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Autore: whitemushroom    24/01/2014    4 recensioni
Una donna diversa tra le altre. Una donna sola.
Una figura che resta al fianco dell'uomo che sposato nonostante le mille delusioni, cercando di trovare nel suo amore un'ancora che le impedisca di abbandonare tutto ed andarsene, lasciandosi alle spalle il titolo di Granduchessa.
Una storia che inizia, e che la porterà ad intrecciarsi con la vita di altre creature che si muovono per tutta Gaya e sulla guerra che lentamente si sta muovendo per tutto il continente.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Hildagarde Fabool / Lady Hilda
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Non un Jenoma - e altri racconti.'
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Strega di Lindblum

Bastardo. Figlio di puttana.
Quando mi riprendo dall’ondata d’ira che ha attraversato il mio corpo, lo specchio è in frantumi. Raccolgo l’oggetto che ho scagliato, una scatolina ingioiellata dove tengo tutti i ninnoli che quel grandissimo porco mi ha regalato da sei anni a questa parte. Dal giorno nel nostro matrimonio, per essere precisi.
Ripongo la scatola sul mobile, ma i gioielli e le schegge di vetro possono rimanere dove sono; ci penseranno le cameriere a levarli. Tanto lo so che mio marito si è infilato anche tra le loro sottane. Si tengano pure gli anelli e le collane, a parte fonderli non saprei cosa altro farmene.
Torno alla mia sfera di cristallo, e mi accorgo che mi sono persino morsa il labbro; mi asciugo con il dorso della mano, non ho voglia di cercare un fazzoletto. La sfera riflette per un attimo i miei occhi azzurri, ma mi concentro e guardo oltre, scegliendo lentamente le immagini che danzano dall’altra parte del vetro, avvolte da un sottile strato di nebbia. Per un attimo mi illudo di essermi sbagliata, che l’uomo che sta baciando in maniera tanto appassionata Elania, la cuoca di palazzo, sia soltanto uno degli ambasciatori pomposi che sono venuti giusto ieri da Alexandria. O che il giardino in cui si stanno scambiando tutte quelle effusioni sia un qualsiasi giardino del palazzo e non il mio chiostro personale.
Quanto mi piacerebbe sbagliarmi.
Ma l’uomo indossa un mantello porpora che conosco fin troppo bene. Gliel’ho regalato io prima ancora di sposarci, ricordo ancora lo sguardo incredulo della sarta quando le avevo spiegato che il mantello che le avevo chiesto di confezionarmi in gran segreto non era per mio padre, ma per il mio futuro sposo. E non riconosco soltanto il mantello. Capelli ormai quasi bianchi nonostante i suoi trentasei anni, i baffi tenuti in maniera maniacale, la pelle di un rosa vivace per tutto il tempo che trascorre nei cantieri delle sue adorate aereonavi; il porco sa benissimo di essere irresistibile. Non scaglio qualcosa contro la parete solo perché non ho nulla da lanciare.
“Granduchessa Hilda!” La porta della mia stanza si apre all’improvviso, mi accorgo solo in quel momento che qualcuno stava bussando da almeno cinque minuti. Gli sguardi di Janine e Olivet, le mie due cameriere personali, corrono dalla mia figura ancora in camicia da notte e vestaglia a ciò che resta del mio specchio. Non sono abituate a vedermi con gli occhi lucidi. “Granduchessa, abbiamo sentito un rumore, ci siamo permesse di aprire la porta solo perché …”
Olivet frena il suo fiume di parole ed istintivamente fa un passo indietro. Sto per chiederle cosa c’è che non vada, ma mi mordo la lingua prima ancora di parlare; so benissimo qual è il problema. La ragazza cerca aiuto negli occhi dell’altra cameriera, ma quella per tutta risposta si segna il petto. Stupide villane superstiziose. Mi chiedo chi le abbia assunte.
Ah, già … mio marito.
Non voglio nemmeno sapere i suoi criteri di scelta.
“Non è niente di pericoloso, potete avvicinarvi senza alcun pericolo. Basta non toccarla o fissarla troppo intensamente”, mormoro, ma so che le mie parole cadranno nel vuoto. Le due non metteranno un piede nella mia stanza finché non avrò rinchiuso la sfera di cristallo in qualche cassetto, lontano dalla loro vista. Un vero peccato che io non ne abbia voglia, non ho intenzione di separarmi da quell’oggetto nemmeno per un minuto, almeno finché non avrò risolto questa storia con mio marito. I frammenti di specchio possono aspettare. “Lasciate perdere, siete congedate”.
