*spunta fuori dallo schermo*
E tra tante fic di
Natale spunto fuori io
con una bella angst… Ok, diciamo che le interrogazioni di inglese non fanno bene alla salute. E neanche I video su
YouTube.
Anyway… questa
cosa è nata dopo aver visto questo video, che vi consiglio di
guardare alla fine per evitare di spoilerarvi
qualcosa.
Per il resto ci tengo a dirvi
che questa è la prima volta che scrivo
una angst, per cui non sono
certa del risultato. La mia beta ha detto che le è venuto il magone
e sinceramente le credo, ma non so cosa potrete dirmi
voi al riguardo xD
E già che ci siamo
devo ringraziare la mia betalla (con questa storia inauguriamo
la collaborazione(?) che mi ha corretto,
letto, riletto, ucciso svariate volte,
ecc… Un grazie di cuore, sperando
che questa non sia anche l’ultima
volta ;)
Ditto questo
vi auguro una buona lettura :D
Gage.
«*«
And I’m damned if I do and I’m damned if I don’t
So here’s to drinks in the dark at the end of my
road
And I’m ready to suffer and I’m ready to hope
It’s a shot in the dark and right at my throat
Cause looking for heaven, for the devil in me
Looking for heaven, for the devil in me
Well what the hell I’m gonna
let it happen to me
(Shake it up, Florence
and The machine)
Trust
Disturbo post-traumatico da
stress
Grave disturbo d'ansia che può svilupparsi in
conseguenza a un fattore traumatico estremo, in cui la persona ha vissuto, ha
assistito, o si è confrontata con un evento o con eventi
che hanno implicato morte, o minaccia di morte, o gravi lesioni, o una minaccia
all’integrità fisica propria o di altri.
«Come va il suo blog?»
«Bene…»
«Non ha ancora scritto niente, vero?»
Abbassi lo sguardo. No, non lo hai ancora fatto.
«Lei è un soldato, John… e le servirà del tempo per
riadattarsi alla vita civile. Scrivere un blog su ciò che le succede, le
sarebbe davvero molto utile.»
«Non mi succede niente, mi creda.» dici, ed è la
pura verità.
~*~
«John! John Watson!»
Ti fermi sul posto e ti giri, appoggiando il tuo
peso al bastone per non sforzare la gamba.
«Stamford, Mike Stamford… andavamo insieme al Barts.»
«Ah sì.» Ora ricordi e gli stringi la mano.
Diavolo se è ingrassato.
Speravi di fare la tua camminata mattutina per
tornare poi nel tuo appartamento claustrofobico e iniziare quel cavolo di blog,
mentre invece ti ritrovi a bere un caffè con un tuo
vecchio amico, seduto sulla panchina di un parco e per un attimo ti sembra di
essere tornato alla vecchia vita, prima dell’ Afghanistan.
«Dovresti trovare un coinquilino…»
«Oh andiamo… chi mi vorrebbe come coinquilino?»
Ride.
«Che c’è?»
«Sei la seconda persona che me lo dice oggi.»
Lo guardi storto, sei sicuro che stia
scherzando... Ma lui continua a guardare divertito la
tua espressione perplessa senza negare. È solo così che domandi: «Chi è stato
il primo?»
~*~
The
personal Blog of Dr. John H.
Watson
29th January
Uno studio in rosa
Beh, Ella, spero tu sia contenta
ora. Sto aggiornando il mio blog, visto?
È accaduto tutto così in fretta che fatico
ancora a credere che sia realmente
successo. L’ho conosciuto solo un paio di giorni fa e ora viviamo insieme,
ma andiamo con calma.
Si chiama Sherlock Holmes e l’ho incontrato al Barts, grazie a Mike. Spero di poterti ringraziare un
giorno per questo.
È andato tutto più o meno così.
Sono entrato nel laboratorio dell’ospedale e nel giro di dieci minuti Holmes è
riuscito a capire più cose sulla mia vita di quanto abbia fatto
io ci sia riuscito io in tutto questo tempo. È
stato davvero sorprendente, anche se all’inizio ero abbastanza incredulo.
Quando mi ha spiegato come ha fatto sono rimasto
basito dalla semplicità, ma anche dall’estrema precisione delle sue deduzioni.
