[ Disclaimer: I My Chemical Romance e Gerard Way non mi appartengono
(purtroppo) e nemmeno Lindsay Ann Ballato (questa
forse è meglio così.) Sono esseri viventi a sé stanti con propria volontà,
propria vita, e con questo scritto non ho alcuna intenzione di dare rappresentazione
veritiera del loro carattere, quindi questa fanfiction
è tutto frutto della mia mente creativa (qualcuno suggerirebbe bacata).]
Dopo questa premessa, eccomi qui che inizio una nuova
storia. Vi mancavo, eh? Lo so, ho avuto un periodo di carenza ispirativa, blocco della pseudo-scrittrice
e via discorrendo. Ma ora sono tornata in carreggiata (si spera), anche se
lunedì inizio gli esami, spero di trovare il tempo di scrivere con frequenza.
Non voglio dilungarmi in premesse troppo lunghe e non lasciarvi gustare questo
esordio, per gli sproloqui ci sarà tempo nei prossimi capitoli!
{ Steph }
Quando piove, sembra
che le gocce portino sulla terra un velo di tristezza, nascosto tra i riflessi
dell’acqua.
Quando c’è il sole, i
raggi caldi sembrano trasmetterti la voglia di vivere, la gioia, le felicità.
La neve invece, con i
suoi fiocchi candidi e freschi, sembra ricordarti che le cose più belle sono le
più fragili, e possono sciogliersi da un momento all’altro.
Il vento infine, col
suo insistente soffiare, pare spronarti a non abbatterti alle difficoltà, a
rimanere in piedi.
Poi, ci sono gli
eventi speciali. C’è un vento particolare, che ti comunica novità in arrivo. E
una pioggerellina leggera, che vuol portarti sollievo.
E’ così che la natura
comunica con l’uomo. Solo che spesso, quest’ultimo è troppo nelle sue faccende
affaccendato per rendersene conto.
Probabilmente, se Dee
quel giorno avesse prestato più attenzione al cielo uscendo di casa, si sarebbe
accorta che una corrente dall’est la sospingeva mentre camminava verso la sua
auto, come a condurla verso ciò che avrebbe totalmente cambiato la sua vita.
< Maledizione! > sbottò tirando un pugno al volante,
mentre fermava l’auto al semaforo di Queen’s Gate. C’era un traffico infernale, e lei, come sempre, era
in ritardo. Tammy l’avrebbe uccisa, come minimo. Tammy era la sua migliore
amica, nonchè socia in affari, nonchè
vicina di casa. Avevano vissuto insieme i primi anni, lì a Londra, poi lei si
era trasferita, quando aveva conosciuto Johnatan,
un'aspirante attore piuttosto belloccio, moro, capello lungo, pizzetto curato e
sorriso mozzafiato. Ci era cascata come una pera cotta, la povera Tammy, e nel giro di pochi mesi già convivevano. Solo che,
per non lasciarla sola, si era ben premurata di comperare l'appartamento
accanto a quello che prima condividevano insieme, attraverso una serie di giri
e rigiri per non far rendere conto al povero sventurato dove realmente stava
prendendo casa, finchè non aveva firmato il
contratto. E così, l'ingenuo Johnatan, si trovava a
convivere con la sua donna, e a ritrovarsi la quasi cognata perennemente in
giro per casa a qualsiasi ora indecente del giorno e della notte. Il problema
era che Tammy veniva svegliata dal compagno che le
portava la colazione a letto e le dava il buongiorno a modo suo. Dee invece
passava le nottate a dannarsi per il lavoro del momento, e il mattino dopo non
sentiva la sveglia manco a morire. Apriva gli occhi solo nel momento in cui Jude, il suo Mini Pinscher, le
alitava in faccia, richiedendo la colazione. Sostanziale differenza che portava
la prima ad arrivare al lavoro rilassata e fresca come una rosa, e la seconda
ad essere perennemente incazzata e nevrotica come un pinguino con un iceberg
infilato proprio lì. E quella mattina non fu un’eccezione. Imboccò il primo
posto che trovò libero nel parcheggio dell’edificio, soffiandolo sotto il naso
di un innocua signora di mezza età che non si risparmiò d’apostrofarla in
maniera decisamente poco consona a una donna della sua età. Afferrò Nana sotto il braccio, treppiedi e
obiettivo inclusi, e si mise a correre verso l’ingresso.
<
Scusate! Permesso! Cazzo, spostatevi, sono in ritardo! > questo urlava
mentre schivava la folla di impiegati con una maestria nello slalom
paragonabile ad Alberto Tomba. Solo quando si infilò nell’ascensore e premette
il tasto del 13esimo piano, prese un gran respiro e si tranquillizzò, per
quanto fosse possibile. < Calma Dee, del resto, sei solo in ritardo di venti
minuti e stamattina avevi un appuntamento. Non è la fine del mondo. Sicuramente
Tammy li avrà intrattenuti coi suoi fantastici
biscottini alla papaya e il tè al gelsomino, te lo rinfaccerà per i prossimi 25
anni, ma almeno ti sei salvata il culo. > Arrivò in ufficio, e, stranamente,
ad accoglierla non c’era Miranda, la loro segretaria, ma Tammy
in persona. Pessimo segno.
