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Autore: Fiby_Elle    16/12/2013    3 recensioni
Dopo una disastrosa cena di lavoro con i colleghi di Sebastian, lui e Blaine si ritrovano a litigare in macchina, mentre ritornano a casa.
Non sanno ancora che quella sarà l'ultima volta nella loro vita.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Sebastian Smythe | Coppie: Blaine/Sebastian
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Questa fan fiction partecipa alla sfida a tema, indetta dal gruppo Seblaine Events.
 
 
 
 
Prompt: angst + conchiglia
Note autore: la fan fiction è stata scritta in un’ora e mezza, molto di getto, dopo aver rivisto alcune puntate di Grey’s Anatomy, che ovviamente mi hanno ispirata. Questo per dirvi di essere clementi con me! :P
Buona lettura.  

 
 
 
 
 
 
DEATH AND ALL HIS FRIENDS
 
 
La vita dell’uomo è fatta di scelte
sì o no.
Dentro o fuori.
Su o giù.
E poi ci sono le scelte che contano.
 Amare o odiare.
Essere un eroe o essere un codardo.
Combattere o arrendersi.
Vivere o morire.
Vivere
o
morire.
 
 

Blaine chiuse la portiera dell’auto, controllò la posizione dello specchietto retrovisore, buttando un occhio sull’asfalto dietro, mentre si sistemava la cintura di sicurezza; dopodiché infilò le chiavi per mettere in moto, tintinnando nervosamente le dita già ancorate al volante.
Accanto a lui, Sebastian si sedette in silenzio, ma non fece in tempo a tirar dentro la giacca e chiudere lo sportello, che l’Audi nera sgommò nel silenzioso parcheggio del Seven, un ristorantino dalla cucina rustica sulla statale 128, poco fuori la caotica città di New York.
Di sfuggita, riuscì a scorgere le sagome dei suoi colleghi di lavoro, ancora intenti a chiacchierare e scambiarsi gli ultimi saluti, fuori le porte del locale.
A quel punto, Sebastian avrebbe voluto girarsi e far presente al suo fidanzato che gli sarebbe piaciuto rimanere un altro po’ con loro, magari fumarsi una sigaretta e scoprire qualche altro gossip a luci rosse sulle segretarie dell’ufficio; poi però notò la sua mascella tesa, le sue mani aggrappate al volante quasi volesse stritolarlo e decise di lasciar perdere, tornando a guardare la strada.
Blaine odiava queste cene, cercava sempre di evitarle per quanto possibile, ma quella prima di Natale era una tradizione, in pratica partecipava tutto lo studio legale, dove lavorava Sebastian e non presenziare sarebbe sembrato maleducato, una mancanza di rispetto nei confronti degli “amici” sempre tanto gentili.
A Blaine sinceramente, non fregava un bel niente di cosa pensassero di lui i colleghi del suo fidanzato: detestava doversi fingere interessato ai loro discorsi sulle procedure penali, sebbene non ne capisse neanche una parola, lo mandava in bestia il loro modo di atteggiarsi a “grandi professionisti”, “grandi uomini d’affari”, per non parlare del tono quasi di sufficienza con cui si rivolgevano a lui –povero attoruccio di musical, senza troppo successo- oppure degli sguardi che le donne lanciavano a Sebastian, come se lui non esistesse o non fossero a conoscenza della sua omosessualità.
Sebastian, in quelle occasioni, cercava in tutti i modi di metterlo a suo agio, di dargli la forza per resistere, e la maggior parte del tempo ci riusciva anche, con un bacio -per zittire quelle oche maledette!- o con una semplice stretta alla gamba, per fargli sapere che lui era sempre lì, vicino a lui.
Ma c’era una cosa che neanche Sebastian poteva evitare, o per meglio dire, una persona.
Hunter Clarington.
