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Autore: IlrespirodelleOnde    31/12/2013    3 recensioni
Sorrido, non a lei, né per quello strano gesto. Sorrido perchè sento il suo respiro sul mio collo, tanto vicina e lontana allo stesso tempo.
“Stai qui stanotte” le sussurro senza alzare lo sguardo, ancora incerto se convincerla a restare o lasciarla andare, “è buio fuori.”
[ADAM x Nuovopersonaggio]
Fanfic ispirata al trailer di "Only Lovers Left Alive".
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tutti!
Sono tornata con una storia alquanto strana e... improbabile, per questo motivo mi prendo un po' di spazio prima della storia e non dopo :)
Il personaggio centrale è Adam, di “OLLA”, capace di scegliere chi trasformare in vampiro, spiego: non è il morso in sé che trasforma le vittime in vamiro, ma la sua volontà. L'ho fatto perchè trovo altamente erotico (passatemi il termine) il morso di un vampiro :)
Vi lascio alla storia, se arrivate alla fine lasciatemi una piccola recensione, giusto per sapere coa ne pensate!
Un bacio,

 

layla<3

 

 

 

 

 

 

SAPORE DI SANGUE

 

 

 

 

 

It's just a matter of time
before you recognise me for who I am,
until you see the man behind the mask,
if you give me your heart
I won't keep it
it will only end up in pieces.

If you stay too long
then a lot will go wrong
and you can't go back.

(Hate me - Saliva)

 

 

 

 

 

 

“Hai paura di me?” le chiedo concentrato sull'espressione passiva e vagamente addolorata che leggo nel suo riflesso.

Non parla, trema quasi impercettibilmente per il freddo che penetra dagli spifferi della finestra, gelidi pezzi di cielo.

Voglio che si guardi nello specchio, che ammetta a se stessa che io non sto forzando nulla di quello che accadrà, non sarannò solo le mie volontà, ma anche le sue. Vorrei che riuscisse a vedere quel corpicino pallido come lo vedo io, bello come lo vedo io.

La prima volta che la vidi fu nel parco accanto alla cattedrale, da sola alle due di notte. Per essere stato un sabato abbastanza tranquillo, mi stupì di aver trovato una simile preda, così invitante, con tanta semplicità.

Mi ero avvicinato a lei senza badare a stare nascosto, infatti lei mi aveva subito notato, mi guardava in silenzio, le braccia lungo i fianchi e la noia scritta in volto, come se uno sconosciuto alle due di notte non le facesse paura.

Non le ho mai fatto paura, non le faccio paura.

Per un vampiro questo è un problema.

Quella notte non parlammo, ci limitammo ad ascoltare il rumore del nostro respiro ad un metro l'uno dall'altra, aspettando.
Io aspettavo che lei scappasse appena avesse realizzato ciò che stava per succedere, ma nemmeno i canini troppo sporgente per un uomo qualsiasi l'avevano turbata.
Lei non aspettava, nulla, semplicemente, aspettava.

Hai paura di me?” le avevo chiesto, ma lei avevascosso debolmente la testa e da quel momento era sempre tornata a cercarmi, prima al parco, poi a casa mia.

Le bacio le scapole accennando un lieve morso a quella destra. Sussulta e fissa il me stesso riflesso sul vetro abbassando poco dopo lo sguardo, sconfitta dal mio mezzo sorriso.
Lo sa che quella è la mia sera, la nostra sera, e in quell'unica occasione ho carta bianca.
Lei stessa me lo ha concesso: ogni sabato sera, quando le strade sono troppo affollate per me per 'cacciare', mi dedico a lei.

A volte ho la sensazione che si abbandonerebbe in balia dei miei desideri più che una volta ogni sette giorni, ma ciò che resta della sua dignità le impedisce di chiedermelo, quindi tace.

“No, Adam” sussurra a malapena quando la punta di entrambi i miei canini le perfora la carne, sul collo, a qualche centimetro dalla giugulare, “non ho paura.”

Trema mentre lo dice, motivo per cui non è esattamente credibile, ma mi aspettavo che si mostrasse impenetrabile anche in quell'occasione.

Chiude gli occhi istintivamente e geme due parole che non riesco a sentire a causa del ritmo del suo cuore che mi pulsa nelle orecchie.

La sento contorcersi vanamente contro il mio corpo e chiedermi di smetterla, supplicarmi, ad occhi chiusi; una sua mano si insinua tra le mie ciocche scompigliate nere tirando poco verso di lei, aumentando l'afflusso di sangue nella mia bocca.

Mi accorgo di essere stato troppo veloce, sono ancora vestito mentre il suo corpo pallido è coperto solo dalle mutande in pizzo bianco e il reggiseno coordinato.

