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Autore: Akrois    08/06/2008    8 recensioni
- facciamo così. Quando hai paura vieni da me, okay?
- sempre?
- a qualunque ora.
- ma tuo fratello si arrabbierà.
- ti farò entrare dalla finestra, se necessario.
Forse, Aiolia era fatto così, aiutava gli altri.
Forse non c’era niente di particolare in quei gesti, forse per lui era normale.
( i forse, però, non piacevano ad Aiolia. Preferiva le certezze.)
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Leo Aiolia, Virgo Shaka
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Nannara

Nannara.

 

 

Niente di che, solo una stupida Short venutami in mente facendo uno stupido bannerino (ò.o)

Buona lettura (se potrà esserlo ò.o)

Akrois

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Quand’erano piccoli amavano le sfide stupide.

Certo, quale bambino ancora libero dai vincoli degli adulti (comportarsi bene, fare buon viso a cattivo gioco, dare sempre ragione a qualcun altro) non amava fare cose stupide?

In piedi davanti alla vecchia casa a pezzi, i bambini si facevano forza l’uno all’altro, con pacche sulle spalle (gesto standard per ogni occasione) e buffetti imbarazzati.

La sfida del giorno consisteva nell’esplorare l’antica casa coloniale, dove, si raccontava, vi fossero i fantasmi.

Erano sempre loro, i piccoli casinari a trascinare quelli notoriamente più calmi.

Ma quel giorno, all’allegra squadriglia si era aggiunto un nuovo componente, un biondino che rispondeva al nome di Shaka.

Il “ViceCapoInSeconda” e “ParecchioIncazzatoPerTaleStupidaCarica  Milo lo guardò con attenzione.

 

- e tu chi sei?

- Shaka.

- non ti ho mai visto.

- viene in classe con noi, cretino.

 

Sbottò il “Capo” che capo non lo era un gran che, ma tutti lo guardavano con rispetto e un po’ di diffidenza; il bambino si chiamava Aiolia.

 

 - se  fossi stato sveglio invece di dormire, lo avresti notato.

 

Il tono insinuatore fu notato dal “CapoDiStatoMaggiore” un piccolo siciliano che rispondeva al nome di DeathMask.

 

- ti sta insultando, sai?

- guarda che m ne sono accorto da solo!

Esclamò il piccoletto, punto sul vivo.

Purtroppo, i bambini non sanno essere particolarmente sottili con gli insulti, ma in compenso sono parecchio fantasiosi: i “figlio di una puzzola” i “vermiciattolo strisciante” “mangia colla” e i “testa di cacca” erano volati.

A metter fine all’infantile disputa fu il “MinistroDegliEsteri” un glaciale piccoletto di nome Camus.

 

- piantatela. Siete patetici.

- mi chiedevo se potevo giocare con voi.

 

Disse il biondino, osservandoli. In suo soccorso e appoggio intervenì il “SegretarioDegliAffariGenerali” un minuscolo bambinetto dai lineamenti più prossimi a quelli di una bambina che a quelli di un bambino, bhe non che il nome fosse indice di virilità o simili: rispondeva, infatti, al nome di Aphrodite.

 

- certo che puoi giocare.

 

Assentì, sorridendo.

 

- vero che può giocare?

 

Il bello d’essere… lui, era che nessuno aveva mai il coraggio di contraddirlo, vuoi per la dolcezza del volto infantile, vuoi per i pianti che metteva su se non accontentato, vuoi per quello che faceva DeathMask a chi faceva piangere il suo migliore amico, vuoi per quello che faceva Aphrodite a chi lo faceva piangere.

Si racconta di persone trasformate in concime per margheritine.

Aiolia annuì. Al biondo si presentarono i vari bambini. I già visti Camus, Milo, Aphrodite e DeathMask e un piccolo ritardatario: Shura.

 

- bene. Allora andiamo?

- aspetta, spiegami cosa dobbiamo fare.

 

Chiese Shaka, bloccandolo.