Se volete farvi un’idea di quello che fa il mio nuovo
coinquilino provate ad andare sul suo sito personale, “La scienza della
deduzione”. Vi assicuro che tutto quello che dice è
vero, sa farlo.
Come faccio ad esserne così
sicuro? Beh, oltre al riassunto della mia vita in meno di due minuti, ho
assistito ad un reale caso di omicidio, o meglio,
omicidi seriali. Sì, esattamente quello di cui tutti parlano da qualche giorno
a questa parte. Non scherzo se vi dico che è riuscito a risolvere il tutto nel
giro di una serata.
Altro che Scotland Yard, il suo lavoro è stato del tutto
veloce e privo di qualsiasi errore. Sono rimasto veramente colpito dal suo modo
di fare, piuttosto eccentrico e irriverente, lo ammetto, ma mi piace. Cioè, nel
senso, è un buon coinquilino. Credo che non mi annoierò con lui.
E la cosa più sorprendente è che sembra avermi curato la
gamba. Sì, ecco, sono tornato dall’Afghanistan con un problema psicosomatico, e
nel giro di un’ora sembra essermi passato. Evidentemente Sherlock ha realmente
compreso la causa del mio dolore e ha fatto in modo che passasse. Non so come,
ma l’altra sera mi sono sentito finalmente libero. Ho corso per le strade di
Londra come se non fosse mai accaduto niente e… mi sono divertito. Qualche birra
al bar con gli amici, o una qualche serata al cinema con una ragazza, o che
altro… tutto questo non è niente in confronto a quanto sono riuscito a fare ieri.
È stato tutto così… eccitante.
Il DI Lestrade di Scotland Yard
ci ha fatti entrare nell’appartamento dov’è stato trovato il corpo della donna
e lì ho fatto il mio dovere di dottore. Naturalmente quello che ho detto non è
bastato a Sherlock Holmes.
Fino a quel momento non avevo ancora compreso a pieno
tutti gli aspetti della sua genialità, ma poi, arrivati sulla scena del crimine,
ha girato per la stanza e osservato la donna per qualche minuto, poi è partito in
quarta, deducendo che lavorava nel cinema e che veniva da Cardiff (guardando
com’era vestita e quanto e dove era bagnata), che era sposata e con numerosi
amanti, e che aveva avuto una valigia. Ma nessuno
aveva trovato una valigia di fianco al corpo. Ovviamente Sherlock ha capito che
se non era lì doveva avercela ancora l’assassino, così e corso via a cercarla.
Ammetto che in quel momento l’ho quasi odiato, ma poi alcuni eventi mi hanno
fatto capire che era meglio se tornavo da lui.
Ho mandato un messaggio all’assassino usando il telefono
della vittima (ero abbastanza spaventato in quel momento) e poi siamo usciti
per cercarlo. Siamo rimasti appostati per qualche decina di minuti in un bar,
ci siamo lanciati all’inseguimento di un taxi per le vie di Londra (che
Sherlock sapeva a memoria!), fino a scoprire di essere in errore.
Quando siamo tornati a casa
l’ispettore e tutta la troupe erano lì, ma non posso dire il perché e vi
assicuro che è meglio per voi non saperlo. A un certo punto è arrivata la
signora Hudson dicendo che il taxi era arrivato. Ma
noi non avevamo chiamato alcun taxi.
Sherlock è uscito improvvisamente e lo abbiamo visto
andarsene a bordo del veicolo.
Sono riuscito a seguirlo grazie al GPS del cellulare
della vittima e sono riuscito a salvarlo prima che fosse
troppo tardi. Per fortuna. Quel pazzo stava per suicidarsi.
Beh… è stata una serata piuttosto impegnativa ma tutto si
è risolto per il meglio. Il tassista è morto e noi siamo sani e salvi a casa
nostra.
Insomma, uno “Studio in rosa” è stato il nostro primo
caso e sinceramente spero che non sia l’ultimo.
6 commenti
Harriet Watson
Ma che bella storia, fratellino! Ho sempre pensato che
saresti diventato uno scrittore… spero di poterti rivedere presto! Buone
avventure ;)
Ella
Sono contenta che tu abbia cominciato a
scrivere sul serio. È una buona cosa. Spero che tu possa divertirti con il tuo
nuovo “coinquilino”, ma ricorda di venire agli appuntamenti. Sempre che tu ne
abbia ancora bisogno.
