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Autore: DWHO    26/01/2014    3 recensioni
Non si conosce il significato dei sogni né l'utilità, ma Leon e Violetta hanno imparato che il confine tra sogno e realtà è quasi inesistente. O almeno per loro...
Prima storia che pubblico sul fandom, spero vi piaccia!
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Leon, Violetta
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Isotta e Tancredi
Correva. Correva la bella fanciulla, sentendo il suono delle campane rimbombarle in testa. E aveva paura, paura che quel presentimento si avverasse. E fermava la gente e chiedeva di lui ma tutta la sua speranza fu soppressa da un vecchietto che le diede la brutta notizia. Rimase ferma, impietrita, cercando di dare un senso alle parole dell’anziano. Correva. Correva la bella fanciulla, colta all’improvviso da un dolore atroce. Avrebbe tanto voluto nascondersi, fuggire da quell’agonia che la stava dominando in quel momento. Ma niente avrebbe potuto aiutarla se non lui, lui che ora non c’era più. E pensare che aveva riposto tanta speranza in quei minuti che la stavano conducendo verso la terra di lui. E ora cosa le restava se non lacrime da versare, se non ricordi da rivivere, lasciandosi lentamente consumare dal tempo? Tempo. Quello che aveva mandato in rovina il suo amore, quello che l’aveva ingannata, illudendola che un giorno loro due avrebbero potuto vivere in pace, alimentandosi dell’amore che l’uno nutriva nei confronti dell’altra. E malediva anche quel tempo che l’aveva portata a innamorarsi di lui e quel filtro, che forse, aveva accentuato i loro sentimenti, facendo si che potesse stringerli in un legame indistruttibile. Indistruttibile fino a qualche secondo fa, quando aveva ricevuto la notizia. Urtava la gente, che si fermava a guardarla tanta era la sua bellezza, ma a lei non importava. Sarebbe anche potuta andare contro un masso senza accorgersene, arrivò al palazzo dove il pianto era più alto, tanto da farla star male ancor di più. Aprì una porta e lo vide: vide la forma del corpo sotto il lenzuolo. Non serviva scoprirlo, sapeva perfettamente a chi era appartenuto, di chi era l’anima che l’aveva abitato, che aveva catturato la sua di anima senza permesso, e che ora la lasciava soccombere alla disperazione. Avrebbe pagato oro per riportarlo in vita anche solo per pochi minuti, quel tanto per dirgli che lei lo amava, che era sempre stata sua e di nessun’ altro, anche se era ritornata nelle braccia dello zio di lui. Era morta dentro quando ritornò da quell’uomo, solo per i sensi di colpa che la perseguitavano, abbandonandolo. Ma non c’era giorno che non sentisse la sua mancanza. Poi quando quel suo amico era venuto fin da lei per dirle che ormai per lui era rimasto poco tempo, si era precipitata verso la Bretagna ma aveva fatto tardi e lui se n’era andato, sperava solo che non avesse mai dubitato dell’amore che provava. Ma cosa importava adesso, le sue passate speranze, il suo amore, la sua vita! Si lasciò cadere, inginocchiandosi verso l’oriente, pregando Dio per lui, per loro che potessero almeno ricongiungersi nella morte. E, dette le ultime parole, scoprì l’amato e con gran grazia, congiunse le loro labbra e si distese sul suo corpo. E con la consapevolezza di stare insieme finalmente, chiuse gli occhi e… 
 
La insegue, non sapendo chi sia in realtà. Vuole provare in uno scontro il suo valore. Galoppa verso la donna, fino a far si che lei possa sentire le sue armi e girarsi domandando: “O tu, che corri così, che cosa porti?”. Lui per tutta risposta dice: “Guerra e morte”. E scende da cavallo, volendo equivalere il loro scontro, impugnano le spade e si caricano d’odio per poi sferrare il primo colpo. Continuano a combattere. Qualche volta lui riesce a stringerla a sé per disarmarla e colpirla, ma lei si libera e riprende il combattimento. Si fermano i due cavalieri, pieni di ferite sanguinanti. E pensa, vedendo il nemico messo peggio di lui, già al sapore della vittoria e della sua sconfitta amara. Ma, nel silenzio del momento, vuole sapere che farà vinto o vincitore. Lei risponde che non avrebbe cambiato niente sapere il nome del proprio nemico, che doveva solo immaginare davanti a sé la persona che ave incendiato la loro macchina da guerra. Così il giovane, irritato da quelle parole, sguaina la spada e riprende il combattimento, intorno il silenzio, nelle loro orecchie il