Chiudono la porta alle loro spalle e le sento correre per il corridoio in maniera del tutto indecente per le cameriere della granduchessa di Lindblum. Se le conosco abbastanza bene –e le conosco, purtroppo- domani sera al massimo tutti coloro che contano in questa città sapranno che la granduchessa ha compiuto qualche nuovo, strano sortilegio. Tanto so benissimo come mi chiamano.
Hilda la Seduttrice.
Hilda la Strega.
Seduttrice … io? Sbuffo e cerco il primo abito decente per uscire da questa stanza. Andrei volentieri da mio marito così come sono, ma non è il caso; rinuncio all’idea di mettermi un corpetto –l’unica cosa a cui servono quelle due cameriere è allacciare questo strumento di tortura- e scelgo un abito semplice ma elegante, con quella piccola scollatura che serve a ricordare a quel grandissimo bastardo che anche io sono una donna, e molto, molto più piacevole di quella stupida cuoca. Lascio la sfera di cristallo in bella vista sul mio tavolino ed esco.
L’effetto è immediato. Le due persone che stanno pulendo il pavimento scappano non appena incrociano il mio sguardo.
Non ti curar di loro, ma guarda e passa.
Non ricordo da quale libro viene questa frase, ma sono certa che l’autore fosse un completo idiota, o comunque una persona non abituata ad essere guardata in malo modo da tutti. Non è facile vivere in questo palazzo.
Lindblum era il posto dei miei sogni, almeno fino al giorno prima del mio matrimonio. Avevo visitato questa città con mia madre la prima volta, quando avevo undici anni, e ricordo di aver passato tutto il tempo con il naso in aria, prigioniera delle forme perfette delle aereonavi che decollavano ed atterravano, e la gente che sembrava sempre indaffarata per le strade che univano l’avioporto al palazzo reale. Gente di ogni razza o taglia, molto diverso dalla piccola città di mare da cui provenivo. L’area del mercato affollata di uomini e donne diretti alle loro botteghe sin dalle prime ore dell’alba. Figure con abiti eleganti e luminosi, non frivoli come quelli dei nobili di Toleco, le spalle erette ed il passo sicuro di chi conosceva come muoversi a terra con la stessa destrezza con cui si muoveva sul ponte di una nave.
E poi il palazzo. All’epoca guardavo questo grande edificio con emozione, immobile sul ponte che lo univa al resto della città come un arcobaleno che congiungeva due lembi di terreno, non osando nemmeno immaginare che un giorno le guardie avrebbero presentato le armi al mio passaggio.
Cammino ancora adesso su questo ponte. Il batticuore di Hilda bambina è svanito da diversi anni, ma ancora non smetto di trattenere il fiato quando le grandi porte della città si aprono per far passare le aereonavi, e non nascondo di salire spesso sulla terrazza per guardare il cielo, i monti o le paludi con il grande telescopio di bronzo che risplende sul palazzo sin dall’epoca del terzo granduca di Lindblum. È il mio rifugio preferito, almeno dopo le mie stanze; un luogo che da quando mio marito si è insediato sul trono della città è stato tenuto in uno stato decente solo per compiacermi, perché da tantissimo tempo i suoi pensieri sono altrove, lontani da un posto a sua detta frivolo e piuttosto improduttivo.
Le macchine: il più grande nemico di ogni donna di questa città. Se un oggetto non ha almeno una rotella o un ingranaggio perde qualunque forma di fascino. L’ingegneria è l’orgoglio del granducato, e nemmeno il più grande ingegnere del regno di Alexandria potrebbe reggere il confronto con le menti degli uomini di Lindblum, sospesi tra un motore, un marchingegno ed un argano. Menti che possono misurare qualunque cosa, pesarla e trasformarla. Ma che quando sentono la parola magia si sciolgono come neve al sole.
L’ho capito il primo giorno che preparai una pozione per rimarginare un grosso taglio che mio marito si era fatto per lavorare a non ricordo quale strano congegno; la notizia che la granduchessa di Lindblum fosse una strega ha dato da chiacchierare alle nobildonne per almeno un mese intero, superata solo dalle maldicenze riguardanti la regina Brahne ed un suo fantomatico, misterioso accompagnatore. Beata lei …
Come se fossi in grado di far esplodere un’aereonave con uno schiocco di dita … anche se non nego che mi piacerebbe … specie quei progetti su cui quel grandissimo bastardo lavora anche di notte …
Il mio chiostro è una delle tante aree verdi del palazzo, con l’unica differenza che pochissime persone vi lavorano, ancora meno la visitano; la servitù pensa che le piante di questa serra si animino alla luce della luna piena e divorino esseri umani, come se di notte la menta aromatica, il timo ed i chiodi garofano che tengono nelle loro cucine possano prendere vita. Ma non c’è nulla di incantato in queste aiuole, niente di diverso dalla normale magia della natura che riesce a far spuntare la vita anche in luoghi inospitali o in semplici vasi di coccio. L’aria è umida, intensa, corposa, ma la respiro fin dentro i polmoni. Mi fa sentire bene, così come le foglie verdi dietro cui spuntano fiori screziati di giallo ed arancione che catturano la luce del primo mattino e la riflettono lungo i vetri, le altre foglie e l’acqua dei canaletti che disegnano delicati disegni alla base di questo giardino che fino a qualche minuto fa credevo fosse soltanto mio. Un giardino dove quell’uomo è sempre venuto malvolentieri, giusto per accontentarmi una volta o due. Anche se adesso sembra apprezzare il silenzio di questo posto e soprattutto le grandi foglie delle mie piante che lo riparano da sguardi indiscreti.
