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Autore: Mistryss    03/01/2014    4 recensioni
"- Che silenzio... – era la voce di Rin.
- Ehi, Len... – mi chiamò, ma non mi voltai. – In questo silenzio come suona la mia voce?
Non sapevo che cosa risponderle, ma dopo alcuni istanti mi voltai lo stesso. In quello stesso momento sentii un “thump” nella neve: era caduta. Mi sembrò che il mio cuore si fermasse.
- Rin...? – la chiamai tentennante, come paralizzato.
Dentro di me pregavo di sentire all’improvviso la sua risata, di sentirla dirmi che era solo uno scherzo, ma dalle sue labbra non sentii uscire alcun suono."
Come dice il titolo, la one shot è ispirata a Soundless voice di Len. Non sapendo che tipo di rapporto dare (se fratello e sorella, amici di infanzia, o altro) ho preferito non dare loro legami di parentela e soprattutto di alzare l'età di due anni.
Genere: Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Len Kagamine, Rin Kagamine | Coppie: Len/Rin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una gelida sera di inizio Dicembre, la neve da un paio di giorni scendeva dal cielo come una morte silenziosa, attaccandosi a tutto quel che trovava sul suo cammino: strade, tetti, lampioni. Ero appena rincasato dopo essere uscito per andare a far la spesa per la cena.
- Aaah, che freddo. – mormorai posando le borse a terra e sfregandomi le mani semi congelate per riscaldarle.
Portai le borse sul tavolo in cucina, presi la teiera e iniziai a preparare il the. La bustina era della sua marca preferita al suo gusto preferito, di certo avrebbe gradito. Lo versai nella tazza e lo misi su un vassoio, poi mi diressi verso le scale, cercando di non far rumore. Avrei voluto salire nel silenzio più totale, volevo farle una piccola sorpresa, ma lo scricchiolio delle scale in legno ad ogni mio passo tradiva le mie intenzioni. Con un sospiro mi arresi, e decisi di proseguire normalmente. Una volta arrivato al primo piano mi voltai verso la stanza alla mia destra, la nostra stanza. La porta era aperta, ma mi accostai lo stesso bussando delicatamente sullo stipite con un sorriso, mentre con l’altra mano reggevo tazza e vassoio. Lei era a letto, seduta e con lo sguardo rivolto verso la finestra, ma che sentendomi bussare voltò verso di me. Indossava un pigiama a fiori gialli, e sulle spalle aveva uno scialle marrone in lana. Nonostante i capelli biondi scompigliati dal cuscino, il pallore del viso scavato dalla stanchezza, e gli occhi arrossati era comunque splendida.
- Ti ho portato il the, Rin. – le dissi avvicinandomi al letto e poggiandole il vassoio sulle gambe.
Lei prese la tazza fra le mani e inspirò a lungo il profumo del the.
- Ti ringrazio, Len. Sei davvero premuroso. – mi rispose con un sorriso.
- Questo e altro per te. – affermai dolcemente mentre presi posto su una sedia accanto a lei.
Rin iniziò a bere, in volto aveva un’espressione assolutamente serena, di chi si sentiva in pace col mondo. Quel viso unito alla candida neve che si stava posando al di fuori della nostra dimora contribuiva a trasmettermi le stesse sensazioni.
- Com’è il tempo fuori? – mi chiese sorseggiando, un po’ per interrompere il silenzio che s’era creato fra noi.
Guardai fuori. – Come vuoi che sia... freddo. – affermai. – Freddo e nevoso. Ci vuole un niente per ghiacciare là fuori, sai?
– Questo è perché sei un tipo freddoloso! – mi disse ridacchiando.
Distogliendo lo sguardo incrociai le braccia e misi su un finto broncio.
- Non sono un tipo fre..
Ma non feci in tempo a finire la frase che sentii la tazza cadere. Mi girai di scatto, mentre Rin prese a tossire violentemente, piegata in due e con la mano premuta sulla bocca per evitare che la saliva si spargesse.
