Storie originali > Drammatico
Ricorda la storia  |      
Autore: sonsimo    23/05/2008    5 recensioni
Per la ragazza quelle misere gocce di felicità non erano mai state abbastanza e ironicamente non le erano mai parse tanto importanti finché non si erano trasformate in lacrime di rabbia, senso di colpa, nostalgia e rimpianto sulle sue guance, nel vedere Robert in quelle condizioni.
A volte il senso di colpa può essere talmente forte da costringerci a distorcere i nostri ricordi e punire non soltanto noi stessi, ma anche chi ci sta accanto.
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Nota dell’autrice: Questa storia è stata scritta per la Terza Edizione della Disfida di Criticoni, Brainstorming. Lo scopo del contest era quello di prendere ispirazione da una serie di sei prompt assegnati tramite sorteggio più un settimo scelto dall’autore. In fondo alla storia trovate le note riguardo all’uso che ho fatto di questo materiale, anche se spero che a quel punto non ne avrete troppo bisogno!
Per questa storia, per la prima volta, ho sentito l’esigenza di rivolgermi ad un beta reader, e ho scelto di chiedere l’aiuto di una persona fidata, cioè la mia coinquilina Cinzia (Cinziaca su Efp) che ha fatto davvero un ottimo lavoro e che ringrazio per il sostegno, la disponibilità e i preziosi consigli che mi hanno aiutato a “sciogliere” qualche frase un po’ ingarbugliata!

Le parti in corsivo sono flashback e non si susseguono in ordine cronologico, ma seguono il filo dei pensieri della protagonista.E ora basta, vi lascio alla lettura della storia!

Drops

Forse alla fine di questa triste storia
qualcuno troverà il coraggio
per affrontare i sensi di colpa
e cancellarli da questo viaggio.

Da “Sally” di Vasco Rossi.

“Sono veramente stufa dei tuoi giochetti psicologici. Non sei affatto divertente”.
Il ragazzo sorrise malizioso, poiché le parole di Sarah erano in aperta contraddizione con l’espressione del suo volto, che mostrava chiaramente quanto in realtà la divertissero i suoi “giochetti”, come lei li aveva chiamati.
“Potresti semplicemente rispondere alla domanda, non credi? Dimmi ciò che voglio sapere e giuro solennemente di piantarla di irritarti!”
Sarah sbuffò e represse a stento la risata che, da un momento all’altro, minacciava di smentire il suo atteggiamento severo.
“Come se fosse possibile! Tu mi irriti sempre, Robert. Appena avrò risposto al tuo ennesimo dilemma esistenziale di vitale importanza troverai un altro pretesto per irritarmi.”
Robert, con gesto teatrale, alzò le mani in segno di resa, facendo sbuffare nuovamente Sarah, che disse con tono infastidito:
“Ok… una rosa.”
Robert la guardò con un’espressione scioccata e disgustata insieme e Sarah incrociò le braccia con sguardo di sfida.
“Che c’è, psicologo dei miei stivali? La mia risposta non è di tuo gradimento?”
Il ragazzo parlò con un finto tono di rimprovero che fece allargare il sorriso sulle labbra della giovane.
“C’è che hai dato la risposta più banale e scontata che abbia mai sentito. Andiamo, un po’ di fantasia! Di creatività! Mi aspettavo che tirassi in ballo qualche strana varietà esotica semisconosciuta, e mi dici che se fossi un fiore saresti una rosa? Ti facevo un tipo molto più originale, sai? Una rosa!”
Sarah assottigliò lo sguardo e si avvicinò con fare minaccioso, trattenendo ancora una volta a malapena le risate quando vide Robert indietreggiare fingendosi impaurito.
“Perché? Tu che fiore saresti, sentiamo!”
“Io?” Robert sorrise sornione e si passò una mano tra i capelli, altezzoso, ignorando l’ennesimo sbuffo esasperato della sua ragazza, “Io sarei… una margherita, ovviamente!”
Sarah lo colpì alla spalla con una finta sberla, finalmente senza più frenare la risata che sgorgò libera e aperta.
“Sei uno stupido! Hai detto il primo fiore che ti è venuto in mente, alla faccia dell’originalità!”
Robert finse di massaggiarsi la spalla indolenzita e decise che per quella sera si era divertito abbastanza con le sue stupide battutine.

