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Autore: Alma_KalAisaka    20/01/2014    0 recensioni
L'Enthar è un territorio fuori dal controllo del Chaislean ormai da tempo, ribelli a quello che è diventato un potere opprimente e puramente egoista, si annidano tra i suoi arbusti, piantano le radici tra le sue terre. La lotta che vedrà cambiare il destino di queste terre non tarderà a giungere, e Dalen lo sa bene, ma sa anche che una guerra metterebbe a rischio le vite di troppi, e spazzerebbe via secoli di sacrifici. Su uno sfondo cremisi, si dirama la sua storia, tappezzata di sogni e amori, che si mescolano con la realtà, confondendola. E per Dalen e Gaye, presto, non si tratterà più solo di libertà...
Genere: Avventura, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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La pattuglia stava attraverando il sentiero ghiaioso, poco sotto un altura coperta di muschi umidicci e arbusti molto comodi per un qualunque ladro. I cavalieri dall'aspetto pomposo, sedevano in groppa ai loro eleganti cavalli dal manto lucido, e i capi ritti. Come facessero ad addestrare quelle povere bestie all'arte del Dressage, così lo chiamavano giù in città, restava un mistero. I cavalli che popolavano quelle zone erano molto diversi, i suoi erano molto diversi... Il sole filtrava dalle chiome degli alberi, che si infittivano sempre più, man mano che i cavalieri avanzavano, perdendo le gocce che la pioggia aveva accumulato sulla superficie delle foglie, durante la notte. Il burrascoso mal tempo, non aveva impedito alla guardia "reale" di andare in perlustrazione in quelle terre che non appartenevano al dominio del regno da tempo, ormai. La pattuglia armata si fermò, osservandosi attorno, con aria circospetta, ma spaventata. Come era giusto che fosse. Quella non era loro proprietà, non avrebbero dovuto addentrarcisi così in profondità. Non sarebbero stati crudeli con loro, se non avessero fatto qualcosa di sbagliato. Si sarebbero limitati a mandarli indietro, tutti interi. Magari privi di un'arma o due. Facevano sempre comodo. Ad un tratto, quello che doveva essere una sorta di capo, tra tutti loro, sembrò avvistare qualcosa. Dalen si sporse, seguendo con le iridi dorate lo sguardo dell'uomo, che aveva sfilato l'elmo lucido dal capo. Una giovane donna, ecco cosa aveva attirato la loro attenzione. Una giovane donna del suo villaggio, della sua comunità, che stendeva i panni umidi tra due rami d'olmo, piuttosto comodi per la situazione. Le iridi si spostarono nuovamente sull'uomo che aveva sflato l'elmo. Riusciva a scorgerlo solamente a tre quarti, il volto era schifosamente ben curato, nonostante i capelli sudaticci fossero lordi, e appiccicati alla zucca. Dalen scosse il capo, impugnando l'elsa nera della daga. Doveva star facendo uno sforzo enorme, quell'uomo, per non trascinare con se tutta la saliva che aveva in corpo, studiando i movimenti della giovane ignara, perchè i suoi occhi erano famelici. E tra non molto, avrebbe commesso uno sbaglio, che gli sarebbe costato la vita. -Laciate le puttanella a me, voi sparpagliatevi nei dintorni, cercate, ci sarà sicuramente un villaggio nei paraggi, uno di quei ribelli che si fanno temere tanto...Uccidete gli uomini, prendete le donne e i bambini...Se non mi vedete tornare...Divertitevi un pò.- Da quella posizione, riuscì comunque a scorgere il ghigno orrido sul volto di quel vecchio illuso. Gli altri soldati sghignazzarono. Era il momento. Saltò giù, lasciando che la sua sagoma scura si proiettasse ai piedi di quei bastardi. Il tonfo sortì l'effetto aspettato, e quindici volti si posarono sul suo capo chino. L'ombra si delineava sul terreno fangoso, senza rispecchiare fedelmente quei dettagli a cui Dalen prestava sempre così tanta attenzione...I dettagli animavano le sue giornate, le sue battaglie, i suoi viaggi. A partire da un colore stonato sul fondoschiena di un lombrico, fino ad arrivare a quelle minuscole cicatrici dei suoi nemici, o quei nei che li rendevano sensuali. Conoscere un nemico, basilare, quanto scontato. Ma conoscerlo davvero? Difficile. Adorava scommettere sui suoi nemici, e vincere. Lentamente, il ragazzo alzò lo sguardo, fissandoli negli occhi, uno dopo l'altro, lasciando che le loro labbra si schiudessero alla vista delle sue iridi d'oro. Sorrise, divertito. - Perchè sbagliate tutti? Stiamo lì, ad osservarvi...E ognuno di voi compie sempre lo stesso errore, attornato da milioni di altri...Ci sottovalutate.