- Rin! – per poco non feci cadere la sedia alzandomi in piedi.
Da tempo era malata di una forma di tubercolosi resistente a qualunque trattamento farmacologico e che giorno dopo giorno la stava consumando da dentro. Tutti quelli a lei più vicini, me compreso, appena le era stata diagnosticata la malattia erano stati adeguatamente trattati, quindi anche stando vicino a lei non correvo pericolo. In realtà non mi importava, anche se ci fosse stato il rischio di essere contagiato non l’avrei lasciata sola. La osservai con una smorfia preoccupata. Non ero certo un dottore, avevo appena sedici anni, ma ero dell’idea che stesse peggiorando sempre di più. Lentamente stava morendo, e io non potevo far altro che stare a guardare.
Ma cosa ci facevano due sedicenni, di cui una tra l’altro gravemente malata di tubercolosi, da soli in una piccola casa di un paesino sperduto nella campagna giapponese? Eravamo scappati di casa. I suoi genitori non approvavano la nostra relazione, non volevano che mi avvicinassi alla loro bambina, e così avevamo deciso di andarcene. Ovviamente in quanto minorenni non potevamo lavorare, quindi ogni mese i miei genitori ci mandavano un assegno per gli alimenti e le spese mediche. Non avevamo granché, non potevamo permettercelo, ma l’importante era che stessimo insieme.
Pian piano la tosse si affievolì e Rin, inspirando profondamente, cercò di riprendere fiato. Mi avvicinai e le poggiai una mano sulla schiena, preoccupato.
- Tutto bene? – le domandai.
Osservò alcuni istanti la sua mano, probabilmente controllava di non aver sputato anche sangue, poi si voltò vero di me, cercando di sorridermi.
- Sì, tranquillo.
Ovviamente mentiva. La guardai preoccupato, ma lei non perse il sorriso, cercando di non guardarmi e di spostare la mia attenzione su qualcos’altro.
- Sta nevicando parecchio, eh? – commentò guardando la neve che scendeva dalla finestra con espressione sognante.
- Già. – confermai voltandomi a mia volta verso la finestra e stringendole la mano. – Dovresti vedere com’è fuori: un unico spesso manto bianco!
Vidi i suoi occhi arrossati brillare.
- Len... – si voltò verso di me, ed io feci altrettanto. – Che ne dici di uscire? – mi propose a bruciapelo.
Rimasi sorpreso per qualche istante: non mi aspettavo una richiesta simile.
- No. – fu la mia secca risposta.
Col freddo che faceva, portarla fuori debole com’era sarebbe stata un’idiozia. Lei tuttavia parve non volersi arrendere.
- Avanti, dai... cosa ti costa?
- No. Fa troppo freddo per te: sei debole, potresti anche peggiorare a causa di un colpo di freddo.  – le dissi severo. Non volevo che stesse ancora più male di come stesse in quel momento.
Lei mi sorrise.
- Ma no, stai tranquillo! Sto bene! – si alzò da letto. – Vedi?
Con un sospiro la spinsi di nuovo a letto.
- Te l’ho detto e lo ripeto: no. Non insistere.
Le rimboccai le coperte, e vidi in quel momento il suo sguardo incupirsi, mentre un velo di tristezza le attraversava gli occhi.
- È un peccato... – disse malinconica. – Infondo questo potrebbe essere l’ultimo inverno a cui potrei assistere.
Sentii un groppo al cuore: il dottore lo aveva detto che le restava poco tempo. Non sapeva bene nemmeno lui quanto, poteva essere qualche mese, un annetto addirittura, come poche settimane. Improvvisamente mi sentii in colpa. Che diritto avevo di privarla di una delle poche gioie della vita che le erano rimaste? Sospirai.
- D’accordo, andiamo...
Come se improvvisamente tutta la vita le fosse tornata in corpo, come un razzo si alzò dal letto, si vestì alla bell’e meglio e fece per scendere le scale.
