Robert
Cavalieri e signorotti
si stavano ancora complimentando con il giovane principe quando lui lo vide.
L’espressione di Joffrey, prima allegra e superba, si tramutò istantaneamente
in una rigida, granitica, maschera d’indifferenza. Voltò la testa in direzione
del maestro darmi e disse «Per oggi mi sono allenato abbastanza».
Forse Santagar stava
per replicare, ma poi anche lui vide il re, perciò si limitò a chinare il capo
in segno di congedo e diede ordine ai suoi sottoposti di raccogliere i resti
della lancia e di rimettere a posto armi e armature.
Robert guardò suo
figlio andarsene. Era alto, forte e con un buon addestramento prometteva di
diventare un buon soldato; aveva tutto ciò che si potesse desiderare da un
figlio, eppure Robert non capiva perché quando lo guardava non provava niente.
Era così anche per i suoi fratelli: nessuno dei quattro figli che aveva avuto
da Cersei gli aveva mai fatto sentire qualcosa di diverso dall’indifferenza più
assoluta.
Forse perché non
provava il minimo sentimento per la donna con cui li aveva concepiti. Ma lo
stesso si poteva dire delle giovani lady, delle puttane, delle figlie di
locandiere e stallieri con cui aveva generato i suoi bastardi.
Forse era perché quando
era stato con una loro, almeno per un’ora, non era esistito nient’altro nel
mondo che la loro coppia di bei seni e il loro delizioso tesoro.
Forse perché con
Cersei era più difficile fingere di stringere tra la braccia Lyanna.
O forse, era
qualcos’altro…
Erano passati troppi giorni perché Robert
fosse in grado di contarli. In alcuni momenti gli pareva di avere appena dato
l’ordine di incarcerare Ned, in altri gli sembrava che fosse accaduto anni
prima, in altri ancora cercava di convincersi che si era trattato solo di un
assurdo incubo.
Aveva chiesto perdono
alla sua dea per questo, ma la voragine che aveva preso il posto del suo cuore
sembrava farsi più profonda ogni giorno che passava.
Tutto quello che
desiderava era far liberare Ned e rimandarlo a casa, dimenticare tutto, ma non
era possibile, nemmeno per lui che era il re. Cersei non gliel’avrebbe mai
perdonato, e Cersei era una Lannister. E i Lannister avevano già tradito un re.
Era appena tornato dalla caccia, quando
Varys si era silenziosamente presentato nelle stanze reali per discutere una
questione urgente. Renly gli aveva suggerito di riceverlo; il suo perfetto
fratellino sosteneva che ascoltare i propri consiglieri era un dovere
sacrosanto di ogni buon re. Robert aveva acconsentito, urlando a quell’idiota
del suo scudiero di versargli da bere. Il ragazzo, tremante, aveva afferrato
l’otre e, attentamente, ne aveva versato gli ultimi sorsi in una coppa.
E aveva ben ragione di essere accorto:
dopo alcuni giorni di caccia infruttuosa, Robert aveva deciso che un goccio del
suo vino preferito gli avrebbe tirato su il morale, così aveva ordinato al
biondo scudiero di andarglielo a prendere, ma quello, da stupido Lannister qual
era, era inciampato, mandando l’otre a schiantarsi su di un massiccio tronco
macchiato dal lichene. Il ragazzo si era gettato ai suoi piedi, spaventato e
mortificato; quando Robert l’aveva spedito a prenderne dell’altro, il giovane
era sull’orlo delle lacrime.
Quella volta però il ragazzo non aveva
commesso errori, e, dopo avergli porto la coppa, si era velocemente dileguato.
In quel momento Varys
aveva fatto il suo ingresso profumato. Si era accomodato e pragmaticamente era
subito arrivato al punto: i suoi uccelletti avevano sentito Ned Stark
complottare ai danni della corona. Era dunque passato a descrivere i
particolari del tradimento, uno più orribile dell’altro: Ned voleva la corona,
voleva le teste degli eredi di Robert e voleva che fosse il re stesso a
pretenderle.
Robert non poteva
credere a quelle parole, non voleva. Non era possibile che Ned stesse
complottando ai suoi danni, non era nella sua natura. E quella mostruosa
menzogna sui suoi figli… Robert voleva mandare via tutti quanti. Parlare con
Ned, guardarlo negli occhi, solo così avrebbe compreso la verità che si celava
in quelle parole velenose, sempre che di verità ce ne fosse.
