Atena è un
personaggio che mi ha sempre incuriosita, se devo essere sincera. All'inizio mi
era rimasta impressa per la incredibile somiglianza con Silver, ma non
ci avevo prestato così tanta attenzione. Solo successivamente mi sono affezionata a lei, convincendomi che
ci sia qualche legame di parentela tra i due. Ho composto questa storia
per sfizio, giusto per fare un esperimento di Atena Centric con un accenno di Silverspawn
– non ho ancora deciso se renderla onesided o
meno, ma pazienza.
Ci
sono dei riferimenti a Rosso Fuoco e Verde Foglia, dove compare
una Generale Rocket senza nome. Inutile dire che ho
ipotizzato fosse Atena, vero? La storia, invece, è ambientata nella seconda
generazione, precisamente nella base Rocket di Mogania.
Detto
questo, buona lettura a tutti quanti!
Sull'orlo del precipizio
L'amore
è un miraggio, un inganno, che dopo averci attirati sulla soglia d'un
meraviglioso giardino si dissolve, scompare e ci lascia nel buio.
Piero Chiara, La stanza del vescovo, 1976
«Battuta da una mocciosa e da un tizio
conciato in modo assurdo» borbottò Atena tra sé e sé, mentre correva a
perdifiato per gli stretti corridoi del Rifugio, con il volto in fiamme e la
vergogna che le dilaniava lo stomaco - ogni passo era una nuova fitta di
dolore, il pulsare di una ferita che accennava a riaprirsi dopo anni di lenta
cicatrizzazione.
Non c'è nemico peggiore del rimorso,
questo aveva imparato la Generale Rocket nel corso
della sua carriera. Evitatelo e vivrete sereni, così riprendeva sempre
le sue Reclute, quando queste sembravano esitare durante la loro missione.
Eppure, per quanto la donna predicasse
bene, razzolava malissimo. Lei stessa non manteneva mai fede alle sue stesse
parole, infrangendo il suo credo e lasciandosi abbracciare dai sensi di colpa.
Sebbene cercasse di preservare costantemente la sua immagine austera e sicura,
spesso inciampava nei suoi stessi passi, travolta da pensieri malsani e ricordi
dal sapore agrodolce.
«Basta» sibilò a denti stretti, sola in
quel sotterraneo ormai vuoto, con il rumore dei suoi tacchi a scandire il
tempo. Se l'avessero catturata, per lei sarebbe stata la fine. Poteva sentire
il loro fiato sul suo collo, voci in lontananza che la minacciavano, Pokémon pronti ad attaccarla senza alcuna pietà.
Poco importava che i suoi muscoli stessero
bruciando e implorando pietà, poco le interessava quanto fosse provato il suo
fisico! Uscire viva da lì era la prerogativa, nonché il suo unico obiettivo in
quel dato istante – per una rivincita avrebbe trovato un'altra occasione,
perché aveva giurato a se stessa che un giorno li avrebbe umiliati tutti, senza
alcuna esclusione.
Forse qualcun altro, al posto suo, sarebbe
tornato indietro e si sarebbe riappropriato dell'orgoglio perduto. Milas sicuramente lo avrebbe fatto, cocciuto e testardo
com'era: una simile sconfitta sarebbe stata troppo umiliante, così tanto che
non l'avrebbe accettata per nulla al mondo.
Ma lei, no, non si sarebbe assolutamente
voltata. Aveva troppo da perdere per poter giocare a dadi con la morte – perché
farsi catturare, data il suo compito personale, equivaleva a porre fine alla
sua vita.
Archer
mi capirà, fu la sua magra consolazione. Sì, lui
avrebbe compreso il perché della sua improvvisa arrendevolezza e avrebbe capito
come mai non si fosse fermata a proteggere la base di Mogania.
Altro che estrema fedeltà al Team Rocket: Atena lo avrebbe perfino distrutto, se questo fosse
servito a realizzare il suo più grande sogno. Se non fosse stato perché quello
era l'unico per ottenere ciò che desiderava morbosamente, forse avrebbe
abbandonato quella carriera da tempo.
Eppure si trovava lì, con quelle vesti
bianche addosso e il cuore colmo di disperazione. Se non si era ancora
sbarazzata di quella divisa, era proprio perché si trattava dell'unico ricordo
che ancora la legava a quanto aveva perso – forse per sempre o forse no, chi
poteva dirlo?
No, si stava sbagliando di grosso: non
erano quei vestiti e la sua carica a tenerla unita a ciò che di più caro aveva
in quel mondo marcio. Qualcosa di ben più prezioso era l'emblema di quel
sentimento corrotto e sbagliato che albergava nel suo cuore.
Dopotutto, si diventa consapevoli di quanto
effettivamente si ha quando ci si sbatte la faccia contro, no?
