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Autore: artemix_    29/12/2013    1 recensioni
Clara Oswin Oswald era la ragazza impossibile, il corpo che non si incastrava completamente con quello del Dottore perché non vi era amore in quello che facevano, non vi era amore nei loro sguardi e non vi era confidenza. Non vi era niente. Solo il desiderio sconfinato ed estenuante di qualcosa che non riusciva ad essere portato a termine. Eppure trovavano sempre il modo di trovarsi, loro due.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Clara Oswin Oswald, Doctor - 11, TARDIS
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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chapter 2
i'd whisper if that's all you have to give but it isn't

 
Il tempo, che cosa buffa, pensò Clara guardando di sottecchi il Dottore. Così, si fermava mentre rideva per tutte le cose buffe che lui diceva e lo guardava. E chissà se lui lo faceva.
Si augurò lo facesse mentre non se ne accorgeva. 
Un giorno come una bambina al nonno, con un sorriso timido si avvicinò a lui e, senza guardarlo, gli chiese: - Dottore, ma tu mi vedi?
- Certo che ti vedo, Clara –  e cominciò a piroettare intorno alla console e a smanettare col suo cacciavite sonico - anche lui ti vede! - urlò e lo puntò su di lei. Lo aprì e lesse ad alta voce: "donna, razza umana, pianeta d'origine: terra".
Lei ridacchiò e abbassò nuovamente lo sguardo, fissandosi le mani poggiate su una delle maniglie.
Decise di lasciar perdere.
 
***

In quanto tempo le persone cambiano? Quanto tempo bisogna aspettare per poi cominciare a tenersi pronti per un eventuale cambio di rotta? O è tutto uguale e ci si ostina a crederci incodizionatamente?
Erano cose che accadevano anche con gli alieni, i signori del tempo, o solo con gli umani?

Tutto ciò che le rimase da fare, Clara Oswald lo fece.
Tornò sulla terra un paio di volte, stette con suo padre, i suoi bambini, e poi di tanto in tanto il Dottore tornava a riprenderla.
I giorni si fermavano e i materassi perdevano di nuovo la loro forma piatta.
Fissava il soffitto della stanza bianca mentre era sdraiata su quel letto che si schiacciava sotto i loro pesi. Le piaceva il colore di quella stanza e il modo in cui la luce filtrava dalle finestre. Le piaceva che tutto ciò coinvolgesse lei. Che in quel preciso istante c'erano solo lei e lui in quella camera, pur essendo consapevole che c'era qualcun altro, anche se non fisicamente lì. Ed un altro ancora, che invece li teneva in segreto e al sicuro finché lei fosse rimasta con lui.
Il TARDIS.


***

Si alzò e si vestì, attraversò i lunghi quindici corridoi e poi giunse nella sala di controllo, la hall della TARDIS.
Salì gli scalini e si appoggiò con le mani sulla console.
Guardò prima i pulsanti, poi la colonna al centro.
- Sei così silenziosa a volte - sussurrò.
La TARDIS non rispose. Neanche un suono. C'era solo il leggero rumore dello spazio vuoto fuori da quella porta. 
Lei guardo l'entrata e di nuovo la colonna, poi sorrise con l'angolo della bocca. E i suoi occhi si strinsero e lei cominciò a singhiozzare. E guardò la colonna al centro con gli occhi pieni di lacrime, la faccia rigata dei suoi silenzi.
Si sentiva in dovere di spiegare cosa provasse, nonostante fosse troppo debole in quel momento per riuscire a parlare.
La TARDIS taceva ancora.
Alla fine lei non piangeva per ciò che faceva. Lei amava viaggiare con lui. Lei amava ciò che faceva, lui; amava anche solo essere sfiorata, anche solo il suono del suo buongiorno e il suo girovagare per il TARDIS senza nessun perché, con il fare innocente di chi non aveva nessun impegno, di chi viaggiava e adorava esserci ovunque e non esserci affatto, soltanto per il puro gusto di compiere belle azioni, di presenziare, di rendere felici.
Ed era quello che faceva lui, la rendeva felice. La rendeva felice quando d’un tratto spuntava nel prato di fronte casa o quando la chiamava e le diceva di star arrivando, la rendeva felice coi suoi sbalzi d’umore, quell’improvvisa voglia di renderle la vita un inferno con i suoi sorrisi gettati là, di prendere e baciarla sulla nuca all’improvviso mentre era distratta e poi tornare a fare quelle che amava chiamare ‘questioni importanti’ con i suoi: - Okay Clara, adesso ce ne andiamo in giro a salvare l’universo! – e poi spingeva la levetta di comando per avviare la macchina.
Lei ridacchiò e si asciugò con il dorso della mano le guance.
- Per favore - disse con la voce sottile - questo non glielo diciamo.
E si allontanò dalla console. Soltanto scendendo le scale, mentre era di spalle ad essa, un piccolo suono, uno solo, come un colpo per sì e due per no, provenne da lì.
Si fermò sull'ultimo scalino, Clara Oswald, e sorrise all'ombra dei corridoi che stava per attraversare. 

