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Autore: whitemushroom    22/12/2013    6 recensioni
Il sangue scorre sulle mani di Kuja. Ha eseguito l'ennesimo ordine di Garland, e adesso un villaggio di invocatori brucia tra le fiamme. Ma proprio quando sembra quasi aver accettato il palcoscenico destinatogli dal suo creatore arriva qualcuno di indesiderato, una creatura che l'angelo della morte non ha mai inserito nei suoi piani ... Due figure che disegneranno la storia di Gaya si trovano l'uno di fronte all'altro per la prima volta, proprio come le lune gemelle che tingono di azzurro e di rosso i cieli del loro mondo.
Genere: Fantasy, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Gidan Tribal, Kuja
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Non un Jenoma - e altri racconti.'
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Lune gemelle

 
“Garland ti vuole”.
Non si voltò a guardare il messaggero.
Le sue dita scivolarono sulla lama della spada corta, che mandava una flebile luce azzurra anche nella penombra della stanza. La portò davanti agli occhi per valutarne il filo; l’acciaio era diverso da quello di Gaya, si illuminava persino al contatto con la magia della sua mano. Guardò la spada una seconda volta, poi la scagliò con stizza su un cumulo di altre armi ammassate contro la parete.
Il fantoccio da allenamento era alto quanto lui. Lo fissava con gli occhi inespressivi dipinti sulla testa metallica. La spada tesa e lo scudo alto lo invitavano a colpire, ma non aveva alcuna intenzione di prestarsi all’ennesima farsa del suo creatore. Garland sapeva che odiava le armi. Esserne una lui stesso era già abbastanza intollerabile.
Era tentato di ridurre in cenere quel patetico fantoccio, le armi, le armature e l’insulso Jenoma messaggero che lo fissava all’ingresso della stanza con il solito sguardo azzurro perso nel vuoto; ma sapeva che il suo creatore non lo stava certo convocando per fargli degli elogi, e non aveva alcuna intenzione di prolungare ulteriormente la tortura che era certo sarebbe arrivata. Resistette all’istinto e si limitò a guardare con odio gli oggetti estranei che popolavano quella che fino ad una settimana prima era stata la sua stanza. O la sua cella. In fondo non vi era una grande differenza tra i due termini.
Era tornato su Tera da poche ore. La missione a Madain Sari era stata un successo, ma controllare l’Invincible aveva richiesto molte più energie di quanto Kuja avesse immaginato. Aveva usato il proprio potere per catturare l’energia degli eidolon ed incatenarla dentro l’enorme nave volante, e quando aveva domato gli spiriti degli invocatori tutta l’energia lo aveva travolto, lasciandolo quasi senza fiato. Quando aveva rimesso piede sul suo pianeta era stato quasi grato di potersi trascinare nella sua cella per recuperare le forze prima dell’inevitabile rapporto all’osservatore stellare. Non aveva nemmeno notato la presenza delle spade e del fantoccio nella penombra generale. Almeno finché non si era accucciato sul letto.
Aveva disteso le gambe e era stato colpito da un disagio che non riusciva bene a definire, finché non si era accorto che i piedi sporgevano dall’estremità del letto per almeno due palmi; aveva provato a cercare una posizione migliore, ma dopo l’ennesimo tentativo si era alzato, incuriosito, e si era accorto che quel letto non era il suo. Era un letto diverso, pensato di sicuro per una persona più piccola. E da quel momento aveva perso il sonno.
I suoi libri erano scomparsi. Non erano sotto il letto, né nell’angolo dove era abituato ad impilarli, non vi era traccia nemmeno di una pagina strappata o di un brandello di copertina; aveva annusato l’aria, e quando i suoi sensi avevano percepito il flebile odore di bruciato si era reso conto che non erano stati semplicemente spostati in un’altra stanza. Non c’era più il clarinetto d’argento che gli aveva regalato una dama di Alexandria, né il piccolo congegno ingioiellato che aveva comprato a Conde Petit, uno strano scrigno grande quanto la sua mano che liberava una melodia delicatissima quando sollevava il coperchio. Aveva esplorato ogni angolo della stanza alla ricerca di anche solo uno dei suoi tesori, ma aveva trovato solo armi, armature ed uno stupido fantoccio da allenamento. Persino lo specchio che aveva distrutto una settimana prima in uno scatto d’ira era stato sostituito.
Bastardo.
Era lì, in quella stanza che di suo non aveva più nemmeno l’odore, con un cumulo di stupide armi ed un brivido crudele che gli correva lungo la schiena nel realizzare quello che era successo in sua assenza.
Bastardo.
“Garland ti vuole” ripeté il Jenoma nella sua voce atona. Kuja si fermò dall’incenerirlo sul posto, e soltanto perché parte di lui sapeva che sarebbe servito soltanto ad irritare l’osservatore stellare, che tra una punizione e l’altra non faceva altro che ripetere quanto fossero importanti per lui quelle piccole scimmie tutte uguali.
Stupido contenitore.
Lanciò un’ultima occhiata alla stanza, nella flebile illusione di aver sbagliato cella e che i suoi piccoli tesori lo stessero aspettando da qualche altra parte, ma scosse la testa sapendo che era inutile farsi inutili speranze. Si incamminò lungo i corridoi di Pandemonium sorridendo al pensiero che il Jenoma dovesse faticare per stare al suo passo, ed accelerò volontariamente per ricordare a quell’ibrido la sua inferiorità. Non che avesse alcuna importanza, ma quei contenitori dovevano capire che non era uno di loro.
