L'INCANTO
DEL
TEATRO
Il
vento soffiava forte quel giorno, infastidendo non poco gli abitanti
della
cittadina in strada e non solo.
Infatti
fece sbattere
violentemente la finestra della stanza di una vecchia locanda.
Svegliata da un
tal botto, un'ombra si mosse nella semi oscurità della
stanza e chiuse,
impedendo ad altro vento di mescolarsi con l'aria viziata del chiuso.
Dopo aver fatto entrare più luce spalancando le tende
logore, Teruyo andò a
sedersi davanti allo specchio e, presa la sua bella spazzola in ebano,
cominciò
a pettinarsi i lunghi capelli ramati, ammirando il suo riflesso come se
fosse
stata un'immagine eterea.
Non si curò minimamente della sagoma che si
sollevò pesantemente dal letto e la
raggiunse alle spalle.
"Ora devo andare, piccola" sibilò, per poi strofinare le sue
ruvide
labbra sul suo collo "ci rivediamo la prossima settimana?"
Prima di rispondere, se lo scrollò di dosso scuotendo le
spalle.
"Forse. Vedrò" fece con noncuranza, dandosi l'ultima
interminabile
spazzolata "ma ora basta starmi addosso. Torna da tua moglie e lasciami
in
pace."
L'uomo si diresse verso la porta offeso, ma la ragazza lo
fermò.
"A a a a... non stai dimenticando qualcosa?"
Con un colpo secco quello lanciò un sacchettino di pelle sul
letto e scomparve.
Teruyo sorrise e, alzatasi, ne recuperò subito il ricco
contenuto,
infilandoselo nella sua cassaforte personale, ossia nel corpetto.
Preso un largo scialle, uscì, ritrovandosi subito
infastidita dal vento, che
oltretutto le mandò in piena faccia un volantino.
"Signore,
signore, vuole comprare la mia mela?"
Una ragazza poco più che adolescente girava per la strada
con in una mano tesa
il frutto.
Dopo l'ennesimo passante che non le prestava attenzione, Hoshiko si
sedette
sconfitta al limite della strada, coprendosi la faccia e cominciando a
sussultare.
Al che una donna, vedendola e presa da pietà, si
avvicinò.
"Piccola, non piangere... cos'è successo?"
"Nessuno vuole comprare la mia mela..." rispose lei singhiozzante
"e senza soldi non posso comprare la medicina a mia madre..."
"Oh, povera piccola... tieni, la compro io la tua mela" le porse una
moneta.
"Davvero, signora? Grazie, grazie mille signora!"
Appena la donna si fu allontanata, però, Hoshiko si
asciugò le finte lacrime e
si rigirò tra le mani quella moneta.
Pensava a cosa avrebbe potuto farci, quando si accorse di avere il
piede su un
volantino.
Un
ragazzo passava spintonando
tutti quelli che gli capitavano davanti.
Stupide mezze calzette... avevano ritardato il lavoro e, per di
più, niente
paga quella mattina...
Goemon era veramente furibondo e atterrì un pover'uomo che
gli aveva rifilato
un volantino.
Il
sole era già alto quando Iku si stiracchiò
assonnata del suo grande letto, non
badando alla minuscola donna che girava per la sua camera rassettando
qua e là.
Si alzò, lisciando le pieghe della camicia da notte di seta
e chiese:
"Papà è già uscito?"
"Sì, signorina" rispose l'altra continuando a riordinare.
La ragazzina allargò le braccia, attendendo che l'altra la
spogliasse e la
rivestisse.
Quando fu pronta, notò qualcosa incastrato nel filo del
grembiule della donna.
"Che cos'é?" chiese prendendolo in mano senza tanti
complimenti.
"Un volantino, signorina. Era sotto la porta di casa."
Shirosama
camminava fieramente
per strada, con al seguito i suoi 'amici', come ogni giorno.
Qualche conoscente salutava con un cenno e una ragazza si
avvicinò azzardando
un "Ciao", ottenendo nient'altro che uno sbuffo.
Fece lo stesso quando un bambino gli porse timidamente un volantino.
La
locanda era piena, essendo ormai ora di pranzo.
C'era un tavolo particolarmente chiassoso quel giorno: un uomo
circondato da
ragazze di facili costumi rideva e beveva con certi suoi amici.
In un angolo, al buio, un altro uomo lo scrutava severamente, con le
iridi
impregne d'invidia.
Quando per un attimo non guardò il fratello per bere, Nori
notò sullo sgabello
accanto al suo un foglio di carta.
Un volantino.
"Fumiaki!
Non..." la
donna fra le lenzuola tacque, zittita dallo sguardo della figura che se
ne
stava andando.
Uscito da quella casa, ricevette un volantino in cui si annunciava che
quella
sera avrebbe avuto luogo nel teatro cittadino uno spettacolo teatrale
mai visto
prima, messo su da una compagnia forestiera.