Ma i suoi fidati
consiglieri non gli avevano dato il tempo di agire: Renly era uscito dalla
camera, per avvertire gli altri membri del Concilio; quanto a Varys, gli aveva
domandato se voleva che anche la regina venisse informata dell’accaduto. Cersei
era l’ultima persona che Robert avrebbe voluto attorno a sé in quel momento,
beh in qualsiasi momento, tuttavia un pensiero insistente continuava a girargli
impazzito nella mente: e se fosse stata Cersei a mettere in giro quelle voci?
Se fosse quella la vendetta per le sue puttane, i suoi eccessi, per non aver
mai smesso di desiderare che ci fosse Lyanna al suo posto?
Robert aveva
acconsentito e, una volta solo, si era sentito incredibilmente impotente. Era
una sensazione che spesso aveva provato, attanagliato com’era da quella
moltitudine di idioti, ipocriti ed inetti, ma mai l’aveva percepita in modo
tanto doloroso. Robert era un guerriero, non un politico, il suo posto era il
campo di battaglia, non la corte. Robert era abituato a risolvere ogni
questione vagamente importante con mazza ferrata e vino, ma quella situazione
era lungi dall’essere risolvibile con qualche battuta di spirito, quanto alla
guerra, Robert era stufo di combattere per coloro che amava, di sfracellare il
nemico, di arrossare la terra con il loro sangue, era stufo di distruggere vite
e intere dinastie, per poi perdere ciò che più contava.
E così, quando Cersei si era presentata al
suo cospetto, Robert l’aveva fissata in silenzio. Era bellissima, forse più di
Lyanna. I morbidi boccoli dorati le ricadevano sulle spalle, bianche e lisce
come la seta che l’avvolgeva il giorno del loro matrimonio, quando per un
istante entrambi erano stati felici di appartenere l’uno all’altra. Ma era
stato un breve, fugace, attimo, che si era dissolto non appena i raggi caldi
del sole avevano inondato il marmoreo piazzale antistante il Grande Tempio di
Baelor.
“È vero quello che
dice Varys?”. Cersei aveva rotto il silenzio che ormai era divenuto componente
caratteristica del loro matrimonio.
“Lo chiedo a te” aveva
ribattuto lui, osservando attentamente la reazione della moglie. Ma Cersei si
era limitata a fissarlo impassibile, sbattendo elegantemente le ciglia un paio
di volte.
Poi aveva risposto “Credi
che sia stata io? Mi giudichi stupida e crudele a tal punto?”.
“Perché no? Dopotutto
non mi sembra che tra te e Ned sia mai corso buon sangue, per non parlare della
vicenda di Grande Inverno e di quella dello Sterminatore di re!”. Robert si era alzato in piedi, i pugno
stretti, gli occhi puntati su di lei. Era bella, era perfetta, e Robert non
poteva fare a meno di odiarla, come se fosse stata lei a voler occupare il
posto che spettava a Lyanna.
Ancora una volta
Cersei lo guardò a lungo prima di rispondere. “Farò finta di non aver sentito
le tue allusioni mio signore. È vero non mi piace Stark, ma accusarlo di
tradimento manderebbe a monte il matrimonio di Joff, se non peggio. Non
metterei mai in pericolo quelle bambine, a prescindere da quello che possa
pensare del padre”. Detto ciò, gli aveva voltato le spalle, in un turbinio
d’oro e di sera, e aveva lasciato la stanza.
“Forse non è stata
lei”. Aveva pensato alla fine. Cersei era una madre dopotutto e Sansa era
divenuta come una figlia per lei. Che Ned potesse davvero aver cospirato ai
suoi danni? O forse era qualcun altro il responsabile di quella macchinazione?
Mille domande a cui una sola persona avrebbe potuto dare una risposta: Ned.
E quella risposta l’aveva avuta: Ned, per
una qualche oscura ragione l’aveva tradito, aveva infangato l’onore di sua
moglie, aveva insultato i suoi figli!
Vendetta per il suo
bambino, era questa la spiegazione che Robert si era dato. Naerenys aveva
ucciso Bran e Ned avrebbe ucciso lei e i suoi fratelli.