ferro che si scontra. Ed ecco il momento per il ragazzo di metter fine alla battaglia e di proclamarsi vincitore. Con una mossa veloce affonda la spada nel petto della giovane, dritto al cuore. E ride, e sente la felicità prendere piano possesso del suo corpo. Ha ucciso il nemico, che grande vittoria! E minacciandola, la fa cadere sul terreno macchiato di sangue. Poi sente un flebile lamento e le parole della ragazza che lo perdona e a sua volta chiede di essere perdonata e battezzata. Pensa all’inizio che sia una richiesta assurda per una come lei, ma chi è lui per negare l’ultimo desiderio di un uomo? Si avvicina piano e con grazia, cosa persa durante la battaglia, le sfila l’elmo. Non una parola, non un suono. Tutto dentro di lui è fermo. “Che scherzo mi sta facendo il Signore?” si chiede. La ragazza amata ora si trova morente ai suoi piedi e tutto per colpa sua e del suo irrimediabile orgoglio. Per quanto il dolore cresca man mano, si fa coraggio e prende l’elmo di lei per portarlo ad un fiume lì vicino e riempirlo d’acqua. Si riavvicina a lei e la battezza. Lei sussurra le ultime sue parole per poi chiudere gli occhi e morire. E dentro lui un dolore inspiegabile, inimmaginabile. Tante domande dentro di lui, ma non gliene importa. L’unica cosa certa è che aveva ucciso la donna tanto desiderata con la sua stessa mano, gioendone perfino. E cosa resta ora in quel luogo, se non un corpo vuoto e un cuore trafitto? Così prende la bella fanciulla e cammina fino a che…
 
Violetta e Leon si svegliarono di soprassalto, sudati e con il cuore che batteva forte. Che senso avevano avuto quei sogni? Nessuno dei due lo sapeva, ma forse meglio così, meglio non ricominciare a riflettere più sulla loro relazione. Cercarono di riprendere sonno, ma sarebbe stato più facile rimanere vivi lanciandosi dal sesto piano di un palazzo! Così si alzarono, benché fossero le sei di mattina e decisero di uscire di casa, con una meta imprecisa. Mentre camminava, Violetta riviveva lentamente tutte le immagini di quel sogno. Sapeva bene quale era la storia. L’aveva letto il pomeriggio prima con Angie. Che si fosse trattato solo del suo inconscio o qualcosa di più grande la stava avvertendo di qualcosa? Non lo sapeva, ma più ci pensava più domande nascevano dentro di lei. Che forse il sogno la volesse avvertire che stava perdendo pian piano Leon? Che se non avesse agito subito l’avrebbe perso per sempre? Anche se domande importanti, che si meritavano degne risposte, non poteva fare a meno che cercare di sopprimerle, perché ormai nessuno dei due era disposto a lottare. Lei stava con Diego già da qualche mese, mentre lui con Lara da prima della sua affermata relazione con lo spagnolo. E allora, se sapeva che la loro relazione si andava sgretolando, perché continuava a sognarlo e a pensarlo? Solo una cosa sapeva: era ancora innamorata di Leon per quanto si sforzasse di negarlo agli altri.                                                                                                                                                                                             Leon non era meno pensieroso. Aveva deciso all’ultimo momento che sarebbe andato alla pista di motocross per rimuovere quel sogno dalla sua testa. Non voleva più avere niente a che fare con Violetta, se  non rapporti come compagni di scuola. E allora perché ogni volta che la vedeva regalare uno dei suoi magnifici sorrisi a Diego sentiva un doloroso nodo allo stomaco? Si ricordava perfettamente di quando quei sorrisi erano rivolti a lui, di come i suoi occhi brillavano nel donarglieli e di come avrebbe voluto baciarli nell’istante successivo che si spegnevano, come per farli rimanere un po’di più… scosse il capo e si riprese da quei pensieri, troppo fantasiosi per i suoi gusti. Ora stava con Lara e doveva pensare solo ai suoi sorrisi. Ma come fare se non aveva ai sesso di amare la ragazza che gli aveva procurato così tanto dolore? O era stato lui a darlo a lei? Argomento azzeccatissimo con il tema del suo sogno. Si ricordava di averlo letto una volta, per casualità, su internet, e di come ne era rimasto affascinato nel rivivere la storia dei due sfortunati amanti, se così si potevano definire. “Ma perché?” si chiedeva. Insomma, che fosse la dimostrazione, la prova che lui stava facendo del male a Violetta, che le stava “uccidendo” il cuore? Non lo sapeva, ma poco importava. Ormai era arrivato alla pista.