I ponti di luce si formarono sotto i suoi stivali mentre scivolava da un edificio all’altro. Sotto di lui il fuoco di Tera bruciava e gorgogliava, rosso come il cristallo che manteneva ancora stabile quel pianeta addormentato nel nucleo stesso di Gaya. Dal magma nascevano fontane scintillanti, ed uno schizzo volò proprio accanto a lui; Kuja ne percepì il calore e respirò il fumo denso di quel luogo selvaggio e privo di vita, poi passò oltre, infastidito. Aveva visto abbastanza fuoco, fiamme, fumo e distruzione in quei giorni. Se chiudeva gli occhi poteva sentire i corpi degli invocatori di Madain Sari sfrigolare sotto i suoi incantesimi ed invadergli le narici.
Garland era stato chiaro: nessun superstite.
Era stato il primo ordine di quel genere. Kuja aveva spesso eliminato soldati o re, o spesso studiosi idioti che volevano impicciarsi di segreti di Tera che dovevano rimanere sigillati; aveva razziato diversi branchi di mostri ed accumulato svariate anime, ma la distruzione di un villaggio insignificante nel Continente della Nebbia era una missione strana se proveniva dall’osservatore stellare e dai suoi lunghi discorsi sull’armonia dell’universo e sul preservare quante più vite possibili. Quando aveva incanalato le proprie energie nei grandi motori dell’Invincible, la nave volante predisposta alla cattura degli eidolon, non aveva immaginato nemmeno per un attimo che i cieli di Madain Sari si sarebbero tinti di nubi nere ed arancioni, di lampi e fuoco. Il flusso delle creature invocate aveva generato una tempesta che da sola sarebbe stata sufficiente a sommergere il piccolo villaggio, e tutto il suo corpo si era contratto per la scarica di magia. La parte di sé che ruggiva, soffiava e chiedeva di uscire si era fatta sentire con violenza, ma Kuja aveva imparato a controllare la bestia dalla criniera rossa: aveva osservato gli spiriti salire nelle viscere della nave e poi era sceso nel villaggio. Senza i loro spiriti anche gli invocatori più esperti non erano più di fragili umani davanti al suo potere. Gli eidolon erano le uniche creature che Garland temeva; Kuja non ne capiva la ragione, ma questo rendeva gli spiriti ancora più interessanti.
Quando aveva finito il lavoro, non vi era parte del suo corpo che non fosse coperta da sangue. Le uniche testimoni di quel massacro erano state le lune gemelle, che quella notte erano al massimo della luce; il satellite di Tera aveva esaltato il rosso delle fiamme, mentre la luna di Gaya rendeva ancora più pallidi i visi degli invocatori uccisi. Aveva camminato tra i cadaveri, il predatore di Tera davanti ai nemici sconfitti. A parte due.
“Che c’è, già siamo alla fase del rimorso?”
Il tintinnare argentino comparve nella sua testa e cancellò il villaggio ed i suoi abitanti. Erano passati diversi mesi da quando aveva fatto la conoscenza con un drago d’argento, ma non era ancora riuscito a convincere la creatura a smettere di invadergli la mente a piacimento.
Formulò con calma le parole nella sua mente mentre attraversava il salone principale di Pandemonium, diretto a Branbal. “Nessun rimorso. Il forte schiaccia il debole. Lo dici anche tu, no?”
“Bahamut ce ne scampi e liberi dal rimorso! Ti si insinua nella mente come un tarlo, poi ti si piazza sullo stomaco e guasta il piacevole sapore della vittoria”.
Kuja lasciò che le parole fluissero. La sua mente si era persa nel ricordo di due paia di occhi scuri. La madre stringeva al petto la bambina e lo fissava.
“Fattelo dire, socio. Hai fatto un’idiozia!”
Forse.
La barca si era allontanata tra i flutti. L’aveva osservata mentre un’onda gigantesca la sollevava verso l’alto, quasi fino a toccare il cielo e le lune; più di una volta aveva creduto che la piccola imbarcazione di legno si sarebbe capovolta tra le acque, ed ogni volta quella ricompariva per poi svanire diretta alla linea dell’orizzonte. Gli occhi della donna erano rimasti puntati su di lui mentre mollava gli ormeggi. Nessun umano lo aveva mai guardato così. “Il tuo padrone era stato chiaro: niente sopravvissuti”.
Un’idiozia. O un azzardo.
Scacciò via la fastidiosa immagine. “Non vedo come potrebbe accorgersene. Garland non guarda certi particolari insignificanti”.
Fece un respiro profondo, sistemò la piuma argentata nei capelli e sentì la forma morbida scivolare sotto le dita; mentre passava lungo l’ingresso che conduceva al villaggio dei Jenoma fulminò con lo sguardo il patetico messaggero scodinzolante che lo aveva seguito per tutto il percorso. Quando fu sulla scala principale, al di sopra del suono ovattato dei suoi passi percepì un ronzio nell’aria: la sensazione di una forza selvaggia che giungeva dall’edificio del cristallo. Cercò di distinguerne l’origine, ma oltre al profumo di un’anima non percepì altro. Ma quell’anima era il motivo per cui Garland lo aveva convocato lì, non vi erano dubbi. Forse non voleva punirlo, dopotutto. Era stanco delle sofferenze che il suo padrone gli infliggeva per renderlo migliore.