- Grazie Len! Ti amo! – si fermò e mi schioccò un bacio sulla guancia per poi correre a prendere la giacca.
Sorrisi di fronte a tutta quella energia, per quanto temessi che potesse durare troppo poco e perciò di vederla cadere a terra da un momento all’altro. Presi la mia giacca e la seguii in giardino. La sentii ridere gioiosa mentre unendo le mani a coppa cercava di prendere la neve che cadeva.
- Amo la neve! – mi disse mentre iniziava a girare su sé stessa con le braccia tese verso l’esterno come fosse una trottola.
- Vacci piano... – la ammonii. Mi dispiaceva romperle le uova nel paniere, ma non doveva sforzarsi. – Guarda che staremo fuori solo qualche minuto!
Lei annuì, facendo segno di aver capito.
- Anche se per poco tempo, mi basta!
Almeno si accontentava, il che era bene: non so se sarei riuscito a convincerla a tornare di sua spontanea volontà in casa in caso contrario. Infondo, l’inverno era una delle due stagioni che preferiva.
Alzai lo sguardo al cielo e allungai una mano, lasciando che un fiocco di neve si andasse a posare su di essa, ma in pochi istanti si sciolse.
- Che vita breve... – commentai fra me e me malinconico.
La sua vita poteva essere paragonata a un fiocco di neve: tempo di formarsi e di arrivare a terra, che si doveva già sciogliere. In quel momento non potei fare a meno di pensare che forse le nostre intere vite, se paragonate agli anni del pianeta stesso, non erano che un fiocco di neve, un battito di ciglia.
- Che silenzio... – era la voce di Rin. In quell’immenso silenzio tipico dei giorni nevosi, si sentiva solo la sua voce.
- Ehi, Len... – mi chiamò, ma non mi voltai. – In questo silenzio come suona la mia voce?
Non sapevo che cosa risponderle, ma dopo alcuni istanti mi voltai lo stesso. In quello stesso momento sentii un “thump” nella neve: era caduta. Mi sembrò che il mio cuore si fermasse.
- Rin...? – la chiamai tentennante, come paralizzato.
Dentro di me pregavo di sentire all’improvviso la sua risata, di sentirla dirmi che era solo uno scherzo, ma dalle sue labbra non sentii uscire alcun suono.
- Rin! – la chiamai più forte correndo da lei. – Rin! – mi gettai in ginocchio accanto a lei. – Rin! – la chiamai una terza volta. – Rispondimi ti prego, Rin! – e una quarta, ma non ci fu risposta.
Rin giaceva in terra in mezzo alla neve, immobile con gli occhi azzurri spalancati e privi di vita.
- No... no... no... – mormorai sconvolto scuotendo la testa, come se non riuscissi a capacitarmi di quel che vedevo.
Tremante le sollevai una mano, in modo da cercare le pulsazioni sul polso, ma come temevo non riuscivo a sentirlo. Preso dal panico allora senza smettere di tremare litigai con i bottoni della sua giacca e gliela aprii, cercando di sentire direttamente dal petto i battiti del cuore, ma il risultato non migliorò di molto: effettivamente qualcosa si sentiva, ma più i secondi passavano e più il suono si affievoliva, segno che non le rimaneva molto da vivere, forse pochissimi minuti. Mi feci prendere dalla disperazione.
- Ti prego Rin, non te ne andare! – le dissi, come se bastassero le mie parole a farla tornare come prima. – Resta con me, non lasciarmi solo!
Ovviamente non ottenni alcuna risposta, ma insistetti.
- Ti prego, parlami!– non sapevo cosa fare, cosa dire, stavo andando nel panico. – Se provi dolore dimmelo! Se ti senti sola devi dirmelo! – iniziò a tremarmi la voce. – Magari potrei non capire subito, ma non importa quanto tempo ci vorrà e nemmeno dove andrai, perché io ti troverò e ti aiuterò. Non proverai più dolore e non ti sentirai più sola, perché ci sarò io con te! – mi sembrava quasi di delirare, non sapevo nemmeno bene io che costa stessi dicendo, ma poco mi importava, perché continuando a parlare speravo di tenere Rin cosciente. – Solo... – la mia voce si affievolì. – Solo non lasciarmi solo. – dissi in un sussurro. Non era una semplice richiesta, ma una supplica.