John H.
Watson
Sì Ella, non
sono ancora così fuori di testa. Certe cose me le ricordo…
Mike Stamford
Sono contento che tu mi abbia tirato in
mezzo, veramente. Spero di essere ricordato come il cupido di questa vostra
splendida relazione.
John H.
Watson
Non siamo fidanzati
Mike.
Mike Stamford
E vorrei ben vedere… LoL
~*~
«Allora, dottor Watson… come procede il suo blog?»
Lasci Sherlock alle sue
brillanti deduzioni e ti volgi vero Lestrade. «Oh…
alla grande direi. Sto acquisendo molti fan…» rispondi
mentre prendi qualche appunto del caso che stai seguendo sul tuo taccuino per
il prossimo post.
«Tutto merito di Sherlock Holmes…»
Annuisci con un sospiro. «Se non ci fosse lui, io
non sarei neanche qui, forse…»
«Beh, sono contento di poter dare una mano,
ovviamente. Se ha bisogno di qualche aiuto per i casi che racconta
sono qui.»
Sorridi divertito. «Credo che Sherlock farà
benissimo la sua parte…» dici, e ti allontani verso il tuo amico.
Sei seduto tranquillamente sul divano, il computer
che ti riscalda le gambe mentre aggiorni nuovamente il tuo blog.
Sherlock manda uno sbuffo dalla poltrona di fronte.
«Cosa c’è?» sospiri in
risposta.
«Sono annoiato.»
Alzi lo sguardo dal computer e lo vedi, lì,
sdraiato con le gambe all’aria, le braccia buttate all’indietro che toccano il
pavimento. Guarda il soffitto e ripete le stesse parole all’infinito.
Sospiri e ti prendi la testa tra le mani. «Perché
sei qui?»
«Dove dovrei essere?»
Deglutisci e fissi lo schermo del computer. «Non…
non qui a parlare con me come se niente fosse.»
Alza un sopracciglio e ti guarda per secondi che
sembrano interminabili.
Sospiri. «Ok, ho capito. Prima o poi mi farai impazzire…» Ti alzi di malavoglia e vai
in cucina a preparare il the. Ci impieghi meno di cinque minuti (sei diventato
piuttosto veloce negli ultimi tempi), e lo porti in salotto, dove lo versi in
due tazze.
Lo porti alle labbra ancora fumante e ci soffi
sopra per raffreddarlo almeno un po’. «Stasera sarò fuori con Sarah, sei
pregato di non interrompere il nostro appuntamento con qualche caso improvviso.»
«L’altro non era improvviso.»
«Oh no… è successo tutto casualmente mentre
eravamo al circo, certo.»
«Perché incolpi sempre me
dei tuoi fallimenti sentimentali?»
«Perché non posso attribuirti tutti i meriti.»
Sherlock sbuffa ancora mentre si sistema in una
posizione più decente sulla poltrona e ti fissa con i suoi occhi penetranti.
«Che cosa saresti senza di me, John Watson?»
Sospiri e appoggi la tazzina sul tavolino.
«Niente.»
Con la coda dell’occhio lo vedi sorridere e fai
una smorfia di disappunto in risposta. È vero, senza
di lui non saresti niente. Lui è la tua droga adesso, colui
che riesce a farti dormire la notte, colui che ti ha dato un’altra vita
da vivere e senza la quale probabilmente saresti perso. Sospiri e ti prendi la testa
tra le mani. Rispetto a lui, John, tu non vali niente.
Tutti i fan del tuo blog seguono lui, le sue
avventure, nient’altro. Tu le scrivi, sei lo spettatore, lui è il protagonista.
Sei diventato spettatore della tua vita.
Pensi a tutti gli appuntamenti che sono andati a monte dopo che hai portato Sarah al circo. Le hai
abbandonate tutte, chi più chi meno, solo per tornare da lui la sera, tornare a scrivere le sue storie e tornare a vivere la tua
vita con lui. Non ricordi quasi più la tua vita senza Sherlock, ora. Lui è il
tuo passato, il tuo presente e l’unico che riesci a vedere nel tuo futuro. È il
tuo migliore amico, colui senza il quale ora non saresti
qui, probabilmente.
Hai mandato all’aria perfino gli appuntamenti con Ella per lui. Ma le cose sembrano
andare bene ora. E grazie a lui, solo per lui.
