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Autore: tartaruga_dt    08/01/2014    3 recensioni
Caro Connor,
non scrivo questa lettera per te ma per me stesso. C’è una parte di me che vorrebbe poterti dire delle cose, cose che un’altra parte di me, quella che ho scelto di seguire molto tempo fa, non vuole e non può farti conoscere. Perciò questa lettera non ti arriverà mai Connor...
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Haytham Kenway
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'padre e figlio'
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Caro Connor


-  lettera trovata tra le pagine del diario di Haytham Kenway -





Fort George, 1 settembre 1781


Caro Connor,

non scrivo questa lettera per te ma per me stesso. C’è una parte di me che vorrebbe poterti dire delle cose, cose che un’altra parte di me, quella che ho scelto di seguire molto tempo fa, non vuole e non può farti conoscere. Perciò questa lettera non ti arriverà mai Connor, e tuttavia io la scriverò come se tu dovessi leggerla domani, per il solo piacere di farlo, di esprimere almeno per una volta quello che non posso permettermi di esprimere.
Se un giorno, per qualche assurdo caso della vita, tu dovessi leggere queste righe probabilmente penseresti che sono pazzo ma ti assicuro che non lo sono. Sono diviso, questa è la verità, ed è il prezzo che pago per la fedeltà a me stesso.
Sono sicuro che non te l’aspetti da me, mi vedi come un uomo tutto d’un pezzo se ho letto bene le tue espressioni nel poco tempo che abbiamo passato insieme, uno che fa quel che deve fare senza troppi scrupoli e naturalmente senza rimorsi. Invece ho anch’io le mie incertezze, la mia dose di decisioni sofferte e di desideri contrastanti: il dubbio ha sempre fatto parte della mia vita, e per quanto io ci abbia provato non sono mai riuscito a liberarmene. Non avrebbe potuto essere diversamente del resto, ora lo capisco: sono cresciuto nel tradimento e nella menzogna e questo mi ha reso prima cauto, poi sospettoso e infine irrimediabilmente cinico.
Tu non puoi saperlo Connor, di me non conosci niente se non quello che hai visto con i tuoi occhi e il poco che tua madre ti avrà raccontato, ma non ho mai desiderato diventare quello che sono. Ho avuto un padre anch’io, un padre che idolatravo ed era come lui che avrei voluto essere: volevo la sua sicurezza, la sua forza, la sua indulgenza, volevo imparare il suo sguardo sul mondo, quel modo audace che aveva di sfidare l’idea sacra e intoccabile che gli altri uomini avevano della verità. Invece eccomi qui, misurato dove lui era passionale, rigido dove lui era sicuro, implacabile dov’era indulgente, pessimista e cinico dove lui era curioso e tollerante, e infine un Templare dove lui era un Assassino. A volte mi chiedo cosa penserebbe di me se potesse vedermi, se conoscesse l’uomo che sono diventato, altre mi chiedo cosa penserebbe di te e dell’Assassino ingenuo che sei, ma si tratta di domande oziose e le risposte sono senza importanza: mio padre è stato ucciso, io l’ho vendicato e per quanto ho potuto ho fatto tesoro dei sui insegnamenti. E’ in nome di quella libertà di pensiero che mi ha trasmesso che ho scelto di non rigettare la mia fede e, anche dopo aver scoperto che la sua morte era opera dei Templari, ho comunque scelto di essere un Templare piuttosto che un Assassino, e questo perché sono convinto che l’umanità possa trovare giustizia e pace solo se le si da un ordine.
Questo significa essere un Templare: conservare l’ordine e avere una direzione, uno scopo.
Convengo con te che non sempre i Templari si sono dimostrati all’altezza del compito, tra di noi c’è stato spesso chi ha abusato di autorità e crudeltà - e nessuno lo sa meglio di me! -, ma questo non cambia il fatto che il credo degli Assassini lasci troppo spazio ad ambiguità e contraddizioni per essere convincente.Tuttavia, quando ero giovane,
c’è stato un tempo in cui ho creduto possibile conciliare le visioni del mondo di Templari e Assassini. Forse non ci crederai Connor, ma non è così sorprendente se ci rifletti bene. Ho scritto che mio padre mi aveva insegnato a ragionare sempre in modo critico, a non piegarmi ai dogmi, ed era perciò naturale che arrivassi a mettere in discussione la pretesa irriducibilità dei due ordini: non cercavano entrambi il bene dell’umanità? Certo, avevano modi diametralmente opposti per raggiungerlo e tutelarlo ma il fine non era il medesimo?
L’esperienza maturata negli anni mi ha fatto poi comprendere che si trattava solo di un sogno, di un’illusione cullata nella speranza di mettere pace tra il mio sangue d’Assassino e il mio cervello da Templare, ma assolutamente inattuabile. Ti ricordi Connor? Ne abbiamo parlato: gli Assassini non vogliono solo la pace, vogliono anche la libertà e per i Templari la libertà è sinonimo di caos. Questo rende le loro posizioni assolutamente inconciliabili e alla fine mi ha costretto a scegliere: Assassino o Templare? Libertà o ordine?