 

- bhe, è facile, no? Entri, vai alla soffitta, freghi un oggetto, aspetti che arrivino tutti gli altri, e poi te ne vai. Logico, no?

- no.

- se hai qualcosa da ridire, rimani qui.

 

Sbottò il “Capo”, osservandolo male. Shaka abbassò gli occhi, mormorando che per lui andava bene.

I piccoli si presero per mano, promettendo di rivedersi in soffitta.

Ed entrarono.

 

 

 

Non amava il buio.

( Silenzio. Troppo silenzio.)

Le scale cigolarono pericolosamente sotto il suo poco peso.

(cosa sarebbe successo, se adulto ci fosse tornato? Sarebbe di certo caduto tutto…ma dubitava di volerci tornare.)

Quegli stupidi giochi erano generalmente un’idea di Milo, atto a proporre le cose più idiote.

(lo avrebbe menato, una volta raggiunto)

Ma era stupido anche Camus che gli dava retta.

( si era rimbecillito a stargli accanto. Niente botte per lui. Doppie per Milo.)

Un rumore lo fece trasalire. Un suono soffocato, triste.

( qualcuno che piange?)

Muovendosi più silenziosamente possibile, seguì il suono.

( i fantasmi? )

No, niente fantasmi. Solo un bimbo biondo che piange nella polvere.

 

-…..!

- Shaka.

 

Il bambino non alzò la testa, tenendola nascosta tra le ginocchia, che teneva strette al petto.

 

- mi chiamo Shaka.

- ah, scusa... mi era passato di mente.

- non fa nulla.

 

( Una stanza da letto, intrisa di polvere, odore d’urina e…)

[Sangue?]

 

- che hai? Perché piangi?

 

Avrebbe potuto dargli della mammoletta. Sì, doveva farlo, dargli della mammoletta, indicarlo col dito e ridere di lui.

(Ma non lo fece)

Già, era il tipo di cose che avrebbe fatto Milo. O forse… forse nessuno.

Ma lui era Aiolia. Lui era giusto. Amava la giustizia.

( o, almeno, amava ciò che per Aiolos era la giustizia.)

 

- è morto.

- chi?

 

Il bambino indicò il letto. Una figura era coperta a metà dalle lenzuola lacere. Con uno scatto, Aiolia schizzò in quella direzione, coprendola del tutto con un gesto schifato.

 

- non guardarla.

 

Ordinò, afferrando il biondo per le spalle. Questi fece resistenza.

 

- dai, alzati!

- ho paura.

 

Sussurrò il piccoletto, piangendo.

 

- non mi si muovono le gambe.

- è un morto, non c’è nulla di cui aver paura!

 

Sibilò Aiolia, scocciato.

 

- adesso alzati, andiamo in soffitta assieme.

- non ci riesco…

 

Il biondo non era forte quanto lui.

Scocciato, si buttò a sedere di fianco a lui.

 

- hai i genitori, S…

- Shaka.

- sono una frana con i nomi.

 

Shaka quasi sorrise.

 

- ho notato.

- quindi, hai i genitori, Shaka?

- No. Tu?

- ho solo un fratello. Più grande.

 

Il biondo ci pensò su, riemergendo dalle ginocchia.

 

- è simpatico?

- molto. È un grande!

 

Di fronte alla sincera esuberanza e all’affetto senza alcun interesse del piccolo, Shaka sorrise.

( ma quel corpo morto sul letto, sembrava fissarlo. Chiedergli aiuto. Ma lui aveva paura)

Riaffondò il volto tra le ginocchia, soffocando un singhiozzo.

 

- sei proprio un mollaccione.

 

Sbottò Aiolia, afferrandolo per le spalle e costringendolo a volatori verso di lui. Lo fece sedere proprio davanti a lui, facendogli dare le spalle al defunto.

 

- adesso guarda me, okay?

 

Il biondo annuì.

 

- bene. Da dove vieni, Sh…

- Shaka…

 

Ripeté pazientemente il biondo.

