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Autore: lili1741    22/05/2008    8 recensioni
“Mi odi ancora, Lisandro?” gli chiese.
Con gli occhi rivolti a terra, come era solito fare per celare agli altri il loro colore, Lisandro rispose: “Sì, ti odio, Alcibiade. Ma ti odio con l'intensità di chi potrebbe ancora amarti, se tu glielo concedessi.”
Per gli amanti del mondo classico. RECENSITE PER FAVORE; CI TENGO MOLTO AL VOSTRO PARERE!
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Antichità greco/romana
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Gli occhi cerulei di Lisandro guardavano soddisfatti i Samii inchinarsi davanti al cospetto del navarco vincitore, sul cui capo era stata posta una corona di alloro e fiori di campo. Lo Spartano ascoltò compiaciuto il suono della lira e delle odi con cui l'oligarchia di Samo celebrava il suo nuovo protettore, Lisandro degli Eraclidi, il primo greco ad essere nominato Dio.

Dio... Gli occhi di Lisandro s'illuminarono per un istante di una luce color ghiaccio, ed un sorriso allucinato comparve sulle sue sottilissime labbra. Nessuno avrebbe osato più contrastarlo, nessuno si sarebbe mai più frapposto tra lui ed il suo volere come tante volte era accaduto in passato. Egli era un Dio, il nuovo Dio che tutta la Grecia avrebbe venerato, la cui festa cultuale, le Lisandrie di Samo, erano associate ad Era, quasi che lui fosse un novello Zeus, un nuovo padre di uomini e dei.

Ma nel folto della folla scorse fra i Samii il volto di un fanciullo bellissimo, dagli occhi neri e dai capelli color dell'oro. Il suo pensiero abbandonò i sogni di dominio e non poté fare a meno di riandare al suo Alcibiade, il condottiero ateniese...

Gli occhi neri come la notte di Alcibiade guardavano la pioggia cadere senza tregua sulla città di Melissa, rendendo quel luogo d'esilio ancora più tetro. "Gli dei piangono Atene e la Grecia tutta..." pensò. Le sue giornate in Frigia trascorrevano vane e vuote, senza che l'Ateniese potesse fare a meno di rimpiangere continuamente il proprio passato, la sua città dei tempi d'oro quando ancora Pericle, suo parente, la guidava, le sue discussioni con Socrate, le sue vittorie alle Olimpiadi.

Guardò di nuovo il cielo, e maledisse le proprie sciagurate bramosie di potere che lo avevano condotto alla rovina. Soltanto dieci anni prima, egli era stato uno degli uomini più influenti dell'Ellade, di cui tutti ammiravano l'indiscusso fascino e le doti militari ed a cui tutti chiedevano consiglio. Tutti tranne una sola persona, Lisandro dagli occhi cerulei...

A Sparta Alcibiade era giunto come disertore della propria città, Atene, che lo aveva condannato per empietà. Gli Spartani lo avevano accolto con gioia, affidandogli subito prestigiosi incarichi militari, ma l'Ateniese era presto venuto a sapere dell'astio con cui alcuni spartiati lo guardavano, decisi a fare qualunque cosa per vederlo cadere in disgrazia. Tra essi vi era il giovane Lisandro, un temibile stratega legato da profonda amicizia alla famiglia del re Agide. Figlio illegittimo di uno spartiate decaduto e di una schiava Tracia, aveva ereditato gli inquietanti occhi chiari della madre, occhi che nessuno aveva il coraggio di fissare. Quello era il colore degli occhi di Hades, della Morte, ed era di cattivo presagio guardare troppo a lungo quei piccoli laghi ghiacciati.

Alcibiade decise di parlare con Lisandro e di pregarlo di deporre quello sdegno ingiustificato. Sapeva che il giovane poteva contare sull'appoggio di molte persone influenti, tra cui Cleobulo, l'eforo che lo aveva allevato, salvandolo dal destino miserabile che spettava ai figli illegittimi. La sua amicizia sarebbe stata un guadagno per l'Ateniese.

"Io ti disprezzo, Alcibiade, anche se sei valente e la tua bellezza è leggendaria." gli aveva risposto lui. "Tu non sai dare il giusto valore alle cose: hai avuto tutto, e per noncuranza sei riuscito a perdere ciò che avevi. Sei nato in una nobilissima famiglia, hai ricevuto dalla natura molti doni, hai potuto vedere le tragedie di Sofocle e discutere con i filosofi. Ma hai forse capito il valore delle fortune che ti sono toccate? No di certo! Se avessi potuto io, al posto tuo, vivere una vita del genere, per nulla al mondo avrei rischiato di distruggere ciò che avevo."

In Lisandro parlava l'odio di chi dal Fato ha avuto poco, e rimprovera i più fortunati di non aver saputo usare i doni ricevuti, il sentimento di chi ha visto morire nella miseria il proprio padre, di chi è stato strappato alla propria madre piangente nella più tenera infanzia per venire educato duramente al dolore ed alla guerra. Ma in quelle parole traspariva anche la combattuta ammirazione per Alcibiade, per la sua radiosa bellezza, per la sua cultura, per il fascino che sapeva esercitare su chiunque gli stesse accanto. Alcibiade lo capì, ed iniziò a parlargli della propria città, Atene regina della Grecia, Atene con la sua splendida Acropoli, Atene con il teatro di Dioniso in cui in primavera risuonavano i versi dei cori tragici. Gli parlò di cosa significasse assistere dal vivo alle tragedie di Sofocle, che Lisandro conosceva solo parzialmente tramite le notizie che giungevano a Sparta, e delle lacrime di purificazione e pietà che la sorte dei grandi eroi suscitava nel pubblico. Lisandro ascoltò come un bambino ascolta una favola, con gli occhi sgranati del soldato che per qualche istante evade dal proprio mondo misero di distruzione e di morte. Alcibiade ebbe pietà di quel giovane, così bello e così malinconico, che ostentava al mondo una durezza ed una laconicità eccessive solo per difendersi dalla durezza degli altri.

"Mi odi ancora, Lisandro?" gli chiese.

Con gli occhi rivolti a terra, come era solito fare per celare agli altri il loro colore, Lisandro rispose: "Sì, ti odio, Alcibiade. Ma ti odio con l'intensità di chi potrebbe ancora amarti, se tu glielo concedessi."

Quella disarmante sincerità colpì Alcibiade come uno schiaffo sul viso. Si rese conto solo allora della forza latente in quel giovane dall'aria inquietante. "Ed io te lo concedo." Gli sussurrò, alzandogli con una mano il volto per poterlo guardare in faccia. Lisandro ed Alcibiade si persero l'uno negli occhi dell'altro.

E fu così che Alcibiade vinse Lisandro lo Spartano.

A Melissa, Alcibiade tornò con il pensiero al presente, sentendo bussare violentemente alla sua porta. "Non aprire, ti prego..." sentì implorare la sua amante, Glicera. "Sono gli uomini di Farnabazo, mandati da Lisandro per ucciderti."

Alcibiade prese la spada ed uscì dalla casa, deciso a morire combattendo. Lisandro lo voleva morto, perché Alcibiade aveva abbandonato anche Sparta, per tornare alla sua Atene. Era un uomo pericoloso agli occhi di tutti, e sapeva che prima o poi qualcuno lo avrebbe assassinato, per rendere il trionfo di Sparta su Atene ancora più completo.

Una spada lo colpì, ferendolo gravemente. Quando la Morte sopraggiunse,Alcibiade poté constatare che aveva davvero gli occhi azzurri, come il suo Lisandro.

E fu così che Lisandro vinse Alcibiade l'Ateniese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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