Ho vissuto molto più di te Connor, so di cosa sono capaci gli uomini, di quali menzogne, di quali angherie, soprusi e violenze…non può esserci né pace né giustizia senza ordine, senza un’autorità capace d’imporsi gli uomini cercheranno sempre di sopraffarsi gli uni con gli altri, è la loro natura. Perciò scelgo l’ordine, scelgo di essere un Templare per raggiungerlo e preservarlo e se questo significa essere contro di te, se questo significa combatterti, ebbene lo farò. Pensi di poterlo capire? Non posso retrocedere, lotterò per quello in cui credo, anche contro di te, soprattutto contro di te e anche a costo di ucciderti se mi metterai nella posizione di doverlo fare. E lo farai Connor, lo vedo nei tuoi occhi. Non ti arrenderai, continuerai a combattere, a mietere i miei collaboratori diventando sempre più forte e avvicinandoti sempre di più al vertice della nostra organizzazione, avvicinandoti sempre di più a me. E poi cosa accadrà? Ci hai pensato?
Non ti lascerò vincere Connor, questo devi saperlo. Non posso. Non voglio. Ti ucciderò se dovrò e poi ucciderò me stesso perché, se la fedeltà ai miei principi m’impone di non avere pietà, quello che provo per te non mi permette di sopravviverti. Te l’ho detto, sono un uomo diviso: da una parte la mia causa dall’altra te.
Come scrivevo all’inizio non mi aspetto che tu legga questa lettera, la scrivo per uno sfogo personale, non intendo certo spedirtela, eppure non posso non provare a immaginare la tua reazione se un giorno, per caso, questi fogli arrivassero nelle tue mani. Cosa penseresti di quello che ho scritto poche righe più su? Come la prenderesti? Sono certo che non crederesti a una parola, testardo come sei. Ma del resto faccio fatica a crederci io, perciò…
Il fatto è Connor che la mia è stata una vita di menzogne, tradimenti e massacri. Tu non puoi ancora saperlo, sei tanto giovane ancora, ma il cuore è pur sempre un muscolo e, come tale, a volte si stanca. Si stanca di sopportare, si stanca di soffrire, di perdere…le bugie lo fiaccano, specie quando vengono pronunciate da persone che stimiamo e amiamo, i tradimenti lo induriscono e le morti lo intorpidiscono. Quando ho conosciuto tua madre il mio cuore era già molto provato ma non era ancora arido. A ripensarci ora forse quella è stata la mia ultima possibilità, l’ultima opportunità di cambiare vita, di lasciarmi tutto il male alle spalle, di guarire. Io ero giovane e lei era bella, fiera e profonda come le foreste in cui sei cresciuto. L’ho amata. L’amo credo. Ma l’amore non mi è bastato e quando la mia vecchia vita mi ha richiamato indietro, in Europa, sono andato. Sono partito senza salutarla e quando sono tornato lei era morta e c’eri tu. Non credevo di essere in grado di affezionarmi a te Connor, non credevo di potermi sentire padre di un ragazzotto sbucato all’improvviso dal mio passato: in Europa il mio cuore si era fatto di pietra, era tardi per quel genere di sentimentalismi, tardi per piangere Tiio, tardi per accettarti, e davvero troppo, troppo tardi per amarti. Non potevo certo immaginare quello che sarebbe successo dopo.