Raggiunse il punto più basso di Branbal, il lungo sentiero che collegava le vasche di nutrizione dei Jenoma al settore abitativo dei corpi privi di anima che popolavano quel luogo in attesa di essere riempiti. Ne scorse numerosi, figure che scivolavano tra le case e tra i rami degli alberi alla luce del cristallo azzurro senza fiamma che illuminava quasi tutta quella parte di Tera. Nessuno di quelli sollevò la testa al suo passaggio. La maggior parte erano intenti a fissare l’ipnotica luce blu, immobili come statue nel bel mezzo del sentiero o seduti sui rami più bassi degli alberi con le gambe nel vuoto. Ne scansò con violenza uno che gli intralciava il cammino. Odiava il fatto che Garland desse così tanto valore a quei pupazzi.
Entrò nell’edificio centrale e socchiuse gli occhi per non essere investito dalla potente luce azzurra del cristallo. L’enorme massa che pulsava di energia era infissa al centro del pavimento di marmo, e le decorazioni dorate che abbellivano tutte le superfici della stanza convergevano verso il cristallo ipnotico e riflettevano la sua incredibile luce. Aveva sempre evitato di entrarvi a contatto perché era un tipo di magia diverso da quello che dormiva dentro di lui; era una potenza antica, Garland sosteneva che fosse lo stesso nucleo vitale di Gaya e che sosteneva da solo l’equilibrio del mondo sopra le loro teste. Avvertì il fastidioso mal di testa creato da quel blu pulsante, ma avanzò fino al punto dove il suo creatore lo stava aspettando.
Il familiare odore di sangue, così fuori luogo in quel posto, deviò subito la sua attenzione. Un Oculum era a terra, sangue e icore tutto intorno a lui. Uno dei suoi bulbi oculari era rotolato vicino al suo piede, e Kuja si scansò prima che un secondo schizzo di sangue lo colpisse in viso.
Un secondo Oculum fu letteralmente aperto a metà a pochi passi da lui, e riuscì solo a scorgere una forma violacea che abbandonava il mostro ucciso per afferrare la testa di un Abadon e staccarla con violenza dal corpo di insetto.
Cercò di sopprimere il piacere della vista del massacro, ma per tutta risposta il suo stomaco mandò un gorgoglio affamato. Si morse la guancia e cercò di vedere il responsabile di ciò, l’anima che era stato chiamato ad osservare. Riconosceva quel potere.
Anche troppo bene. Sapevo che prima o poi sarebbe successo.
Garland batté le mani una sola volta. Il suono secco richiamò Kuja all’attenzione, ma il comando non era rivolto a lui. Un Amdusias color del mare che aveva avuto la sfortuna di pararsi davanti a loro prima che l’osservatore stellare battesse le mani fu falciato dalla creatura, che atterrò con un salto davanti a loro due mentre sulle due piccole spade che impugnava scorrevano i resti delle interiora del mostro.
La coda rosa guizzava nell’aria. Il corpo era piccolo, non era più alto dei normali Jenoma: la pelle chiara e luminosa copriva un viso rotondo e delle braccia e delle gambe che rivelavano dei muscoli allenati a dispetto della stazza minuta, tesi e pronti a scattare. Il corpo era rivestito da una peluria che andava dal rosa al violaceo e che rifletteva la luce del cristallo, e gli occhi spenti erano color del sangue, occhi che Kuja conosceva per esperienza e che avrebbe voluto cancellare da Gaya. I movimenti erano sicuri e fermi mentre abbassava il ginocchio davanti al loro creatore. Kuja provò un’ondata di disgusto.
“Sa andare a cuccia bene, glielo concedo …” disse, assaggiando il potere dell’anima che aveva davanti. L’unica anima, oltre la sua, in quel mondo fatto di alberi, cristalli e corpi vuoti. Un’anima che di vivo aveva ben poco. “Suppongo che adesso dovrei battere le mani per la sua eccezionale performance”.
“Il tuo sarcasmo è fuori luogo” rispose Garland. Si avvicinò al piccolo essere e gli batté delicatamente la mano sulla testa, passandola tra i capelli violacei. Quello rimase immobile e non rinfoderò le lame, perfetto nella sua posa di sottomissione. La coda si mosse, poi scivolò sul pavimento.
“Mi hai chiamato solo per farmi vedere il tuo nuovo pupazzo scodinzolante?”
“Esattamente”.
Batté le mani, stavolta per due volte. La creatura abbandonò la posizione e corse contro una parete. Kuja riuscì a malapena a seguire il movimento fluido e rapido; l’altro abbandonò a metà strada una delle spade e investì la parete dell’edificio con un pugno nudo. Non vi fu alcuna magia, incantesimo o forma di energia in quel colpo, ma l’attimo dopo un boato scosse la stanza e del muro non vi fu più alcuna traccia a parte qualche mattone azzurro sbriciolato. Kuja sentì le polveri fini solleticargli il naso, ma adesso la sala del cristallo aveva una parete in meno e la luce azzurra uscì dall’edificio che la teneva prigioniera. Il Jenoma osservò la sua stessa opera distruttiva con lo sguardo color rubino totalmente vuoto, poi tornò verso di loro e si mise in attesa. Garland fece un cenno d’assenso. “Eccezionale lo stato Trance, non trovi?”