Una lacrima mi rigò la guancia mentre presi ad accarezzarle la mano gelida.
- L’avevi detto anche tu, no? Noi due siamo parte di una sola ed unica anima, siamo destinati a restare insieme. Se rimanessi solo io non sarei nemmeno completo. – mi sforzai di ridere. – Da solo non so vivere, non me la so cavare. Sono ancora immaturo, senza di te sarei perso. Chi mi ricorderebbe come vanno lavati i vestiti? Chi mi spiegherebbe come lavare le verdure? E chi riderebbe alle mie pessime battute? E mi tirerebbe su di morale con delle semplici cuscinate in testa?
Con l’altra mano le accarezzai una guancia, sentendola diventare ancora più fredda della mano, che in ogni caso era molto più a contatto con la neve. Stava perdendo calore, il che era un pessimo segno, e mentre la sua vita mi scivolava dalle mani io mi sentivo completamente impotente. Non sapevo che cosa fare, ero totalmente sconfortato, e in un gesto quasi incosciente la sollevai dalla neve in cui giaceva, e la strinsi con forza a me, mentre le mie spalle iniziavano ad essere scosse da tremiti e le guance a rigarsi di lacrime.
- Parlami... – le dissi con un sussurro. – Fammi sentire la tua voce ancora una volta, fammi capire che sei ancora qui con me! – il tono di voce stava salendo. – Chiamami! Ti prego, di’ il mio nome! – una supplica che dentro di me sapevo benissimo sarebbe rimasta inascoltata.
La guardai, notando gli occhi completamente vuoti, rivolti verso il nulla. Ad un lato vedevo una goccia. Neve sciolta? O era una lacrima? Forse era una sua reazione alle mie parole! Speravo con tutto il cuore che fosse un segno di vita ancora rimasta in lei, e cercai di averne conferma.
- Rin... – la chiamai piano – Se mi senti, se sei cosciente, dammi un segno. Va bene qualunque cosa, un borbottio, un battito di ciglia, anche solo un verso.
Speranzoso tesi le orecchie in attesa di sentire da lei un qualche suono, ma in risposta ricevetti solo il silenzio più totale. Abbassai il capo deluso, intorno a me, non riuscivo a percepire alcun suono. Sembrava che il tempo si fosse fermato, bloccato per sempre in quel momento per me così grigio. Non c’era anima viva, solo io e la gelida neve che si stava portando via la persona che più amavo. La sua voce, la melodiosa e cristallina voce che la caratterizzava, era scomparsa, e la sua vita sembrava ormai quasi completamente sfiorita, svanita.
- Perché...? – Mi domandai cupo. Che cosa aveva fatto Rin per meritarsi un simile destino?
Alcuni fiocchi ci posarono sulle mie dita, sciogliendosi. Perché non potevamo fare come loro, e scioglierci anche noi? Almeno in questo modo saremmo stati uniti. Continuavo a piangere, ma presto sentii che non mi rimanevano nemmeno più le lacrime, e compresi che non avevo più alcun modo di raggiungerla. Sentii improvvisamente un moto di rabbia salirmi da dentro, scaldarmi il petto fino a farmi bruciare. Non era come il calore che donava la passione, era come un incendio che mi consumava da dentro. Alzai lo sguardo al cielo.
