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Autore: Aching heart    22/01/2014    0 recensioni
"Malefica non sa nulla dell'amore, della gentilezza, della gioia di aiutare il prossimo. Sapete, a volte penso che in fondo non sia molto felice." [citazione dal film Disney "La Bella Addormentata nel Bosco"]
Carabosse è una principessa, e ha solo dieci anni quando il cavaliere Uberto ed il figlio Stefano cambiano completamente la sua vita e quella dei suoi genitori, rubando loro il trono e relegandoli sulla Montagna Proibita. Come se non bastasse, un altro tragico evento segnerà la vita della bambina, un evento che la porterà, quattordici anni dopo, a ritornare nella sua città ed intrecciare uno strano rapporto di amore/odio con Stefano. Ma le loro strade si divideranno, portando ciascuno verso il proprio destino: Stefano a diventare re, Carabosse a diventare la strega Malefica. Da lì, la nascita della principessa Aurora sarà l'inizio del conto alla rovescia per il compimento della vendetta della strega: saranno le sue forze oscure a prevalere alla fine, o quelle "benefiche" delle sette fate madrine della principessa?
Genere: Fantasy, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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13. So this is love

Terzo giorno di supplizio.
Stefano era seriamente stupito dal fatto che non avesse ancora perso completamente il controllo: fra le feste, le prove degli abiti, i banchetti, gli sguardi attenti di Uberto, quelli avidi della Regina Mariah e quelli sognanti di Helena si sentiva sul punto di esplodere. Per contro, il ferreo controllo che s’imponeva per non mandare tutti al diavolo e dare di matto lo faceva apparire impassibile e rigido ad occhi esterni, e tuttavia questa freddezza non sembrava avere il benché minimo effetto sull’entusiasmo della principessa. Una vera fortuna, nell’ottica di Uberto; una vera scocciatura, in quella di Stefano.
-Vostra Altezza? Ehm… Vostra Altezza, vi… vi sentite bene?
La voce del servitore riscosse Stefano, che si accorse di star fissando il vuoto, completamente assente. Annuì meccanicamente al servo che, un po’ intimorito e un po’ confuso, gli comunicò che era stato mandato dalla principessa Helena, a dirgli che era suo desiderio visitare i boschi nei dintorni della capitale. Per Stefano era un dovere accompagnarla, perciò con molta flemma disse al ragazzo di riferire la sua disponibilità alla principessa. Il servo annuì, s’inchinò e poi uscì dalla stanza del principe, lasciandolo nuovamente solo a rimuginare sulla spiacevole situazione in cui si trovava. Adesso Helena voleva anche essere accompagnata a fare una scampagnata nel bosco! Doveva fare da balia a quella principessa viziata, e portarla nel luogo che era suo e di Rosaspina!
Colto da un impeto di rabbia, rovesciò a terra ciò che si trovava sulla sua scrivania, mandando in frantumi boccette d’inchiostro e spargendo fogli di pergamena tutt’intorno. Poi sospirò e si sedette sul suo letto, con la testa fra le mani, pentito di quell’attacco di rabbia. Era meglio non alimentare quella collera, altrimenti gli sarebbe riuscito difficile trattenersi, in presenza di Helena. L’ultima cosa che gli serviva era che desse a suo padre un motivo per rimproverarlo, quando già sapeva che lo stava deludendo. Ma, davvero, non riusciva a credere che la principessa potesse rendersi così insopportabile! A causa sua accumulava nervosismo da giorni e, anche se involontariamente, sembrava fare di tutto per peggiorare la situazione.
Con gesti meccanici si rialzò, salvò alcune pergamene ancora immacolate e altre, invece, scritte dalla pozza d’inchiostro nero che si era formata, si ricompose velocemente e lasciò la sua camera per dirigersi verso le stalle, dove si assicurò che Kalth fosse ben sellato e fece preparare un cavallo anche per la principessa. Con una punta di compiacimento, Stefano pensò che quella bambina viziata si sarebbe dovuta adattare a cavalcare, se voleva davvero vedere il bosco.