Con un'alzata di spalle se lo mise in tasca: almeno quella sera avrebbe
passato
del tempo.
Il teatro era ormai pieno. Chi
in piedi sotto al palco, chi
nei palchetti, tutti mormoravano dubbiosi o critici riguardo quello che
stavano
per vedere.
C'erano anche Teruyo, Hoshiko, Goemon, Iku, Shirosama, Nori e Fumiaki,
venuti o
per noia o per curiosità.
Tutti i presenti si zittirono quando pesanti passi cominciarono a
calcare il
palco di legno, avvicinandosi sempre più al pubblico
intimorito dal buio e
dall'atmosfera.
D'un tratto si accesero otto torce che illuminarono la figura retta e
composta
di un giovane di non più di vent'anni.
Parlò, con una voce bassa e inquietante, che pareva quasi un
sibilo, facendo
rabbrividire ogni singola persona.
"Ho accusato
ogni abitante di Konoha delle peggiori colpe.
Perfette
facciate, squallide verità.
Mi rivoltavano come nient'altro e per questo sono fuggito.
Fuggito dalla falsa impeccabilità e
dall'immoralità nascosta, verso qualcosa di
molto più allettante:
il potere
l'indipendenza
la lontananza dal sudiciume degli abitanti del villaggio della Foglia.
Perché, mi chiedete?
Ebbene, voi non sapete...
Voi non potete sapere cosa si nasconde nell'animo dei ninja denominati
ingiustamente eroi.
Non capite come la timidezza e l'indifferenza siano le più
perfette maschere
dei vizi umani.
Voi non sapete e non capite.
Ma non temete!
Vi farò sapere e capire io."
Un'ombra
si fece avanti
all'estrema sinistra del palco: era una giovane donna, con lunghi
capelli
biondi raccolti in due code basse, che cominciò a rimirare
le proprie mani e il
proprio corpo, come se fosse stata davanti ad uno specchio.
Il ragazzo al centro ricominciò a parlare.
"Non avete forse sempre pensato che la bellezza fosse qualcosa
di
positivo, da ammirare e desiderare? Qualcosa che attira i ladri
più dell'oro?
E non avete mai pensato che una cosa tale potesse essere un
male?
Mai?
Allora venite a Konoha e guardate chi l'ha in mano.
Tsunade, Quinto Hokage.
Bella, non è vero? Dimostra almeno vent'anni in meno della
sua reale età...
Perché, secondo voi?
Perché tiene così tanto al suo aspetto esteriore?
Vi rispondo io: è una donna.
Una donna dedita a vizi come l'alcol e il gioco d'azzardo...
Solo?
No... questa sua brama di bellezza è riconducibile ad un
terzo vizio, molto più
sporco ed impudico degli altri due.
Lussuria.
Perché temere tanto d'invecchiare, se non per
voluttà?
Lo so, state pensando che sia assurdo.
E invece io vi dico: rifletteteci e così assurdo non
sembrerà.
Riflettete sul fatto che un Hokage sia schiavo di un così
animalesco vizio.
Vi sembra ancora così paradossale?"
Una
torcia, quella più vicina alla donna, si spense, facendola
scomparire.
Subito lo sguardo degli spettatori puntò un'altra
entità appena apparsa.
Era una ragazzina, dai capelli corti e corvini, che se ne stava
accovacciata su
sé stessa e dondolava quasi nervosamente.
Il giovane riprese.
"Quante volte vi sarà capitato di compatire una
povera giovane ignorata
o disprezzata dalla maggior parte delle persone che la circondano?
Quante volte, vedendo Hinata chiusa in sé stessa e
sottovalutata, avrete
pensato 'poverina'?
Mi scuserete se vi chiamerò ingenui.
Come potete lasciarvi ingannare da una timidezza talmente finta?
Certo, lei non sa, non si rende conto che tutto quello che crede di
essere sia
così costruito...
Come potrebbe, ritenendosi come lei vuole essere vista?
Sì, ho trovato del male anche in lei.
La piccola dolce povera Hinata Hyuuga, trascurata da tutti, che
s'impegna fino
allo stremo per essere anche minimamente considerata.
Ingenui e sprovveduti.
Mai vi siete chiesti se non vi fosse un qualche fine recondito dietro
tutta
quella dedizione?
Esso c'è.
Ed è un fine che nasconde un vizio, un vizio spesso
sminuito, ma pericoloso.
Gola.
Gola di attenzioni.
Non vi sembra grave?
Allora lascerò che attendiate il giorno in cui, dopo aver
ottenuto la stima di
qualcuno, ne vorrà ancora, ancora e ancora.
E quando si accorgerà di essere considerata un mostro
ingordo di
considerazione, vedrete come impazzirà.