- Dio! – urlai furioso, con quanta voce avevo. Sia io che Rin eravamo cristiani, quindi mi pareva che fosse Lui quello più adatto da interpellare. – Perché ci hai fatto questo?! Perché?! In cosa abbiamo peccato? Dimmelo! – chiesi al cielo. Sfortunatamente, non ottenni alcuna risposta. – Se non vuoi dirmi che cosa abbiamo fatto, almeno prenditi la mia voce! Sono stanco di urlare e piangere, per cui prendila e dammi indietro il mio gioiello! Non ti chiedo nient’altro, ti prego! – abbassai il tono di voce, guardando il corpo ormai inerte di Rin. – O se non vuoi, prendi anche me. – le accarezzai i capelli e avvicinai la mia testa alla sua, annusandoglieli. Sapevano di vaniglia. – Un mondo senza di te non avrebbe senso, piuttosto che viverci preferisco venire con te.
Sì, ero pronto a morire pur di restarle accanto. Le baciai una mano e la guardai ancora una volta, sconfortato. Avrei voluto poterle dire “Ti amo” ancora una volta, dirle quanto significava per me e di quanto ero felice di averla conosciuta, ma ormai era troppo tardi.
Che stupido ero stato, lo sapevo che non dovevo permetterle di uscire! Sapevo che dovevo costringerla a letto, che le piacesse o meno, eppure ero stato debole, piuttosto che renderla triste avevo acconsentito a quel capriccio che le era costato la vita. Non me lo potevo perdonare. Delicatamente la depositai nuovamente a terra. Ripensai a tutto il tempo trascorso assieme da quando ci eravamo conosciuti due anni prima, fino a poche ore prima. Mi tornò in mente il suo profumo e la sua voce così gentile, tutte quelle volte che avevamo litigato e avevamo fatto la pace, quelle volte in cui, mano nella mano, avevamo cantato assieme, e quelle in cui lei cantava solo per me mentre la accompagnavo al pianoforte. Pensai a quando l’avevo presentata ai miei genitori e lei mi aveva presentato ai suoi, alla sua malattia e a tutti gli eventi che avevano portato alla nostra fuga. Da quel momento in poi avevamo creato un piccolo mondo tutto nostro, in cui avevamo giurato di esserci l’uno per l’atro. Ma ora quel piccolo mondo era scomparso, e non sarebbe tornato più. Mi portai una mano al petto, sentendo come se bruciasse. Sapevo fin dall’inizio come sarebbe andata a finire, quindi perché soffrivo così tanto? Perché sentivo come un vuoto che si apriva dentro di me?
- Non è giusto... – mormorai. Era più un pensiero che altro. – Non è giusto! – ripetei, questa volta a voce più alta, mentre sentivo le lacrime tornarmi nuovamente agli occhi. – Non è giusto!! – urlai infine, disperato. – Perché dobbiamo soffrire così tanto?!
Anche urlando sapevo ormai che né lei né la sua voce sarebbero tornate da me, ma non riuscivo a fare altro per sfogare la mia tristezza e la mia frustrazione.
- WAAAAAAAAAAAAAAAH – gridai con tutte le forze che avevo, fino a consumare anche la mia voce. Tanto a cosa mi sarebbe servita se non potevo più usarla per parlare con la ragazza che amavo? Piansi finché avevo forza, con i muscoli che mi dolevano a forza di singhiozzare, mentre la candida neve ricopriva tutto ciò su cui si posava, seppellendo così anche il corpo di Rin. Senza più emettere un suono o un singhiozzo mi sdraiai nella neve accanto a lei e chiusi gli occhi, nella speranza di addormentarmi e di morire sepolto dalla neve, così da poterla finalmente raggiungere.



Fine



 

Salve! Non ho molto da dire su questa fic... l'ho scritta basandomi su Soundless voice, provando a immedesimarmi in Len e cercando di renderla il più triste possibile (e magari tragica), almeno quanto la canzone originale. In certi punti non sono del tutto sicura di ciò che ho scritto, ma ho fatto del mio meglio, quindi abbiate pietà di me D:
Che altro dire.... niente, spero che vi sia piaciuta e che commentiate! Anche le critiche (purché costruttive e scritte in modo educato) sono accette. Grazie e alla prossima storia.

  
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