Se l'avessero spinta giù da un burrone e si
fosse sfracellata al suolo, forse avrebbe sofferto di meno. Le parole morirono
improvvisamente nella sua gola e il suo cuore cessò di battere, non appena
quella dannata notizia giunse alle sue orecchie – era come se l'avessero
privata dell'ossigeno, impedendole così di respirare.
«Come sarebbe a dire che il Capo è
scomparso?! E ora che ne sarà del Team Rocket?!»
esclamò Atena, sbattendo con forza le mani sul tavolo, mentre i suoi occhi
scarlatti si accendevano di rabbia cieca. La Recluta dinnanzi a lei cominciò a
tremare di paura.
Avrebbe dovuto aspettarselo. Troppo strano
da parte di Giovanni spedirla a Quintisola senza un
motivo logico, quando avrebbe potuto mandarci benissimo un qualsiasi altro
Generale; invece no, aveva assegnato a lei quel “compito delicato”, giusto per
tenerla lontana da Kanto per un po' e scomparire
nell'ombra, lasciandola all'oscuro dei suoi piani.
Chiedersi perché non l'avesse informata di
quella decisione era pressoché inutile. Per quanto non volesse accettare la
realtà dei fatti, così era sempre stato: a Giovanni non era mai importato
alcunché di lei, per quanto avessero più volte giocato a fare gli amanti non
così tanto improvvisati. Era perfino diventata la madre di suo figlio, cosa
nota solo a pochi, ma a quanto pare questo non la rendeva affatto la sua
compagna – a detta della Generale, era già tanto se non lo avesse chiesto di
abortire, a suo tempo.
«Signora...» mormorò improvvisamente la
Recluta, fino a quel momento rimasta in disparte, ridestandola brutalmente
dalle sue riflessioni. Tremò, non appena incrociò il suo sguardo acceso d'ira,
e faticò quasi a pronunciare le fatidiche parole: «Abbiamo un altro
problema...».
Come se non ce ne fossero già abbastanza!
Non solo avevano perso il loro Capo, no, doveva perfino accadere qualche altra
disgrazia. «Muoviti a parlare, pezzo d'idiota!» ordinò rabbiosamente,
digrignando i denti fino a farli stridere.
«A quanto pare, un ragazzino sta pedinando
il Team Rocket e sta prendendo di mira ogni membro.
Non ha neanche un Pokémon, però non ha affatto paura
di noi!» spiegò velocemente e nervosamente, agitato come non mai. «Alcuni hanno
avuto la sfortuna di incontrarlo e non ne sono usciti integri, anzi!».
Giovanni era sparito in circostanze
misteriose e un ragazzino aveva appena dichiarato guerra aperta a un Team
spaurito e perso, in un momento di crisi, proprio quando tutti stavano
barcollando nel buio.
Per quanto la situazione fosse già
drammatica di suo, un brutto presentimento aggredì improvvisamente il cuore
della donna, strappandole un piccolo gemito. Non era tutto qui, se lo sentiva
dentro, e non aveva ancora scoperto il peggio.
Sollevò lo sguardo e fissò con una certa
tensione il suo informatore, nell'attesa che questo proferisse ancora parola.
Spettri nel passato, nel frattempo, avevano cominciato a ferirla senza alcuna
pietà.
«La descrizione fornita dalle vittime dei
suoi attacchi ci ha permesso di capire che si tratta del figlio del nostro
Capo».
Il suo cuore cessò improvvisamente di
battere. Portò istintivamente una mano al suo ventre piatto, proprio nel punto
dove anni addietro aveva cresciuto e protetto quella che ora era la sua nuova
minaccia. Si sarebbe trovata presto faccia a faccia con quel ragazzino che lei
stessa aveva concepito, ma che non aveva mai avuto modo di conoscere dopo la
nascita, almeno non nelle vesti di madre.
Silver.
Avrebbe dovuto metterlo in preventivo, no?
Dopotutto, lui aveva giurato che un giorno avrebbe sterminato il Team Rocket, eliminando dalla faccia della terra ogni membro –
era anche lui un Rocket fatto e finito, proprio come
suo padre e sua madre, ed era sicura che avrebbe mantenuto la promessa fatta.
Mai aveva avuto modo di incontrarlo dal
vivo. Fino al quel momento, per lei era rimasto un vero e proprio sconosciuto –
sebbene avesse desiderato vederlo, aveva sempre soffocato il suo istinto
materno per non fare un torto al suo amante. Dopo tanta attesa, si trovava di
fronte a colui che lei stessa aveva generato.
Più che un incontro, il loro era stato un
vero e proprio scontro. Scivolò a terra dopo l'urto violento, per poi sollevare
lo sguardo e incrociare quello di puro disprezzo di chi stava in piedi dinnanzi
a lei, fiero e invincibile. Poteva sentire quell'antica cicatrice riaprirsi
improvvisamente, permettendo così al sangue di sgorgare copiosamente.