E la pazzia non è mai un bene, o no?"
La
fiamma di una seconda torcia
morì ed un altro personaggio, dai capelli rossi e dai pugni
stretti, venne
presentato.
"Non sarà certo una novità per voi
sapere che l'ira è un connotato
proprio di Gaara.
Sì, vi do ragione, è un ninja di Suna e
vi ho detto che avrei parlato solo
gli abitanti di Konoha.
Ma quante volte lo avete visto coinvolto negli affari della Foglia?
Tante volte
quante l'ho visto io, immagino.
E chi non ha assistito alle esplosioni della sua rabbia in passato?
Vi sento rispondere che ormai non c'è nulla di cui
preoccuparsi. Ma...
Ne siete veramente convinti?
Io non ne sarei così sicuro.
Cosa me lo fa credere?
Semplicemente il fatto che la sofferenza non svanisce da un momento
all'altro,
proprio come l'ira.
Per quanto dolore ha provato, Gaara non ha sfogato tutta la rabbia che
covava
dentro.
Preparatevi, state in allerta, perché non si può
sapere quando esploderà
nuovamente.
E quanto violentemente."
La
terza torcia smise di strepitare e, al dileguamento del rosso, comparve
una
ragazza con una coda di cavallo, completamente abbandonata su ampi
cuscini.
Anch'essa venne commentata.
"Uno dei vizi che più odio.
La pigrizia, l'ozio, la poca voglia di fare, l'apatia, il disinteresse
verso
gli altri, verso se stessi e verso la vita: è questo
che viene spacciato
per accidia.
Ma io vi dico, ce n'è un altro di genere, molto
più infimo e stomachevole.
Perché quelle facce scettiche o stupite? Non credete ci sia
un altro tipo di
accidia?
Vi sbagliate, un'altra volta.
Il vizio che intendo io è un pigrizia dell'animo e della
mente, a causa del
quale una persona pensa che il mondo giri intorno a lei, permettendole
di
vivere senza muovere un dito.
Chi mai è colpevole di ciò a Konoha?
Ino Yamakana.
Non avete mai notato quanto squallido sia questo suo comportamento?
Non ve ne siete neanche mai accorti?
Io sì."
Una
quarta fiamma si smorzò.
Subito si udirono leggeri passi, mossi da un ragazzo che camminava col
naso
all'insù.
"Suppongo avrete sentito, insieme a tanti altri, come un certo
abitante
della Foglia vanti la sua superiorità, non in confronto alle
persone in
generale, ma ad una categoria bene precisa: le donne.
Come dite? Non vi sembra che si ponga in modo superiore rispetto a loro?
Sì, è vero, tutto quello che gli sentite
pronunciare riguardo alla classe
femminile è "seccatura".
Beh, bisogna saper leggere fra le righe, signori miei.
Shikamaru Nara, perché è di lui che stiamo
parlando, nel reputare una
"seccatura" il gentil sesso, dimostra quella che io chiamo superbia.
Voi potreste considerarlo solo sessismo. Solo, poi...
Ma se è vero che una convinzione di un atteggiamento
sessista è la presunta
superiorità o il presunto maggior valore di un sesso
rispetto ad un altro,
sessismo non diventa altro che un sinonimo di superbia.
E io vi chiedo: quante cose peggiori della superbia ci sono a questo
mondo?
Poche, signori miei, poche...
Su questa terra nessun ha il diritto di dirsi migliore di un altro e,
anche se
penserete che io sia un ipocrita, lo sosterrò sempre."
La
quinta fiamma spirò.
La poca luce rimasta permise di vedere la figura elegante di un
adolescente dai
lunghi capelli neri stare immobile, con gli occhi che bruciavano di
fastidio.
"Questo
si dice: l'invidia è un tarlo che rode il legno in cui
cresce.
Quanto è vero...
Chi di noi tutti esseri umani non può dire di averla provata?
Chi di noi non può ammettere di averla trovata
più che insopportabile?
Forse è il vizio più umano che ci sia... ma
è anche vero ch'è quello più
diabolico.
Non solo desiderare avere qualcosa che ha qualcun'altro, ma addirittura
volere
che quel qualcuno lo perda.
L'invidioso è anche e persino frustrato, egocentrico e
competitivo...
Vi ricorda nessuno? No?
Vi do io allora un nome.
Neji Hyuuga.
Frustrato, nel tentativo di tenere alto il proprio onore e quello della
casata
cadetta.
Egocentrico, in quanto pensa solo a raggiungere il suo scopo.
Competitivo, confrontandosi sempre con altri per dimostrare di
essere il
migliore.
Non vi pare forse il ritratto dell'invidia?
A me sì.
Ho sempre visto quel tarlo rodergli dentro, logorandogli l'animo.
Chissà che fine farà, a causa di quel tarlo."
