nostra volotà, sappilo," Odino appoggiò una mano sulla spalla di Nàl ed il giovane Jotun l'afferrò.
"Non lo pretendo, figlio mio," Bestla afferrò un calice e si versò del vino, "ho solo bisogno di sapere se il tuoncompno vede quella creatura che tanto desiderate nei suoi sogni."
"Non ne vedo solo una, in reltà," confessò Nàl.
"E non li vede solo lui," aggiunse Odino.
Bestla sembrava sorpresa, "quanti per l'esattezza."
"Due," risposero i due principi all'unisono.
"Thor e Loki," completò Odino con un sorriso talmemte orgoglioso da sembrare ebete. Nàl gli lanciò un'occhiata storta, "una volta... Una sola volta, mi è capitato di vederne quattro."
Odino lo guardò esterrefatto.
"Una sola volta può non avere significato," disse Bestla, "sono i sogni ricorrenti che c'interessano."
"Loki è sempre presente nei miei sogni. In età diverse, forse... Ma è sempre davanti a me e lo vedo chiaramemte come ora vedo voi."
Bestla fece un smorfia, "Loki..." Ripetè, "nome umile per il principe di due regni..."
"Tieni per te i tuoi commenti," l'avvisò Odino.
"È l'unico nome che mi sentirei onorato di dare a mio figlio," sottolineò il principe di Jotunheim.
"Oh, se vi fa piacere chiamare il vostro bambino come l'animale da compagnia..."
Odino scattò in vanati, Nàl gli afferrò il polso ma non celò il disgusto riflesso nei suoi occhi, "non so come mi facciate più schifo, se come madre o se come Jotun."
"Com'è Loki nei tuoi sogni, Nàl?"
"Assomiglia a lui," rispose Odino guardando il proprio compagno, "stessi capelli corvini, stessi occhi verdi... So già che mi farà impazzire, quando nascerà."
Nàl ghignò, "perchè sarà troppo bello o troppo intelligente?"
"Perchè sarà entrambe le cose e questo lo renderà tremendamente pericoloso, io ne so qualcosa."
Bestla rise interrompendo quella piccola parentesi di tenerezza, "sai, Nàl, ti credevo troppo razionale per fantasticare su cose inesistenti."
"Loki non è inesistente!"
"Ah, no? E come lo sai?"
"Perchè..." Nàl non possedeva una risposta reale, "perchè lo so e basta."
"Uhm... Un po' deboluccia come ragione."
"Ora basta!" Tuonò Odino, "dicci quello che devi e vattene."
La donna sorrise con accondiscendenza, "scommetto che, entrambi, avete delle domande da farmi riguardo a ciò che è accaduto la scorsa notte."
Nàl la squadrò per un istante, "che cosa significa Caos?"
Bestla annuì, "domanda diretta... Bene, Nàl... Njord era convinto che questo sia il vero nome di Loki o..."
"Thor..." Sibilò Odino.
"E la Fine?" Insistette Nàl, "di cosa si tratta?"
"Esattamemte quello che sembra," rispose Bestla, "la fine... La conclusione di ogni cosa. Di ogni tempo, di ogni luogo..."
"Ragnarok," pensò Odino ad alta voce.
Bestla annuì, "esattamente..."
Nàl sbuffò, "so cosa è il Ragnarok e so che Njord era un folle, ma non vedo come una leggenda catastrofica possa..."
Bestla alzò l'indice muovendolo ritmicamente a destra e sinistra, "il Ragnarok non è una leggenda, bambino... È una profezia."
Nàl guardò Odino, "che cosa significa?"
"Mio padre me lo raccontò così: disse che sotto l'Albero del mondo vivono tre divinitànalndi sopra delle divinità stesse, le Norne."
"Le tessitrici del destino," aggiunse Bestla, "loro sono l'unica cosa a ricordare agli Aesir e a tutti i grandi Regni che non esiste alcuna immortlità, nemmenonper loro. Giochiamo tutti a fare le entità superiori con esseri arretrati, come gli esseri umani ma il filo della nostra esistenza e finito quanto il loro, è solo più difficile da tagliare."
"E questa Fine dovrebbe essere il fantomatico evento in grado di spezzarli tutti?"
"Non è così semplice, Laufey," intervenne Odino, "il Ragnarok non è una guerra qualsiasi, è quella in cui è la realtà stessa a sgretolarsi per rinascere dalle sue stesse macerie."
Nàl riflettè per un istante, "ma che cos'ha a che fare il mio bambino con tutto questo?"
"Caos..." Ripetè Bestla alzandosi in piedi ed avvicinandosi alla balconata, "accadde moltissimo tempo fa ma io, Borr e Ymir ce lo ricordiamo bene. Quel che accaddenquel giorno, segnò definitivamente il destino di Jotunheim e della sua gente agli occhi dei Nove."
"Spiegati," le ordinò Nàl.
"Tutte le personalità dei Regni che contassero vennero chiamate a riunirsi sotto l'Albero perchè una nuova profezia era stata tessuta nel complicato stendardo del destino," raccontò la donna con aria grave, "quel giorno, le Norne dissero che il Ragnarok era alle porte, che sarebbe iniziato lentamente, nell'ombra e che si sarebbe scatenato in tutta la sua gloria distruttiva solo quando sarebbe stato troppo tardi per porvi rimedio."
"Che cosa avevano predetto per poter dire una cosa del genere?" Domandò Odino.
Bestla li guardò con attenzione, prima di rispondere, "la nascita del portatore del Caos."
 
 
***
Varie ed eventuali note:
Salve gente.
Ho riscritto questo capitolo 4 volte e ho sentito il bisogno di fare una pausa tra la terza e la quarta stesura per evitare di buttare tutto dalla finestra! Alla fine qui trovate solo metà di quello che questo capitolo doveva effettivamente raccontare.
Rimando tutte le note accumulate al prossimo aggiornamento che GIURO sarà a breve.
Ringrazio immensamente tutti quelli che si sono interessati del destino di questa fafiction privatamente e tutti i meravigliosi recensori.
 
  
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