Hunter Clarington, come Blaine ricordava perfettamente, era entrato alla Dalton -e nelle loro vite- l’ultimo anno di scuola. Mentre Blaine aveva declinato l’invito di ritornare negli Usignoli e aveva concluso il liceo alla scuola pubblica, lui e Sebastian si erano messi insieme per un lungo periodo di tempo, avevano deciso di iscriversi nella medesima facoltà di giurisprudenza e nonostante Sebastian avesse poi ritrovato Blaine, erano rimasti amici, fino addirittura a ritrovarsi come colleghi d’ufficio nello stesso prestigioso studio legale.
Ovviamente, Blaine si fidava del suo fidanzato: Sebastian gli assicurava in continuazione che quello che ormai lo legava all’ex capitano dei Warblers non era altro che una solida amicizia, rafforzata e forzata dalla routine sul luogo di lavoro e lo stesso Hunter era in procinto di sposarsi con una bella dottoressa, conosciuta per una divertente serie di equivoci, al pronto soccorso, ma a Blaine tutto questo non riusciva ad importare.
A lui la presenza di Clarington sarebbe sempre risultata indigesta.
Era nel modo in cui si rivolgeva a Sebastian, quella confidenza, quel modo di toccarlo.
Hunter parlava al suo fidanzato come se ne conoscesse tutti i segreti, ogni volta se ne usciva con il ricordo di qualche loro rocambolesca avventura del college e Blaine non poteva non sentirsi escluso, come un terzo incomodo in un adorabile quadretto familiare.
Se per lui alcuni atteggiamenti di Sebastian continuavo ad essere un mistero, per Hunter erano un libro aperto: sapevano capirsi con uno sguardo, con un cenno del capo e lui ce la metteva tutta per sorridere e far finta di niente, ci provava davvero, ma la verità era che odiava ogni stramaledetto respiro, ogni stramaledetta sillaba pronunciata da Hunter Clarington.
Provò a distrarsi, concentrandosi sulla strada buia innanzi a sé o sulle mille luci di New York, visibili da quella altezza, ma tutto ciò che ottenne fu di irritarsi ancora di più.
Per completare il quadro di quella serata del cavolo, i colleghi di Sebastian avevano deciso di vedersi in un locale fuori mano, lontano e difficile da raggiungere, neanche si fossero messi di impegno a fargli saltare i nervi, con tutti i ristoranti esclusivi che c’erano a Manhattan.
All’improvviso, nel silenzio tesissimo della loro auto, la vibrazione del cellulare di Sebastian, li informò di un messaggio.
“È Hunter! Vuole sapere perché siamo scappati via…”
E Blaine Anderson si considerava una persona paziente, la più dolce e paziente su questa faccia della Terra, ma proprio non ce la fece più.
Non lasciò il tempo a Sebastian neanche di finire la frase, che gli strappò il cellulare di mano, aprì il finestrino e lo lanciò giù.
Il ragazzo a fianco ci mise qualche secondo per capire quello che era appena successo.
Poi andò su tutte le furie.
“Blaine! Ma che cazzo fai?!”
“Se sento il nome Hunter, ancora un’altra volta, giuro che ti mollo qui! Faccio le valige e me ne vado dai miei!”
Sebastian sbuffò esasperato e incrociò le braccia al petto, fissando il profilo dell’altro ragazzo.
“Ti prego, Blaine! Ti prego! Dimmi che non stiamo affrontando per la milionesima volta questo argomento! Non ne posso più!”
Blaine rise amaramente e scosse la testa.
“Ah tu non ne puoi più, Sebastian? Tu?! Perché quando torniamo a casa non mi fai un bell’elenco di tutti i posti in cui tu e il caro Hunter avete scopato alla Dalton e alla facoltà di legge! Così la prossima volta sono preparato ad uno dei suoi incantevoli e dettagliatissimi ricordi del college!”
Sebastian stavolta rimase in silenzio, incapace di controbattere quella affermazione, così tornò a guardare verso il suo finestrino, piuttosto seccato.