Perché mai se ne stava lì?
La venticinquenne dai lunghi capelli castani accoccolata su una vecchia, logora sedia di legno dell’ospedale cittadino pensava di non conoscere la risposta a quella domanda.
Un osservatore esterno avrebbe detto che Sarah fosse talmente concentrata sui propri pensieri, in quel momento, da non vedere nemmeno ciò che aveva dinanzi. Il suo sguardo pareva perso nel vuoto. Ma non era affatto così.
La ragazza sollevò una mano e raccolse una ciocca di capelli dietro l’orecchio, ma nemmeno quel gesto potè distrarla da ciò che stava osservando con tanta attenzione. Le sue labbra erano piegate in una smorfia che poteva quasi sembrare di disgusto, mentre i suoi occhi color nocciola lampeggiavano quasi come se volessero perforare il sacchetto rigonfio del liquido che, con esasperante lentezza, gocciolava increspando per pochi decimi di secondo la superficie della stessa sostanza che vi era al di sotto e che gravava sul tubicino direttamente collegato alla vena di Robert. Sarah percorse con gli occhi il tubicino per tutta la sua lunghezza, fino a giungere direttamente al braccio pallido e macchiato di disinfettante che giaceva riverso sul lenzuolo, di un malsano colore giallognolo, del letto d’ospedale sul quale il suo ragazzo -ex-ragazzo, si corresse mentalmente la giovane donna- era sdraiato da tanto, troppo tempo. Così tanto che già da diversi mesi Sarah aveva smesso di tenere il conto dei giorni che erano trascorsi da quando quella maledetta telefonata le aveva sconvolto la vita, costringendola a trascorrere praticamente metà delle sue giornate in quella orribile stanza d’ospedale che ormai odiava con tutta se stessa.
Perché se ne stesse ancora lì, poi, non riusciva proprio a comprenderlo. I genitori di Robert erano stati molto chiari in proposito, non faceva loro piacere che la ragazza che tanto aveva fatto soffrire, con il suo caratteraccio e la sua eterna indecisione, il giovane nelle settimane precedenti all’incidente, trascorresse tanto tempo al capezzale del figlio. Non per niente ogni giorno, quando lei metteva piede in quella camera, si allontanavano con una scusa che col passare del tempo suonava sempre più vuota e stupida alle loro stesse orecchie. Perciò non poteva illudersi che il bisogno che sentiva di andare lì ogni giorno fosse dettato dal desiderio di essere di conforto per quelle persone che soffrivano per Robert ma che dopotutto, per lei, erano solo due estranei. La sua relazione col loro unico figlio aveva avuto vita troppo breve perché potesse instaurare con i suoi genitori un rapporto che andasse al di là della semplice cortesia e del rispetto dovuto per la differenza d’età, anche se, non poteva negarlo nemmeno a se stessa, la colpa di ciò era soltanto sua. Fosse stato per Robert Sarah sarebbe diventata molto velocemente un membro della sua famiglia a tutti gli effetti. Lui non aveva alcun dubbio, alcuna riserva, alcuna esitazione. Il suo darsi era totale, i suoi slanci così completi e profondi da spiazzare la ragazza al punto da far divenire lei esitante, lei dubbiosa. Sarah chiuse gli occhi per un istante, deglutì e poi riprese ad osservare le gocce che lentamente fornivano il nutrimento che teneva in vita Robert. La maggior parte del tempo evitava di pensarci, evitava i sensi di colpa, cercava di tenerli fuori dalla propria mente distraendosi come meglio poteva, ma a volte scacciarli era davvero impossibile. Accadeva in momenti come quello, quando le tornavano in mente le parole di Robert, la sua voce appassionata che le diceva che voleva portare il loro rapporto ad un livello più alto, ufficializzare la loro relazione, solo per sentirsi rispondere da lei che era ancora troppo presto, che ci sarebbe stato tempo, che non bisognava correre.
Perché, non poteva negarlo, non era ancora pienamente, assolutamente sicura di voler trascorrere con lui il resto della vita. Aveva ancora bisogno di tempo per capire se stare con lui per sempre era davvero quello che voleva, al punto da lasciarsi andare e compiere un passo importante come poteva essere quello di considerare i genitori di lui come parte della propria famiglia. Ricordava bene, nitidamente, la sfumatura di tristezza che coglieva negli occhi verdi e franchi di Robert ogni volta che parole di quel genere lasciavano le sue labbra. Le dispiaceva, ma era pienamente convinta di fare la cosa giusta. Finché non fosse stata del tutto certa dei propri sentimenti non gli avrebbe permesso di nutrire false speranze. Ironicamente, quel ragazzo era troppo importante per lei, molto più di quanto un semplice amante potesse mai essere, perciò sentiva il dovere di andare con i piedi di piombo. Il concetto poteva apparire complicato, ma in realtà era semplice. Semplice come solo la pura onestà poteva essere.
Ma adesso che quel ragazzo giaceva su un letto d’ospedale, adesso che i medici avevano lasciato intendere che le speranze di sopravvivenza erano pochissime, Sarah non faceva altro che rimproverarsi, ogni istante, per quell’eccesso di onestà che non le aveva permesso di godere appieno dei sentimenti che Robert provava per lei e che aveva fatto soffrire il giovane. E se ne stava lì, ogni giorno alla stessa ora, con la sciocca speranza di vedere quegli occhi riaprirsi e concederle un perdono che non credeva nemmeno di meritare. Il tempo scorreva, lento e inesorabile, ma Sarah non riusciva a scrollarsi di dosso quella speranza che la teneva inchiodata ad una sedia al capezzale di un ragazzo in fin di vita, con gli occhi fissi su quelle stupide gocce, di cui non poteva nemmeno udire il ticchettio, che lo tenevano in vita.
Vi erano alcuni istanti, brevi momenti, in cui sentiva un leggero bruciore agli occhi, ma si impegnava a scacciarlo via immediatamente. Si trattava dell’affiorare, tra i suoi pensieri quasi caotici, della consapevolezza che, nonostante si ripetesse mentalmente più volte che non aveva idea del perché se ne stesse lì, stesse solo mentendo a se stessa.
Conosceva esattamente la ragione.
La speranza aveva la meglio su qualunque altro sentimento potesse provare. Nemmeno l’onestà che l’aveva costretta a far soffrire Robert e che adesso cercava di convincerla che non vi erano possibilità che lui si riprendesse poteva vincere contro una forza talmente subdola. Talmente radicata dentro di lei.
Sarah sospirò di nuovo, rumorosamente. C’erano momenti in cui quell’attesa le appariva incredibilmente, ridicolmente inutile. Ma non c’era nient’altro che potesse fare, anche in quei momenti. Doveva trascorrere qualche ora della sua giornata seduta in silenzio al capezzale del suo ex-ragazzo in coma, doveva. Perché sapeva che se non lo avesse fatto, le sue notti sarebbero state ancora più tormentate di quanto già non fossero. I suoi incubi sarebbero stati ancora più lunghi, più lugubri. Lo sguardo colmo di disprezzo e di rimprovero che Robert le riservava durante quelle notti l’avrebbe probabilmente tormentata anche di giorno. Perché l’unico modo che avesse per riuscire, seppur solo in parte, a soffocare il senso di colpa che potente vibrava dentro di lei era quello. Starsene lì con lui. Illudersi che avesse un senso. Che fosse… utile. Che quel gesto bastasse perché Robert potesse perdonare tutto il resto. Tutto il male che lei gli aveva fatto. E continuava a sperare che il ragazzo dai capelli rossicci, prima o poi, riaprisse gli occhi e le concedesse il perdono che tanto desiderava, magari col suo bel sorriso allegro, quel sorriso che non vedeva da tempo, da prima ancora del giorno dell’incidente, a increspargli le labbra.
Come se fosse possibile.
Anche se avesse potuto, Robert non l’avrebbe mai perdonata. Mai.
Quel ragazzo l’amava davvero, in maniera del tutto incondizionata. Aveva visto morire qualcosa dentro i suoi occhi, quando quel giorno di tanti mesi prima, senza pietà, l’aveva lasciato. Lui non si era mai arreso, continuava a credere che ci fosse ancora qualche possibilità per loro due, non si dava per vinto. Non comprendeva quanto lei fosse ormai lontana, continuava ad aggrapparsi con forza al ricordo di quei pochi momenti felici che avevano trascorso insieme, che per lui avevano avuto un significato molto più profondo che per Sarah. Per quanto fosse affezionata al giovane infatti, per la ragazza quelle misere gocce di felicità non erano mai state abbastanza e ironicamente non le erano mai parse tanto importanti finché non si erano trasformate in lacrime di rabbia, senso di colpa, nostalgia e rimpianto sulle sue guance, nel vedere Robert in quelle condizioni. Robert, che quel giorno era andato a cercarla, per l’ennesima volta, per tentare di aggiustare le cose con lei, anche lui guidato da quella stupida speranza traditrice. E l’aveva trovata con lui. Mike, il ragazzo per il quale aveva lasciato Robert, il giovane dai capelli scuri e il sorriso accattivante che era stato capace di farle provare quei brividi che non aveva mai sentito prima in vita sua. L’ostacolo insormontabile che Robert non sapeva ci fosse tra loro due, perché lei non aveva avuto il coraggio di confessarglielo.