Qualche ora dopo prendi il cappotto ed esci
dall’appartamento, senza neanche salutarlo.
La sua tazza di the è ancora sul tavolo, ormai
fredda.
~*~
The personal Blog of Dr. John H. Watson
1st April
Il Grande Gioco
Avrei dovuto scriverlo un paio di giorni fa e mi dispiace
di avervi lasciato col fiato sospeso ma ho avuto bisogno di un po’ di tempo per
riprendermi. Non è stata proprio una passeggiata.
Dunque,
ecco come sono andate e cose.
Ho lasciato Sherlock in casa e sono uscito per andare ad un appuntamento, ma appena fuori dal portone qualcuno mi
ha premuto qualcosa sulla bocca e sono svenuto.
Quando mi sono svegliato ero
nello spogliatoio di una piscina e avevo addosso… beh, un po’ di esplosivo. Eh
sì, ne sono stato rimasto scioccato almeno quanto voi. Spero ora capirete di
più qual è stato il mio problema.
Comunque, davanti a me c’era Moriarty. Mi ha raccontato
un po’ di cose, alcune delle quali è meglio che non sappiate nulla, e mi ha dato
un auricolare da dove ascoltare alcuni comandi. Ricordate cosa vi dicevo a
proposito delle persone rapite che parlavano come tramiti per Sherlock? Sono
stato uno di loro.
Quando Moriarty ha sentito la voce di Sherlock nella piscina mi ha fatto uscire e gli ho riferito i suoi
messaggi.
Forse non mi crederete se vi dico
che per una volta, la prima volta, ho visto la paura negli occhi di Sherlock. È
stato… strano. Però ne sono rimasto lusingato. Anche
se, in effetti, non sono del tutto sicuro che temesse per la mia vita. Diciamo
che mi piace pensarla così.
Morale della storia?
Moriarty ha giocato un po’ con noi e poi se ne è andato per una chiamata improvvisa. Ha detto a Sherlock
che ci saremmo rivisti, detto fra noi spero proprio
che sia così. Ho tanta voglia di sparargli un bel colpo in testa.
Non è tutto quello che è successo e vi chiedo ancora una
volta perdono, ma purtroppo non posso rivelare i particolari causa sicurezza
nazionale e bla bla.
E sinceramente non mi sono ancora del tutto ripreso.
9 commenti
Harriet Watson
Oddio John… tutto bene? Perché non mi
chiami mai? Devo venire a sapere cose dagli altri?
theimprobableone
Vogliamo di più! Che ne è stato della
chiavetta? Non può lasciare le cose così a metà dottore…
John H.
Watson
Cose tipo cosa?
Harriet Watson
Tipo dell’analista. E del tuo nuovo
appartamento.
KittyRiley
Sono una sua grande fan dottore.
Le sue storie sono straordinarie.
Sarebbe bello se potesse pubblicarle… “Le Avventure di Sherlock Holmes.” Non
trova?
Sono una giornalista, può scrivermi qui:
rileykitty@gmail.com
Mike Stamford
Oh John è totalmente a posto, tranquilla Harry. Ci bado io a lui.
John H. Watson
E c’è anche Sherlock ;)
Ma forse sono io a tenergli la testa attaccata al collo.
Matt76
Dottor Watson, mi lasci dire che questo
è il migliore blog che io abbia mai letto. Le sue storie sono fantastiche.
always
Sarebbe bello se solo fossero vere…
~*~
«Avrai immaginato la mia risposta…»
Sposta leggermente lo sguardo verso sinistra e ti
guarda, leggi il dubbio nei suoi occhi. Annuisci lentamente, gli dai il permesso. Tra tutti i luoghi in cui avresti potuto morire lo farai lì, in una piscina fuori dal
mondo. Eppure, in un certo senso, non hai rimpianti.
Morirai lì, al fianco di Sherlock. Morirai per salvarti da
Moriarty, morirai per Sherlock, con lui, per lui.
Il cuore ti batte a mille mentre lo osservi
abbassare la canna dell’arma verso il basso, verso il giubbotto imbottito di
esplosivo che fino a poco prima avevi addosso.
I secondi si dilatano, Moriarty ghigna, Sherlock
ha le dita sul grilletto e tu sei accovacciato a terra, non puoi muoverti.
