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Autore: Bloomsbury    07/01/2014    23 recensioni
[Storia in revisione] Capitoli revisionati: 14/35.
Jay era un ragazzo come tanti, con qualcosa in più o in meno degli altri, un ragazzo normale, un ragazzo omosessuale: particolare insignificante per ogni persona di buon senso.
Si vergognava di tante cose, tranne che di questo.
Jay bramava la luce, la libertà.
Fece la scelta sbagliata nel contesto meno appropriato e quel particolare insignificante diventò la spada che lo uccise, la macchia scura che lo inghiottì.
«Mio figlio è morto il giorno stesso in cui ha tradito la natura che gli ho donato con orgoglio.»
«La natura che mi hai donato è quella che ti ho confessato…»
«È una natura che mi fa ribrezzo!»
Così comincia la storia di Jay Hahn, fatta di dolori, di abbandoni, di amore, di amicizia, di segreti, di bugie, di tempesta.
E le tempeste intrappolano nel proprio occhio ogni cosa, risputandoti fuori lacerato, diverso, un mostro.
Jay uscirà ed entrerà da quelle raffiche di vento, diventerà lui stesso la tempesta e annienterà ogni cosa al suo passaggio.
Compreso se stesso.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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"People help the people 
And if your homesick,
give me your hand and i'll hold it
"
People Help the People- Cherry Ghost 