Il 27 giugno del 1776 ti ho condannato a morte. Io, proprio io, in quanto Gran Maestro del rito coloniale, ho dato il mio benestare al piano che prevedeva di addossarti la colpa del tentativo di assassinare Washington e quindi di impiccarti il mattino seguente come traditore della rivoluzione. Neanche ventiquattrore più tardi mi mescolavo alla folla per sventare la tua esecuzione, quella che io stesso avevo organizzato, e mi sentivo male al pensiero che tu sapessi che quell’ordine d’esecuzione partiva da me.
Circa due anni dopo ti proponevo una tregua per trovare Church. Ricordo di aver detto qualcosa di stupido, qualcosa sul fatto che passare del tempo assieme ti avrebbe fatto bene, che forse potevo ancora sottrarti all’ignoranza. Ma erano parole vuote. Sapevo che non c’era niente che potessi dire, nessuna parola, nessuna verità pronunciata da me sarebbe mai stata capace di toccarti. Eri lì, nelle mie mani, con la mia lama puntata alla gola e mi chiamavi padre, ma eri irraggiungibile per me.
Ho ripensato spesso a quell’episodio e mi sono chiesto tante volte il perché del mio comportamento. Perché aggredirti? Perché sfidarti se alla fine volevo una tregua? E perché la volevo questa tregua, visto che Church potevo trovarmelo benissimo da solo?
Ultimamente mi sono dato una risposta che, per quanto sdolcinata e imbarazzante, temo sia la più vicina alla realtà: azzuffarmi con te era l’unico modo che avevo per toccarti, l’unico che ero ancora capace di mettere in pratica. In seguito ti ho seguito a New York, ti ho seguito sull’Aquila, e poi a Fort George, e a ogni passo mi sono lasciato dietro una scia di morti e di esecuzioni crudeli che ti facevano sgranare d’orrore quei tuoi grandi occhi scuri. Volevo toccarti Connor, volevo solo toccarti, e se non ce la facevo a farti vedere la sincerità e la rettitudine del mio intento, se tu in me riconoscevi solo il mostro che aveva ordinato di appiccare il fuoco al tuo villaggio, il padre assente colpevole di aver ucciso tua madre, ebbene allora sarei stato quel mostro. Se orrore e indignazione erano le uniche cose che potevo avere da te, allora orrore e indignazione avrei avuto. E me la sono giocata bene, devo ammetterlo, me la sono giocata così bene che sono riuscito a farti orrore anche mentre ti dimostravo che l’ordine di distruggere il tuo villaggio non era partito da me, anche mentre ti mostravo le prove che tua madre non l’avevo uccisa io!
Devo riconoscere che in quell’occasione ho completamente smarrito il senso delle proporzioni. Mi sono comportato come se si fosse trattato di svelare un intrigo politico da due soldi, un complotto qualsiasi…e invece si trattava della tua gente, dei tuoi amici, di Tiio. Capisco la tua rabbia Connor, la comprendo. Forse non avrei dovuto indugiare tanto nello svelarti la verità ma sii onesto con te stesso: mi avresti creduto? Se ti avessi detto quello che sapevo senza portarti uno straccio di prova, mi avresti ascoltato?
Oh e poi sì, ho provato un certo gusto nel far crollare quel tuo eroe, quel Washigton, lo confesso. Quella fervente ammirazione che ti faceva brillare gli occhi quando parlavi di lui io l’ho provata per mio padre. Ora Connor, capisco che i casi della vita ci abbiano portato ad avere un rapporto differente rispetto a quello che io ho avuto lui, e accetto che non provi e non proverai mai per me quel tipo di devozione; questo non significa però che tu possa provarla per altri.
Così vedi, mi sono distratto. Preso com’ero a discolparmi dell’accusa infamante di averti rovinato la vita e a infangare il tuo eroe, non ho pensato a te, all’effetto che la verità avrebbe avuto sulla tua giovane vita. O meglio, ci ho pensato ma lo avevo immaginato diverso e certo più appagante per me. Immaginavo le tue certezze in frantumi e tutta la confusione e lo smarrimento che sarebbero seguiti, questo era ovvio ma forse…ecco, mi vergogno a dirlo, ma forse immaginavo anche che qualcosa tra noi sarebbe cambiato, che magari ti saresti chiesto il perché di tanti anni sprecati in rancore e diffidenza quando in realtà non li meritavo, e che forse - forse! - a quel punto avresti ascoltato con più docilità le mie motivazioni.