Eppure, sebbene lui stesse troneggiando su
di lei con aria minacciosa, Atena non riuscì a trattenere una risatina
divertita.
«Perché diavolo stai ridendo, feccia?!»
sibilò aspramente il giovane, con il disgusto e la rabbia dipinti nei suoi
occhi argentei.
La Generale non si meravigliò affatto del
suo tono, né dell'espressione sul suo volto. Dopotutto, lui come poteva sapere
di parlare con sua madre, che mai aveva conosciuto? Per quanto il suo
atteggiamento arrogante le desse fastidio, non poté fare a meno di constatare
quanto fosse inconsapevolmente simile a lei.
Si rialzò di scatto, per poi ripulire la
sua veste bianca dalla polvere. In genere qualcun altro sarebbe scappato a
gambe levate, oppure avrebbe immediatamente attaccato briga con quell'intruso –
ma lei no, non aveva alcuna intenzione di rovinare quel momento: quando mai le
sarebbe capitato di vederlo ancora?
«I bambini non dovrebbero giocare in un
posto così pericoloso, sai?» esclamò sprezzante, col solo intento di pungere
nel vivo l'orgoglio di suo figlio. Per quanto la tentazione di rivelarsi a lui
come sua genitrice fosse invitante, dalle sue labbra non uscirono altro che
parole di scherno – era nella sua indole deridere il nemico, così come era
sicura che Silver possedesse questa sua stessa caratteristica.
«Ringrazia che ho la squadra esausta,
altrimenti vedi come ti sistemo» fu la risposta arrogante dell'altro, in quel
momento intento a guardarla negli occhi con sfida. «La prossima volta che ti
incontrerò, avrò ancor meno pietà di quanta già non ne abbia con quei cani dei
tuoi compagni».
La prossima volta! Per quanto
quell'affermazione fosse pregna di minaccia e crudeltà, il cuore della donna
perse un battito. Si sarebbero trovati faccia a faccia in un'altra occasione e
questa consapevolezza bastò a farla vacillare un po', privandola della sua
solita compostezza.
Più contemplava il volto di quel ragazzino,
più l'impulso di protendere una mano verso di lui e carezzare la sua guancia si
faceva impellente – forse era follia, forse istinto materno: neppure lei stessa
era in grado di dirlo.
«Perché mi guardi così?!» esclamò
l'Allenatore all'improvviso, ridestandola dai suoi pensieri. «Hai per caso
paura?».
Un'altra risatina. Risultava impossibile
soffocarle in un simile frangente. La Generale avrebbe voluto dire così tante,
in quel momento, e rispondere con sincerità a quell'accesa provocazione.
Nonostante quelle parole scottanti premessero per uscire dalla sua bocca, Atena
dissimulò tutto in un sorriso beffardo.
«Sei tutto tuo padre» mormorò, per poi
scuotere la testa con fare rassegnato. Se avesse parlato, non le avrebbe di
certo creduto – o forse sì, ma l'avrebbe odiata per non essere stata presente a
tempo debito.
Ammirò lo stupore travolgere suo figlio,
cogliendolo alla sprovvista e lasciandolo letteralmente a bocca aperta. Fu
questione di un solo istante, poi un grido di rabbia giunse alle sue orecchie:
«E tu che diavolo ne sai di mio padre?!».
Nessuna risposta. Non avrebbe avuto senso
mentire in modo spudorato, ancor meno provare a fornire una vaga
giustificazione alla sua affermazione. Tacere era l'unico modo per scivolare
nell'ombra e passare inosservata, non prima di aver però impiantato il seme del
dubbio nel cuore di chi le stava accanto – perché era certa che la sua mente
stesse elaborando qualcosa, glielo leggeva in quelle iridi color argento.
La madre si limitò semplicemente a
sorridere, stavolta senza disprezzo e senza scherno, in modo genuino e sincero.
Ignorò gli ordini impartiti dal figlio, così simili a quelli che era solito
gridarle Giovanni a suo tempo, e scansò la sua mano che le stringeva il braccio
nel vano tentativo di trattenerla. In quel momento più che mai, desiderava
andarsene da quel posto e raggiungere il luogo dove il Team Rocket
avrebbe portato a compimento il suo piano.
Aveva troppo da perdere, restando lì. C'era
il rischio che quella mocciosa e l'altro tizio la trovassero e la arrestassero,
ponendo così fine a tutti quei sogni che in quel momento ingombravano la sua
testa – i sogni di un futuro felice, finalmente sereno, la ricompensa per tutte
le fatiche compiute fino ad allora.
Non aveva combattuto strenuamente per
nulla. Magari i suoi sforzi erano davvero serviti a qualcosa! Adesso era
necessario proseguire per la propria strada e concentrarsi sulla sua missione
personale.
Solo così facendo avrebbe scoperto se il
suo desiderio si sarebbe tramutato in realtà oppure nell'ennesimo miraggio.