 
2. People Help the People

 
Si trascinò svogliatamente verso casa, attraversando Kensington.
Era stanco e provato, aveva rimandato per tutto il giorno il suo inevitabile ritorno finché, a notte inoltrata, non poté fare a meno di accettare la realtà e farsi coraggio. Avrebbe affrontato le conseguenze, qualsiasi esse fossero. Si fermò davanti ad una casa vittoriana dai mattoni rossi – la sua – e sbirciò dalle finestre a mezza forma esagonale sperando di scorgere lo stato d’animo di chi vi abitava. Il silenzio, rotto solo dall’abbaiare dei cani in lontananza, lo tranquillizzò – anche solo per la consapevolezza di poter rimandare l’incontro con i suoi all’indomani – e si avvicinò alla porta dopo aver salito i pochi gradini che lo separavano dall’entrata; puntò velocemente gli occhi sul piccolo vaso in terracotta che era solito custodire le chiavi di casa, ma dovette scontrarsi con la cocente delusione di non trovarvi nulla.
Rimase immobile, con la mano ancora a contatto con la maniglia gelida, senza riuscire a distogliere lo sguardo da quel vaso vuoto che diventò una prova lampante: la sua famiglia aveva scelto di abbandonarlo definitivamente.
Se avesse avuto le forze avrebbe reagito, si sarebbe arrabbiato per via del disgusto, invece mise il broncio come solo i bambini riescono a fare. L’orgoglio, però, prese il sopravvento lottando nel suo petto: il bambino che era stato fino a quel momento doveva crescere nonostante non si sentisse ancora pronto.
Essere stato un figlio amato, vezzeggiato e curato aveva giocato un ruolo fondamentale per la sua crescita e capì che da solo non valeva niente. La sicurezza che aveva provato tra le braccia dei suoi genitori non era stata altro che una gentile concessione – mutevole e non definitiva – elargita solo a determinate condizioni, le quali Jay non aveva nessuna intenzione di rispettare, non a dispetto della sua dignità.
I suoi occhi rimasero aridi, aveva pianto troppo per quel giorno e quasi sentiva di non avere più lacrime, ma il senso di abbandono lo incatenò al pianto del cuore, che è ancora più doloroso ed inesauribile.
Sconfitto, ritornò sui suoi passi e dopo aver disceso la piccola ma faticosa scalinata si voltò ancora verso casa. La osservò attentamente spostando il ciuffo corvino dagli occhi con un piccolo ma energico movimento della testa e in quell’istante disse addio alla sua famiglia, ai suoi ricordi: scelse se stesso.
Si sentiva calmo, probabilmente era stato lo sfinimento a privarlo dell’adrenalina accumulata durante la giornata, ma ancora non poteva permettersi di cedere, doveva trovare una soluzione al problema, non avrebbe potuto dormire in strada.
Si diresse qualche metro più in là e si fermò, dopo aver svoltato l’angolo, davanti ad una villetta a schiera simile alla sua; anche questa sembrava disabitata.
Controllò l’ora sul display del cellulare e si accorse che era davvero troppo tardi per bussare, ma non esitò a chiamare l’unica persona che avrebbe potuto aiutarlo.
Attese la risposta con il cellulare stretto nella mano – era stato vittima di tanti di quei rifiuti che, irrazionalmente, si ripresentò la paura di doverne subire ancora.
Mordicchiò nervosamente il labbro inferiore per trattenere le lacrime, ma la voce dell’amico dall’altro capo del telefono ridisegnò una nuova espressione sul suo volto, cancellando il pianto che stava per rivelarsi.
«Jay, è successo qualcosa?».
Sospirò sollevato e sorrise per rassicurarlo: «Sto bene, ma ho un piccolo problema.»
«Cosa?».
Titubò per un istante, stropicciò i capelli e con essi gli occhi ormai gonfi dalla stanchezza e rispose con una risatina imbarazzata, scrollando le spalle: «Mia madre e mio padre mi hanno cacciato di casa e adesso… sono qui».
Silenzio, fruscio.
Jay rimase in ascolto dell’assenza senza avere la forza di reagire e proprio mentre stava per perdere le speranze alzò lo sguardo sulla porta e vide le iridi nere di Chaz – che si era catapultato fuori tempestivamente – illuminarsi per l’attesa.
Casa: fu questa la sensazione che lo avvolse vedendolo lì, difronte a lui, con il viso preoccupato di chi non sa cosa aspettarsi.
Rispose al sorriso con tenerezza e senza interrompere il filo diretto degli sguardi scattò al primo cenno, salendo le scale. Raggiunse la porta ed entrò, lasciandosi alle spalle la strada desolata alla quale aveva confidato ogni angoscia.
Casa di Chaz era come tutte quelle di ogni famiglia bene di Kensington – come era anche quella di Jay – e provò repulsione per quella bella finzione impacchettata a dovere.
Mentre saliva le scale seguendo l’amico che gli apriva la strada verso la sua stanza, analizzava il proprio stato d’animo: non sentiva più dolore o tristezza, era disgustato.
La sua famiglia l’aveva sempre presentato agli estranei come un bravo ragazzo, un buon figlio ed uno studente modello; cosa era cambiato? Il fatto di essere omosessuale lo rendeva così diverso?
Sarebbe stato inutile pensarci ancora; non li avrebbe mai capiti.
Entrarono nella stanza del ragazzo che, appena chiusa la porta, assicurandosi di non aver svegliato nessuno, si sedette sul letto guardando Jay in piedi davanti a sé: «Perché ti hanno sbattuto fuori?» la sua espressione era incredula, tanto che Jay riuscì a trovare il lato buffo della questione. Ridacchiò, – un po’ per nascondere la delusione, un po’ per sdrammatizzare – e rispose slacciandosi le scarpe, cercando di apparire sereno, come fosse tutto normale: «Ieri ho confessato e i miei genitori, come vedi, non l’hanno presa troppo bene».
Preso alla sprovvista, non mosse un muscolo. L’amico, con quella notizia, l’aveva gelato sul posto ma prima che egli potesse continuare il racconto, Chaz chiese balbettante: «Ma… come ti è saltato in mente?»
«Ero stanco di nascondermi» confessò serafico. Davanti a tale determinazione, l’altro non poté replicare. «Semplicemente, mi andava» concluse Jay scrollando le spalle, semplificando la cosa come se non gli importasse delle conseguenze.