Si diresse verso gli spogliatoi per cambiarsi, per poi infilarsi il casco e portare la moto sul terreno sferrato e cominciare a correre. Non sapeva dove andava tanto era assorta dai suoi pensieri. Sapeva solo di essere andata molto lontano, di aver camminato strade che non conosceva. E ora come tornava indietro? Si fermò, cercando di mantenere la calma, quando sentì il rombo di un motore. Alzò la testa e volse lo sguardo verso destra, vedendo, più in là del recinto che delimitava quel posto, una persona che correva su una moto. Si irrigidì quando capì chi era quella persona. Non poteva essere lui! Eppure la pista era proprio quella! E anche la moto! Si incantò a guardarlo mentre spingeva sull’acceleratore. Non riusciva a vedere il suo volto ma non importava, anche perché, se non fosse stato lui, la sua dolce illusione sarebbe sfumata. Mentre Leon ripercorreva per la terza volta il giro del percorso, lei non riusciva a pensare che sarebbe potuto cadere dalla moto. Negli ultimi mesi, da quando non stavano più insieme e non poteva più chiamarlo dopo ogni allenamento, si ritrovava a fare, ogni pomeriggio, su e giù per la sua stanza in preda all’ansia, cercando di non immaginare scene brutali che riguardassero Leon. Si, non le era mai piaciuta la sua passione per il motocross, a cerca di non darlo a vedere. Sapeva anche che andava a correre quando non veniva a scuola. E sapeva anche perché preferiva stare lì piuttosto che allo Studio. Allo Studio c’era lei, la persona che, forse in quel momento, odiava di più al mondo. Si sentì male al pensiero di aver perso l’amore di Leon, al pensiero che quelle labbra non le avrebbero mai più regalato sorrisi ma solo grugni e parole taglienti. Ma doveva accettarlo, non sarebbe mai riuscita a cambiare i sentimenti di Leon, i questo ne era certa. Ma poteva almeno cambiare i suoi, cercando di sopprimere quell’amore che tanto le doleva l’anima. Ma come fare? Era impossibile. Amava Leon e questo non sarebbe mai cambiato. Non doveva arrendersi, anzi doveva lottare fino alla fine. Non poteva perderlo come nel sogno. No, questa volta non sarebbe arrivata tardi. Così, i preda a quelle convinzioni, scavalcò il recinto e si posizionò al centro di un pezzo di pista, dove da poco era passato Leon.
Aveva appena iniziato il quarto giro e doveva ammettere che si sentiva un pochino tirato su di morale. Almeno adesso quegli occhi castani non erano lì a perforargli l’anima. E non ci sarebbero più stati. A era veramente ciò che voleva? Infondo lui aveva amato quegli occhi. Li amava ancora a dire il vero. Però, forse, pensò che non sempre le cose vanno come vogliamo noi e che ci dobbiamo accontentare, ed era quel che stava facendo lui. Ma gli bastava? Troppe domande in una sola testa, che sentiva scoppiargli. Perché non poteva semplicemente dimenticare? Perché nessuno lo aiutava dandogli una botta in testa e facendo sparire quei ricordi, che a dir la verità era solo uno e si chiamava Violetta? Altre domande. Basta. Ritornò su ciò che stava facendo. Bene, stava per finire il quarto giro. Girò a sinistra e vide in lontananza un segmento colorato. Che cos’era? O meglio, chi era? Non frenò, anzi, accelerò incuriosito da quella linea che piano stava prendendo forma. Affermò che si trattasse di una persona, ma chi? Accelerò sempre di più e la vide. Era Violetta. Ma cosa ci faceva lì? Perché? Come l’aveva trovato? Tutte queste domande e la sua presenza lo mandarono in confusione, tanto da non riuscire più a fermarsi.                            “Perché non si ferma” pensò Violetta. Che si fosse sbagliata? Che la odiasse così tanto da volerla vedere morta? “Ma che vado a pensare?” si chiese. Impaurita e irrigidita dalla situazione non si mosse ma chiuse gli occhi, pronta all’impatto.
