Anime & Manga > Full Metal Alchemist
Segui la storia  |       
Autore: Laylath    01/02/2014    2 recensioni
Eppure a guardare più da vicino i ragazzi di quella realtà, ci si sarebbe accorti che le loro esistenze non erano così scontate: i piccoli grandi problemi dell’infanzia e dell’adolescenza a volte andavano ad intrecciarsi con situazioni difficili, dove spesso il legame con un amico fidato era la cosa migliore per poter andare avanti.
E spesso le persone più impensabili stringevano un forte legame tra di loro per uno strano susseguirsi di eventi, all’apparenza così normali… anche se poi viverli era tutt’altra cosa.
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Team Mustang
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Un anno per crescere'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo 17. Promesse.

 

Erano passati circa dieci giorni da quell’episodio e le vite dei ragazzi avevano ripreso a scorrere in relativa tranquillità. Henry era rientrato a scuola ed in casa Breda sembrava che nessuno volesse più accennare a quanto era successo quella tragica mattinata: persino Gregor aveva dimostrato un briciolo di buon senso e non aveva più lanciato maligni sottintesi contro il figlio maggiore.
Heymans ci rifletteva proprio in quel momento mentre, come sempre, attendeva i due fratelli Havoc al bivio. Si levò le mani dalle tasche del cappotto e ci soffiò sopra per riscaldarle: novembre non era ancora a metà eppure il freddo era diventato davvero pungente, specie di prima mattina quando ancora il sole non riusciva a riscaldare l’aria.
Molto probabile che quest’anno nevichi con una certa abbondanza…
Neve… l’idea non gli dispiaceva affatto. A volte la scuola chiudeva, ma quello era una conseguenza che rendeva maggiormente felice Jean… però voleva dire anche battaglie con le palle di neve, slittino e un’atmosfera tutta magica che la campagna ed i boschetti andavano ad assumere.
E poi, ogni volta che andava a casa del suo amico, la signora Havoc preparava sempre la cioccolata calda.
Oh sì, e ci mette anche il bastoncino di cannella…
Quasi evocati da quel pensiero riguardante la loro madre, i due fratelli fecero la loro comparsa nel sentiero.
Jean era sempre il solito con il suo cappotto marrone ed un berretto azzurro a coprire in parte la capigliatura bionda, ma Janet faceva davvero ridere perché sembrava una caramella con il suo cappotto rosa e la sciarpa che la imbacuccavano fino al nasino.
“Troppo difficile correre con questo ingombro, vero Janet?” ridacchiò il rosso, quando la bambina si aggrappò a lui, rischiando quasi di cadere per ovvie questioni di bilanciamento.
“Ah, oggi è offesa – spiegò Jean con un sospiro – mamma e papà ieri l’hanno sgridata e le ha anche prese e dunque sta tenendo il broncio.”
“Le ha prese lei e non tu? – chiese Heymans con sincera sorpresa – Che è questa novità? Oh no, dai Janet, che sono adesso questi lacrimoni?”
“Ancora? E diamine, stupidina, te l’ho detto già dieci volte da quando siamo usciti! Vedrai che come torniamo a casa mamma e papà non saranno più arrabbiati… e con me allora che avrebbero dovuto fare? Cacciarmi di casa direttamente?”
“Ma sì, piccoletta, – Heymans la prese in braccio e subito lei si appallottolò contro la sua spalla –  vedrai che sicuramente ti hanno già perdonato. Ma che hai combinato?”
“Voleva giocare alla piccola scalatrice nel magazzino dell’emporio e non so che cosa tutto abbia fatto cadere, compresa se stessa, mi sa.”
“E’ proprio tua sorella, eh?” rise il rosso, ricordando che anche Jean era solito fare simili bravate.
“Ma infatti io mica le ho detto qualcosa: giusto le posso rimproverare il fatto di aver scelto degli appigli sbagliati. Io alla fine arrivavo in cima alle pile di cassette senza problemi… ma è anche vero che lei è alle prime armi. Ci sono ampi margini di miglioramento, sempre che la smetta di offendersi ogni volta che viene sgridata o messa in punizione.”
“Bell’esempio, complimenti: invece di farle capire che ha sbagliato la incoraggi.”
“Dai, dammela: in questo momento ha bisogno di solidarietà da parte di chi ha provato decine e decine di volte quelle scalate… forza nana, vieni, ti porto in braccio fino a scuola, sei contenta?”
“Mutismo totale…” commentò il rosso passando la bambina all’amico.
“Come direbbe Vato, è questione di antr… artonpo… quella cosa lì, no?”
“Antropologia? Forse… a proposito di lui: lo sai che qualche giorno fa è andato da Roy? Ero fuori per una commissione e li ho visti beatamente assieme.”