***
 
Chaz voleva bene a Jay, anzi ne era innamorato. L’aveva conosciuto da bambino tramite i genitori, ma solo dopo qualche anno erano riusciti ad instaurare un buon rapporto.
Da bambino, Jay pensava di essere l’unico a provare curiosità per i ragazzi nel raggio di chilometri; avrebbe voluto parlarne con qualcuno, togliersi un peso, chiarire dei dubbi e ricevere risposte a delle domande che sentiva di non poter sbrogliare da solo, ma più si guardava intorno più si sentiva isolato e diverso.
Vedeva i suoi amici crescere ed interessarsi all’universo femminile, mentre lui, indagando nel proprio cuore, sentiva di fare la cosa opposta. Con loro era solito fingere quando, ad ogni fine allenamento, sbirciavano le ragazze intente a cambiarsi nei bagni della palestra. Jay stava indietro, mentre gli altri facevano a turno per rubare un fugace scorcio dei corpi femminili ancora non totalmente sviluppati, e aspettava pazientemente che quella farsa finisse. Prendeva posto in un angolo, seduto sul pavimento, desiderando di ritornare presto nella sua stanza e poter smettere di fingere.
Nell’intimità della sua camera era tutto più facile: navigava su internet senza avere un’idea precisa, sbirciava le foto dei suoi compagni di corso negli account di facebook trovando nei corpi seminudi messi in posa dei suoi coetanei il desiderio che era costretto a celare nella sua intimità.
Non poteva fare altro.
Così giunsero i suoi quattordici anni.
Fingeva di essere ciò che non era così bene da convincere tutti della sua eterosessualità.
Passeggiava con i suoi compagni dopo la scuola, assumendo la posa dello sbruffoncello in cerca di avventure e nel frattempo, poco per volta, costruiva intorno al cuore una fortezza fatta di omissioni e di incertezze costringendovi dentro la sua vera identità, presentando al mondo un ragazzo che non esisteva, una figura fittizia generata dall’incessante esigenza di soddisfare le richieste di chi non era a conoscenza dei suoi segreti.
Gli amici lo portavano ovunque con loro, perché Jay era come il miele per le api; tutte le ragazzine gli si avvicinavano per attaccare bottone, rapite dal viso perfetto e dagli occhi chiari che con immensa disinvoltura riuscivano a catturare qualsiasi attenzione. Non era difficile per lui abbordarle, sapeva con cosa stupirle, conosceva cosa poteva piacere ad una ragazza perché le stesse cose, inevitabilmente, conquistavano anche lui.
Stavano seduti al solito bar a chiacchierare sulla loro vita, sugli allenamenti, sulla scuola, e Jay ascoltava senza poter replicare a cuore aperto; raccontava bugie da tempo immemore, tuttavia la paura di perdere tutto quello che era riuscito a costruire negli anni era troppo più forte della stanchezza.
Chaz, al contrario, anziché raccontare frottole preferiva stare solo, senza concedersi la possibilità di fare amicizia con qualcuno. La solitudine cessò presto perché un giorno, in quello stesso bar, i suoi occhi si incontrarono con quelli di Jay che, con i gomiti poggiati sul tavolo, lo fissava con interesse.
Si guardarono per minuti e minuti, riconoscendosi, assaporandosi.
L’uno sapeva chi fosse l’altro, ma entrambi scoprirono solo in quel momento di condividere qualcosa. Jay lo scrutava pensoso e quando si accorse che il ragazzo difronte a lui ricambiava, sorrise abbassando la testa nel tentativo di nascondersi dagli altri, stringendo gli occhi che si arricciarono in un’espressione irresistibile intanto che il destinatario di quel sorriso scopriva quanto per quello stesso avrebbe sempre vissuto.
Da allora cominciarono a frequentarsi. Jay non finse più nonostante non volesse gettare in pasto al mondo i suoi fatti personali e nell’amico trovò il suo sfogo, la sua spalla, l’unico detentore dei suoi segreti. In tal senso si usarono entrambi e a forza di usarsi si scoprirono amici e Chaz, a furia di volergli bene, imparò ad amarlo in segreto.