Kuja cercò di non rispondere alla provocazione. Aveva deciso di sigillare quella forza dentro di sé, di mettere il guinzaglio a quella bestia dagli occhi rossi e di nasconderla dove nemmeno il suo creatore avrebbe potuto trovarla; Garland aveva provato ad estrargliela, ed in tutti quei tentativi lo aveva spinto fino ai limiti del suo corpo artificiale, senza concedergli il lusso di svenire. Erano passati ormai numerosi mesi da quando aveva risvegliato per la prima volta la Trance dentro di lui, nell’oscurità delle grotte di Gizamaluke. All’epoca non aveva idea di cosa fosse quel potere selvaggio che lo aveva attraversato, sapeva solo che l’osservatore stellare lo aveva mandato laggiù per evocare quella forza spropositata. Si era trasformato in una bestia, un mostro dalla criniera scarlatta che si era tuffato in un bagno di sangue ed aveva preso il controllo di sé. Non aveva mai avuto tanta paura.
Paura di smarrirsi in quella follia.
Paura di perdere quel poco della propria anima che ancora gli apparteneva.
Ma per Garland quelle paure erano state irrilevanti; aveva cercato di spingerlo a superare la linea che lo avrebbe fatto affogare nella follia e nell’ubbidienza perpetua, eppure non vi era riuscito. Kuja aveva scoperto che poteva opporsi almeno a quel comando concentrandosi, aggrappandosi alle immagini del cielo e del mare, dell’aria e della vista di Gaya dall’alto che calmava il suo animo. Alla piuma di drago che gli ricordava chi era e soprattutto cosa non voleva diventare. “Sarai soddisfatto, immagino” sorrise tra sé. “Finalmente hai qualcuno che usi la Trance a comando. Al tuo comando”.
“Sono convinto che il prodotto del mio lavoro sia eccellente. Nonostante i tuoi immotivati tentativi di ribellione sono riuscito a studiare il tuo corpo abbastanza a lungo da riuscire ad instillare lo stato Trance in un altro soggetto superando i vincoli della volontà che mi impediscono di risvegliarla in te. Ed i risultati sono soddisfacenti. Tuo fratello ha superato tutte le mie aspettative”.
“Quel … quel coso non è mio fratello”.
Schifosa replica sottomessa.
“Tutti i Jenoma sono tratti dalla stessa molecola di DNA”.
“Questo fa di lui al massimo la mia copia. Non mio fratello”.
La creatura dalla pelliccia rosa non accennò ad un risentimento, né sollevò lo sguardo nella sua direzione, gli occhi fissi sul pavimento. Kuja non aveva idea di quali tecniche avesse usato il loro creatore per ridurlo in quello stato, ma fu grato di non ritrovarsi al posto dell’altro, al posto di quell’angelo della morte tenuto al guinzaglio. Garland batté le mani, stavolta tre volte, ed il piccolo Jenoma si contorse. La peluria lungo le braccia e le gambe si ritirò, rivelando i vestiti che si erano strappati nella trasformazione; i capelli ispidi che circondavano la testa fino alla punta del mento tornarono ordinati e biondi, mentre il rosso degli occhi scomparve fin nelle pupille rivelando le iridi vere di quella creatura, di un azzurro più chiaro e delicato di quello violento del cristallo di Branbal. La coda era di un giallo intenso. Kuja lo trovò inquietante. Era identico agli altri Jenoma. Lanciò uno sguardo al messaggero che lo aveva scortato fin lì e non si era allontanato, e un brivido gli corse lungo la schiena.
Se non fosse che nella copia vi era un’anima, non sarebbe stato in grado di notare alcuna differenza. Persino gli abiti erano identici.
Garland dovette essersi accorto di quali pensieri attraversavano la sua mente. “Ho commesso solo tre errori negli ultimi cinquemila anni, Kuja. Il primo è stato darti un nome. Il secondo è stato darti la magia. Il terzo è stato darti un volto. Abbastanza per essere cancellato, se i miei creatori fossero vivi”.
Un vero peccato …
“Sfortunatamente …” continuò “… la nobile razza degli abitanti di Tera si è estinta. Le loro esistenze si trovano in stasi ed attendono di essere recuperate mediante il flusso di anime che sei stato creato per generare”.
“Possiamo saltare la lezione di storia? Sempre che tu non stia parlando per quella replica. Non mi sembra molto loquace …”
L’osservatore stellare si avvicinò di nuovo alla creatura, che aveva recuperato le spade. “Credo che l’uso degli angeli della morte sia da rivedere. Senza lo stadio Trance la tua raccolta di anime procede in maniera lenta e irregolare; il tuo piano di spingere le nazioni di Gaya alla guerra per controllarne le anime mi sembra soltanto qualcosa di caotico con troppe variabili da tenere in considerazione, un patetico tentativo di evitare la via diretta che io ti ho spianato. Una volta che tuo fratello sarà totalmente operativo stimo che non occorreranno più di tre mesi per portare a termine la Fusione tra Gaya e Tera ed accumulare abbastanza anime da risvegliare i miei creatori”.
Kuja sollevò le spalle. “Io porterò avanti il mio piano. Lui il suo”. Nel pronunciare quelle parole si sentì quasi sollevato; se l’osservatore stellare aveva trovato qualcuno che sprigionasse la Trance al posto suo, in fondo avrebbe avuto un motivo di meno per torturarlo. “Gaya è grande abbastanza per tutti e due. Alla fine di questa storia vedrai quale sarà l’angelo vincente, se me o quella copia”.