“Allora sono amici: – commentò con aria pensosa Jean, per nulla disturbato dal camminare con l’ingombro della sorella addosso – quello che abbiamo visto a scuola negli ultimi giorni è vero.”
“Già… non ti sembra una strana manovra di accerchiamento?”
“Dici che sta passando tramite Vato per arrivare a noi? Non vedo alcun legame in merito… nel caso ci azzecca maggiormente il fatto che io sia amico di Riza.”
“Lei non ti ha detto nulla?”
“No, ma non è che ci parliamo molto: nell’intervallo stiamo sempre per conto nostro. E guai ad avvicinarla se è con quella sua amica!”
“Chi, Rebecca?”
“Già: quella è proprio una tipica ragazza! Scontrosa e imprevedibile: almeno Riza se la prendeva solo se davo fastidio al nanetto, ma per il resto è tranquillissima. E comunque, per tornare al discorso principale, dubito che si farebbe coinvolgere da Roy in un gioco di questo tipo: è contraria a simili cose per principio. E non posso darle che ragione.”
“Mi trovi perfettamente d’accordo…ehi, signorina, fatti tornare il sorriso: c’è Kain e sicuramente se ti vede col broncio si intristisce.”
“Non sorride al suo fidanzatino e lo farà per il nano?” chiese Jean, mettendo tuttavia la sorellina a terra e dandole una lieve spinta verso il bambino che stava spuntando da un sentiero pochi metri davanti a loro.
“Ciao!” sorrise Kain, aspettando che lo raggiungessero.
“Ehilà, Kain, – salutò Heymans – come andiamo oggi?”
“Bene, grazie. Ciao Janet, uh, ma che hai?” chiese, vedendo che la bambina andava ad impattare contro di lui e non spiaccicava parola.
“Oggi è giù di morale… chissà, magari riesci a farla sorridere un po’.” propose Jean, volendo mettere alla prova quando aveva detto Heymans.
Il bambino rimase a riflettere per qualche secondo e poi si mise a frugare nella propria tracolla. Sotto gli occhi incuriositi dei due ragazzi più grandi, tirò fuori una cordicella rossa ed un sassolino bianco dai contorni arrotondati: con una destrezza incredibile avvolse la prima intorno al secondo con il risultato che la pietra sembrava incastonata. Infine fece cenno alla bambina di porgerle il polso le legò quell’improvvisata opera.
“Ti piace come braccialetto?” chiese.
“E’ per me davvero? – chiese estasiata Janet che aveva seguito con silenziosa meraviglia la creazione di quel piccolo gioiello – Posso tenerlo?”
“Ma certo! L’ho fatto per te, no?”
“Grazie!” esclamò saltandogli addosso e abbracciandolo.
“Visto? Il ragazzino ci sa fare con le bambine.” sghignazzò Heymans, dando una gomitata all’amico.
“Attento che ti frega la fidanzata.” gli rispose a tono Jean.
Non provava più alcun fastidio nel vedere che Kain faceva amicizia con la sua sorellina.
Alla fine il processo che si erano augurati Heymans e Riza era giunto a termine in quanto il ragazzone biondo aveva accettato la presenza del bambino. Sicuramente molto dipendeva dal fatto che, nelle ultime settimane, Kain aveva acquisito maggiore sicurezza in se stesso, date le svariate amicizie che aveva stretto, e aveva abbandonato la perenne aria timorosa che tanto infastidiva Jean.
Ma Heymans era sicuro che una notevole spinta in avanti era stata data dall’amicizia tra il suo amico e Riza: per quanto avesse dichiarato che gli scherzi nei confronti del bambino sarebbero continuati, in realtà Jean aveva finalmente dichiarato la fine di quell’ostilità.
E la tranquillità con cui Kain si comportava anche il sua presenza, confermava ampiamente il cambiamento.
“Bel botto, nano – commentò ancora il biondo andando avanti e dandogli uno scappellotto amichevole sulla testa – mi hai fatto davvero un favore. Quando è col broncio è insopportabile.”
 
C’era una persona che stava osservando quella scena da poco distante.
Roy si passò una mano tra i capelli neri, riflettendo su come gli intrecci di amicizie che si stavano venendo a creare fossero davvero strani. Era come se ciascuno di loro scegliesse deliberatamente di non stringere il rapporto con alcuni a favore di altri, senza per questo intaccare i precedenti legami.
Sicuramente era una situazione complessa e la cosa da una parte lo irritava, ma dall’altra lo stimolava. L’amicizia era una cosa completamente diversa dalla leadership di un gruppo e purtroppo lui aveva fatto un grosso errore iniziale a cui ora era difficile porre rimedio. Aveva fatto i conti con se stesso ed aveva capito che, effettivamente, quello che cercava in Heymans ed Jean non era tanto un gruppo da comandare quanto l’amicizia di due ragazzi che riteneva degni… il fatto di essere molto selettivo era una caratteristica che era il primo a riconoscere.