“Ami un altro, Sarah?”
“Robert, io…”
“Dimmi la verità. Ci siamo ripromessi di non mentirci mai, ricordi, ti prego,” la voce di Robert era un sussurro tremante e doloroso. Così diversa dal tono allegro a cui era abituata. Sembrava stesse per… spezzarsi. Mancava solo il colpo di grazia. Valeva la pena infrangere una stupida promessa per non vederlo crollare. Avrebbe rischiato di crollare anche lei.
“No. Non amo un altro. Non c’è nessun altro.”

Vigliacca. Non c’era aggettivo che le si addicesse di più. Era stata vigliacca. Ed egoista. E pure sconsiderata. Parlava tanto di onestà, ma lei non era stata onesta fino in fondo. Se avesse detto la verità, magari Robert avrebbe smesso di tentare di tornare con lei. Il suo orgoglio maschile gli avrebbe impedito di andarla a cercare almeno una volta a settimana, fino al giorno della tragedia. Il giorno in cui aveva scoperto dell’esistenza di Mike. A quel punto non si era più lasciato ingannare dalle sue belle bugie. L’aveva guardata con disprezzo, quello stesso disprezzo che la ragazza vedeva nei suoi incubi, era saltato in macchina ed era scappato via.
La telefonata dei suoi genitori era arrivata il giorno dopo. Il dolore bruciante e lo stupore per quanto accaduto non aveva permesso loro di chiamarla immediatamente in seguito all’incidente, che era avvenuto solo mezz’ora dopo il loro ultimo incontro, perché Robert correva troppo veloce. Cercando di allontanarsi il più possibile da lei. Non che il dolore fosse stato meno terribile il giorno dopo, per la madre e il padre del ragazzo, ma almeno avevano ritrovato la lucidità necessaria per avvertirla. Si erano lasciati da poco. Pensavano fosse giusto che lei lo sapesse.
Sarah si alzò dalla sedia che ormai era diventata sua e si avvicinò a Robert. Osservò il suo viso, il suo capo coperto dalla fasciatura. Sembrava così indifeso. Così vulnerabile. Quel ragazzo grande e grosso, capace di sollevarla come fosse stata una bimba di pochi anni, appariva strano, fuori posto in quella condizione. Il silenzio attorno a loro era assoluto, eppure Sarah, per quanto si sforzasse, non riusciva a sentire quello che avrebbe voluto. Il rumore delle gocce che cadevano lentamente, una dietro l’altra, dalla flebo appesa di fronte a lei. Era meglio così, perché la poca razionalità rimasta le permetteva di capire che il suo era un desiderio morboso e sbagliato. Un misero tentativo, patetico e stupido, di sentirlo un po’ più vicino e di perdersi in uno di quei ricordi che le mettevano i brividi.

“Che cosa fai, Robert?”
Il ragazzo si voltò nella sua direzione, sorridendo. Si allontanò di un passo dal vetro bagnato di pioggia della finestra.
“Ascolto.”
Il sorriso di Robert si allargò in un ghigno nel vedere l’espressione vagamente sospettosa della sua ragazza. Sarah riconobbe l’espressione, quella che lui sfoderava compiaciuto ogni volta che lei lo guardava con sospetto e vago divertimento. Lui e le sue passioni stupide. Adorava condividere con lei le piccole cose che attiravano la sua attenzione. Sarah non credeva di comprendere davvero quel desiderio. La ragazza portò le mani sui fianchi e strinse gli occhi, volutamente provocatoria. “I tuoi superpoteri adesso ti permettono anche di sentire ciò che avviene per strada sbirciando da una finestra chiusa?”
Lui rise, aperto e sincero.
“Ascoltavo la pioggia. Adoro il ticchettio delle gocce sul vetro. Mi rilassa.”
“Sei sempre assurdamente attratto dalle cose più banali che…”
Lui, ormai accanto a lei, la cinse con le braccia e la interruppe, malizioso:
“Già, è proprio vero. Infatti sono innamorato di te, che sei terribilmente banale.”
Dopo un primo istante di stupore, Sarah riuscì a sfoderare l’espressione inorridita perfetta per la situazione e lo colpì con uno scappellotto sul capo, mentre Robert rideva sempre di più, contagiandola suo malgrado.