<
Buongiorno tesoro, dormito bene? > domandò l’amica con voce melliflua. Dee
la guardò, cercando di capire se il tono della sua voce lasciava trasparire
anche una sola goccia di sarcasmo. Ma Tammy appariva
serenissima, avvolta in una lunga gonna da gitana e una maglia scollata
contornata di monetine tintinnanti.
<
Non molto, ho sistemato il materiale per gli Academy Awards da consegnare a MovieToday
e ho toccato il letto che erano le cinque. > frugò nella borsa estraendone
un cd in duplice copia, porgendolo all’amica. La custodia era scheggiata e
sull’etichetta faceva bella mostra di sé una zampata di Jude
al cioccolato, ma Tammy non fece una piega, prese il
cd e lo posò nell’archivio, sempre sorridendo.
< Ok, mi vuoi dire che succede? > sbottò Dee incrociando le
braccia al petto. < Arrivo in ritardo, ti consegno un cd che cade a pezzi, e
non mi hai ancora mandato a fanculo, né hai iniziato
una filippica sulla mia irresponsabilità. Lo sai che non riesco a iniziare la
giornata se non mi sento dire da te che a 25 anni ancora non sono in grado di
calibrare le mie priorità. >
<
Suvvia Dee, mica te lo dico tutte le volte… >cercò
di replicare lei, ma il sopracciglio inarcato dell’amica mostrava la sua
opinione del tutto differente. < Comunque, è che ci ho riflettuto e non mi
sembra il caso di essere così severa con te. Del resto hai sempre rispettato le
consegne, i tuoi lavori sono ottimi e molto richiesti…
> mentre parlava le fece segno di seguirla, attraversando lo studio.
<
Tammy, sei troppo zen stamattina. Qui gatta ci cova. >
borbottò lei mentre la seguiva, ma l’amica, sebbene la sentì, fece finta di
nulla, e continuò a parlare.
<
A questo proposito, i clienti di stamattina hanno espressamente richiesto te,
per questo lavoro. Ho provato a farli lavorare con Alex, ma non ne hanno voluto
sapere, vogliono te. Ti stanno aspettando da quasi mezz’ora…li
ho intrattenuti coi biscotti alla papaya, come al solito. > Dee la osservò,
aspettandosi di sentirsi rinfacciare la cosa come da prassi, ma lei si limitò a
sorriderle, inclinando il capo. Decisamente c’era qualcosa che non andava. Posò
Nana accanto alla sua scrivania, e si legò i lunghi capelli neri in una treccia
frettolosa posata sulla spalla destra.
<
Beh, e di che tipo di lavoro si tratta? Non esiste che un cliente avanzi queste
richieste così specifiche, lo sai, è una delle regole del nostro lavoro. >
Dee era molto categorica in questo. Quando lei e Tammy
avevano aperto la Black Star, la loro agenzia
fotografica, entrambe avevano alle spalle anni di gavetta e studi. Dee
impugnava macchinette e fotografava qualsiasi cosa da quando aveva 15 anni, e
aveva attaccato questa passione anche all’amica, che in poco tempo l’aveva
seguita a ruota negli studi e nei vari workshop in giro per l’europa. Poi, mentre lei si specializzava in foto reportage
di eventi mondani, sopratutti concerti, Tammy aveva
preferito le foto paesaggistiche e i set in studio per book fotografici e via
discorrendo, lasciando così che entrambe si creassero un nome parecchio
conosciuto in alcuni degli ambiti più richiesti dal mercato. Appena costituita la
società si erano affiancate due ottimi fotografi come Mark e Alex, ragazzi
pieni di talento e disponibilità, per poter affrontare l’enorme mole di lavoro
che gli veniva richiesta. Mark stava seguendo le orme di Tammy,
mentre Alex era ormai il braccio destro di Dee. E una delle cose che lei
detestava era che dei loro collaboratori, nonché amici, venissero oscurati dal
loro nome e non avessero possibilità di mostrare il proprio talento. Motivo per
cui avevano imposto questa regola ferrea a tutti i clienti, secondo cui
nessuno, chiunque fosse, poteva avanzare richieste sul fotografo a cui affidare
il lavoro. La scelta sarebbe stata effettuata solo ed esclusivamente
all’interno del team.
<
Si, lo so…però credo che questo cliente sia proprio
esclusivamente tuo, dammi retta. > Tammy la
osservava, posata contro lo stipite della porta.< Beh, entriamo, così ti
spiegheranno tutto loro. > posò la mano sul pomello, aprendo la porta. < Buongiorno.
Eccola qui… > disse indicando Dee ai due uomini
seduti al tavolo, intenti a sgranocchiare i suoi biscotti. < Bene, ecco…io…vi lascio discutere. > soggiunse quindi,
avvicinandosi all’uscio e sospirando. Osservò i due clienti pulirsi le mani e
stringerle alla sua amica, e si preparò al peggio, chiudendosi la porta alle
spalle.