 

-  se sei così schiappa con i nomi, perché ti ostini a chiamare la gente per nome?

- perché se non si dice il nome delle persone, si nega che esistono.

 

Assicurò il moretto, Aiolia.

 

- me lo ha spiegato Aiolos!

- tuo fratello?

- sì sì. Allora, da dove vieni Shaka?

- dall’india.

- wow! Da lontano! Però parli bene il greco.

- tu?

- greco di nascita!

 

Esclamò orgoglioso, battendosi una mano sul petto.

( ma Shaka continuava a piangere)

 

- e dai, piantala.

- non ci riesco…

- è solo un morto.

- è per questo che piango.

- perché è morto?

- perché si deve morire? Dio crea gli uomini per farli soffrire e morire?

- sei un po’ troppo profondo per la tua età.

- spiritoso. Stavo dicendo delle cose serie!

 

Esclamò Shaka, tirandogli un colpo su una spalla.

( era un po’ stupido, ma non faceva male. Il colpo, non Shaka)

 

- scherzo. Guarda che ci sono un mucchio di cose belle, a “stò mondo

- dimmene una.

- io, ad esempio.

 

Shaka gli tirò un altro colpetto.

 

- idiota.

- oh... e ci si comporta così con un amico?

- sei un pagliaccio, Aiolia.

- bhe, almeno non piangi più. È un traguardo.

 

Shaka si toccò il volto, le lacrime avevano smesso di scendere.

 

- vedi quanto sono bravo?

- ripeto: sei un pagliaccio.

- un pagliaccio che tu adori, dì la verità, ti ho conquistato, vero?

 

Shaka sbuffò, alzandosi.

(attento a dare la schiena a quella richiesta. “Aiutami”)

 

- andiamo in soffitta.

- sarà il caso.

 

Commentò il moretto, sogghignando.

 

- ti porto in braccio?

- per chi mi hai preso?

 

Aiolia rise, passando una mano dietro al capo di Shaka per avvicinarlo a sé. Lentamente, carezzò la nuca del biondo, tenendoselo a contatto col proprio cuore.

Il battito lento e la mano morbida del bimbo calmarono le ultime inquietudini di Shaka, che si sentì calmo e rilassato.

( e la richiesta si perse nel vento. “Stammi vicino”)

 

- facciamo così. Quando hai paura vieni da me, okay?

- sempre?

- a qualunque ora.

- ma tuo fratello si arrabbierà.

- ti farò entrare dalla finestra, se necessario.

 

Forse, Aiolia era fatto così, aiutava gli altri.

Forse non c’era niente di particolare in quei gesti, forse per lui era normale.

( i forse, però, non piacevano ad Aiolia. Preferiva le certezze.)

 

 

Una volta arrivati in soffitta, scoprirono che tutti gli altri erano lì da più o meno un’oretta.

La prova di coraggio era miseramente fallita, o almeno, questo disse il “RedattoreDelGiornale” e cioè il bimbetto che scriveva la cronaca delle attività delle piccolo gruppo (ergo: l’unico in grado di scrivere decentemente): Shura.

Nessuno era riuscito a toccare anche solo un oggetto, e i bambini erano arrivati perlopiù in lacrime, aggrappati a uno qualunque della compagnia incontrato per strada.

Shaka e Aiolia si sorrisero,stringendosi la mano.

 

 

 

A quel giorno, ne seguirono tanti.

Tante stupide prove di coraggio, tanti stupidi giochi.

( che finivano quasi sempre in dimostrazioni della scarsità di coraggio e d’inventiva dei piccoli)

Tante visite di Shaka ai Aiolia, terrorizzato da quelle richieste.

(stacci vicino. Guidaci.)

 

Visite che da “sempre” passarono ad “ogni tanto.”

Si trasformarono in “raramente” e poi in “mai

 

Shaka per partito.

Era tornato in India, a studiare in un’accademia buddista.

Quando lo seppe, Aiolia fece un gran casino, pianse, urlo, scalciò, ma Shaka non tornò.