I loro respiri si fanno sempre più pesanti. Si toccano, si baciano, respirano e si baciano di nuovo, ignari di me. Si concedono una dolce risata. Lui si china per farle scendere i baci lungo la spalla, ed il suo collo ha quel guizzo forte e deciso che lo fa sempre sembrare più bello e, detesto ammetterlo in questo preciso istante, desiderabile. C’è qualcosa che grida dentro di me: qualcosa di un’intensità che mi ricorda il bisogno dolorante di bere dopo giorni infiniti nel deserto, bere e dissetarsi per raffreddare la ferita bruciante che sento sul fondo della gola.
Bastardo.
Le dita di Elania gli scivolano sui baffi. Gliele taglierei volentieri per farci una pozione con cui nutrire le mie piante carnivore, ma preferisco aspettare. Con pazienza.
Il porco si leva il mantello, si accomoda su una panchina d’avorio e la fa sedere sulle sue ginocchia, poi affonda la testa contro il suo petto -che, siamo sinceri, non è nemmeno tanto più abbondante del mio- e le sorride. Lei fa una mossa suadente con le anche e lo invita levarle l’abito mentre con le sue lunghe dita inizia a sciogliergli lentamente la cintura. Sono movimenti lenti, delicati, un sottile gioco dove l’affascinante predatore stringe convulsamente a sé la preda, che a sua volta sorride e gioisce di essere caduta in quella delicata trama fatta di baci.
Se solo fossi una strega di quelle delle favole potrei evocare una palla di fuoco e trasformare la tubante coppietta in un simpatico mucchietto di cenere, ma purtroppo la mia magia è fatta di erbe, parole e deboli incantesimi. Tiro un respiro ancora più profondo del solito, e proprio quando il corpetto di lei viene slacciato e lasciato cadere a terra, nel momento in cui tutta la sua bianchissima pelle è esposta agli occhi di mio marito, faccio la mia mossa.
“Cid Fabool IX …” inizio il discorso, senza nemmeno urlare “… sono felice che tu abbia deciso di venire nel mio chiostro!”
Incrocio le braccia, gustandomi la reazione. Quell’oca di Elania sobbalza e per poco non cade dalle ginocchia del suo ancora più esterrefatto cavaliere; si copre persino i seni con un braccio in un gesto di pudicizia che mi fa risalire l’acido dello stomaco fin nella gola. Almeno mio marito mantiene la dignità di non rimettersi subito il mantello. “Hilda, io …”
Tu nulla, Cid. Visto che sembri così … ben disposto nei confronti della servitù, perché non chiedi alla nostra adorata cuoca di sistemarsi in modo dignitoso e di lasciare al granduca ed alla sua consorte un minuto di intimità?”
Lui sta per aprire bocca, ma la ragazza scivola come una cerbiatta. Le rivolgo la mia migliore delle occhiate, quella che le suggerisce di trovare subito un biglietto di sola andata per il Continente Perduto. Spero che creda a quella diceria sul mio conto sul fatto che usi il sangue delle giovani ragazze per farci delle pozioni.
Lei sfugge tra le piante mentre ancora cerca di rivestirsi. Non merita un minuto della mia attenzione. Devo rivolgerla al grandissimo figlio di puttana che mi sta seduto davanti.
Attendo una sua spiegazione, o almeno un patetico tentativo di arrangiare una bugia.
Purtroppo quello che attendo non arriva. Lui abbassa la testa, piega le spalle e sospira; appoggia il mento sui pugni chiusi, come fa sempre quando si sta preparando a dire qualcosa di importante. Stavolta però non esce nemmeno un fiato dalle sue labbra, e muove nervosamente i piedi sul pavimento. Vorrei tenerlo sulle spine anche fino a domani sera, ma odio questi attimi di silenzio che cadono tra noi due: mi sembrano quasi più insopportabili del vederlo tra le braccia della cameriera, perché sento come se questo spazio invisibile mi stringesse i polmoni e mi portasse sempre più lontano da lui. Il lieve senso di trionfo fa strada ad una delusione ancora più amara. “Non pensi che questa farsa stia durando anche troppo?”