Decise di attenderla leggendo un trattato di scherma orientale, ed aveva già letto parecchie pagine quando, finalmente, udì un fruscio di lunghe vesti avvicinarsi. Alzò gli occhi e vide la principessa Helena, accompagnata da alcune delle sue dame e tre delle sue guardie. Ovviamente non avrebbero viaggiato soli, c’era da aspettarselo. In fondo era meglio così: per quanto detestasse l’idea di portare persone estranee nel suo adorato bosco, la loro presenza avrebbe impedito il crearsi di qualsivoglia atmosfera romantica che avrebbe potuto trarre ancora di più in inganno la principessa.
-Mia signora – la salutò cercando di essere il più freddamente cortese possibile – Vogliamo andare?
-Certo, mio signore. Spero di non avervi fatto attendere troppo.
-Vi assicuro, principessa, di aver trascorso il tempo in maniera così piacevole da essermi sembrato estremamente breve  – le rispose, porgendole un braccio, che lei accettò.
Una volta giunti fuori, Stefano gustò segretamente l’espressione di Helena quando vide l’elegante puledra attenderla, tenuta per le redini da un palafreniere.
-Spero che questa puledra sia di vostro gradimento, mia signora. E’ fra le meglio addestrate del regno. – le disse, e lui stesso montò sul suo stallone.
-E’ proprio necessario, mio signore? Non si potrebbe usare un altro mezzo per raggiungere la foresta? – rispose lei, in visibile difficoltà.
-Mi dispiace, ma non è possibile inoltrarsi nella foresta con una carrozza o una portantina, principessa. Cavalcare è l’unico modo. – Quella fu la prima volta in tre giorni che Stefano sorrise perché davvero si stava divertendo.
Ci volle tutto l’aiuto dello stalliere e del palafreniere per far riuscire ad issare la principessa sul proprio destriero, ma alla fine ce la fecero. Helena cercava di non dimostrarsi imbarazzata, ma era consapevole di aver fatto una pessima figura, soprattutto perché sapeva quando Stefano amasse cavalcare. Fortunatamente la sua puledra era davvero molto obbediente, così non ebbe problemi a comandarla.
Quando furono giunti nel bosco, il sollievo della principessa fu palese. Chiese al principe di potersi fermare per ristorarsi, e lui, suo malgrado, dovette acconsentire. Il seguito dei due rampolli reali smontò da cavallo e cominciò a darsi da fare per allestire un piccolo campo per i due principi. Le attendenti di Helena si erano portate dietro una gran quantità di vivande, soprattutto dolci, e anche un menestrello per allietare il loro rinfresco con qualche ballata. Fu una sofferenza tanto per Stefano quanto per le guardie: quella che avrebbe potuto essere una quantomeno piacevole escursione si era trasformata in una stucchevole scampagnata da ballata romantica, buona solo per le dame sognatrici. Presto il principe ne ebbe davvero abbastanza, così propose alla principessa di accompagnarlo mentre passeggiava per il bosco. Sperava che rifiutasse, così sarebbe stato libero, fosse stato anche soltanto per mezz’ora, ma Helena, per quanto non fosse portata per le passeggiate, accettò l’offerta e si aggrappò al braccio del suo principe ben decisa a non lasciarlo neanche per un secondo. Uno dei soldati della principessa rimase al campo improvvisato con le dame e le attendenti, mentre gli altri – alcuni di Helena, altri di Stefano – scortarono i principi mentre si addentravano nella selva. Man mano che avanzavano, gli alberi si facevano più fitti, alti e rigogliosi, tanto che i rami si intrecciavano fra loro e le radici sbucavano fuori dal terreno, creando dossi e avvallamenti insidiosi per la principessa, la quale si stringeva sempre più forte al suo cavaliere. Ogni volta che la stretta sul suo braccio aumentava, faceva lo stesso anche il disprezzo di Stefano.  