“Veramente l’ho già visto. E non sei tu”.
Qualcosa gli strinse le spalle, poi gliele tirò all’indietro; la forza invisibile lo colse di sorpresa, e quando provò a scrollarsela di dosso questa si fece ancora più forte, serrandogli le braccia contro i fianchi senza che dalle dita riuscisse a liberare il più semplice degli incantesimi. Guardò Garland con la mano sollevata, e quando capì cosa stava succedendo una seconda forza gli premette la gola impedendogli di gridare.
“Non mi servono due angeli della morte. E non ho motivo di tenere quello difettoso. Mi sembrava di averti detto niente superstiti”. Il potere invisibile lo sollevò in aria e lo fece fluttuare; scalciò un paio di volte, poi le gambe si irrigidirono e per quanto provasse a muoverle gli sembrava che fossero diventate di pietra. Una pressione gli strinse il petto fin quasi a lasciarlo senza fiato, e quando provò ad aprire la bocca per implorare dell’aria le sue labbra si ritrovarono serrate e si abbandonò al senso di soffocamento con uno spasmo. Qualcosa gli tirò la testa all’indietro e si fece strada tra le sue palpebre, le forzò e i suoi occhi si ritrovarono a fissare la superficie azzurra del cristallo, gelida contro la punta del suo naso. “Ho visto quello che è successo tramite l’occhio dell’Invincible. Gli eidolon sono le uniche creature a potersi opporre all’avvento di Tera, e ti sei fatto sfuggire due invocatrici … non ho idea di dove siano, ma suppongo che dovrò mandare Numero Due a finire il lavoro che tu hai guastato”.
Il blu lo invase.
“Non soffrirai. Il tuo corpo può essere utile per qualche altro esperimento. Mi basta solo riprendermi l’anima che ti ho dato”.
Non era soltanto la luce. Né la magia. Era qualcosa di antico e potente che lo aveva sempre spinto a tenersi lontano da quel cristallo. Una forza a cui non sapeva dare un nome, ma di cui si nutrivano tutti i Jenoma ipnotizzati. Iniziò a martellare dietro la testa, quasi a livello del collo, come se seguisse il ritmo di un cuore che non era il suo. Ad ogni battito il blu entrava dentro di lui e poi rientrava, gli scivolava nel naso e nella bocca: cercò di fingere anche per un solo istante che fosse il blu del mare o l’azzurro del cielo, ma c’era in quel colore una violenza innaturale. Usò tutte le sue forze per chiudere le palpebre e porre fine a quell’agonia, ma in risposta al suo sforzo la luce brillò in modo ancora più intenso e non ci fu più nulla.
Cercò il cielo, e non lo trovò.
Non c’era nulla, soltanto la luce del cristallo che lo chiamava. Sembrava quasi una musica nata dal cuore di quella tinta profonda: una sinfonia senza note o accordi che era sopra e sotto, a destra ed a sinistra. Ma non guardava né sentiva. Dormiva.
L’osservatore stellare non era lì. Né la replica o l’insignificante messaggero. Né la creatura rossa nata dalla sua Trance. Non c’era Kuja, ma la cosa non lo preoccupò.
Se Kuja non c’era, lui non poteva soffrire. Poteva fissare la luce blu, sentire la luce blu, toccare la luce blu, essere la luce blu; il colore pulsò ancora una volta dentro di lui, e si lasciò scivolare verso il cuore vivo del cristallo.
Fu in quel momento che vide gli occhi. Due grandi, enormi occhi scuri di donna.
Comparvero davanti a lui in mezzo a tutto quel blu, e cercarono di inglobarlo. Per un attimo le pupille scintillarono come le lune, una di azzurro e l’altra di rosso. Doveva averli già visti da qualche parte, ne era sicuro, ma prima che potesse recuperare quel ricordo nella luce del cristallo si trovò scaraventato nell’iride bruna.
L’attimo successivo era sul pavimento, la faccia riversa contro il marmo.
Era ancora intento a distinguere le forme intorno a lui nella luce ipnotica quando una voce lo attraversò. "Questo è il momento giusto per levare le tende ed andarsene!”
Le parole si mescolarono al blu. Ma cosa …?
“Non pensare, che non ti riesce molto bene. Apri un passaggio per Gaya, appuntamento all’Isola Splendente tra non più di cinque minuti, socio!”
Si tirò in piedi con uno scatto quando riconobbe la voce del suo drago. Non era abituato a sentirle un simile tono allarmato nella voce. Le gambe gli vacillarono, ma a parte il giramento di testa il suo corpo rispondeva alla sua volontà; guardò verso il cristallo, e si accorse che Garland non era lì. Vi erano soltanto lui, la copia, il messaggero silenzioso e la luce blu: distolse lo sguardo per non restarne ipnotizzato una seconda volta. Si chiese dove fosse il suo creatore. Non aveva ancora finito di formulare la domanda che il ruggito del drago gli rimbombò nella testa. “Il tuo padrone ha dovuto abbandonarti in fretta e furia perché qualcuno dall’altra parte di Branbal ha deciso di usare due o tre dei tuoi fratellini imbambolati come spuntino. Davvero succulenti se non fosse per quella coda infame che ti si infila tra i denti …” Kuja cercò di fare ordine in quelle parole veloci “… ma il tuo padrone arriverà qui esattamente tra quattro minuti e mezzo, e poiché ci tengo alle piume me ne andrò non appena sentirò il suo odore controvento. Allora, lo apri o no questo passaggio?”