- Alle sue ultime parole, una decina di giovani, piombò giù dal rialzo naturale, uscendo allo scoperto, lasciando che il sole baciasse anche le loro ombre. -Siete circondati, arrendetevi e avrete salva la vita...-Disse un altro. -Forse.-Aggiunse un terzo. Ma quel vecchio stolto diede l'ordine sbagliato. Neppure tentò di fare conversazione. E di certo fu un peccato, perchè Dalen non potè sapere se avesse vinto la scommessa oppure no. Aveva superato la soglia degli ottanta? Non riuscì a chiederglielo, prima di piantargli la daga tra le costole, e macchiare l'erba col suo sangue sporco. Non cremisi, non puro, ma sporco, nero, come la sua anima. Macchiato di superbia, come i suoi denti marci, nascosti da quel faccino tanto curato quanto rugoso. Caricarono i cadaveri sui cavalli, e cavalcarono fino al limite dell'Enthar, dove stava sempre un uomo ad attendere i propri compagni. Funzionava così tra i soldati al servizio del Chaislean, del palazzo. Non più di una ventina in perlustrazione, e almeno uno ad attenderli. Vivi, o morti. La fama della comunità dell'Enthar, di riportare i corpi al proprio luogo d'appartenenza, era diffusa. Peccato che non fosse mai ricambiata, nè rispettata. Al re costava troppo non avere una regione per se, avere dei ribelli a mille passi dalle porte della sua amata città. E così continuavano a sfidarli, a mandare guerriglie. Nessuno conosceva quelle terre come loro, i vecchi al servizio del Chaislean che le conoscevano, ormai erano periti, cibo per i vermi, tra gli strati del suolo bruno, su cui le nuove generazioni camminavano. Dalen non ne poteva più di quelle inutili battaglie, avrebbe voluto farla finita, ma il solo modo con cui si sarebbe potuti giungere alla conclusione, sarebbe stata una guerra su ampia scala, e loro non ne avevano i mezzi, nè la volontà. Non era così che voleva guadagnarsi il suo territorio, non uccidendo dei popolani innocenti che abitavano all'interno delle mura, non strappando i figli alle madri per farli combattere, stroncando la loro gioventù. Al tramonto, i giovani furono di ritorno tra le case di Crainn, il loro villaggio. Donne e altri uomini li accolsero con esultazione per la vittoria. Ma dopotutto, cos era quella vittoria rispetto a ciò che davvero avrebbero dovuto ottenere? Quelle pattuglie non sarebbero mai finite. Ne sarebbero arrivate di nuove, ancora e ancora, e avrebbero sbagliato, macchiando con il loro sangue scuro i verdi steli dell'Enthar. Dalen scese da cavallo, consegnando il nuovo stallone alla giovane Pasne. -Un'altra vittoria Dalen?- Gli sorrise, sfoggiando il suo lato migliore. Lui le rivolse un sorriso triste. -La chiamerò vittoria, quando vinceremo davvero qualcosa. Il giovane si allontanò, raggiungendo le sue quattro mura legnose. Non erano realmente casa sua, tutto Crainn lo era. Tutto l'Enthar. Si limitava a dormirci, lì dentro, e a tenerci le sue cose. Si distese sul giaciglio portando le mani sotto la nuca, e prese a fissare il soffitto buio. La guerriglia non si sarebbe mai conclusa, ma la guerra non era un fattore da poter prendere in considerazione. Che fare? I pensieri gli turbinavano in testa, quando, sopraffatto dalla stanchezza, precipitò nel sonno. Il buio lo tenne con se per alcuni minuti, poi, nella morsa di chiunque controllasse i sogni, Dalen riaprì gli occhi, confuso. Sapeva per certo di non essere in casa sua, nè a Crainn, nè in tutto l'Enthar. Ma perchè v'era uscito? Cosa l'aveva spinto fin lì? Non ricordava. Il cielo era grigio, madido, il vento accelerava sempre più, e le nuvole si addensavano promettendo nulla di buono. Sotto di sè, una distesa di sabbia, dorata come le sue iridi. Sembrava non esserci nessuno attorno a lui, per chilometri. Eppure, in mezzo al nulla, una