La tua rabbia non era prevista.
Ripensandoci oggi mi rendo conto che non solo era giustificata per via delle ragioni che ho già indicato, ma che, visto il tipo d’uomo che sei, era prevedibile e scontata: avrai pensato che gli uomini di Washington marciavano sul tuo villaggio mentre noi tre stavamo a litigare nella sua tenda, avrai pensato che se io avessi messo prima le carte in tavola forse avresti potuto anticipare quell’attacco, magari anche sventarlo.
Il mio popolo deve venire per primo, hai detto.
Hai pensato agli altri, al tuo popolo, non a te stesso e di sicuro non a me.
Tra voi e me è tutto finito, hai gridato poi. Ma vedi Connor, io pensavo che quello sarebbe stato il nostro inizio, non potevo certo immaginare che per te questa cosa di me e te insieme fosse già cominciata.
Mi vergogno di quello che è successo dopo, mi vergogno di aver cercato di trattenerti, di averti chiamato figlio. Ricordo a memoria le tue parole: Pensate che sia tanto rammollito che chiamarmi figlio ora potrebbe farmi cambiare idea?
Mi ha frainteso Connor, non ho mai pensato che tu fossi debole. Ingenuo sì, idealista anche ma non debole. Di nuovo Connor, volevo solo toccarti. Le tue certezze si erano sgretolate, io le avevo sgretolate, ma volevo darti un appiglio, un punto fermo: c’erano le mie certezze, la mia esperienza del mondo e degli uomini, potevi aggrapparti a queste, potevi aggrapparti a me. Chiamarti figlio significava solo ricordarti che ero tuo padre e che ero lì, ancora in piedi mentre tu crollavi, pronto a tenerti se tu l’avessi voluto. Ma non ho saputo tenere in considerazione l’uomo che sei. Vedevo un ragazzo e invece eri già un uomo, un uomo molto diverso da me, un uomo pieno di convinzione e speranza e altruismo. Un uomo ingenuo dal mio punto di vista, ma senza dubbio un uomo del quale un padre può dirsi fiero. Gli uomini, quelli veri, non crollano Connor, e infatti tu non sei crollato: non hai perso tempo in patemi e recriminazioni e hai agito nel modo che ti sembrava più giusto, nell’interesse di coloro che avevi più a cuore. Non hai avuto bisogno delle mie certezze né della mia esperienza, non hai avuto bisogno di me, al contrario, hai minacciato di uccidermi se ti avessi ostacolato.
Mentre ti guardavo darmi le spalle e correre via, l’illusione in cui senza volerlo mi ero trascinato in quegli anni in cui ci eravamo frequentati si è finalmente dissolta: siamo nemici io e te, sei mio figlio ma siamo nemici, ed è stato sciocco e ridicolo da parte mia pensare che potesse essere diverso. Perciò Connor te lo ripeto: non ti lascerò vincere, ti combatterò con tutte le forze che mi sono rimaste e ti ucciderò se dovrò. Non puoi vincere, non puoi battermi, sei forte e combatti bene ma da questo punto di vista sei davvero ancora soltanto un ragazzo e non puoi farcela. Non puoi. Non lo permetterò. Il giorno in cui ci rivedremo Connor dovrò piantarti la mia lama nel cuore e così sarà tutto finito, una volta per tutte. Tu vedi il mondo non per quello che è ma per quello che vorresti che fosse, ed io metterò fine ai tuo giorni prima che il tuo cuore si spezzi per la delusione.
O forse no.
Forse il giorno in cui ci rivedremo sarò io quello che morirà, forse sarai tu a piantarmi la tua lama da Assassino nel cuore. Lo faresti Connor? Mi uccideresti? Oh sì, sì che lo faresti. Forse c’è stato un tempo in cui non l’avresti fatto, un tempo in cui ti sarai scervellato per trovare un pretesto, un appiglio, una scusa qualunque per non uccidermi, ma poi c’è stata la faccenda di Washington e lì devi averlo capito che per noi non c’erano possibilità, che io ero un Templare prima di essere tuo padre e che con me avresti dovuto per forza agire da Assassino.