***
 
Jay rimase in boxer e infilandosi sotto le lenzuola poté finalmente godere del calore che tanto aveva desiderato per tutto il giorno.
Chaz, che gli aveva fatto spazio accanto a sé, stava di fianco, fissando gli occhi persi nel vuoto del suo più caro amico. Avrebbe voluto dirgli qualcosa di sensato per confortarlo, ma non sapeva davvero cosa: ogni parola sarebbe stata superflua, ormai.
Quale parola può consolare un diciassettenne abbandonato dalla propria famiglia?
Così stette in silenzio, osservando le lunghe ciglia di Jay impigliarsi al ciuffo ribelle che perseverava nel rigargli il volto; scrutò la sua espressione: era triste ma piena di dignità. Sentiva di non poter fare niente di diverso da ciò che già stava facendo e stringendosi a lui lasciò che la sua pelle lo sfiorasse. Si guardarono, si intuirono ed infine si nascosero completamente sotto le lenzuola –come usavano fare spesso da quando si erano conosciuti – e accarezzandosi con dolcezza schiusero i loro segreti in quell’improvvisato rifugio, ricacciando il mondo all’esterno.
Jay sorrise brevemente, ammirando gli occhi scuri di Chaz – l’unico sguardo benevolo al quale poteva appigliarsi – ma ripensando alla difficile giornata che l’aveva calpestato, spostò l’attenzione sul cuscino lasciando che i suoi pensieri scivolassero tra i due corpi stretti.
«Jay, non pensarci più» sussurrò catturando nuovamente l’interesse del ragazzo che con un sorriso disilluso rispose bisbigliando, mentre il pianto minacciava di rompergli la voce in gola; il crollo pareva avvicinarsi. «È difficile non pensarci.»
«Lo so, lo so».
Lo cinse tra le braccia, baciandolo con dolcezza sulle labbra e per la prima volta sembrava Jay quello più fragile dei due – cosa che lo destabilizzò non poco. Il ragazzo, affondando le labbra nel petto dell’unica persona che aveva scelto di proteggerlo, sussurrò stringendosi a lui: «Grazie, Chaz.»
«Non si dice “grazie” a chi ti vuole bene».
Jay non rispose subito, ma inspirò profondamente per scrollarsi di dosso tutto il peso di quella triste giornata: «Sto bene» dichiarò debolmente, chiudendo gli occhi.
Chaz sapeva che era una bugia, eppure contraddirlo non sarebbe servito a niente. Avrebbe voluto essere la brezza fresca dopo la tempesta, quella che con un lieve soffio porta via ogni residuo di stanchezza e di affanno, ma sapeva che una brezza non sarebbe bastata a togliere il macigno che costringeva il cuore di Jay al dolore.
Un soffio sarebbe stato vano, serviva un'altra tempesta, e al momento non era ancora a conoscenza dell’esistenza di quel qualcuno che avrebbe saputo generarla.
 
 
 
 
Spazio autrice.
Secondo capitolo revisionato.
Colgo l’occasione di questo nuovo spazio autrice (revisionato anche questo :P) per ringraziare tutti quelli che mi hanno seguito fin dall’inizio: Elsker, LadyWolf, Bijouttina e Aven. In più ringrazio Julie che è stata l’ultima ad iniziare e la prima a finire :P e Nahash che mi ha fatto un  bellissimo regalo leggendo Jay tutto di filato in pochissimi giorni (forse tre O_O)
Grazie a tutti quelli che l’hanno letta prima della revisione e grazie a quelli che la stanno leggendo adesso. Il capitolo non è cambiato nella sua essenza, ma l’ho sistemato un po’, snellendolo considerevolmente, direi.
Se doveste trovare refusi mi scuso, vi giuro che ho fatto del mio meglio >_< Se mi è sfuggito ancora qualcosa chiedo venia.
Bloomsbury
   
 
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