voce lo chiamava, sempre più forte, sempre più disperata. Dalen prese a correre, sapeva di doverla raggiungere, ne andava della sua stessa vita. E poi ecco. Dopo tutta quella sabbia, si estendeva un tappeto blu, come se il cielo avesse piovuto talmente tanto, da riversarsi sulla terra, inondandola con le sue lacrime, che non si sarebbero mai asciugate. Il ragazzo cercò disperatamente da dove provenisse la voce che lo chiamava, ma non riusciva a trovarla da nessuna parte, non riusciva a capire da dove provenisse. Il turbinio del vento faceva giungere gocce di quelle lacrime salate, fino al suo viso, come per comunicargli qualcosa. Dalen raggiunse il punto in cui quella distesa celeste cominciava il suo dominio, e avanzò al suo interno. In qualche modo, sapeva che quella voce provenise da lì. Era forse il cielo che lo chiamava? Il cielo aveva dunque essenza di donna? Improvvisamente qualcosa l'afferrò. Una mano, emersa da quella distesa d'acqua, davanti a lui. Dalen cominciò a tirarla a sè, per far emergere quella creatura che si stava aggrappando con tanta determinazione, e che conosceva il suo nome. La trascinò con se, sulla riva, prima di scrutarle il volto. Era una giovane, dai lineamenti perfetti, irreali. Restò a fissarla imbambolato, mentre tossiva fuori tutta l'acqua che aveva ingoiato. Mentre la ragazza si riprendeva dall'accaduto, cominciò a notare i difetti. Difetti adorabili, come una fossetta sul lato destro delle labbra, quando buttava fuori il fiato, o una piccola cicatrice accanto all'occhio sinistro, che gli ricordava qualcosa...Nessuna ragazza aveva mai sortito quell'effetto su di lui. I lunghi capelli bagnati, erano dorati, come le sue iridi. E gli occhi...Non li aveva ancora aperti. -Apri gli occhi fanciulla- Disse, scostandole una ciocca bagnata dal viso freddo. Lei lo fece. Erano castani. Due semplicissime gemme castane, come le cortecce di Enthar. Così semplici, così meravigliose...SCIAFF. Lo schiaffo arrivò all'improvviso, e Dalen corse a sfiorarsi la guancia. -Ahi- Disse, massaggiandosi là dove sicuramente era uscita l'impronta. -Così impari a non correre subito, quando ti chiamo, Dalen.- Il nasino della creaturina si arricciò, e lei sollevò il mento, chiudendo nuovamente gli occhi. Ma questa sua posa da altolocata ragazzina, venne stroncata da un piccolo starnuto. E poi un altro. Il giovane sorrise, protettivo. La strinse a se e cominciò a camminare. Lei si limitò ad accoccolarsi tra le sue braccia. Non sapeva dove stesse andando, nè come arrivarci. Ma era sicuro di starla portando al caldo, e al sicuro. La sua Gaye... Il risveglio fu brusco, quanto scorcentante. Dalen riaprì gli occhi rapidamente, guardandosi in torno, frugando tra le travi di legno un qualche dettaglio, qualunque, che gli segnalasse di non essere a Crainn. Si fiondò fuori dalla soglia della casetta. Era buio pesto, i focolari spenti, tranne quelli che cicondavano il perimetro del villaggio, con i rispettivi guardiani. Il freddo lo colse di sprovvista alle gambe. C'era stata un'aria così pungente anche quel giorno? In ogni caso, non c'era nessun dubbio, era nel suo villaggio. E per la prima volta nella sua vita, desiderava non esservi. Gli mancava qualcosa, terribilmente. Anzi, qualcuno. Possibile che gli mancasse un sogno? Un sogno così reale e vivido...Aggrottò le sopracciglia, e abbassò lentamente lo sguardo. Si era disteso ancora vestito, e si era addormentato con gli scarponi...Che ora erano fradici, tanto quanto i calzoni, per lo meno fino alle ginocchia. Dalen si grattò la nuca, confuso. Poi scosse il capo, autoconvincendosi di essere piuttosto stanco. Rientrato nella baracca, non potè far altro che porsi altre domande di strategia, per levarsi dalla testa quella storia. Ma era distratto. Riusciva ancora a percepire quel profumo accanto a sè. -Ah Dalen, Dalen...Sei messo male... Anche se...Nhà...Ridendo di se stesso, il giovane si dispose su un lato, chiuse gli occhi e non tardò ad assopirsi, nascondendo persino a se stesso, la sua speranza di tornare a sognare la dolce Gaye.
  
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