Sherlock preme.
Ti svegli di soprassalto con il rumore
dell’esplosione che echeggia lontano, la fronte e la maglietta del pigiama fradice di sudore.
Respiri affannosamente, il corpo che trema scosso
da spasmi. Ti ci vogliono un paio di minuti per far tornare il respiro
regolare, molti di più perché il tremore si fermi.
Era solo un sogno, uno stupido, maledetto sogno.
Ti passi una mano sul volto e ti strofini gli
occhi con forza, l’immagine della piscina ancora impressa sulle palpebre
chiuse. Ti lasci ricadere sul letto e cominci a singhiozzare, senza remore,
lasciando che l’angoscia si affievolisca con il pianto.
La porta si apre lentamente con un cigolio
sinistro e tu alzi di poco lo sguardo, posandolo sull’alta e snella figura di
Sherlock che si affaccia quasi timidamente dalla porta. Ha i riccioli neri
spettinati e l’aria assonnata. Sembra che tu lo abbia svegliato durante una
delle sue sparute dormite.
Affondi il viso nel cuscino, tentando di coprire
quelle lacrime di cui, in fondo, un po’ ti vergogni. Ma
è inutile nasconderle, lui le ha già viste.
«Tutto bene, John?»
La sua voce calda e baritonale ti arriva come in
sogno e ti scalda il cuore. Quella voce ha il potere di tranquillizzarti,
almeno un po’.
Emetti un mugolio incomprensibile, niente di più.
Vorresti che se ne andasse e che ti lasciasse in pace. Vorresti che rimanesse a
parlarti, che rimanesse finché non prendi di nuovo
sonno.
Sceglie lui per te.
La porta si richiude con un leggero tonfo e i suoi
passi sul pavimento ti arrivano all’orecchio leggeri,
quasi silenziosi.
Il letto si abbassa quando si siede, le coperte si
ritirano lasciandoti preda al freddo per qualche secondo quando lui s’infila
sotto di esse. Il piumone torna a coprirti poco dopo, riscaldandoti, mentre
quasi inconsapevolmente ti avvicini a Sherlock. Poggi la testa sul suo petto,
ti stringi a lui.
Le sue braccia ti avvolgono, protettive, e ricominci
a piangere, più forte, ti lasci andare.
Non sai quanto tempo passa, non lo sai e non te ne importa neanche. Sai solo che lui è lì con
te, che non ti lascerà.
Il suo odore è tutto quello che senti, il suo
calore quello che avverti. La maglietta che stringi deve essere quella a
maniche corte che indossa sempre sotto la vestaglia, quella che una volta hai
lavato per ore perché una macchia di qualche suo intruglio non si decideva ad
andarsene.
Un sorriso t’illumina il volto e solo in quel
momento ti accorgi di aver smesso di piangere.
Una mano ti accarezza piano i capelli. «Va tutto
bene…» La sua voce rimbomba potente nella cassa toracica, benché lo abbia
appena sussurrato. Ti affidi ciecamente a quelle parole, sai che è così. Lui è
lì con te, va tutto bene.
Lo stringi un po’ di più, come ad accertarti che
sia vero, reale, e lui poggia le sue labbra sulla tua fronte. Tutto ciò che senti è il calore di quel leggero tocco, il calore che quel
bacio timido ha il potere di trasmettere a tutto il tuo corpo. Rimarresti così
per sempre, solo tu e lui, abbracciati, al caldo, al sicuro.
«Rimani qui. Non andartene.»
sussurri. Hai un groppo alla gola e non sai perché. Parole confuse si
affacciano tra i ricordi, parole che non riesci a distinguere tra loro, che non
riesci a comprendere.
«Sarò qui finché lo vorrai.» è la sua risposta, e
improvvisamente c’è solo la sua voce, bassa, il suo respiro sul tuo volto.
Tutto il resto non è più niente.
Chiudi gli occhi, rassicurato, e ti addormenti nel
calore delle sue braccia.
Il mattino dopo lui non
c’è, il letto al tuo fianco è vuoto.
Il groppo in gola è tornato.
Improvvisamente hai
freddo.
~*~
«Si può sapere che cosa ci fa ancora qui?»
Lestrade guarda Sally Donovan in volto. È furiosa.
«Perché?»