Le faccio sempre più male, socchiudo di un po' le labbra sporche del suo sangue strappandole un urlo acuto, penetrante.

Abbiamo già finito, per ora, e mi maledico mentalmente per essere stato così precipitoso; la guardo ancora una volta: ha gli occhi socchiusi, come la bocca, stringe ancora i miei capelli, desiderosa di altro.

La bacio piano sulla guancia, facendo schioccare silenziosamente le labbra contro la sua pelle, lasciandole impressa una striscia rossa di sangue.

Prendo uno straccio pulito da una sedia e le tampono i due buchi perfettamente paralleli bloccando il sangue, poi mi lecco le labbra per eliminare ogni rimasuglio di lei dalla mia bocca, tutto tranne il suo sapore dolce.

Tiene ancora gli occhi serrati, trema infreddolita e scossa dalla violenza ricevuta, dai miei denti nella sua carne.

Non che non l'abbia fatto, ma questa notte è diversa.

Era entrata sbattendosi distrattamente la porta alle spalle, lanciando a terra lo zaino rimanendo immobile all'ingresso.

Io stavo seduto sul divano, sorridendole sornione, aspettando che facesse qualcosa, come quella notte al parco, ma, esattamente come era successo mesi prima, non aveva fatto nulla.

Mi ero alzato per andare a prendermela, ma non sembrava della mia idea, così fui costretto a tirarla per la felpa fino al divano, ridendo tra me e me per i suoi sforzi vani, fino a farla sedere su di me, la testa contro il mio petto.

Ho visto Tilda uscire di qui, ieri notte.” aveva detto senza alzare lo sguardo.

Il primo pensiero, dopo di questo, era stata l'immagine della donna davanti a me, con un bicchiere di sangue in mano e una scintilla di passione accesa negli occhi, come a ricordarmi il motivo per il quale era venuta. Aveva strappato la mia maglietta ed eravamo finiti a letto il minuto seguente.

Non è affar tuo quel che faccio con lei, bambina mia.” si era allontanata ferita, di certo si aspettava un'altra risposta, forse delle scuse, ma in quella vecchia casa anni 50, con le pareti stinte e delle candele all'incenso ad illuminare l'atmosfera, era lei quella fuoriposto, non un vampiro, né la sua amante. Solo lei, la dolce e incompresa Eris.

Adam...” il richiamo del mio nome mi riporta momentaneamente alla realtà e riesco a prenderla in braccio prima che cada a terra.

Mi guarda delusa, le ho fatto più male del solito e teme che qualcosa sia cambiato.

Teme ancora una volta nella sua vita, nei suoi diciassette anni di esistenza, di aver rovinato tutto, di nuovo.

Le accarezzo con una mano la testa appoggiandola sul materasso.

Trema lievemente mormorando qualcosa, le ennesime parole indecifrabili per me, troppo occupato a ripensare alla sua immagine nello specchio, a Tilda e al sapore che ho del suo sangue in bocca.

Si volta avvolgendosi nelle coperte, questa non è la sera giusta, ma in ogni caso deve stare lì fino a domenica sera, l'istituo dove abita ha pur sempre degli orari.

Mi accorgo troppo tardi che piange, non farei più in tempo a consolarla ora che trema forte e intrappola in gola ogni singhiozzo per non far rumore.

Vorrei poterle dire che va tutto bene, ma non mento.

Lo sa quanto è preziosa per me, non devo ripetermi, ma pare proprio che se lo sia dimenticato.

Pensa che io preferisca Tilda, lo pensa davvero.

La coperta è troppo leggera, ha bisogno di altro calore e io sono troppo freddo. La osservo contorcersi stando fermo.

Ci metto qualche minuto per decidermi ad abbracciarla, sollevarla interamente dal letto facendola accomodare tra le mie braccia, la testa sulla mia spalla. Profuma di arancia e cannella.


“Puoi venire più spesso se vuoi.” mi ascolta, ma non lo da a vedere. Un brivido improvviso la costringe ad accorciare ancora le distanze con il mio corpo e inizia a tremare per altro.

Trema perchè mi sente tanto vicino e perchè non può nulla su di me, ora, nemmeno comandare di spostarmi o di smetterla di fissarla assorto.

Trema perchè mi odia, in fondo, ma non ha altro che me fuori dall'istituto in cui vive.

Trema perchè finalmente si è accorta che io sono tutto ciò che ha ma non possiede, potrei scappare e abbandonarla, dipende tutto da me.

Non verrà più di quattro volte al mese, esclusi i giorni in cui i nuovi potenziali genitori vogliono incontrarla, allora le visite si riducono a tre ogni trenta giorni, a volte due.