Il principe, tuttavia, aveva cose più importanti a cui pensare: era seriamente preoccupato, poiché le probabilità che Rosaspina si trovasse nella foresta erano davvero alte. In quale altro posto sarebbe potuta andare, da sola? La conosceva fin troppo bene, lei adorava il bosco. Si ritrovò a maledire quella stupida idea di Helena; avrebbe dovuto trovare una scusa, ma d’altra parte sapeva che suo padre non vi avrebbe creduto e avrebbe capito che c’era qualcosa sotto. Era con le mani legate, stretto tra due fuochi.
D’un tratto, poco distante da loro, Stefano udì un sibilo acuto e poi un tonfo. Anche le guardie avevano sentito, e senza attendere ordini gli uomini del principe andarono in avanscoperta nella direzione da cui era venuto il suono, mentre Helena aveva serrato talmente tanto la presa sul braccio di Stefano che gli si sarebbe fermata la circolazione. Era letteralmente terrorizzata, ma contava sul fatto che il suo principe l’avrebbe difesa a costo della vita. Stefano, invece, le disse che era suo dovere andare a controllare con i suoi uomini, perciò lasciò la fidanzata con le altre due guardie e seguì i suoi a spada sguainata. Non credeva che ce ne fosse davvero bisogno, ma stringere l’acciaio nella sua mano lo rassicurava: la sua paura infatti era che fosse stata Rosaspina a produrre quei rumori, essendo andata a caccia senza di lui, e ora avrebbe potuto scoprire tutto.
Mentre marciava fra le felci, i massi e le radici, non si era accorto del respiro affannato di Helena che lo stava seguendo: la ragazzina aveva troppa paura per restare nel bosco senza di lui, vicina ad un potenziale pericolo, e non appena Stefano si era allontanato, era guizzata al suo inseguimento, seguita a sua volta dalla scorta. Aveva poco vantaggio sui soldati, ma erano pur sempre uomini in armatura e lei una ragazzina lesta e minuta. Si era però resa conto ben presto che il vestito la rallentava e che correre in un bosco non era come correre su una superficie perfettamente piana, infatti aveva rischiato di inciampare più volte, ma si impose un ultimo sforzo. Aveva quasi raggiunto Stefano: sentiva la sua voce. Stava parlando con le guardie.

***

Stefano stava parlando con le guardie. Come temeva, avevano preso Rosaspina e la tenevano per le braccia, costrette dietro la schiena. Ai suoi piedi c’erano il suo inseparabile arco e delle frecce cadute dalla faretra rovesciata, mentre poco distante da lei c’era uno sparviero abbattuto da una sua freccia. Rosaspina non faceva nessun tentativo di liberarsi, ma guardava Stefano furente.
-Altezza, questa ragazza stava cacciando illegalmente, deve essere portata nelle prigioni, secondo la legge del Re! – protestò uno dei due uomini armati contro l’ordine di Stefano di lasciarla andare.
-No – disse lui – ho dato io il permesso a questa ragazza di cacciare nel bosco. Lasciatela.
-Ma, Vostra Altezza…
-Lasciatela, ho detto. E che mio padre non sappia nulla di tutto questo.
-Ai vostri ordini, mio signore.
Le guardie si allontanarono, e Stefano e Carabosse rimasero così, uno di fronte all'alta, a fissarsi, a lanciarsi occhiate di fuoco. A interrompere quel duello di sguardi roventi fu l'arrivo di Helena, trafelata, preoccupata, che inciampò in una radice e fu salvata da una rovinosa caduta a terra solo da Stefano, che per prenderla dovette serrare un braccio attorno alla vita di lei e stringerla a sé. Quel gesto fece illuminare gli occhi di Helena e oscurare quelli di Carabosse. Stefano si voltò immediatamente verso di lei per vedere come avesse reagito, ma Rosaspina aveva già distolto lo sguardo. Quella vista le era insopportabile.
Quando Helena si fu rimessa in piedi sulle sue gambe, chiese a Stefano cosa stesse succedendo.