“Lo sai che è una storia vecchia, morta e sepolta…” disse, con voce più flebile, appannando il vetro innanzi a lui.
“No, non è una storia vecchia, Sebastian. È una storia attuale, una storia che ci sarà sempre, perché fa parte della tua vita…”
Di nuovo, il ragazzo al suo fianco scattò.
“E cosa suggerisci di fare allora? Che torni indietro nel tempo? Che costruisca una cazzo di bacchetta magica e convinca il giovane Hunter a non trasferirsi mai alla Dalton?” urlò quello, fissando gli occhi di Blaine che nel frattempo erano diventati lucidi, si erano riempiti di lacrime. Si portò una mano tra i capelli, scosse la testa affranto. “Te lo giuro, Blaine… io… te lo giuro. Se ci fosse un solo modo per resettare tutto, una pozione che faccia dimenticare a me e ad Hunter del passato e farti capire così che io sono solo tuo –solo e unicamente tuo!- e ti amo – da morire!- io la berrei. La berrei senza pensarci due volte.” Si tolse la cintura di sicurezza, girò il corpo quasi completamente verso l’altro, il quale si ostinava a non guardarlo, a tenere gli occhi fissi sulla strada. “Ma non c’è questa pozione, Blaine. Non esiste ed io non so farla. Perciò ti prego, dimmi cosa devo fare. Dimmi cosa devo fare per convincerti che non vado da nessuna parte. Dimmi come faccio a dimostrati che ti amo.”
Blaine si asciugò le lacrime col pollice e rimase in silenzio, con le nocche ormai pallide intorno al volante.
Un fiocco di neve li informò di una nevicata imminente, le luci della città diventavano ormai sempre più nitide e vicine; provò a rilassare le spalle e il ritmo del suo cuore gli arrivò all’orecchio, lento e potente.
Poi, semplicemente, si voltò verso Sebastian.
“Sposami.”
Come prevedeva, il ragazzo sgranò i suoi occhi verdi, schiuse un poco le labbra screpolate dal freddo, sbatté le palpebre un paio di volte, come se non avesse recepito bene la parola appena pronunciata.  
“Io ti amo, Sebastian Smythe e voglio passare il resto della mia vita con te, perciò… sposami. Mettimi una fede. Fammi diventare tuo marito.”
Rimasero a osservarsi in silenzio, per un’infinita manciata di secondi.
Nessuno dei due aveva la forza di proferire una parola, chi perché ancora terrorizzato da ciò che aveva appena detto, chi perché ancora del tutto incredulo, incapace di assorbire quella valanga di sensazioni, che t’un tratto sembravano averlo investito, contrastanti e ingarbugliate. Negli occhi verdi di Sebastian, Blaine scorse così tante sfumature differenti che per un attimo ebbe il timore di vederlo scoppiare, perché, si diceva, un solo essere umano non poteva contenere tutte quelle emozioni contemporaneamente, era impossibile, forse addirittura mortale.
Ma il cuore di Sebastian non scoppiò. Non cedette.
A un certo punto, il ritmo della sua corsa cominciò a rallentare, fino a somigliare a una specie di singhiozzo e il suo volto contratto si addolcì, disegnando un sorriso caldo e famigliare.
Aprì la bocca.
La sua voce era un sussurro.
“Blaine…”
Poi fu tutto troppo rapido.
Blaine si accorse di aver invaso la corsia opposta solo dopo la curva, quando evitare l’altra macchina, era impossibile.
 Ci provò ugualmente, sterzando di colpo, ma tutto ciò che ottenne fu di urtarla solo con la parte destra dell’automobile ed essere sbalzato verso il cavalcavia, a una velocità e a una potenza troppo elevate per pensare che la lastra di metallo avrebbe attutito il colpo.
L’Audi nera si rivoltò lungo il piccolo pendio, come fosse una centrifuga –sotto e sopra, sopra e sotto- fin quando finalmente si arrestò capovolta sull’asfalto di un’altra strada.