Era solamente questo che voleva. Perdersi nel ricordo di uno dei momenti felici che avevano trascorso insieme. Sperava in quel modo di sentire alleviarsi quel dolore tremendo che sentiva al petto, che di tanto in tanto le rubava il respiro. Che la notte la faceva svegliare urlando.
La voce fredda dell’infermiera irruppe improvvisa nella stanza e la fece sussultare.
“Signorina, l’orario delle visite è terminato. Il dottore sta arrivando per controllare il paziente.”
Sarah annuì, meccanicamente, gettò un ultimo sguardo a Robert, afferrò la giacca e lasciò la stanza. Anche per quel giorno era finita.
Non si sentiva di certo in pace con se stessa, ma almeno quando si trovava all’interno di quella camera d’ospedale le sembrava di avere uno scopo. Fuori, per strada, seguendo meccanicamente il percorso che l’avrebbe riportata a casa, si sentiva vuota. Un essere stanco e inutile che percorreva spedito le vie della città, totalmente indifferente a tutto quello che lo circondava.
Non si curava degli sguardi più o meno curiosi della gente che incrociava lungo la via di casa, non rispondeva ai saluti dei pochi conoscenti che incontrava. Le sembrava tutto talmente spento che niente aveva più importanza, eccezion fatta per le ore che trascorreva quasi immobile al capezzale di Robert, concentrata nel tentativo di rivivere ricordi che le procuravano solo fitte di dolore sempre più acute. Ma le sembrava la cosa più giusta provare quel dolore, la meritata punizione per i pochi attimi di felicità vissuti con Mike che avevano portato Robert su quel letto d’ospedale. Era tutta colpa sua, non aveva dubbi su questo. Poco importava che non l’avesse tradito, che la sua onestà l’avesse spinta a lasciarlo prima che con Mike potesse accadere qualcosa di più concreto di qualche sguardo rubato. Sentì un nuovo fremito di senso di colpa irradiarsi dal proprio petto al pensiero di quegli sguardi, di quei momenti, di quanto si fosse sentita viva, molto più viva di quanto non fosse mai stata con Robert. E poi, adesso che Robert era a un passo dalla morte, non riusciva più nemmeno a ricordare esattamente cosa ci fosse che non andava nella loro relazione. Cosa l’avesse spinta a lasciarlo per Mike. E quei dubbi, ovviamente, pesavano come macigni sulla sua attuale relazione, se così poteva ancora essere chiamata. Si stava comportando da egoista con il suo ragazzo, la parte razionale di lei se ne rendeva conto. Ma il problema era che, al momento, non le importava affatto. Non riusciva a non pensare a Robert e di conseguenza non provava il minimo desiderio di trascorrere del tempo con Mike. La loro relazione andava a gonfie vele e Sarah si sentiva finalmente appagata della propria vita sentimentale, come non lo era mai stata, fino a quel terribile giorno in cui tutto era cambiato e il petto era stato stretto nella morsa dolorosa di sensi di colpa che non riusciva né a scacciare, né ad affrontare direttamente. Se Robert si fosse svegliato, forse, avrebbe potuto pronunciare la sua richiesta di perdono e andare avanti, lasciarsi alle spalle quella storia. Ma i mesi passavano e lo stato del suo ex-ragazzo era stazionario.
Giunta a casa, Sarah lasciò cadere la giacca sul divano, storse il naso alla vista dello strato di polvere che ricopriva i mobili ormai abbandonati a loro stessi e avviò distratta la segreteria telefonica per ascoltare i messaggi. A quanto pareva, Mike non si era ancora stancato di lasciare il suo messaggio giornaliero.
“Sarah, sono io. Sarah, ti prego, chiamami. Io… io non so più cosa inventarmi per parlarti. Te lo giuro, Sarah, non voglio metterti nessuna pressione. Capisco che per adesso tu non voglia stare con me, non ho intenzione di essere un altro dei tuoi problemi, voglio solo vederti. Solo per qualche minuto, ti prego. Voglio accertarmi che tu stia… bene”, qualche secondo di pausa, quindi: “Ok, lo so che non stai bene. E so che non posso fare niente, voglio solo starti vicino. Almeno questo me lo potresti concedere. Chiamami, Sarah. Ti aspetto.”
Sarah restò con lo sguardo fisso sulla segreteria telefonica per qualche minuto. Era da tempo che non contemplava nemmeno la possibilità di contattare Mike e adesso il pensiero -il desiderio- di farlo la infastidiva. E non soltanto per Robert, ma perché si sentiva in colpa anche nei confronti del suo ragazzo. Non voleva coinvolgere Mike in quella storia ancora di più. Non era corretto lasciare che soffrisse anche lui.
Distolse finalmente lo sguardo dalla segreteria e andò in bagno per farsi una doccia. Sperava di riuscire a non pensare per qualche minuto, sotto il getto d’acqua, ma com’era prevedibile non ne fu capace. Un’altra piccola goccia di vita passata la riportò indietro nel tempo e alla luce di ciò che era accaduto negli ultimi mesi, quelle parole che al momento erano state solo fonte di qualche risata assunsero un significato del tutto diverso.

“Devi assolutamente uscire con me, Sally.”
“Ti ho detto di non chiamarmi con quel nomignolo orribile. Non lo sopporto.”
Robert rise e si avvicinò:
“E’ soltanto un vezzeggiativo, Sally cara.”
Sarah gli lanciò un’occhiataccia e gli voltò le spalle, alzando il mento e fingendo un’espressione offesa:
“Hai detto bene: vezzeggiativo. E io non ho nessuna voglia di essere vezzeggiata. Perlomeno, non da te, Robert,” aggiunse voltandosi di nuovo nella sua direzione e guardandolo maliziosa. Il ragazzo sorrise, era evidente che lei stava al gioco e sentiva farsi sempre più concreta la possibilità di un primo appuntamento con quella collega di cui era invaghito da tempo.
“Come, non da me? Non dirmi che riesci a immaginare qualcosa di meglio!”
Lei simulò una faccia scioccata:
“Oh, certo che no, non potrei mai! Dopotutto, tu sei un supereroe, no? Un personaggio venuto fuori direttamente da quegli sciocchi fumetti che ti piacciono tanto!”
Fingendosi punto sul vivo, Robert chiuse con uno scatto la propria borsa, da cui fino a un attimo prima era ben visibile l’orlo superiore della copertina dell’ultimo fumetto acquistato nella cartoleria poco lontano da casa. Sarah lo considerò un piccolo successo e decise di perseverare con l’attacco su quel fronte.
“E sentiamo, Eroe, quali sarebbero i tuoi poteri speciali?” si avvicinò al suo orecchio, con fare cospiratore: “Uno di questi è di certo quello di fare impazzire le donne. E non in senso positivo, non so se mi spiego.”
Robert la guardò altezzoso:
“Le mie capacità vanno ben oltre, ragazzina.”
“Ma davvero? Per esempio?”
Robert perse solo qualche secondo per studiare la risposta, la fantasia non era mai stata un problema per lui.
“Per esempio io… io sono immortale, ecco!”
Sarah sgranò gli occhi e si morse un labbro per non scoppiare a ridere. Quel ragazzo era davvero incredibile, riusciva a mantenere il volto completamente serio pure quando blaterava la più assurda delle idiozie.
Robert vide che la ragazza era sul punto di piegarsi in due dalle risate e proseguì:
“Davvero, Sally! Il tempo dimostrerà che ho ragione! Non mi credi?” assunse un tono solenne “La morte non verrà mai a prendermi! E se mai dovesse avvicinarsi troppo, si accorgerà dell’errore e tornerà sui suoi passi!”