-Le guardie hanno catturato per errore questa ragazza – disse, atono, senza distogliere lo sguardo da Rosaspina – ma ora è tutto a posto. E’ libera, può andare.
-Vi ringrazio, Vostra Altezza -  rispose lei con freddezza, insistendo con tono sarcastico sulle ultime due parole. Approfittò della riverenza per lanciargli uno sguardo obliquo, penetrante, che fece sentire il principe estremamente a disagio fin dopo che lei ebbe girato le spalle verso di lui e se ne fu andata con la sua preda e le sue inseparabili armi.
***

Le massaie stavano facendo il bucato alla fontana e Carabosse lì in mezzo era decisamente di troppo. Di troppo come nel bosco, del resto, dove Stefano aveva portato la sua sposina. Dei, che tortura era stata vedere quella ragazzina viziata aggrappata al collo del suo Stefano!  E pensare che lui l’avrebbe sposata, che quella piccola smorfiosa lo avrebbe avuto accanto per il resto della sua vita, avrebbe condiviso il suo letto con lui, e portato in grembo i suoi figli… Diamine, no, si rifiutava di stare male per lui! Una bestia destinata al macello, ecco cosa doveva rappresentare per lei, solo che… per quanto si sforzasse, non era così.
Guardò il suo riflesso sulla superficie increspata dell’acqua. Aveva un’aria quasi sconvolta, ma non aveva versato una sola lacrima.
Era seduta sul bordo di pietra e sapeva di avere addosso gli sguardi sospettosi di molte di quelle donne. Aveva addosso i suoi abiti da caccia, se ne stava lì comportandosi come una mezza matta, alloggiava da sola in una locanda, girava per la città e spesso andava per i boschi come se fosse un uomo: era sufficiente perché venisse evitata come la peste da tutti. Non si sarebbe stupita se avessero iniziato ad additarla come strega.
-Ehm, scusate… - disse una voce alle sue spalle, facendola voltare. Era una donna con sottobraccio una cesta piena di panni sporchi. Ma Carabosse l’aveva già vista: era la madre di Aurora. – Scusate, dovrei lavare i panni…
-Ma certo – rispose la ragazza alzandosi subito e lasciando spazio alla donna. Facendosi da parte, Carabosse vide proprio la piccola Aurora, che si nascondeva dietro la gonna di sua madre. Si avvicinò e si fece vedere.
-Ciao Aurora – le disse con il sorriso migliore che le riuscisse in quel momento.
-Rosaspina! – esclamò la bambina e la abbracciò di slancio. Poi si rivolse alla madre: - Mamma, posso andare a giocare con Rosaspina? Posso?
La donna rimase per un attimo interdetta: Carabosse capì che non si fidava molto di lei, probabilmente per le malelingue che giravano in città, ma evidentemente la donna si ricordava di quando lei le aveva riportato Aurora a cavallo, perché alla fine le diede il permesso. La bambina, felice, prese Carabosse per mano e la trascinò verso casa sua.
-Voglio farti vedere i miei giocattoli.
Carabosse si lasciò trascinare da quella vivace bambina dolcissima.
La casa di Aurora non era che un’unica grande stanza, dalla quale i genitori avevano ricavato più ambienti separandoli con delle tende improvvisate, che separavano i letti dalla sala in cui cucinavano e passavano il giorno. La bambina si diresse verso una grande cassapanca accostata ad una parete, e ne tirò fuori dei giocattoli: un rozzo cavalluccio intagliato nel legno, una bambolina di pezza, una palla di cuoio un po’ sformata e una corda per saltare.
-Con cosa vuoi giocare? – chiese Aurora a Carabosse.
-Non so, decidi tu – le rispose la ragazza.
-Non sei molto felice, vero?
Erano disarmanti la schiettezza e l’intuito dei bambini.
-Non molto. A dire la verità sono un po’ triste…
-Scommetto che è perché ti manca il tuo amico.
-E tu come fai a saperlo? – chiese Carabosse davvero stupita.