Ed era anche molto orgoglioso e questo era un altro dato di fatto che gli creava seri problemi: Riza gli aveva raccontato delle motivazioni di Jean sul proporsi come capo al posto suo e lui non aveva potuto fare altro che ammettere la loro validità.
Certo… che motivo avrebbero di accettarmi come capo se non sanno nulla di me?
In genere una volta che si riconosce il problema si cerca la soluzione, ma in questo caso Roy non la trovava o, per meglio dire, non aveva ancora voglia di piegare il proprio orgoglio e fare il primo passo in avanti.
“Roy, che hai?” gli chiese Vato, arrivando affianco a lui.
“Riflettevo.”
“Su cosa?”
“Sul fatto che Kain è l’unico che abbia stretto legami con tutti noi, nessuno escluso.”
Vato assunse la solita aria riflessiva e poi annuì.
“Forse perché non ha mai avuto amici e dunque non si pone determinati problemi come invece fai tu.”
“Un po’ lo invidio.”
“Siamo tutti diversi, Roy – ammise il ragazzo dalla chioma bicolore – e ciascuno di noi ha i propri tempi. Piuttosto, cambiamo argomento: volevo chiederti se oggi ti va di venire a casa mia.”
“A casa tua?” chiese il moro, girandosi di sorpresa. L’ultima volta che era stato a casa di qualcuno era stato più di tre anni fa.
“Sì: così conosci anche i miei genitori… ieri mentre aiutavo mia madre a rimettere a posto il ripostiglio ho trovato alcuni giochi di strategia di mio padre, tra cui il Risiko. Mi chiedevo se ti andava di provarli: mio padre è a casa questo pomeriggio e ci può spiegare bene come funzionano.”
“Forte, mi piace come idea. Verrà anche Elisa?”
“No, ha da fare: stanno iniziando i preparativi per la festa del primo dicembre e la sua famiglia fa parte del comitato organizzativo.”
“Ah, quella al grande capannone?”
“Già, pensi di andarci?”
“Non lo so ancora, non è che partecipi a queste cose.”
“Oh, dai. Ci va praticamente tutto il paese.”
“Ci penserò, promesso. Allora, stasera a che ora vengo da te?”
“Alle tre andrà benissimo.”
“Mi devo preoccupare per l’incontro con i tuoi?” chiese Roy con un lieve sogghigno.
“Perché?”
“Perché quando hai conosciuto mia zia, la settimana scorsa, ancora un po’ e svenivi.”
“E’ entrata di sorpresa in camera tua! – protestò il ragazzo che, effettivamente, era rimasto leggermente traumatizzato nel vedere quel donnone apparire all’improvviso – E in quel momento ero concentrato sulla mossa da fare.”
“Mia zia ti ha ribattezzato fiocco di neve… ogni volta che ci penso muoio dal ridere!”
“Fiocco di neve… ma che è questa storia? Si è messa in combutta con mia madre?”
“Ah, anche lei ti chiama così?”
“Non più, per fortuna, – arrossì lui – e ti prego di non dirle niente, altrimenti sarebbe capace di riprendere quel nomignolo e rendermi la vita impossibile.”
“Pensa se lo venisse a sapere Elisa…”
“Appunto. E’ una cosa che non deve succedere.”
“Terrò la bocca chiusa, te lo prometto.”
 
Quel pomeriggio, nonostante fosse difficile ammetterlo, Roy era abbastanza teso nel trovarsi davanti alla casa di Vato. Non era molto abituato a trattare con dei genitori e aveva leggermente paura che fossero prevenuti nei suoi confronti, per via del locale di sua zia: in genere la cosa non gli importava, ma se fosse successo con i parenti di qualche suo amico ne sarebbe rimasto profondamente dispiaciuto.
Busso alla porta e attese, sfregandosi le mani tra di loro per via del freddo che faceva e domandandosi se fosse il caso di dire anche il suo cognome quando si fosse presentato.
Fortunatamente ad aprirgli venne lo stesso Vato e dunque non ci fu quell’imbarazzante decisione da prendere: ci avrebbe pensato lui a presentarlo.
“Ciao, Roy, entra dentro che si gela.”
“Si è messo un vento davvero pungente.” ammise il moro, entrando con piacere nella casa calda e accogliente. Mentre si levava il cappotto e lo dava al suo amico, si guardò attorno: era abbastanza strano per lui trovarsi in una casa normale, essendo abituato al locale di sua zia dove gli ambienti erano ben separati tra di loro e non c’erano veri e propri spazi in comune. L’idea di soggiorno, per esempio, gli era davvero estranea, ne aveva solo un vago ricordo quando era piccolo e stava ancora a Central City… ma era un luogo riservato ai grandi e non a lui.