Ma Ned non era uomo da
compiere simili atti; forse poteva odiare l’assassina di suo figlio al tal punto
da volerla morta, ma anche i suoi fratelli, degli innocenti bambini della
stessa età di quello che aveva perduto?
E se anche fosse, Ned
l’avrebbe fatto con le sue stesse mani, mai avrebbe messo in atto un complotto
così sordido.
Eppure lui stesso
l’aveva ammesso, giurato addirittura. Non aveva fatto che ripetere
quell’assurdità giorno dopo giorno, senza mai smentirsi.
“Devono avergli
mentito”. Era infine questa la conclusione a cui era arrivato. Qualcuno l’aveva
raggirato e Ned, provato dalla morte del figlio, non aveva potuto far altro che
credergli.
Dopotutto lui e Robert
erano come fratelli, forse Ned pensava di fargli un favore dichiarando che
l’assassina del suo Bran non era sangue del suo sangue.
Ma ormai non c’era più
tempo per i se e per i ma. Robb, il primogenito di Ned, aveva chiamato a
raccolta i vessilli di guerra e lord Tywin era già da giorni in marcia verso
Nord.
E ora un altro funesto
evento si abbattuto su di loro: Naerenys e il bastardo di Ned erano sfuggiti
alla prigionia.
Per questo Robert l’aveva
mandato a prendere; voleva offrire al suo amico di sempre un’ultima opportunità
prima del disastro.
Arrivato finalmente ai suoi appartamenti, Robert
si preparò mentalmente a un bel bagno caldo. Doveva restare sobrio e non era
certamente il caso di accogliere Ned con una rigogliosa contadinotta seduta
sulle ginocchia. Un bagno, era tutto quello che poteva concedersi.
E che gli fu negato. Fece
il suo ingresso nella stanza e vide che c’era qualcuno ad aspettarlo. Suo
fratello era in piedi accanto al tavolo, con una pergamena accartocciata tra le
dita.
«Che ci fai qui?»
esordì bruscamente Robert.
«Oh nulla, fratello
caro, ti stavo aspettando» disse Renly, la voce allegra tradita dall’agitazione.
Spiegò il pezzo di pergamena che stringeva in mano.
Robert si avvicinò,
finché non lo raggiunse. Era la lettera arrivata da Grande Inverno, nella quale
una delle tante spie di Varys annunciava l’evasione della principessa.
Robert spostò lo
sguardo sul fratello, senza capire.
«Che intendi fare?»
chiese infine Renly «So che consideri Stark un fratello, più di me e Stannis,
ma spero che tu non abbia intenzione di lasciarlo andare».
Era vero, Robert non
amava i suoi veri fratelli. In comune non avevano altro che il cognome, ma inspiegabilmente
quel ragazzino inesperto di Renly aveva compreso le sue intenzioni. Erano
davvero così evidenti?
Passarono alcuni
secondi in cui nessuno parlò. Renly aveva capito e non concordava, ma non c’erano
ragioni per mentirgli.
«Invece è proprio
quello che intendo fare».
«Ma non puoi!» sbottò
Renly «Non puoi permettere che non paghi alcun prezzo per le sue menzogne. È tradimento
il suo, l’hai forse dimenticato? Tornerà a casa, con i suoi titoli e i suoi
onori intatti? E che mi dici del figlio? Sta radunando le truppe, è tradimento
anche il suo e…»
«Ora stai dalla parte
dei Lannister?» tuonò Robert. Quello di suo fratello era lo stesso ragionamento
che aveva fatto Cersei la sera prima; così decise di dargli la medesima
risposta «Robb è un ragazzino, non appena saprà che il padre è libero rimanderà
a casa tutti quanti e farà ammenda».
«E di Stark che mi
dici?» chiese Renly «Lui non è un ragazzino, ti accontenterai delle sue scuse?
Non appena si saprà che il grande Robert Baratheon è troppo debole per punire
un tradimento simile, non ci vorrà molto perché qualche signorotto ambizioso
cominci a immaginarsi con una corona sulla testa».
Robert non ebbe
nemmeno il tempo per formulare una risposta. Renly aveva già lasciato la
stanza, senza mai voltarsi indietro.
«Vino!» sbraitò Robert
dopo qualche secondo. Ora ne aveva davvero bisogno.