-Si vede. Quando ti ho vista, quando stavi con lui, eri molto felice e sorridevi… adesso invece lui non c’è e hai gli occhi tristi.
Carabosse sospirò:- Sì, hai ragione.
-Quando io sono triste oppure ho paura, stringo sempre la mia bambolina. Si chiama Mary, vedi? – e le mostrò la bambolina di pezza. – E’ la mia migliore amica e con lei non sono mai sola. Tu non hai qualcosa che ti faccia compagnia quando sei sola?
-No, purtroppo non ho nessuna Mary.
Aurora sembrò pensarci un po’ su, poi disse: - Allora te la regalo.
Carabosse fu molto sorpresa. – Ma no, tienila, non potrei… tu come faresti senza?
-Io ho altri giocattoli, e amici con cui giocare… e poi Mary mi ha fatto compagnia tante volte… vuole venire a stare con te adesso, me l’ha detto. La senti?
-Certo che la sento – la assecondò Carabosse, intenerita e commossa dalla dolcezza della bambina. – Per me è un piacere ospitare Mary. Grazie, avrò cura di lei.
-Tu però devi promettermi una cosa: che andrai dal tuo amico e gli dirai che non deve lasciarti mai più sola.
-Non posso, Aurora.
-Perché? Lui è tuo amico, no?
-Sì, ma non è così semplice… a volte le persone che ci vogliono bene, che ci sono amiche, sono costrette a lasciarci sole. Ad andarsene.
-Ma tu sei triste.
-Passerà.
-Lui ti piace, vero?
-Cosa? – chiese Carabosse presa alla sprovvista, arrossendo vistosamente. – No, cosa te lo fa pensare?
-Sei diventata tutta rossa… anche a mia sorella piace un ragazzo, e quando ci parla diventa sempre tutta rossa.
-Diciamo di sì, ma… non dirlo a nessuno, Aurora. E’ un segreto; lo sai mantenere un segreto?
-Io sì, ma tu glielo devi dire.
-Non posso. Probabilmente non lo rivedrò mai più.
-Secondo me sì, invece. Quando quella volta mi avete riportata a casa, la mia mamma mi ha detto che noi sembravamo una famiglia… capisci, sembrava che voi eravate i miei genitori e io vostra figlia. Voi sembrate innamorati.
Carabosse non seppe cosa dire.
-Vai da lui – incalzò la bambina.
-Ma… non so neanche dove…
-Tu cercalo: lo troverai.
-Va bene – mentì Carabosse. Non l’avrebbe fatto. – Ti accompagno da tua madre e poi andrò a cercarlo.
Tutta contenta per la buona azione, Aurora balzò in piedi sorridendo e le tese la manina.

***

Stefano era sul suo cavallo, fermo davanti alla locanda.
Era sera, il vento soffiava e faceva svolazzare il suo mantello nero. Aveva freddo e anche il suo cavallo tremava e dava segni di irrequietezza, ma lui continuava a non muoversi. Rimaneva lì, indeciso su cosa fare, chiedendosi se fosse il caso di entrare ed andare da Rosaspina o no.
Si era liberato della sua promessa sposa, di suo padre e della corte appena aveva potuto, inventando un malessere improvviso, poi si era precipitato subito alla locanda, ma non si era deciso a entrare, stava lì fuori a interrogarsi sul perché l’avesse fatto. O forse lo sapeva e semplicemente stava prendendo tempo, perché ammetterlo lo spaventava.
Avrebbe preferito essersi cavato gli occhi che aver visto lo sguardo deluso e irato di Rosaspina, ed aveva sentito il suo cuore sgretolarsi all’idea di poterla perdere per la menzogna che lui le aveva detto. Era dunque così che ci si sentiva ad essere innamorati? Preferire mille volte soffrire, che veder soffrire la persona amata? Provare dolore quando lei provava dolore, essere felice quando lei era felice?