Chiuse il rubinetto, si gettò addosso l’accappatoio e cominciò a strofinarsi con forza i capelli. Sfregava l’asciugamano cercando di fare più rumore possibile, come se in quel modo potesse soffocare la voce che urlava nella sua testa l’ironia di quelle parole che Robert aveva pronunciato un secolo prima, e che si erano avverate. La morte si era davvero trovata ad un passo dal prenderlo, ma era come se all’ultimo momento si fosse accorta di aver sbagliato persona e gli avesse voltato le spalle. Lasciandolo in quella sorta di limbo, sospeso, non più vivo e non ancora morto.
Perlomeno, quella notte non ci sarebbero stati incubi, perché non avrebbe chiuso occhio.

Una dopo l’altra, le giornate scorrevano identiche e cadenzate dalle visite all’ospedale e dalle telefonate di Mike alle quali Sarah puntualmente non rispondeva. La monotonia di quella vita, in un certo senso, la rincuorava, dandole quelle certezze che così brutalmente le erano state sottratte.
Aveva ormai imparato ad ignorare del tutto la vocina dentro di sé che non faceva altro che ripeterle quanto stesse sbagliando nei confronti di Mike, perché evitare di ascoltarla era molto più semplice. Non se la sentiva. Non voleva vederlo. Punto. Mike doveva riuscire ad accettarlo e smettere di cercare di ricostruire un rapporto con lei. Quella parte della sua anima capace di relazionarsi con gli altri era sdraiata in un letto d’ospedale, tenuta in vita da macchinari di cui non conosceva nemmeno il nome, insieme a Robert. Se lui non si fosse svegliato, Sarah ne era certa, quella parte di se stessa sarebbe morta. Senza la possibilità di chiedergli perdono non poteva provare a ricucire dei rapporti, non poteva andare avanti come se niente fosse. Aveva ampiamente dimostrato il proprio egoismo, ma non sarebbe arrivata al punto da dimenticare Robert e continuare la propria vita mentre lui ancora giaceva immobile e vulnerabile su un letto d’ospedale per causa sua. Non poteva tollerare di infierire in quel modo.
Da quando Robert era in coma, il modo in cui Sarah vedeva il loro rapporto era completamente mutato, la ragazza aveva cambiato prospettiva. Non si rendeva conto di quanto si stesse ingannando. Per auto-punirsi ancor più duramente si era convinta di aver commesso un imperdonabile errore di valutazione quando aveva lasciato il ragazzo, di essersi lasciata prendere dal momento, di non aver bene considerato tutti gli aspetti della loro storia d’amore. Ogni giorno, al capezzale del suo ex-ragazzo, Sarah si ripeteva che le cose non andavano poi così male, che dopotutto avrebbe potuto aspettare, tentare di ricucire il loro rapporto, anziché lasciarlo per gettarsi tra le braccia tutt’altro che riluttanti di Mike. Era stata impulsiva, sconsiderata ed egoista, e a pagarne le conseguenze adesso era Robert.

Era tornata dall’ospedale da poco più di un’ora, quando lo squillo del telefono la fece trasalire. Possibile che fosse Mike? Non chiamava ormai da più di una settimana, Sarah pensava che finalmente si fosse arreso. I suoi genitori? No, in genere telefonavano la sera prima di andare a letto o la mattina appena alzati. Che fosse successo qualcosa? E a chi? Le sue mani tremavano violentemente e riuscì a stento a sollevare la cornetta, con il terribile presentimento di sapere già che cosa avrebbe sentito.
La voce spezzata del padre di Robert, all’altro capo del telefono, dissipò ogni dubbio. E ogni speranza. Le ore trascorse in ospedale erano state inutili, non era riuscita nemmeno a chiedergli perdono.