 Ma cosa stava facendo? Si doveva fermare! Improvvisamente gli tornò alla mente il suo sogno, alla sua spada che la uccideva lentamente e al suo corpo senza vita. Questa volta però si sarebbe fermato in tempo. Questa volta non l’avrebbe persa. Ricollegò tutti i fili del suo cervello e frenò a pochi centimetri da Violetta. Con il cuore che gli batteva a mille scese dalla moto e buttò a terra il casco.                                                                                                 Perché non aveva sentito niente? Che fosse morta sul colpo? Aprì lentamente gli occhi ancora tutta tremante, ma l’unica cosa che vide fu Leon con uno sguardo impaurito e scioccato che la guardava senza dire niente. Anche lei non era da meno. Si guardarono nel silenzio del luogo per qualche secondo, poi percorsero i pochi centimetri che li separavano e si abbracciarono. Leon la teneva stretta a lui, mentre lei rafforzava secondo dopo secondo la stretta al suo collo. Restarono così per molto, quel tanto per comprendere meglio ciò che era successo. Per farla smettere di tremare. Per far rallentare il suo cuore. Una volta compresa la situazione, Violetta cominciò a piangere. Lui sentiva ogni suo singhiozzo e moriva ogni volta. Era orribile vederla o sentirla piangere. “Shh, è tutto finito, tranquilla” disse, cercando di farla smettere di piangere. Lei si riprese un po’ e lui domandò: “Che ci fai qui?”. Lei lo guardò, cercando di trovare una risposta sensata per il suo gesto “Non volevo perderti”. Lui sgranò gli occhi al suono di quelle parole “Che intendi dire?”. “Che ti amo”. Poi senza pensarci su, si avvicinò lentamente a lui. Voleva vedere se si sarebbe tirato indietro. Leon rimase fermo, un po’ per le parole della ragazza, un po’ perché voleva quel bacio. “Non dovremmo, e lo sai” sussurrò lui. “E allora perché non ti scansi?” lo stuzzicò lei. Lui sorrise e passò a guardare le sue labbra, che di lì a qualche secondo avrebbero toccato le sue “Perché anche io ti amo”. Poche parole prima di poggiare dolcemente le labbra sulle sue. Poco dopo schiusero le labbra per rendere il bacio più appassionato. E ne erano certi: se l’aria non fosse stata di vitale importanza, non si sarebbero più separati. Ma l’aria è fattore di vita come l’uno lo è per l’altra. Si guardarono negli occhi per poi far nascere sui loro volti due splendidi sorrisi. “ Se per fare pace dobbiamo rischiare la morte sarà meglio non separarci più!” scherzò lui. “E’una proposta?” chiese la ragazza. “No, è un’affermazione” sorrise, prima di riprendere a baciarla. Si, si sentivano di nuovo vivi grazie a un sogno.
 
 
 
 
Nota DWHO:
 Salve a tutti voi sconosciuti XD! E’ la mia prima storia su EFP e spero vivamente che vi piaccia, anche perché l’avrò rivisitata cento volte ;)! Si, i protagonisti sono Leon e Violetta. Mi dispiace, ma li adoro insieme. Giustamente starete pensando “ecco un’altra che rompe con i Leonetta!” si lo so, e mi scuso in anticipo, anche perché ho parecchie storie ancora su loro due (sempre che riuscirò a scriverle tutte!). Comunque passando alla storia, le mie parti preferite sono i sogni e il finale, ma a voi poco interessa, quindi, perché l’ho scritto? Devo dire che sono un’appassionata di epica e/o letteratura e visto che ogni volta che leggevo questo due storie mi veniva sempre in mento loro due (fosse solo per le storie!), ho deciso di fare in modo che si intrecciassero tra loro ed è uscito fuori questo, che sicuramente non è niente di che, però a e piace. Spero solo di non aver fatto una pappardella nello svolgimento. Spero che la leggiate e di poter sentire le vostre idee al riguardo (uno dei due motivi per cui mi sono iscritta qui). Mi scuso se ci sono errori. Ciao. 
 P.s. ringrazio sweet_trilly per avermi aiutato a pubblicare questa storia. Grazie ancora!  
P.p.s. il secondo sogno è scritto al presente lo so, ma mi piaceva più così.
  
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