Considerati i progetti di suo padre per lui, forse lasciare tutto come stava sarebbe stata la cosa migliore da fare. Lui avrebbe sposato Helena, quindi troncare ogni rapporto con Rosaspina era necessario, e visto l’episodio che era accaduto quale occasione migliore di quella? Lei aveva saputo qual era la sua vera identità, che era fidanzato e probabilmente ora non voleva più vederlo. Lui avrebbe potuto continuare a vivere nella sua coltre di dubbio, senza porsi domande scomode. Poteva non fare nulla, lasciare che lei lo odiasse e non si sarebbe posto nessun problema. Eppure non voleva. Non poteva. Perché sentiva il bisogno di andare da lei e spiegarle tutto, giustificarsi, ridarle il sorriso. Perderla così era l’ultima cosa che voleva: se dopo la sua spiegazione lei avrebbe deciso di lasciarlo perdere, avrebbe rispettato la sua decisione, o almeno ci avrebbe provato, ma prima voleva sapere se anche lei provava ciò che provava lui. Perciò smontò da cavallo, lo legò al palo all’entrata e si rifugiò da quel vento freddo. Mantenne il cappuccio sollevato per non correre il rischio di farsi riconoscere; incaricò un garzone di portare il cavallo legato fuori nella stalla, poi si avvicinò all’oste e, dopo che questi l’ebbe identificato come il principe Stefano, gli chiese quale fosse la stanza della sua protetta.
L’oste si offrì di accompagnarlo, ma lui preferì andarci da solo, una volta ottenute le informazioni che voleva: la camera di Rosaspina era la terza porta a destra, contrassegnata dall’incisione un giglio. Non fu difficile trovarla. Quando vi si trovò davanti, prese un bel respiro e bussò. Non ebbe nessuna risposta.
-Rosaspina – chiamò allora, bussando di nuovo. Stavolta sentì un rumore provenire dall’interno della stanza. – Rosaspina, so che sei lì dentro. Apri, per favore. Devo parlarti.
Si aspettava di dover insistere molto di più, e invece sentì dei passi venire verso di lui e il rumore di una chiave che girava nella toppa. Un secondo dopo la porta si aprì.
***
Carabosse si trovò davanti uno Stefano molto diverso da quello che si era aspettata di trovare. Aveva preferito andare ad aprire subito la porta per chiarire tutto in fretta e dare un taglio a quella faccenda. Lui era venuto sicuramente a dirle addio, e allora lei avrebbe detto addio anche alla vendetta. Ucciderlo a sangue freddo, lì, non ce l’avrebbe fatta, e per di più non l’avrebbe portata in alcun modo sul trono.
Si era aspettato di vederlo duro, freddo, determinato, e invece sembrava distrutto, a pezzi. Ma anche se una parte di lei provava pietà per lui, un’altra parte ne godeva, per il colpo che lui le aveva inflitto quella mattina, con Helena. La gelosia l’aveva divorata da quel momento, non l’aveva lasciata in pace un attimo, e lui si presentava lì a quell’ora.
Non gli disse una parola, ma aspettò che lui la seguisse dentro, poi chiuse la porta e gli si mise di fronte, guardandolo fisso negli occhi. Rimasero in silenzio finché non fu lei a cominciare, fredda e sarcastica, mentre dentro veniva divorata dalle fiamme.
Poteva un fuoco essere ghiacciato?
-Allora, Vostra Maestà, di cosa dovete parlarmi?
Per Stefano fu come se lei gli avesse scagliato una pietra. – No, Rosaspina, non chiamarmi così. Sono sempre io, anche se…
-Anche se oggi ho scoperto che sei il principe, e che… - non continuò la frase. – Quando pensavi di dirmelo? – chiese infine.
-Non lo so, ma questo non cambia le cose.
-Questo cambia tutto – ribatté lei. Sentì la sua voce incrinarsi, e no, non dipendeva dal fatto che si sentisse in colpa perché era lei che meritava quel discorso, che stava continuando con la sua recita.