Il tempo, che già da diversi mesi scorreva con lentezza esasperante, si dilatò persino di più dopo il funerale di Robert. Sarah riuscì a tenersi defilata durante la cerimonia, non aveva alcuna voglia di vedere negli occhi degli altri partecipanti alla commemorazione il riflesso di una pietà destinata a una donna innamorata. Una pietà che sentiva di non meritare affatto.
Da quel momento, poiché pure la consuetudine delle ore trascorse in ospedale era venuta meno, le giornate di Sarah erano più vuote che mai. La mattina, al lavoro, i colleghi avevano ormai rinunciato a ogni tentativo di riavvicinamento nei suoi confronti, non le chiedevano nemmeno più se le andasse di trascorrere qualche ora in loro compagnia. Le telefonate di Mike adesso avevano cadenza settimanale e Sarah rispondeva solamente per evitare che il ragazzo si preoccupasse al punto da andare a cercarla a casa, non aveva alcuna voglia di rivederlo. Sembrava che a questo Mike si fosse rassegnato e le telefonasse solamente per accertarsi che stesse bene, nei limiti del possibile e considerate le circostanze. Sarah pensava che finalmente Mike avesse desistito e capito che per la loro storia non c’era speranza.
Almeno fino a quella sera, quando il campanello, muto da così tanto tempo che Sarah aveva dimenticato quale fosse il suo suono, ritornò in vita.
“Chi è?” chiese, esitante.
“Sarah, sono io. Apri, per favore.”
La ragazza sentì la collera avvampare all’istante. Non gli aveva forse fatto capire con estrema chiarezza che non desiderava vederlo? Cosa ci faceva lì?
“Che cosa vuoi?”.
“Parlarti,” la voce di Mike sembrava ancora più calma in contrasto con il tono acceso di Sarah.
“Non ho voglia di parlare, Mike. Vattene. Ci siamo sentiti al telefono pochi giorni fa.”
“Non mi basta più, Sarah.”
La ragazza perse completamente la calma e aprì la porta, solo per il gusto di urlare in faccia a quell’impiccione tutta la sua rabbia. Ciò che a lui bastava o non bastava era irrilevante, lei voleva stare da sola, punto. Sentì gli occhi bruciare di lacrime non appena si trovò davanti il volto all’apparenza impassibile del giovane dai capelli scuri. Si scostò leggermente per farlo entrare e chiuse la porta alle sue spalle, aveva troppa voglia di urlare, non lo faceva da un pezzo, e quella poca lucidità che le era rimasta le ricordava che non le sarebbe piaciuto che tutto il condominio potesse ascoltare la sua voce nel pieno dell’isteria. Si avventò contro Mike immediatamente.
“Non me ne importa nulla di quello che vuoi tu, sono stata chiara? È già tanto che continui a tollerare le tue stupide telefonate, non voglio più stare con te, è così difficile da capire? Rispondi!” accecata dalla collera, Sarah non si era nemmeno accorta di aver appoggiato i pugni chiusi sul torace di Mike, che afferrò delicatamente i suoi polsi e la guardò negli occhi. L’espressione triste del giovane scosse leggermente Sarah, che deglutì e lo osservò un po’ stupita. Si era aspettata di sentire urlare anche lui e quell’atteggiamento placido e triste la stupiva.
“Sono contento che tu sia così… reattiva, Sarah. Temevo di trovarti completamente… spenta, e invece… perdonami se non sono venuto prima, non sapevo come comportarmi, non sapevo se sarei stato in grado di sopportare la tua reazione una volta che mi fossi presentato alla tua porta.”
“Ma che dici?” la voce di Sarah era un sussurro, soffocato dai singhiozzi di rabbia e dolore che le stringevano il petto, “Non saresti dovuto venire nemmeno oggi”.
Con immenso stupore di Sarah, Mike sorrise e avvicinò la ragazza al proprio petto, stringendola con delicatezza.
“Non me lo sarei mai perdonato. Ho già fatto trascorrere troppo tempo. Non volevo però metterti fretta. Sapevo che avevi bisogno di stare da sola per guarire. Perdonami se ho sbagliato”.
Sarah si scostò con violenza dal ragazzo e fece un passo indietro, cercando di distanziarsi da lui. La sua voce non era più un sussurro, ma una vibrazione bassa e minacciosa.
“Tu non sai di cosa stai parlando. Guarire! Guarire per far cosa, Mike? Vattene!”.
Il ragazzo si avvicinò e sollevò una mano in direzione della spalla di Sarah, che per tutta risposta retrocedette ancora. Mike abbassò il braccio e lo sguardo insieme.
“Mi rendo conto che è ancora presto, Sarah, non è mia intenzione metterti fretta. Non voglio farti alcuna pressione, volevo solo vederti con i miei occhi.”
“Bene, mi hai vista. Ora vattene”.
Il ragazzo si voltò appena in tempo per celare la smorfia di dolore comparsa sul suo viso di fronte a quelle parole così dure. Proseguì senza guardare Sarah e dirigendosi verso la porta, pregando silenziosamente che la ragazza non si fosse già completamente rinchiusa in se stessa e lo stesse ancora ascoltando.
“Me ne vado, Sarah. Voglio solo dirti questo, per quanto possa valere: non è colpa tua. Robert è stato gettato fuori strada da un camion, è stato un incidente, e tu lo sai bene, anche se fingi di non ricordartelo. Lo so cosa stai facendo, stai cercando di punirti. Ma non è giusto. Non lo hai nemmeno tradito, lo hai lasciato prima che cominciasse la nostra storia e le cose tra voi non andavano bene da un pezzo.
Non lo hai ucciso tu,” la voce di Mike si abbassò notevolmente di volume, “Ma stai uccidendo te stessa. E io non ho intenzione di lasciarti andare da sola.”
Sarah riportò gli occhi sulla schiena di Mike, che aveva già poggiato la mano sulla maniglia della porta. Deglutì e cercò dentro di sé le parole giuste da dirgli in quel momento. Avrebbe dovuto dirgli che si sbagliava, che lei non avrebbe pagato mai abbastanza per le sue colpe, ma non ne fu capace. Riuscì a chiedere solo:
“Perché, Mike? Perché sei venuto qui proprio oggi?”
Il ragazzo voltò la testa nella sua direzione e disse, con un mezzo sorriso e uno sguardo comprensivo che fece venire a Sarah di nuovo voglia di urlare:
“Buon compleanno”.
La ragazza, confusa, si voltò in direzione del calendario. Non fece in tempo ad accertarsi della data e rispondere perché udì la porta aprirsi e richiudersi delicatamente. Mike se n’era andato, proprio come lei gli aveva chiesto. Non aveva fatto nemmeno troppe scene, Sarah non si aspettava che lui fosse davvero così comprensivo come sembrava, non dopo tutto quello che aveva dovuto soffrire per lei. Il fortissimo desiderio di uscire sul balcone e chiamarlo, dicendogli di tornare da lei, la fece fremere di panico. Sarah si prese la testa tra le mani e si sedette sul divano, in preda a dubbi che da tempo non la sfioravano nemmeno e a una nostalgia che credeva non avrebbe mai provato, che dopo esser rimasta a lungo assopita dentro di lei si stava in quel momento, finalmente, svegliando. Poggiò la testa contro lo schienale del divano e, con gli occhi puntati sul soffitto, si lasciò travolgere da un ricordo che era convinta di aver rimosso per sempre.