«Cosa perché?»
Scuote la testa con foga. «Non è
della polizia, non può stare qui.»
Lestrade sbuffa sonoramente. «Ne
abbiamo già parlato. Moriarty dice che può essergli utile.»
Con un cenno del capo indica la figura di John Watson, accovacciata a terra di
fianco alla vittima dell’ultimo omicidio. «Ha un
problema e l’aiuto che ci da’ sembra risolverlo. Non vedo perché dovremmo
negarglielo, è anche bravo.»
La donna sbuffa e lo indica. «Oh
no… Sherlock Holmes è il genio secondo lui. Ma lo
senti quando parla?»
L’ispettore sospira. «È solo…»
«Qualcuno dovrebbe mettergli in faccia la realtà,
Greg. Non ha tutte le rotelle a posto.»
«Perché ha un migliore amico? Non credi in Sherlock
Holmes, Sally?» sorride l’uomo. «Andiamo…
è tutta una recita. Sherlock è il personaggio più originale che potesse inventarsi.
È un gioco che piace al web.»
John si appunta qualcosa sul blocchetto,
mormorando tra sé e sé.
~*~
Ti stiracchi sbadigliando, mentre ti abbottoni la
camicia. Sarah al tuo fianco accende la tv.
«Cosa mangi per
colazione?» chiede, a metà tra uno sbadiglio.
Ridacchi. «Va bene qualunque cosa.»
Lei annuisce e ti guarda con una strana luce negli
occhi. «Va tutto bene, John?»
La guardi per qualche secondo, poi le sorridi rassicurante.
«Sì, certo…»
Sbatte le mani sulle cosce, poi si alza e si
dirige in cucina.
Ti allacci una scarpa, la testa piena di pensieri
tra loro scollegati. Programmi la giornata. Speri di trovare uno
Sherlock trattabile a casa, o col cavolo che riesci ad andare a fare la
spesa, pagare le bollette e andare in ambulatorio. Oggi non puoi proprio
saltare.
«Quanto mi fai faticare
Sherlock…» mormori tra te e te.
«Cumberbitchies…»
Ti fermi a metà nodo, le mani che improvvisamente
non ubbidiscono più ai tuoi comandi. Alzi di scatto la testa e fissi la
televisione.
«Sì, sì… Cumberbitchies…
ma ci stiamo muovendo verso la Cumbercollective.»
La sua voce risuona prepotente nelle tue orecchie
e per un attimo il tuo cuore si ferma.
Quella è indubbiamente la sua voce, la
riconosceresti tra mille. Quella è la sua faccia, i suoi zigomi.
Sherlock Holmes lo riconosceresti tra mille, ma
quello non è Sherlock Holmes.
Quel tizio rosso dentro lo schermo della
televisione non è il tuo Sherlock
Holmes.
Spalanchi la porta del 221b
con forza, fiondandoti su per le scale a tutta velocità.
L’appartamento, come sempre, è aperto, e ci entri dentro respirando a fatica per la lunga corsa.
Il salotto è lì davanti a te, esattamente come l’hai
lasciato: pile di libri accatastate qua e là, fogli sparsi per la stanza, le
poltrone ingombre di vestiti da lavare. Per un attimo sembra tutto normale, ma
poi il dubbio ritorna.
Sali a due a due i pochi gradini che conducono
alle stanze superiori e apri di scatto la porta della sua stanza. La prima cosa che avverti è il freddo, poi ti rendi
conto dello stato di abbandono in cui si trova la camera: il letto non ha né
lenzuola né coperte, non c'è nemmeno un cuscino. Il materasso è ingiallito dal
tempo e coperto da un leggero strato di polvere, come la lampada sul comodino.
Tutto è completamente lasciato a se stesso, esattamente il
contrario di quanto ricordi dall'ultima volta che sei entrato lì. Non ci
sono fogli appesi ai muri, non ci sono vestaglie blu appese alla porta del
bagno e nemmeno graffiti sulle pareti.
La paura ti attanaglia lo stomaco mentre
ridiscendi ed entri in cucina.
Con orrore ti rendi conto che la tazza di the che
hai preparato la sera prima per lui è ancora lì sul tavolo, il liquido ambrato
ormai freddo. Apri il frigorifero, e a conferma di quanto cominci a capire, non
vedi nessuna testa o altra parte di corpo all'interno. Sul tavolo non c’è alcuno strumento scientifico e nessun esperimento in corso
a rilasciare cattivi odori per la stanza.