Blaine tossì forte, per il fumo che cominciava a uscire dal motore e per la cintura di sicurezza, che lo aveva tenuto incollato al sedile durante la colluttazione, ma che adesso sembrava essersi impressa sulla sua carne.
Non c’era un solo muscolo del suo corpo che non stesse bruciando come fuoco, preso com’era dallo shock non riusciva a muoversi, né a pensare coerentemente; guardava innanzi a sé, verso la strada, senza tuttavia vederla davvero e intanto tremava, così forte da sembrare in preda ad una crisi epilettica, con le mani ancora strette intorno al volante.
Poi, un lampo di ragione, raggiunse il suo cervello in blackout.
“Sebastian…”
Voltò solo il capo, lentamente, come a prendere tempo.
Come a cercare di prepararsi psicologicamente alla scena che si sarebbe trovato di fianco.
Ma la verità era che, un’intera vita umana non gli sarebbe bastata per prepararsi a una cosa simile.
Un secolo.
Un millennio.
Non sarebbero stati abbastanza.
Perché Sebastian aveva tolto la cintura, prima, mentre stavano litigando.
E quindi niente lo aveva tenuto bloccato al sedile.
Niente si era messo tra il parabrezza e il suo corpo.
Nessun appiglio.
Nessun laccio.
Nessuna catena.
La sua testa aveva rotto il vetro.
Il suo petto doveva aver sbattuto contro il cruscotto una, due, cento volte.
La sua faccia era una maschera di sangue rosso e schegge.
Respirava a fatica, lentamente, come una specie di rantolo.
“Sebastian! Sebastian!” urlò Blaine e si slacciò la cintura, gli prese il viso, provò a scrollarlo un poco, ma non ottenne risposta.
Mosse le gambe in avanscoperta, per constatare che non ci fosse nulla di rotto. Sembrava tutto a posto, se non la spalla, ma adesso non aveva importanza, perché la benzina aveva cominciato a colare dal serbatoio e se non uscivano da lì, da quella trappola di metallo, sarebbero saltati in aria.
Con un calcio, Blaine sfondò la portiera e cominciò a tirare Sebastian con sé, per trascinarlo all’aperto.
Ma era difficile, dannatamente difficile, perché Sebastian era alto, molto più di lui, e svenuto e pesante come dieci tonnellate, in quel momento e lui non era forte abbastanza.
Non era forte abbastanza per salvarlo.
“Ti scongiuro, Sebastian! Ti scongiuro svegliati! Svegliati!”
Delle gocce d’acqua caddero sulla sua mano.
Sollevò il viso verso il cielo, nero e beffardamente placido sopra di sé, aspettandosi di vedere la pioggia.
Non si era nemmeno accorto di aver cominciato a piangere.
“Ti prego! Ti prego!”
Continuò a urlare, imperterrito, fino a raschiarsi la gola, la bocca impastata di saliva e lacrime.
Riuscì ad arrivare fino al ciglio della strada, poi stramazzò a terra, accanto al corpo sempre inerme di Sebastian.
Dietro di loro, l’Audi nera prese fuoco.
“Sebastian… Sebastian…” sussurrò stavolta, senza più la forza di gridare.
Gli prese la testa e se la poggiò in grembo, ripulì la sua guancia dai frammenti di vetro con attenzione metodica, nonostante le mani tremanti. Così prese a scostargli i capelli dal viso con dolcezza, quasi fosse una madre al funerale del bambino.
“Ti prego, Bas. Non farmi questo. Lo so che sei arrabbiato. Lo so che non dovevo urlarti contro. Ma ti prego, non mi fare questo. Ammazzami. Prendi una pistola e ammazzami. Buttami nel fuoco. Buttami nel fuoco, ti scongiuro. Ma non mi fare questo. Non mi fare questo! Io e te ci dobbiamo sposare! Non ti posso vedere morire! Ammazzami, ti prego! Se proprio devi morire, ammazzami adesso! Così non ti vedo! Ti prego! Ti prego!”
Non aveva la più pallida idea di quello che stava dicendo.