“L’ho lasciato, Mike”.
Il ragazzo si voltò stupito nella sua direzione.
“Non… non pensavo che le cose andassero così male, tra di voi”.
Sarah si voltò in direzione del mare e chiuse gli occhi, godendo della brezza leggera e gelida che le scompigliava i capelli. Aveva chiesto a Mike di incontrarsi in spiaggia, nonostante fosse inverno e facesse molto freddo, perché il rumore del mare, delle onde che si infrangevano sugli scogli poco lontano, aveva sempre avuto un immenso potere rassicurante su di lei. E poiché, lasciando Robert, sentiva di aver messo in discussione se stessa come mai prima di allora, aveva un gran bisogno di rassicurazione.
“Non andavamo d’accordo da tempo. Non facevamo altro che litigare. Lui non approvava niente di quello che facevo, Mike. Ostacolava ogni mia decisione. Non è che sia un cattivo ragazzo, potrebbe essere un ottimo amico, ma non possiamo essere una coppia. Ho sempre avuto dei dubbi al riguardo, perciò ho cercato di evitare che la nostra storia si spingesse troppo in là, fin dall’inizio. Lui mi chiedeva da mesi di ufficializzare il fidanzamento, ma non potevo acconsentire. Non ero sicura. E… credo proprio di aver fatto bene.”
Sarah sospirò e non aprì nemmeno gli occhi quando Mike le poggiò una mano sulla spalla. Aveva parlato quasi senza prendere fiato, sentendo il bisogno di tirare fuori tutto. Da quando conosceva Mike, non c’era una volta che non parlasse con lui e non sentisse il bisogno di aprirsi, di essere completamente sincera, rivelando al ragazzo dai grandi occhi dolci e comprensivi le sue paure, le sue incertezze. Sentiva di potersi fidare di lui, non se ne sarebbe mai approfittato, e mettere a nudo i propri pensieri non la faceva sentire vulnerabile con lui come invece accadeva con l’altra gente. Sarah aveva colto subito nello sguardo di Mike che il ragazzo, nei suoi confronti, provava qualcosa di più di semplice affetto. E le inconfondibili vibrazioni che sentiva dentro di sé quando gli stava vicino le avevano confermato che anche per lei era così. Ma prima di fare qualsiasi passo in quel senso si era ripromessa di mettere le cose in chiaro con Robert una volta per tutte. Non le piacevano le faccende in sospeso e quella storia, spenta e vuota, dal canto suo, da diversi mesi, si trascinava semplicemente per inerzia e per abitudine ormai da troppo tempo. Già prima di conoscere Mike aveva preso la decisione di lasciare Robert, anche se purtroppo aveva avuto bisogno di un po’ di tempo per raccogliere il coraggio necessario. Nonostante tutto sapeva che i sentimenti di Robert erano sinceri e sapeva che gli avrebbe fatto del male. Ma sarebbe stata onesta con lui.
“Sarah…” la voce di Mike riscosse la ragazza dai propri pensieri. Lei aprì gli occhi, per mostrargli che era in ascolto. Mike si mordeva le labbra e appariva molto imbarazzato.
“Non… non ti dirò che mi dispiace. Sarebbe una bugia.”
Sarah si voltò nella sua direzione e intrecciò le dita con le sue, ancora poggiate sulla sua spalla.
“Lo so,” disse, seria, “solo… andiamoci piano, va bene? Prendiamoci tutto il tempo che ci serve.”
Mike sorrise: “Va bene.”

Era come riprendersi da un lunghissimo stato di torpore. Sentiva la lucidità ritornare lentamente insieme alla consapevolezza di aver allontanato, durante quei lunghi mesi, tutti coloro che avevano cercato di aiutarla. Non era ancora guarita del tutto, questo era certo. Ma almeno, adesso sapeva che era questo che doveva fare. Cercare di guarire. Affrontare i propri sentimenti contrastanti, quel senso di colpa lacerante che le faceva bruciare la gola, pur senza la certezza di poter riuscire a lasciarsi tutto alle spalle.
Mike, andando a trovarla, parlandole con quella calma, guardandola con quegli occhi colmi di comprensione, si era dimostrato immensamente coraggioso, mentre lei per tutto quel tempo si era comportata da vigliacca, nascondendosi dietro ad un dolore che non sapeva come affrontare, che riusciva solamente a sopportare in modo passivo. Ora era giunto il momento di scuotersi la polvere di dosso e rimboccarsi le maniche. Aveva un’idea precisa di cosa fare per cominciare. Qualcosa che per tutti quei mesi aveva accuratamente evitato. Perché se era stato, in un certo senso, semplice trovarsi ogni giorno di fronte ad un letto d’ospedale, temeva che davanti ad una lapide il suo autocontrollo avrebbe ceduto del tutto.

Pesanti nuvole grigie nascondevano il sole alla vista, quando Sarah si inginocchiò di fronte alla lapide ricoperta di fiori freschi. Carezzò la foto di Robert col dorso della mano. Riconobbe immediatamente l’istantanea, l’aveva scattata lei, millenni prima. Sarah si morse le labbra, fissando il mazzolino di margherite proprio sotto la foto.
“Sai, Robert, non credo che le margherite ti si addicessero davvero. Eri troppo complicato e… niente affatto banale,” si concesse un sorriso triste. Era stupita di aver trovato il coraggio di aprire bocca, non era da lei fare una cosa del genere, ma perlomeno il cimitero era vuoto, a parte il custode che comunque era troppo lontano per poterla udire. Aveva la possibilità di pronunciare le parole che in ospedale non era mai riuscita a tirare fuori, era pur sempre qualcosa, anche se non avrebbe ottenuto risposta. D’altra parte, forse era giusto così. Nonostante tutto, era ancora convinta di meritarsi una punizione. Ammesso che vivere con il dubbio che le sue scuse venissero accettate potesse bastare, come punizione.
“Perdonami, Robert.”
Quando scoppiò quel tremendo temporale, Sarah era ancora inginocchiata di fronte alla lapide. Lasciò che la pioggia la inzuppasse e lavasse via le lacrime dal suo viso, grata per quel minuscolo regalo. Era un pensiero ridicolo ma confortante considerare quella pioggia, che Robert amava tanto, come un piccolo messaggio da parte sua. Non un’accettazione o un rifiuto della sua patetica richiesta di perdono arrivata troppo tardi, semplicemente una dimostrazione che Robert l’aveva ascoltata, che aveva preso atto delle sue parole. Che forse avrebbe potuto prendere in considerazione l’idea di perdonarla.
Sarah lasciò il cimitero pochi minuti prima della chiusura, salì in macchina senza nemmeno strizzarsi i capelli fradici e guidò senza sosta fino a casa di Mike. Quando arrivò a destinazione era già buio. Il ragazzo aprì la porta e la fissò stupito per qualche secondo, prima di riscuotersi e lasciarla entrare.
“Sarah, che è successo? Sei tutta bagnata! Stai bene?”.
La ragazza annuì senza aprire bocca. Non sapeva cosa dire e cominciava a pensare che fosse stato un errore piombare in casa di Mike così, senza preavviso. Dopotutto, il ragazzo aveva la sua vita, di cui lei aveva più volte dichiarato di non voler far parte, non poteva pretendere niente. E presentarsi lì, di sera, con Mike che era già in pigiama, era una pretesa bella e buona.
“Volevo… volevo solo…” Sarah si stupì di quanto la sua voce fosse rauca, “Scusami, non ho voglia di parlare. Voglio solo restare insieme a te per un po’.”
Mike le prese una mano tra le sue e la guidò verso il bagno.
“Puoi stare insieme a me tutto il tempo che vuoi. Non ti farò domande, se non hai voglia di parlare. Asciugati un po’, ti prendo qualche vestito. Vuoi mangiare qualcosa?”.
“No, grazie,” replicò Sarah, chiudendo la porta del bagno alle sue spalle dopo aver afferrato il pigiama che Mike aveva recuperato in fretta da un cassetto della sua camera da letto. Si cambiò velocemente e andò a sedersi accanto al ragazzo, che la aspettava sul divano.
Sarah si sentì in dovere di dire qualcosa.
“Mike, io…”.
Il ragazzo le poggiò un dito sulle labbra, guardandola negli occhi.
“Non dire niente. Riposati, per stanotte. Avremo tutto il tempo di parlare quando ti sentirai meglio.”
Sarah si sentì avvolgere dal calore di quegli occhi così comprensivi, così innamorati, e poggiò il capo sulla spalla di Mike. Si addormentò dopo pochi istanti e non si accorse di nulla quando il ragazzo la sollevò tra le braccia e la portò a letto.

