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Autore: Mariam Kasinaga    19/12/2013    0 recensioni
la storia è ambientata in un villaggio indiano al limitare una foresta, dove vivono delle creature sovrannaturali, i Wendigo. Protagonista è Naj, un ragazzo che viene esiliato proprio nella foresta, dato che è ritenuto colpevole di omicidio.
Genere: Dark, Drammatico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 2-Esilio

“Per favore, vi prego, è solo un ragazzo!” urlò la donna, mentre due uomini la tenevano per la vita, impedendole di lanciarsi ad abbracciare suo figlio. Naj osservò sua madre graffiare e mordere le persone che la bloccavano, mentre delle forti mani lo tenevano fermo per le spalle, spingendolo oltre le case del villaggio. Guardò la folla radunarsi attorno a lui, reggendo le torce che illuminavano l’oscurità della notte, proiettando al suolo le ombre minacciose di tutti coloro che si trovavano in quel luogo. Osservava la scena con distacco, come se non fosse lui che stavano esiliando, condannandolo a vivere per sempre nella foresta, senza possibilità di ritornare in quella che aveva imparato a chiamare “casa”. Si sentiva completamente separato da quel corpo che veniva trascinato in tutte le direzioni, mentre suo nonno continuava a scuotere la testa trascinandolo per una manica, ripetendo frasi sconnesse: “Non diventare come loro, ragazzo. Ricordati quello che ti ho detto!” continuava a mormorare, come se si trattasse di una sorta di mantra. Il ragazzo tentò di osservarsi dall’esterno, tentando di ignorare i pensieri che continuavano a ronzargli in testa, impedendogli di pensare lucidamente: vide un ragazzo gracile, gli occhi verdi che scintillavano alla luce delle fiamme che danzavano attorno a lui. Aveva i capelli neri arruffati ed appiccicati alla pelle sudata per il terrore, dato che erano venuti a prenderlo nel cuore della notte, bussando con forza alla casa dove, fino a poche ore prima, stava serenamente dormendo con sua madre.
Sentì un urlo sovrastare la confusione della folla, mentre la vide divincolarsi dalla presa e correre verso di lui. Fu un attimo, la sensazione che una scossa gli stesse attraversando ogni singolo nervo del suo corpo, allontanando il torpore dal suo cervello. “Mamma!” gridò a sua volta, tendendo un braccio verso di lei. Agitò la mano nel vuoto per qualche secondo, tentando di opporre resistenza all’uomo che lo stava trascinando via: vide il volto di sua madre in lacrime tra la folla, mentre cercava inutilmente di raggiungerlo e contemplò con orrore la disperazione nei suoi occhi. “Ti voglio bene” furono le uniche parole che riuscì a sentire, prima che un turbinio di persone la inghiottisse nuovamente, nascondendola alla sua vista. Il ragazzo scalciò e cominciò a divincolarsi, mentre nella sua mente si accalcavano le storie che aveva sentito nella riserva: “Hanno il cuore di ghiaccio, l’unico modo di uccidere uno di loro è usare del fuoco. Ricorda, se per nutrirti mangi la carne di qualche malcapitato morto assiderato, diventerai come loro”.
Non aveva pura del freddo, né di non riuscire a sopravvivere senza il sostegno della comunità. C’era solo un pericolo, insidioso e letale, a cui nemmeno suo padre aveva potuto insegnare a proteggersi: quando scendeva la notte, quando i predatori uscivano dalle loro tane per nutrirsi, loro vagavano senza meta tra gli alberi contorti della foresta, uccidendo ogni cosa capitasse sulla loro strada.
L’unica possibilità era uscire dalla foresta, tentare di raggiungere la strada che avevano costruito i bianchi sopravvivere nel mondo al di fuori della riserva. Si irrigidì all’improvviso, pensando a quanto fosse stupida quell’idea: non sarebbe mai riuscito a percorrere indenne tutti quei chilometri. “Mi state condannando a morte! Lasciate che faccia giorno! Mi caccerete quando sarà spuntato il sole!” cominciò a gridare. In un giorno ci sarebbe riuscito, se solo gliel’avessero concesso!
Un uomo si staccò dalla folla, sputandogli in faccia: “Tu hai ucciso mio figlio! Non resterai qui un giorno di più! Cresci e sii uomo, non crederai davvero a tutte quelle stronzate che ti ha raccontato tuo nonno?” domandò, mentre la puzza di alchool investiva il volto di Naj. Il ragazzo lo guardò con odio: “E’ stato un incidente” ripeté per l’ennesima volta. Pronunciava quella frase da giorni ormai, da quando era stato trovato con una vecchia Colt in mano ed il cadavere del suo migliore amico riverso ai suoi piedi in una pozza di sangue. “Stavamo solo giocando, non sapevamo fosse carica” concluse singhiozzante, un attimo prima che l’uomo lo schiaffeggiasse con forza sulla guancia. Sentì la pelle arroventarsi in quel punto e cercò disperatamente il volto di sua madre, inutilmente. Non era un assassino, non avrebbe avuto alcun motivo per uccidere la persona a cui voleva bene come un fratello.
“Sono innocente” mormorò, ormai privo di forza, mentre alcuni uomini lo trasportavano di peso fino al margine della foresta. Lo lasciarono andare di colpò ed il ragazzo si ritrovò a boccheggiare nel fango, disteso a terra. “Vattene!” disse uno, dandogli un calcio. Naj si alzò faticosamente, facendo un timido passo in direzione della gente del villaggio: “Per favore, mi serve tempo fino all’alba” supplicò. Li guardò in faccia uno ad uno e non riuscì a leggere sui loro volti nient’altro che odio: “Non sono un assassino” disse, avanzando ancora. Vide sua mamma discutere animatamente con delle persone, indicando prima lui poi la foresta, mentre le lacrime le scendevano lungo le guance. L’uomo che l’aveva calciato lo spinse in malo modo: “Conosci le regole della tribù. Devi pagare” commentò lapidario, indicandogli la foresta. Naj rimase immobile per qualche secondo, osservando come la luce delle torce riflettesse sui vetri delle finestre ed illuminasse gli occhi pieni d’astio dei presenti. Aprì la bocca per parlare, per tentare di discolparsi ancora una volta, ma decise di rinunciare. Si voltò e cominciò a camminare nell’oscurità, mentre le grida di sua madre continuavano a rimbombargli nelle orecchie. 

   
 
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