“Voglio tornare a casa.” dice solamente, convinta delle sue parole. Si alza pur sapendo che già la mia mano la blocca per il polso.

“Voglio che tu stia qui.” sibilo freddo fissandola contrariato, stanco delle sue infantili pretese.

Mi perdo qualche secondo a scrutare ogni singola curva del suo corpo, sapendo di darle fastidio, divertendomi a vederla arrossire teneramente.

“E' questo il problema, Adam” si divincola graffiandomi il polso, “vuoi tutto ciò che non puoi avere.”

Il suo collo è arrossato, l'ho morsa con troppa foga, le fa male, ma è ancora troppo orgogliosa per esprimere il dolore.

Mi guarda torva, ferita, con gli occhi pieni di lacrime.

Sapevo che le avrei fatto del male dal primo giorno che la vidi, sapevo che la nostra relazione sarebbe degenerata in una sfida per entrambi, lei a dimostrare a se stessa che se la sa cavare in un mondo troppo più grande di lei e io, che ho cent'anni, anno più anno meno, e non ho mai saputo far entrare qualcuno nella mia vita.

Sapevo fin dal primo sguardo che ci saremmo uccisi a vicenda con i nostri occhi duri, l'abbandono reciproco, il dolore scagliato come una pietra contro l'altro.

Io lo sapevo. Ma Eris è una droga.

Il polso quasi mi sanguina e le sue unghie non sembrano voler smettere la loro opera, scavando nella mia pelle.

Non rifletto, ciò che faccio mi arriva sotto forma d'istinto e mi permetto di seguirlo, poggiando per qualche attimo la ragione sul comodino antico di mogano.

Le prendo per le spalle rovesciandola sotto di me in un gesto fluido, lei si lascia trasportare, un po' per la sorpresa, un po' perchè non può fare altro con le mani bloccate al materasso. Mi odia.

Infilerebbe volentieri un paletto nel mio cuore, facendolo sbucare dalla schiena intriso del nostro sangue, perchè nelle mie vene scorre anche quello che le ho rubato.

Respira velocemente, cercando di riprendersi dallo shock e tornare lucida; si volta verso la finestra, non vuole guardarmi e il suo petto si alza e abbassa sempre più velocemente mentre mille calde lacrime le rigano le guancie.

Smette di piangere dopo dieci minuti buoni, quasi non respira più.

La guardo addolcito dall'imbarazzo che prova quando si ricompone, asciugandosi le lacrime con una mano. Mi fissa triste e so che se ne sta per andare, come so di non poterglielo impedire.

Si alza liberandosi dalla mia presa, che cede debolmente messa alla prova dal senso di colpa e inadeguatezza che mi assale stando con lei in camera. Non dovrebbe essere lì, eppure non è ancora uscita.

E' ferma sul bordo del letto e si fissa i piedi. Ha preso una coperta contro il freddo e ne usa un lembo per asciugarsi le lacrime rimaste sulle sue guancie.

Mi sono trovato spesso a pensare cosa ne sarebbe di lei se non ci conoscessimo. Probabilmente la sua vita continuerebbe lo stesso, ma ora lei è qui, dove sarebbe se io non ci fossi? Forse starebbe meglio, meno problemi, meno dolore. O forse di più.

Sento la sua mano scorrere sulle coperte fino a che non percepisco il contatto con la mia pelle. Mi stringe debolmente tre dita, fissando le nostre mani e un po' il vuoto nascosto in esse.

Sorrido, non a lei, né per quello strano gesto. Sorrido perchè sento il suo respiro sul mio collo, tanto vicina e lontana allo stesso tempo.

“Stai qui stanotte” le sussurro senza alzare lo sguardo, ancora incerto se convincerla a restare o lasciarla andare, “è buio fuori.”

Non dice niente, nemmeno mi guarda, o, anche se fosse, non potrei saperlo, dato che mi volto verso la finestra per constatare se quello che ho detto è vero.

In effetti non c'è nemmeno un lampione acceso nelle vicinanze. La luce riflessa sulla finestra e quella della luna, pallida e invitante.

Riprende a tremare debolmente e lì capisco che non vuole davvero andarsene, altrimenti avrebbe preso i vestiti e li avrebbe rimessi, avviandosi verso l'uscita, invece trema in silenzio, aspettando che la faccia smettere.

La tiro dolcemente per un braccio, per un attimo sembra non volermi assecondare, poi il vento leggero e gelido che penetra da sotto la porta la convince a restare con me, sotto le coperte.

La abbraccio carezzandole la testa e il suo profumo mi riempie i polmoni. Si avvicina sempre di più, felice di essere a casa.

Sento le sue piccole dita stringere i miei fianchi e i capelli solleticarmi la pelle.

E' di nuovo a casa.

 

  
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