Torni in salotto e ti guardi intorno, il respiro
che si fa sempre più debole ogni secondo che passa. Ora vedi ciò che alla prima
occhiata non avevi visto. Anche lì, nel salotto accogliente che tanto ti
piaceva, manca qualcosa di lui. Il disordine è sovrano, ma non è quel disordine. Non c’è nessun violino
sul tavolo, nessun cluedo conficcato nella parete con
un coltello, nessun teschio sul davanzale del camino, nessuno smile giallo sulla parete. Sulla poltrona, dove solo due
sere prima si era sdraiato sulle tue gambe a raccontarti uno dei tanti casi
risolti quando tu non c’eri ancora, mentre gli accarezzavi i capelli con
affetto, lì su quella poltrona c’è solo il tuo portatile, spento.
Senti le gambe cederti e un attimo dopo sei
crollato a terra, lo sguardo ancora fisso sul computer.
Quasi non senti Sarah che entra nella stanza
trafelata con il fiatone, non vedi la signora Hudson che si tiene
le mani sulle labbra come a coprire un grido muto che forse non arriverà mai.
«John… John…»
Una mano si posa con dolcezza sulla tua spalla e
ti scuote leggermente, cercando di richiamare la tua attenzione.
Respiri a fatica quando ti giri verso Sarah e la
guardi con la paura negli occhi. Non ti accorgi nemmeno delle lacrime che hanno
cominciato a bagnarti il volto.
I suoi occhi, i suoi occhi, ricambiano il tuo sguardo e tu
scatti in piedi, allontanandoti di scatto da lei.
Sarah ti guarda spaventata. «…John…?» chiede
flebilmente.
Ansimi senza saperne il motivo. «…Sher-Sherlock…
Sherlock… dov’è Sherlock?» Deglutisci a forza, vuoi scacciare il groppo in
gola.
Sai che Sherlock deve essere uscito. La tazza da
the? Non l’ha bevuta, non ne aveva voglia. Ma Sherlock non ha mai rifiutato una tazza preparata da te.
Sai che il violino se l’è probabilmente portato
via Mycroft, l’ultima volta che è venuto qui. Doveva
fare delle riparazioni. Ma solo ieri ti ha suonato quella dolce
melodia, ricordi?
Sai che lo smile deve
averlo cancellato la signora Hudson, in qualche modo. Ma i buchi nel muro dove sono allora, John?
Il cluedo, i casi non risolti, il suo portatile, le sue
sigarette, il suo teschio, la sua vestaglia. Dove sono
tutte queste cose, John?
«John. John. John ti prego rispondimi…»
John.
Va tutto bene John? Sono qui John.
«Sherlock…» il tuo è un flebile sussurro.
~*~
Sali i gradini del 221b
lentamente, con le gambe pesanti.
Sei stato due ore in
seduta con Ella, due ore. Ti senti completamente vuoto.
Pensi di farti una tazza di the, un’oretta davanti
alla tv e poi di infilarti a letto. Ma quando varchi la soglia di casa lui è lì, di nuovo.
Chiudi gli occhi e scuoti la testa. «Vattene. Vattene, Sherlock. Tu non esisti.»
John.
«No!» Crolli in ginocchio con la testa tra le
mani. E piangi.
Lui, la tua salvezza, il tuo unico amore, non
esiste. È tutto frutto della tua immaginazione.
Si china davanti a te e ti
prende le mani tra le sue, allontanandole dal tuo volto. John… sono qui John. Va tutto bene.
Ti butti in avanti e lo stringi tra le tue
braccia, il più forte possibile. Vuoi che sia vero, vuoi
che sia reale. Vuoi che tutto quello che avete passato
insieme sia la pura realtà, niente finzione.
Lo stringi
talmente forte che potresti quasi pensare che sia veramente lì con te. «Dimmi che non lo sto solo immaginando.» dici,
tra un singhiozzo e l’altro.
Devi fidarti di me John.
«Ma… Ella… Sherlock. Sher…»
Fidati
di me.
La sua voce è potente e ti entra nella testa. Lui
è lì con te.
Che cosa c’è di sbagliato? Niente.