“Lo so …” sospira, senza guardarmi in faccia. “Non credo che tu possa fartene qualcosa delle mie scuse”.
“No, infatti!”
“… è stato un momento di debolezza, sai che …”
“Un momento di debolezza?” chiedo, cercando di far uscire lentamente tutto il veleno accumulato in questa mattinata. Non tutto insieme, poco alla volta. “Perdonami, Cid, possiamo fare una rapida stima dei tuoi momenti di debolezza in questi ultimi cinque anni? La marchesa Valen nemmeno tre mesi dopo il nostro matrimonio … o quell’insignificante studentessa di ingegneria che era venuta a vedere la tua aereonave … o Renora, la tua ex sarta … o ancora …”
“Hilda, per favore …”
“NO, CID, NIENTE PER FAVORE!” i miei tentativi di rimanere calma esplodono come un filtro d’invidia lasciato troppe ore a riscaldare. Quest’uomo è dannatamente fortunato che io non sappia evocare una Palla di Fuoco. “SONO SICURA CHE TI PORTERESTI A LETTO ANCHE LA REGINA BRAHNE SE NON FOSSE CHE PESA QUANTO TUTTE LE TUE STUPIDE AMANTI MESSE INSIEME! SMETTILA DI PRENDERMI IN GIRO! COSA DIRESTI SE VEDESSI ME TRA LE BRACCIA DI UN ALTRO UOMO?”
Mi mordo il labbro inferiore subito dopo aver posto questa domanda. Potrebbe arrivare una risposta che non mi piacerebbe.
Sono anni che non penso a me stessa in compagnia di qualcuno che non fosse mio marito. Non è stato di certo il mio primo uomo –ci mancherebbe altro!- ma da quando abbiamo pronunciato davanti al cielo le parole che ci rendevano marito e moglie mi rendo conto che i visi dei miei fidanzati di quando ero adolescente sono lentamente sfumati dai miei ricordi, e nei miei pensieri li accosto soltanto a dolci sorrisi e serate divertenti, senza alcun rimpianto. Ma se volessi trovarmi qualcun altro … impiegherei meno di mezza giornata. Ho ventisette anni, non sono esattamente quella che si suol dire una brutta donna e sono granduchessa.
Questo lo so, e lo sa anche lui.
Perché questi sono i pensieri che vedo riflessi nei suoi occhi chiari quando alza la testa e mi fissa. Ha un’espressione severa, triste.
“Credo che commetterei uno sproposito …”
Non so come, ma quelle parole mi calmano. Per un attimo ho temuto la sua indifferenza. È una piccola conquista, quasi inaspettata. Lui si alza e finalmente recupera il suo mantello, sistemandoselo sulle spalle. “Ma ne avresti tutto il diritto, suppongo …”
“E allora mi spieghi perché adesso sono qui, davanti a te, invece di spassarmela con il primo bardo di passaggio o sulla prima aereonave diretta a casa mia?”
“Perché tu sei forte”.
No.
Lo guardo, cercando di calmare la tempesta che mi sento risalire sul fondo della gola.
È perché ti amo, stupido porco!
Ma non me la sento di dirglielo. Lo deve sapere lui, lo deve scoprire dal fondo del suo stesso cuore. Deve trovarselo davanti proprio durante i suoi momenti di debolezza. E deve avere paura di perderlo. Almeno un po’.
Ci guardiamo. Sappiamo benissimo che quello che è successo oggi non rimarrà un segreto molto a lungo; usciremo fuori da questo chiostro, ed intorno a noi gli sguardi di tutti si riverseranno come pioggia battente. Tutta la città ne parlerà per i prossimi giorni. Siamo il granduca e la granduchessa di Lindblum, dopotutto. Ad un passo dall’uscita del giardino e dei suoi incredibili profumi, lui mi porge il braccio.
La nostra vita ricomincia.
“Se fossi in te, Cid, inizierei a farmi piacere le zanzare ed i moscerini”.
Lui mi guarda, perché riconosce quando sono seria e quando sto scherzando; e questa non è certamente la seconda opzione. “Perché giuro su quello che ho di più caro che se ti ritrovo con un’altra donna ti trasformo in uno scaraburi. Questa è la tua ultima possibilità”.
Sospira e annuisce.
Io mi appoggio al suo braccio ed usciamo di lì.

 
  
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