Sarah venne svegliata da un luminoso e caldo raggio di sole, che fece capolino tra le tende per informarla che la pioggia del giorno precedente era soltanto un ricordo. Il profumo del caffè le fece venire voglia di alzarsi. Si sedette sul letto e si stiracchiò lanciando un’occhiata a Mike, che tornava in quel momento in camera con un invitante vassoio tra le mani.
“Come ti senti oggi?”
La ragazza lo guardò per qualche istante. Avrebbe voluto rispondere che era tutto a posto, ma non sarebbe stato del tutto vero. Non ancora. Eppure, qualcosa negli occhi sorridenti di Mike le diceva che ogni cosa sarebbe andata al posto giusto e che da quel momento non avrebbe più dovuto affrontare tutto da sola. Lui non se ne sarebbe andato e non si sarebbe stancato di ascoltarla. Lui sarebbe stato lì, l’avrebbe aiutata a guarire. E Sarah sentiva che il processo di guarigione, che sarebbe stato lento e complesso, era già cominciato: quel nuovo giorno, col sole che accecante brillava luminoso nel cielo terso, ne era la dimostrazione lampante. Gli occhi dolci di Mike, colmi di un amore che non meritava e al quale quasi non riusciva a credere, ne erano la dimostrazione lampante.
“Ho voglia di andare al mare.”

Forse la vita non è stata tutta persa,
forse qualcosa si è salvato,
forse… non è stato poi tutto sbagliato.
Forse era giusto così.

Da “Sally” di Vasco Rossi.

FINE

Nota del’autrice: Credo (e spero XD) che il modo in cui ho utilizzato i vari prompt sia abbastanza ovvio, ma qualche chiarimento non guasta mai. Alcuni sono pure intrecciati tra loro, per esempio il riferimento alla pioggia, in modo diverso, è comune a tutte e tre le canzoni e richiama pure l’immagine 013. Ma andiamo con ordine:
Prompt Jolly: Sally, di Vasco Rossi: chiaramente, le citazioni iniziale e finale, i pensieri di Sarah quando dall’ospedale torna a casa e l’amore di Robert per la pioggia (un verso che nella canzone si ripete più volte è “Senti che fuori piove, senti che bel rumore”). Inoltre Sally e Sarah (come anche Sadie) sono davvero nomi che hanno lo stesso ceppo, perciò Robert, con grande disappunto della ragazza, era solito chiamarla Sally.
Canzone: Gocce di memoria di Giorgia: Credo sia piuttosto chiaro che questa canzone rispecchia lo stato d’animo di Sarah nei confronti della sua relazione con Robert, e “gocce di memoria” sono i flashback che la “tormentano” costringendola a rivivere momenti della sua storia con il ragazzo. Ho preso ispirazione un po’ da tutta il testo, ma in particolare mi sono appoggiata sul verso: “Inventerò per te quello che non abbiamo” perché è appunto un po’ quello che fa Sarah, per autopunirsi per quanto accaduto al suo ex-ragazzo.
Canzone: A new day has come di Celine Dion: piuttosto chiaramente, il finale, anche se è molto più agrodolce della canzone. Anche qui, riferimenti abbastanza chiari al testo della canzone (gli occhi innamorati di Mike, la luce accecante del nuovo giorno appena cominciato, ma anche la pioggia che lava via le lacrime).
Citazione: “La speranza è un astuto traditore più perseverante perfino dell’onestà” di Soren Kierkegaard: Si tratta della speranza di Sarah che Robert guarisca perché lei possa chiedergli perdono, speranza ancora più forte dell’onestà che l’ha spinta a lasciarlo facendolo soffrire.
Citazione: “La morte mi deve scambiare per qualcun altro” di Samuel Beckett: Quarto flashback, è facile ritrovare questa citazione nelle parole di Robert.
Immagine 082 (margherita): Nel primo flashback e alla fine, quando Sarah è di fronte alla tomba di Robert.
Immagine 013 (goccia d’acqua con increspature): la flebo di Robert per dare un impatto visivo, ma le gocce sono un po’ il tema portante di questa storia: le gocce di pioggia, le gocce di passato.
Finito! Devo dire che scrivere questa nota finale è stato più faticoso che scrivere la storia stessa! Spero comunque di aver fatto un lavoro discreto. E spero di tornare presto a infestare la sezione Originali con un’altra storia! Grazie a chiunque l’abbia letta e ancor più a chi vorrà commentare!

  
Leggi le 5 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Drammatico / Vai alla pagina dell'autore: sonsimo