La
sesta fiaccola si smorzò.
Stavolta due personaggi vennero alla fievole luce, fermandosi
esattamente alle
spalle del primo attore.
"Dicesi avarizia la scarsa disponibilità a spendere
e a donare ciò che
si possiede.
Con ciò che si possiede, tutti intendono denaro e
proprietà materiali.
Eppure c'è il proverbio: stretto di mano, stretto di cuore.
Stretto di cuore.
Quindi l'avarizia non riguarda solo ricchezze,
bensì anche concetti
prettamente umani.
Tipo?
Tipo i sentimenti.
Io ho conosciuto due persone estremamente avare di sentimenti, i cui
nomi vi
caveranno di bocca un "oh..." di sorpresa.
Essi sono Fugako e Itachi Uchiha.
Esatto.
Padre e figlio.
Mio padre e mio fratello.
L'ho sentito, quell' "oh" di sorpresa.
Perché tanto stupiti? Non mi direte mica che non l'avreste
mai detto?
Eppure l'avarizia di mio padre era così evidente a me...
molto più evidente di
quella di mio fratello.
Quale dimostrazione più palese del suo abbandono ci
può essere per definirlo
avaro di sentimenti?
Quale segno più chiaro di quello che ha fatto ci
può essere per vedere la sua
crudeltà?
Perché l'avaro, stretto di cuore, è crudele,
signori miei."
Anche
la settima fiamma perì e i due si volatilizzarono.
Rimaneva solo il giovane che aveva aperto lo spettacolo.
Sospirò pesantemente e proferì:
"Vi ho parlato degli abitanti di Konoha e dei loro vizi,
dimostrandovi
che
a parlare male degli altri si fa peccato, ma spesso s'indovina.
Ma vi confesso, in quest'ultima occasione in cui lascerò che
la verità scivoli
fuori dalla mia bocca, che un altro peccato governa la mia vita.
Sì, signori miei.
Io, Sasuke Uchiha, sono colpevole di tristezza.
Lo so, state pensando che la tristezza non è un peccato, ma
semplicemente uno
stato d'animo.
Anche qui vi sbagliate.
Questo mio vizio è ciò che più mi
pesa, che più mi addolora, che più mi logora.
E' quel momento per me infinito in cui i miei
desideri incontrano i loro
limiti propri.
E non è l'esterno che in qualche modo delimita il desiderio,
ma i limiti vanno
a comporre il desiderio stesso.
Fin quando non si accettano tali limitazioni, non è
possibile superare la
tristezza.
Avrete capito, signori, come mai io persisto nel mio peccato, quindi.
Tanta perseveranza ho avuto in ciò, che avrebbe potuto
tramutarsi in
depressione.
La quale, vi garantisco, è ancora peggiore.
Ma, non so se fortunatamente o sfortunatamente, la morte mi ha portato
via prima,
salvandomi dalla figlia della mestizia.
Perciò vi dico e vi raccomando: state lontani ed evitate..."
E comparvero uno a uno i personaggi prima venuti e spariti.
"...la lussuria
la gola
l'ira
l'accidia
la superbia
l'invidia
l'avarizia
in tutte le loro forme e riguardo ad ogni cosa.
Ma soprattutto, non lasciate che
la tristezza
s'impadronisca di voi e che si sviluppi in qualcosa di più
dannoso.
Non seguite l'esempio dei giovani di Konoha e mio.
E, se non ci riuscite, rammentatevi di noi, delle nostre azioni, dei
nostri
sbagli.
Rammentate, per salvarvi.
Uomo avvisato, mezzo salvato."
L'ottava e ultima torcia si
spense e a tutti parve chiaro
che lo spettacolo fosse finito, così cominciarono ad uscire
dal teatro.
Una volta fuori, però, sentirono come una fitta allo
stomaco, segno che
qualcosa aveva colpito più su.
Ogni singolo spettatore tornò alla propria casa con gli
occhi spalancati, come
se uno di quei personaggi rispecchiasse la sua anima e quella sorta di
profezia
pronunciata dal primo attore fosse inconfutabile verità.
Tant’è
che, forse per paura di tale verità, la vita di
qualcuno mutò.
Teruyo la mattina dopo non si spazzolò i capelli.
Hoshiko non si fece più
vedere per strada a vendere mele.
Goemon cominciava a essere
più calmo con gli altri.
Iku chiese al padre di
trovarle un lavoro.
Shirosama, dopo insistenti
richieste, accettò di uscire con
una ragazza.
Nori non si curò
più
delle fortune del fratello e cominciò a crearsi le proprie.
Fumiaki riuscì a
dire "Ti voglio bene".
E un vagabondo,
orfano, sorrise per la prima volta il vita sua.
Perché è
successo
tutto questo?
Forse… forse per
l’incanto del teatro.
Fine