***

Il giorno dopo si ritrovò in una stanza diversa: le pareti bordeaux e il letto singolo.
Prima fu confusa del cambiamento, poi sconvolta. Non si sentiva neanche sul TARDIS.
Si mise a sedere di scatto tanto che le girò la testa.
E soprattutto sono senza il Dottore, pensò.
Si alzò e raggiunse la porta alla sua sinistra. Ma quando mise piede fuori, capì di essere ancora a bordo della macchina del tempo.
Fece i primi metri camminando lentamente poi prese a correre strillando il nome del Dottore.
Guardò alla sua destra e lo vide in uno dei corridoi. E non era solo.
Una ragazzina bruna gli teneva il volto tra la mani, mentre lui visto da fuori sembrava molto più deciso di come le sembrava da vicino. 
Clara si mise una mano sulle labbra perché temette di urlare in quel frangente, dove vedeva qualcuno diverso da lei avvinghiato a lui e capì che avrebbe sofferto se ci fosse stata River Song, in quel momento.
Ma poi sorrise debolmente e teneramente quando si rese conto che quella ragazzina che sembrava così bassa (sono così bassa vista da dietro?, si chiese) era proprio lei stessa.
Vide entrare quella doppia sé con il Dottore nella stanza alla quale entrata lui si stava poggiando con un gomito.
Soltanto dopo si domandò cosa in realtà stesse accadendo.
- Cosa mi fai? - sussurrò al soffitto.
- Clara, quanto ancora mi farai aspettare? - sentì dire dal Dottore alle sue spalle. Si voltò subito e si ritrovò un'altra doppia sé che sbuffava e precedeva il Dottore, che le mostrava la strada, in un altro corridoio.
Clara aggrottò le sopracciglia. Non si ricordava fosse mai accaduto qualcosa del genere.
Si voltò di nuovo e si ritrovò faccia a faccia con un corridoio buio.
- Dottore? - cominciò a chiamare nel buio, quando neanche le voci dei cloni vi erano più a farle compagnia. - Dottore?
Cosa c'è che non va? Non volevo certo diventassimo amiche, ma perché lasciarmi al buio? Perché?, pensò Clara esasperata.
Gli occhi le si riempirono di lacrime e si fece scivolare lungo la parete fino a sedersi per terra. Si strinse le ginocchia al petto.
- Clara? 
Alzò un po’ la testa.
- Clara sei tu? - chiese la voce a cui teneva più della sua vita. Tremò e guardò in fondo al corridoio dove vi era la sagoma scura di un uomo.
Si sentì persa, sentiva solo la sua voce e le sembrò soltanto un ricordo.
Uno stupido ricordo. Come quando era uscita dal vortice temporale del Dottore ed era sola.
E capì di essere sola. Era lei contro l'universo e poi il Dottore.
Capì che salvava vite e non preservava nulla per sé; nessuna avventura o esperienza era abbastanza da farle da insegnamento. Era lei che non riusciva a salvarsi. 
E l'unica cosa di cui aveva la certezza, era che non riusciva a farlo da sola.
E lei aveva bisogno di qualcuno, ma in quel momento, lui non era lì.
  
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