( e non tornò neanche il giorno dopo. Né quello dopo ancora. E neanche dopo una settimana, o dopo un mese. Neanche dopo un anno. Neanche dopo dieci.)

 

Dopo quindici anni, un’Aiolia ormai venticinquenne puliva la vecchia casa che aveva occupato con il fratello.

Aveva deciso di venderla, per pagarsene una in Inghilterra, dove si sarebbe trasferito.

Inghilterra. Il luogo in cui suo fratello era morto.

Morto come un volgare ladro.

Morto per uno stupido errore delle forze dell’ordine.

( tra le dita, una foto ingrigita)

Aveva aperto quella busta per curiosità, e nelle sue mani era scivolata quella foto.

Sul retro, sbiadito ma ancora leggibile, c’era scritto un numero di telefono.

Non voglio andare via. Chiamami ti prego. Ho paura ad andare via. Voglio venire da te. Posso ancora?

La scritta era rovinata qua e là, e macchio d’umido rotonde persistevano.

(hai pianto, Shaka? Hai paura, Shaka? Non preoccuparti, ci sono io. “non ci sono più”)

Con le lacrime agli occhi, pensò ai giorni passati piangendo, odiando quell’amico che se n’era andato via senza dirgli niente.

E invece, qualcosa gli aveva detto. Due facce infantili (Un bambino allegro. Un bambino serio) lo fissavano dalla foto.

Si diresse verso il telefono.

Le mani tremavano.

Chissà chi poteva esserci dall’altro capo del telefono.

Magari viveva da un’altra parte, magari aveva cambiato numero di telefono.

Magari...

(ma Aiolia odiava i forse, e i magari erano molto simili ai forse.)

compose il numero.

Squillò.

 

- pronto?

- Shaka?

- sono io. Chi è?

- puoi venire da me. Puoi venire da m quante volte vuoi, te lo giuro.

 

Le lacrime scorrevano sulle guance, ispide della barbetta dei “due giorni dopo”.

Il silenzio accompagnò quella frase.

Dal telefono, si sentirono singhiozzi soffocati.

 

- sei un piagnucolone.

- sei tu che mi fai piangere, idiota.

- dai Shaka…

- inoltre, te lo sei ricordato.

- cosa?

- il mio nome. Ora te lo ricordi?

- e chi se lo scorda più.

 

Rise.

( Ridevano assieme.

 Due bambini vicini, due adulti lontani.

Ma il loro cuore era ancora lì, in quella città greca. In quella stanza ingombra di oggetti infantili.

Tra le mani di Aiolia. Tra le mani di Shaka. Tra le loro mani strette assieme, quando tuonava.)

 

 

Nell’aeroporto di Londra, notarlo fu facilissimo.

Dovette trattenersi dal buttarsi tra le sue braccia.

Oh, ma chi se ne fregava.

 

- ci guardano tutti!

- e tanto chi ci consoce!

 

(Amici. Per sempre. Oppure non lo erano mai stati? Magari, c’era anche dell’altro.

Chissà…)

 

 

 

 

 

 

The End…?

 

 

 

________________________________________________________________________________

 

okay, è stupido.

Molto stupido.

Okay, diciamo anche che è un cesso (ù-ù) ma l’avevo in mente, e dovevo scriverlo (è stato un po’ lo stesso funzionamento di “Dasvidania” solo che quella è venuta meglio XD)

Non riuscivo proprio a finirla O_O fosse per me avrei scritto altre dieci pagine XD ma volevo finirla in fretta, visto che è tardi e ho sonno O*O

Nannara non vuol dire nulla XD è solo che quel drogato di Kyo (Dir En Grey) in una delle mie canzoni preferite ripete una canzone che suona così \OWO/ quindi, l’ho usata come titolo.

Mii, che motivo filosoficamente importante….=/ \= <- faccina marmottesca.

Bene. Arrivederci a tutti!*_*7

 

Note in flash: in realtà la parola no n è una parola, è solo “rarara” XD ma mi paice, quindi niente lagne è_é/

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