Quando realizzò quello che era successo gli si mozzò il fiato. “Tu … TU SEI PAZZA!” Il cuore iniziò a rombargli nelle orecchie. “NON HAI IDEA DI QUELLO CHE HAI COMBINATO!”
“A parte averti appena salvato la coda …. no”.
“Non posso scappare … non posso … NON POSSO!”. Al pensiero della fuga tutta la stanza iniziò a ruotargli intorno. Stava ansimando. “Mi troverà, mi troverà ovunque io vada, non posso nascondermi, mi troverà … ha il mio DNA, mi ha creato lui, MI TROVERA E NON SI LIMITERA A LEVARMI L’ANIMA, MI CANCELLERA NELLA MANIERA PIU DOLOROSA POSSIBILE!”
“SMETTILA DI STRILLARMI NEL CERVELLO E CALMATI!” alle parole seguì un boato assordante, che non aveva mai sentito dalle fauci della bestia d’argento. Kuja scosse la testa, rivolto di nuovo verso il cristallo blu, con la prospettiva del perdere l’anima che si faceva più interessante ad ogni istante che passava. Ma il ruggito si fece sentire di nuovo. “Tu apri quel passaggio e scappa. Ti troverà? Ci penseremo. Meglio morire domani che oggi, no? E se proprio devi morire … preferisci davvero farti assorbire da un cristallo come un cagnolino ubbidiente o provare a tirare fuori le zanne?”
Cercò di allontanare le immagini che quelle parole evocavano. Facevano solo male. Il drago non aveva idea di quello che l’osservatore stellare gli avrebbe riservato in caso di ribellione; non aveva ancora abbastanza forza, non era il momento, non ci sarebbe riuscito nemmeno se si fosse arreso alla Trance. Gli bastò pensare a quell’opzione per sentire la bestia ridacchiargli nell’orecchio. “Non voglio … non voglio morire”.
“Un grandioso passo avanti sulla tua tabella dell'autostima rispetto al primo giorno che ci siamo conosciuti, ma suppongo che al momento non sia sufficiente. Sarò anche monotona, ma il tuo padrone sta arrivando qui e ti consiglio di essere già su Gaya quando si accorgerà che l’ho giocato per bene!”
Sembra facile …
La paura gli stringeva le gambe. La mano non voleva sollevarsi dal fianco per aprire il passaggio. Le dita tremavano e piantavano le unghie nella coscia. Fu quando cercò di trovare una luce nei suoi pensieri che si accorse che la replica non se ne era andata da lì. Era tornata a fissare il cristallo, e la sua coda gialla giaceva sul pavimento. Osservava imbambolato la grande struttura pulsante e, cosa ancora più interessante, gli dava le spalle. “Forse mi è venuta un’idea migliore …”
“Ecco, proprio quello di cui non avevo bisogno”.
Kuja lasciò perdere i commenti e si diresse verso la bambola. Non cercò nemmeno di nascondere i propri passi, ma il piccolo pupazzo non si voltò, troppo intento ad assorbire la luce. E tu saresti la mia versione migliorata? Io non permetterei a nessuno di venirmi alle spalle.
Le braccia gli ricadevano sui fianchi, e le spade erano abbandonate a diversi passi da loro. Persino gli altri contenitori avevano più vita di quel doppione. “Che c’è, se il tuo padrone non schiocca le dita non sai nemmeno difenderti?”
L’altro rimase in silenzio, perso nell’ipnosi. Se le sue parole cariche di derisione lo avevano raggiunto, non lo dava di certo a vedere.
La cosa riuscì solo ad irritarlo. “Sei contento di sostituirmi, dì la verità! Ti piacciono i miei tesori? Il mio letto? La mia stanza?” le lacrime gli scendevano dagli occhi, anche se aveva ripromesso a se stesso che non avrebbe pianto mai più. “TI PIACE ESSERE IL PROTAGONISTA DI QUESTA FARSA?”
Si voltò persino l’immancabile Jenoma messaggero, ma non la copia. L’unico segno di vita erano le spalle che si alzavano e si abbassavano.
Le grida si dispersero nell’eco, e la luce del cristallo pulsò al tempo delle parole.
“VOLTATI! SO BENISSIMO CHE PUOI SENTIRE, QUINDI VOLTATI! NON HAI IDEA DELL’INFERNO CHE TI ASPETTA?”. Con un ultimo passo gli fu alle spalle e scansò la fastidiosa coda con un calcio; la creatura dai capelli biondi non si mosse nemmeno quando appoggiò la mano destra al suo piccolo collo e fece scivolare le dita alla ricerca della carotide. Il pulsare del sangue rese estatica la bestia, e per un attimo Kuja assaporò il piacere della preda assolutamente inerme tra le sue braccia. Avrebbe dovuto trattenersi come mai aveva fatto per impedire che lo stato Trance si risvegliasse in lui quando avrebbe staccato quella piccola testa bionda dal collo e si sarebbe immerso nel suo sangue. Ma era disposto a correre il rischio. In fondo lo aveva detto Garland: non servivano due angeli della morte. Il suo creatore avrebbe impiegato almeno una decina di anni prima di crearne un altro, e non poteva permettersi di rimanere per tutto quel tempo senza un cacciatore o avrebbe rischiato di perdere il Flusso di Anime ricreato con tanta fatica. Sarebbe stato costretto a tenerlo in vita.