Sherlock è davanti a te. Lo stai stringendo con le
tue mani.
Senti la sua mano accarezzarti il volto, con
dolcezza. Sono qui John.
«Sherlock. Sherlock non esiste John.»
Respiri a fatica mentre fissi il pavimento con gli
occhi pungenti di lacrime. Ella ti osserva con
tristezza. «John calmati per favore… va tutto bene.»
«No… non va. Io…»
Ella sospira e si avvicina a te. «Hai
inventato tu Sherlock
Holmes, John.»
Scuoti la testa mentre nuove lacrime ti inondano il viso.
John.
Apri gli occhi di scatto e sei di nuovo lì, su
quel divano, Sherlock è con te. Ti abbraccia, ti consola, ti scalda.
Fidati
di me John.
Sarah ti sta abbracciando sul divano, ti lasci
trasportare dal suo calore. Sei tranquillo ora, lui è
lì con te.
~*~
John.
Alzi la testa dalle mani e lo guardi: è in piedi
in mezzo alla stanza e ti fissa tristemente. Ti si stringe il cuore a vederlo
così. Sospiri. «Vieni qui Sherlock.»
Si avvicina a passi leggeri e si siede al tuo
fianco. Lo abbracci come se fosse la tua unica possibilità di salvezza in un
oceano in tempesta.
«Ella dice che dovrei
dimenticarti…»
Lo senti tremare sotto il tuo tocco. Chiudi gli
occhi e una lacrima sfugge al tuo controllo. «Io… io non ci riesco, Sherlock.»
Senti le tue mani tremare mentre affondi le dita
tra i suoi riccioli scuri, li scombini, li accarezzi.
Dimentichi tutto quando gli baci il volto,
leggero, con dolcezza. Cerchi le sue labbra e lo baci ancora, e ancora.
«Ti
amo, Sherlock.»
Anch’io, John.
~*~
«Ok, guarda in alto, sono
sul tetto.»
Oddio. Sherlock… Sherlock no.
Le tue dita scorrono veloci
sulla tastiera, scrivono lettera dopo lettera, parola
dopo parola, riga dopo riga.
Non ti fermi.
«Ti devo… ti devo delle
scuse.»
«Che cosa?»
Il cellulare suona ancora
una volta alla tua sinistra.
La tredicesima volta, le
hai contate.
«È tutto vero, tutto quello che hanno
detto su di me.»
Deglutisce.
«Io… io non esisto. Io ho inventato Moriarty.»
«Perché me lo dici?»
Ti fermi un attimo e bevi
un altro sorso della tazza di the. È dolce, allungato con il latte. Proprio
come piace a lui.
«Voglio che tu lo dica a tutti. A tutti coloro che ti ascolteranno.»
«Ok. Sherlock. Ascoltami, ascoltami
va bene?» Respiri a fatica. «La prima volta che ci
siamo visti. La prima volta che ci siamo incontrati sapevi
tutto di me. La prima volta.»
«Io…»
Poggi la tazza sul
tavolino.
Urti leggermente la canna
dell’arma.
Ricominci a scrivere.
«Nessuno è tanto intelligente, John.»
«Tu sì…»
«Già…»
Una lacrima ti riga il
volto. Una sola.
Tutte le storie hanno la
loro fine.
«Tieni… gli occhi fissi su di me.»
«Sherlock non…»
Sorridi tra le lacrime, non
le asciughi, non ne hai bisogno.
Stacchi lo sguardo dallo
schermo e lo sposti sul tavolino.
Tutte le storie hanno una
fine. Questa è la tua storia, questa è
la tua fine.
Le sue braccia ti
avvolgono, da dietro.
Lo squillo incessante del
cellulare smette di colpo mentre respiri a fondo il suo profumo, ti riempi del
suo odore, del suo calore.
È la cosa giusta John.
«Lo so,
Sherlock.»
Non c’è tremore nella tua
voce, non c’è alcun rimorso. C’è solo lui, Sherlock, vicino a te, accanto a te,
dentro di te. C’è solo lui, solo voi due contro il resto del mondo.
Ti hanno chiesto di
scegliere una delle due parti, ti hanno detto che da entrambe non puoi stare.
Hai scelto lui.
Addio, John.
Chiudi gli occhi, il
sorriso sulla labbra.
«Addio, Sherlock.»