L’unica cosa che sapeva, era che non poteva finire così.
Era troppo ingiusto.
Troppo sbagliato.
Troppo stupido.
L’amore della sua vita non poteva morirgli in braccio.
Mentre lui lo stava a guardare, senza poter fare niente.
Non era possibile.
Non era leale.
Non doveva accadere.
“Blaine…”
Blaine quasi sussultò a sentire pronunciare il suo nome e guardò in basso, asciugandosi velocemente l’oceano di lacrime che gli appannava la vista.
Sebastian ansimava lento, come gli costasse una fatica immensa, lo spazio tra le sue palpebre schiuse era talmente sottile da non poter distinguere la pupila e la bocca riusciva a muoversi a stento, tanto che Blaine ebbe il dubbio di essersi solo immaginato quel sussurro.
Ma poi, “Blaine…” chiamò di nuovo e quello rise istericamente, stringendogli forte la mano.
“Andrà tutto bene, amore mio, te lo prometto. Tra un po’ torniamo a casa. Andrà tutto bene e tra un po’ saremo a casa.” disse Blaine, baciandogli il polso, convinto come non mai di quella promessa troppo difficile.
Sebastian, tuttavia, non sembrò dello stesso avviso, scosse la testa in segno di diniego, mentre le sue labbra si tendevano in una specie di sorriso, appena percettibile.
“No, Blaine. Noi non andremo a casa…” affermò sereno, senza neanche un’ombra di timore nella voce “Per questo è necessario che io lo faccia…”
Sotto lo sguardo incredulo e carico di lacrime di Blaine, Sebastian sfilò la mano dalla sua e corse lentamente fino al collo. A fatica, le dita scavarono tra le stoffe dei colletti, pregni di sangue e di sudore, finché non arrivarono a cogliere la conchiglia d’argento che Sebastian era solito portare sempre addosso. Blaine conosceva bene quel piccolo ciondolo: era un regalo della nonna, l’unica persona che nella vita di Sebastian avesse mai rappresentato una famiglia; la portava continuamente, perfino mentre facevano l’amore o andavano a dormire e Blaine si divertiva spesso a rigirarsela tra le mani quando era accoccolato a lui, o semplicemente ad ammirare il contrasto tra il colore freddo della conchiglia e la pelle ambrata del ragazzo.   
 Sebastian se la staccò dal collo con uno strattone fin troppo deciso per le sue condizioni, poi riprese con sé la mano di Blaine.
“Ti amo…” sussurrò e ormai allo stremo delle forze, individuò l’anulare dell’altro e maldestramente lo circondò con la preziosa catenina, come una specie di anello “La mia risposta è sì…”
Blaine scoppiò a ridere e piangere contemporaneamente.
Si sporse ad abbracciare Sebastian, a baciarlo sulla bocca, nonostante fosse sporca di sangue e di asfalto.
Lo strinse a sé forte, fortissimo, nella speranza così di tenerlo con sé e non lasciarlo andare via.
Ma fu tutto inutile.
L’ambulanza arrivò qualche minuto dopo, seguita dalle macchine della polizia e altri sciacalli venuti a curiosare le dinamiche dell’incidente.
L’ultimo respiro di Sebastian fu sulle labbra di Blaine -l’unico uomo che lui avesse mai amato- e forse per questo sulla sua bocca rimase il fantasma di un sorriso, tanto che la sua morte somigliava a un sonno quieto, a una specie di resa.
Per staccare Blaine dal suo corpo ci vollero cinque uomini e fu come strappare un osso dal corpo a mani nude.
Come affondare le unghie nella carne e privarsi delle proprie viscere.
Sull’ambulanza dove lo portarono, Blaine si chiese se mai si potesse morire dal dolore.
La conchiglia al suo anulare scintillò.
 
 
Te lo ripeterò ancora una volta.
Per essere sicuro che tu abbia capito.
La vita è fatta di scelte.
Vivere o morire.
Non sempre, purtroppo, dipende da noi.
 
 
 
   
 
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