Ed in dieci anni molte cose potevano cambiare.
“Niente di personale, copia, ma su questo palcoscenico non c’è spazio per due marionette. Non che mi ci diverta gran che, ma devo restare in vita ancora un po’. Ho bisogno di tempo”. Mormorò. Non sapeva nemmeno perché stava parlando con quella bambola; si rese conto di aver perso già abbastanza tempo e fece scivolare entrambe le mani sul collo, pronto a spezzarlo con un solo colpo. “Forse ora non te ne rendi conto, ma mi ringrazierai …”
Non aveva ancora terminato la frase che la replica si mosse.
Kuja fece un passo indietro, colto alla sprovvista da quel movimento brusco. Mormorò un incantesimo per evocare una barriera, ma l’altro oltrepassò l’esiguo spazio tra di loro con un solo scatto. Premette contro il suo petto e gli strinse le braccia intorno alla schiena come una morsa; per poco Kuja non perse l’equilibrio, ma si riprese. Stava per evocare una sfera infuocata e liberarsi dell’insolente assalitore, ma la fiamma gli morì nella mano destra quando si accorse che la bambola aveva smesso di attaccare. Continuava a rimanere lì, ancorata a lui, ma la stretta non accennava ad aumentare, né le mani cercavano di dilaniarlo; premeva in modo ostinato la testa contro il suo petto e … singhiozzava?
Che diamine …?
Prima furono solo dei singhiozzi, ma l’attimo dopo si trasformarono in un grido disperato. Kuja fissò quella testa bionda sconvolta dalle convulsioni senza la minima idea di cosa fare: di tutti gli scenari che aveva in mente, quello …
“Allora la lacrima facile è un vizio di famiglia! Deciditi, o lo sbrani o te ne vai di qui, ma alla svelta!” fece nuovamente intrusione la voce del drago. “Garland è arrivato, io me ne sono andata e adesso tornerà da te! Scusa se ti metto il sale sulla coda, ma non rischierò le piume una seconda volta!”
“Non ce ne sarà bisogno”.
L’altro continuava a gridare come un disperato, riempiendo con il suo dolore tutta la stanza. C’era solo disperazione in quel pianto senza parole, una disperazione che Kuja si accorse di aver gridato anche lui migliaia di volte nel buio della sua stanza. L’aveva gridata al cuscino, alla parete ed ai libri, perché non aveva nessuno a cui aggrapparsi in modo così tenace, qualcuno a cui mendicare un po’ d’aiuto. Quella copia doveva essere davvero disperata per stringersi alla persona che aveva appena tentato di ucciderlo. Evidentemente i metodi che Garland ha usato su di lui non sono troppo diversi da quelli che ha usato con me. Perché dovrebbero, in fondo?
La coda della creatura gli scivolò contro la schiena, cercando la sua.
Che Kuja sapesse esistevano solo due modi per risvegliare la Trance in una creatura: una forte emozione … o un forte dolore.
Ed aveva i seri dubbi che l’osservatore stellare avesse scelto la prima via.
Le urla si spensero lentamente, ma le lacrime continuarono e la stretta si fece più forte, quasi ossessiva. Gli faceva quasi impressione vedere il volto fino a qualche istante prima impassibile, il volto dei Jenoma, stravolgersi in quel modo: era fuori posto. Provò leggermente a scrollarselo di dosso, ma quello lo abbracciò in maniera così disperata che ritrasse le mani. Scosse la testa, sforzandosi di ricordare che doveva uccidere quel pupazzo piagnucolante per continuare a vivere, quasi sperando che la bestia rossa si riaffacciasse in lui. “Non ti ha dato nemmeno un nome …”
Ma guarda, sono quasi fortunato …
“Un nome è una cosa intima, socio! Voi bipedi lo date via con troppa leggerezza! E se pensi che ti dica il mio prima dei prossimi quattro o cinque secoli ti …”
“Non è questo il punto”.
L’altro gli stava chiedendo aiuto perché era la creatura più simile a lui. Se sei davvero come me, allora puoi percepire le anime. Ed oltre alla mia, non ve ne sono altre in tutto questo pianeta …
“Allora sei alla fase del rimorso!”
“Non è rimorso”.
“Ah no?” borbottò la creatura alata. “Perdona se discuto il tuo vocabolario, ma come lo chiameresti?”.
“Opportunità”.
Mormorò le parole giuste, ed in pochi attimi aprì il passaggio luminoso. Per un attimo il vortice bianco avvolse tutto, perfino la luce azzurra del cristallo; aveva usato solo un paio di volte la crepa scintillante che univa il mondo grigio di Tera alle lande ghiacciate dell’Isola Splendente su Gaya, e nessuna delle due volte era stata un’esperienza piacevole. Era molto più comodo spostarsi con un’aereonave. O un drago. Il freddo dell’isola avvolta dal mare gelido attraversò lo spazio e raggiunse persino le sue spalle. In risposta la piccola replica lo strinse ancora di più, ma il pensiero che il loro creatore potesse arrivare da un momento all’altro diede a Kuja la forza di superare quell’abbraccio, di acchiappare l’altro per i vestiti e di avvicinarlo alla fessura incantata. “Ci vediamo quando il mio spettacolo sarà pronto, fratello” mormorò, ed in quell’istante davanti ai suoi occhi balenò l’immagine della barca tra i flutti, l’invocatrice e la sua bambina aggrappate per non morire. “Vedi di essere pronto per allora. Amico o nemico, a me non cambia nulla. Ma quel giorno raccontami che sapore ha la libertà …”
Guardò gli occhi chiari dell’altro ancora invasi dalle lacrime. Provò un lieve sospiro d’invidia per lui, poi lo scagliò dall’altra parte del passaggio ed osservò la figura azzurra e la lunga coda gialla svanire nel vortice bianco, illuminata dalle scintille verdi e rosse che accompagnavano la chiusura del Passaggio delle Anime.