Povero Connor, se mi ucciderai farà più male a te che a me perché in fin dei conti Connor sei diviso anche tu, diviso come me, combattuto e lacerato tra quest’ideale di libertà e un qualcosa che senti per me, qualcosa a cui non osi dare nome ma che senti come una ferita nella carne. Povero, povero Connor! E mille volte povero me: da una parte la mia causa dall’altra te e io al centro. Scelgo la mia causa, devo farlo, le ho dedicato tutta la vita, perciò…mi capisci? Certo che mi capisci, dopotutto neanche tu sceglierai me quando sarà il momento.

Caro Connor, si avvicina, la senti? Presto sarà il momento della resa dei conti temo, presto dovrò lottare per impedirti di distruggere ogni cosa. Te lo ripeto ancora una volta Connor, voglio che sia chiaro: non commettere l’errore di pensare che non ti ucciderò perché credimi, non avrò nessuna pietà, non ti permetterò di ridurre in cenere tutti i miei sacrifici, tutto quello in cui credo. Non posso. Non voglio. Però Connor…
Però.
Solo per una volta.
Qui, in una lettera che non leggerai mai perché mai te la spedirò, permettimi di essere debole e sentimentale, lasciami scrivere quello che non ti dirò mai.
Ti amo Connor. Sono tuo padre e ti amo. Ti ho lasciato ma ti amo. Ho coperto Lee e sempre continuerò a coprirlo ma ti amo. Ti ucciderò se dovrò ma ti amo: ti pianterò la lama degli Assassini nel cuore e ti terrò tra le braccia finché non morirai. 
E ora basta, questa lettera si è dilungata fin troppo.

Presto ci rincontreremo Connor e allora uno dei due morirà. Non so cosa augurarmi, davvero non lo so: chiuderti gli occhi sulla violenza del mondo o sperare che tu li chiuda a me, così che io possa riaprirlisul viso di Tiio? Sul serio non lo so, temo di stare diventando pazzo.
Se puoi perdonami, per tutto. E se non puoi almeno non odiarmi.




Con amore ma senza alcun rimpianto

tuo padre,
Haytham Kenway





Se in certi punti la lettera vi sembra sconclusionata, nel senso che salta di palo in frasca...beh, è un effetto voluto. Questo è un testo sconclusionato, scritto per dare voce ai sentimenti che (secondo me) Haytham prova Connor. Vi è mai capitato di scrivere una lettera già sapendo che non la spedirete mai? Una lettera in cui vi lasciate andare, scritta più per voi, per mettere ordine nei vostri sentimenti piuttosto che per informarne la persona alla quale scrivete? Ecco, questo è quel genere di lettera.
Quindi sì, ho provato a rispettare il più possibile il carattere di Haytham, ma ho pure inserito qualche "sdolcinatezza" di cui sentivo terribilmente la mancanza a fine gioco.

A voi l'ardua sentenza ^^



   
 
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