-Ascoltami, ti ricordi quando ti ho chiesto perché stavi scappando dal tuo villaggio? Tu mi hai risposto che ti stava troppo stretto. E’ lo stesso per me, capisci? Ad un tratto ho sentito che il castello e il mio ruolo mi stavano troppo stretti, e sono andato per boschi… e ho incontrato te. Una persona che non mi conosceva, che non sapeva chi ero. Una persona con cui poter essere me stesso. Con te è stato naturale…
-Cosa, mentire? – lo attaccò lei, e no, non era per nascondere quanto quelle parole l’avessero commossa.
-E’ questo il punto, non capisci? – le disse, quasi disperato. Le afferrò le spalle con veemenza. – Tu credi che ti abbia mentito, ma l’ho fatto solo su quello che riguardava la mia identità, nient’altro. Con te sono stato più sincero che con qualsiasi altra persona al mondo.
Carabosse assaporò in segreto quelle parole, poi sfoderò l’ultima arma. – E quella Helena? La tua futura moglie? Quella che oggi hai abbracciato con tanta prontezza?
-Mio padre mi ha imposto il matrimonio, lei non è nulla per me…
-Ah, davvero? Oggi non sembrava – ribatté, e no, non era gelosa. Era tremendamente gelosa.
-Ti giuro che è così. Non sai come mi sono sentito quando hai visto quella scena che… era tutta un equivoco!
-Tu? – gridò Carabosse, gli occhi lucidi. – Tu?! E io allora? Come credi che mi sia sentita, eh? Io mi sono sentita morire!
Carabosse fece appena in tempo a finire di parlare che si ritrovò le labbra di Stefano sulle sue,  le mani sulla schiena a stringerla a sé, per non farla scappare. Ma stavolta lei non aveva intenzione di andarsene. Ricambiò il bacio, che non aveva nulla di dolce e delicato come quelli descritti nelle ballate romantiche. Questo bacio era furioso, era passionale, era disperato, come Stefano che le lambiva le labbra con i denti, come Carabosse che si aggrappava alle sue spalle forti, come i loro ansiti e i loro respiri affannati.
Stefano si staccò dalle labbra di Rosaspina solo quando gli sembrò che i suoi polmoni stessero scoppiando per la mancanza d’aria. La guardò in viso, con i capelli scompigliati e le labbra rosse e turgide di morsi e baci, e la trovò la cosa più bella che gli fosse mai capitata. Spostò una lunga ciocca di capelli castani dal viso della ragazza e gliela sistemò dietro l’orecchio, poi le accarezzò dolcemente la guancia.
-Ti amo – le disse. – E ferirti è l’ultima cosa che vorrei al mondo… perché ti amo, ti amo, ti amo.
Stavolta fu lei a baciarlo, più delicata, più dolce, e in quel bacio c’era la sua risposta. Perché per quanto in cuor suo desiderasse potergli dire che lo ricambiava, dirgli ti amo mentre per lui era ancora una contadinella di nome Rosaspina
 sarebbe stata la peggiore delle bugie. 




Angolo Autrice: Dunque.
Ormai è assodato: sono una schiappa nel descivere baci, innamoramenti e scene romantiche in generale. Sarà che non fa parte del mio DNA. 
Comunque, vi avevo promesso un evento bomba, e spero che questo sia stato bomba abbastanza :3 I due piccioncini hanno finalmente ammesso cosa provano e hanno sfogato un po' la loro frustrazione, ma qua i problemi non sono mica finiti u.u
Nel prossimo capitolo vedremo il ritorno delle fate, vi sono mancate?
Bene, c'era una cosa importante che vi dovevo dire, ma me la sono scordata XD Intanto pubblicizzo ancora il gruppo FB dedicato alla storia (prossimamente cercherò anche di iscrivermi su Twitter), per chi se lo fosse perso: https://www.facebook.com/groups/633954589962852/  
Ringrazio chi ha messo la storia fra le ricordate/seguite/preferite, i lettori silenziosi e Homicidal Maniac e Beauty per aver recensito.
Ora la smetto di sproloquiare e mi ritiro.
A presto!

 
   
 
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