Il sentiero si richiuse e si massaggiò la schiena nel punto in cui la copia aveva stretto le sue braccia.
“Perdonami un piccolo, minuscolo, effimero, semplice, insignificante, microscopico, infinitesimale quanto vitale dettaglio, socio …” sarebbe stato un grande giorno quello in cui avrebbe spiegato alla dominatrice dei cieli di non invadergli la testa ogni cinque minuti. “… hai avuto un attacco di panico all’idea che il tuo padrone possa ritrovarti a piacimento. Quando hai avuto il tuo melenso attacco di pietà non hai pensato che potrebbe ritrovare anche il tuo sedicente fratello con la stessa facilità?”
“Non se decide di non cercarlo”.
Il Jenoma che lo aveva accompagnato fin lì si trovava nello stesso punto in cui lo aveva lasciato. Lo squadrò dall’alto in basso, fissando l’espressione vuota. L’attimo dopo aveva staccato la testa da quel patetico recipiente, e per essere sicuro che Garland non investigasse ancora appoggiò la mano al petto del corpicino e ne strappò il cuore con un solo gesto. Si morse il labbro alla vista del sangue, ma la Trance rimase al suo posto. “Un vero peccato che i Jenoma siano tutti uguali, non trovi?”
“Così mi piaci, socio”.
“Adesso verrà la parte peggiore, suppongo …”
Non aveva ancora finito di formulare quel pensiero che si ritrovò dall’altra parte della stanza, schiacciato contro la parete mentre una sensazione di bruciore gli avvampò contro le spalle, la schiena e la coda che teneva gelosamente nascosta. Non erano vere fiamme, non vi era alcuna scintilla rossa, ma il dolore gli arrivò fin dentro la mente, distruggendo il contatto con il drago. Garland era arrivato, accompagnato dal suo passo metallico. Adesso doveva solo attendere che la tempesta passasse. Non aveva senso lanciarsi alcun incantesimo di guarigione: aveva imparato che servivano solo a prolungare lo strazio. Seguì gli occhi del suo creatore, che andarono prima al corpo senza vita del Jenoma, poi alla sua testa rotolata in un angolo ed infine su di lui. L’ennesimo sguardo senza espressione. “Che c’è, Garland?” mormorò, sapendo di dover essere molto convincente. “Non avevi detto che non ti servivano due angeli? Come vedi è rimasto solo il migliore. Lo stadio Trance non è poi tutto questo gran che, o almeno questi sono i fatti”.
Il suo creatore non parlò.
“Suppongo dovrai sopportarmi ancora per un po’ … A patto che non crei un angelo più forte di me, ma penso che dovrai impegnarti”. Ho solo bisogno di tempo, mormorò tra sé, mordendosi il labbro inferiore quando vide la mano dell’osservatore stellare sollevarsi e sprigionare l’ennesimo incantesimo. E quel giorno ti restituirò ogni singolo incantesimo che mi hai lanciato. Con gli interessi.
Potevano esistere due angeli allo stesso tempo. Ed esistevano perché era stato lui a volerlo. Erano come le lune gemelle, una grondante di sangue, l’altra libera ed azzurra come il cielo; gli sarebbe piaciuto essere quest’ultima, ma non poteva permettersi di tramontare. Un giorno, al completamento del piano del suo creatore, le due lune si sarebbero fuse in un unico satellite per un nuovo, unico pianeta. E quel giorno …

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Note di traduzione: "Conde Petit" è la versione italiana di "Conde Petie", mentre "Branbal" è la versione nostrana per "Bran Bal"

Ho pensato a questa one-shot per colmare quello che a mio parere è un'incongruenza nella trama di FF IX. Nel terzo disco, Garland racconta che Kuja ha scagliato Gidan su Gaya perché invidioso delle sue capacità di dominare la Trance e perché temeva di essere sostituito. Cosa secondo me poco logica ... perché scagliarlo in un altro mondo quando poteva ucciderlo con uno schiocco di dita? (e nel gioco ti dice benissimo che al momento della creazione Gidan era sostanzialmente lobotomizzato). Allora ho inventato questo escamotage ... resterà comunque coerente, perché in futro Garland scoprirà che Kuja non ha realmente ucciso suo fratello ma lo ha solo mandato via, ma crederà che la causa logica di questo gesto sia dovuta all'invidia di Kuja ... e sarà questo ciò che dirà a Gidan. Oltretutto questa scena mi è sembrata coerente con il resto della trama perché, finché Kuja è normale e non scapoccia, non fa mai del male direttamente a Gidan.


Grazie a tutti quelli che seguono questi miei scleri senza né capo né coda, specie a Lisaralin (di cui vi invito a leggere qualcosa, specie se siete interessati a Kingdom hearts o a Saint Seiya) ed a PandaPlaysFlute che mi ha salvato con le sue preziose informazioni con la cronologia dell'universo di FF IX, nonché scrittrice di fandom di questo bellissimo videogioco.
 
 
  
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