“Mamma, papà, questo è Roy.” disse nel frattempo Vato, distogliendolo dalle sue riflessioni.
Si girò per incontrare i genitori del suo amico e fu con sollievo che vide che nessuno di loro due lo guardava con ostilità: se doveva essere sincero, Vincent Falman lo conosceva perché qualche volta andava al locale di sua zia, ma lo faceva sempre di mattina e certo non per usufruire di determinati servizi. Come capo della polizia, semplicemente, sapeva che le persone che potevano provocare guai in genere frequentavano il locale e lui e sua zia spesso collaboravano per mantenere la tranquillità e prevenire disturbi.
“Ci si presenta, finalmente: – salutò l’uomo, stringendogli la mano in una presa salda – ti ho sempre visto di sfuggita al locale di tua zia.”
“E’ un piacere, capitano Falman.” rispose lui, mantenendo il suo atteggiamento da adulto.
“Lei invece è mia madre…” disse Vato.
I pochi ricordi che Roy aveva di sua madre erano principalmente legati alle poche foto del matrimonio tra lei e suo padre. Per il resto era abituato a sua zia e alle altre ragazze del locale che, di certo, non si vestivano in modo casalingo. Per cui, vedere quella signora così tranquilla in quel semplice e caldo abito verde chiaro, con il grembiule legato in vita, fu abbastanza strano. Ma non perché non sapesse che la maggior parte delle madri fosse così, semplicemente non era abituato ad averci a che fare.
“Signora, la ringrazio per avermi permesso di venire a casa sua.”
“Figurati, Roy, mi fa piacere vedere che Vato finalmente stringe delle amicizie. Siediti pure al tavolo: io torno in cucina… vi sto preparando qualcosa per merenda. Ti piace la torta margherita?”
“Sì, ma non si deve disturbare, davvero…”
“Oh, tranquillo, è un piacere: tra un’oretta sarà pronta assieme alla cioccolata calda.”
“Grazie…” mormorò.
“Tua zia sta bene come sempre?”chiese Vincent mentre si sedevano e Vato metteva in tavola la scatola del Risiko.
“Certo, signore.” annuì Roy.
“Per lei dev’essere una novità vederti portare a casa degli amici, eh?”
“Effettivamente, – ammise, accorgendosi di non aver mai pensato a questo aspetto – però credo che lo trovi divertente. Di certo Vato le è piaciuto molto.”
“Mi ha detto che devo mettere su almeno una decina di chili…” commentò il ragazzo, con aria offesa, tirando fuori le pedine dalla scatola.
Vincent scoppiò a ridere, arruffando i capelli del figlio.
“Beh, Madame è una che non ha peli sulla lingua: dice sempre quello che pensa. Forza, adesso pensiamo a vedere questo gioco: facciamo un breve ripasso delle regole e poi un giro di prova, va bene?”
 
Roy aveva sempre ritenuto di essere un tipo adatto alla solitudine, specie nelle sere fredde quando uscire non era proprio consigliato. Aveva imparato a starsene nella sua camera a fantasticare sul mondo che stava oltre quel piccolo paese, immaginandosi luoghi fantastici e misteriosi che gli sarebbe piaciuto vedere. A volte prendeva uno dei grandi volumi di suo padre, dove c’erano grandi mappe di Amestris, e con la mente disegnava un sacco di itinerari per tutti i viaggi che avrebbe voluto fare.
Quasi sempre il suo pensiero era di andare a Central City, fulcro del paese, dove avrebbe potuto diventare qualcuno, magari entrando nell’esercito… come suo padre.
Insomma, si era assolutamente convinto che quell’isolamento era solo conseguenza del fatto che lui non era adatto a stare in una realtà così limitata.
Eppure…
Perché si sentiva così bene a stare seduto accanto al caminetto assieme a Vato mentre Vincent, inginocchiato accanto a loro, mostrava un libro dove erano rappresentati i vari gradi dell’esercito e della polizia di Amestris? Perché il sapore della cioccolata che aveva bevuto da poco si combinava in modo così speciale con quello della torta margherita?
Osservando Vato indicare con un dito affusolato una particolare decorazione e vedendo che suo padre gli rispondeva, arruffandogli i capelli, si sentì improvvisamente spaesato. Perché quei gesti venivano così naturali tra padre e figlio?
Per lui era stato così diverso… forse sua madre si sarebbe soffermata di più a dargli attenzioni, ma era morta troppo presto perché lui se ne ricordasse.
E mio padre… beh, se lo vedevo ogni due settimane era tanto. E non è che mi desse molte attenzioni.
“Mio padre era tenente colonnello a Central City…” mormorò, indicando quel grado sul libro.
“Davvero? Forte! – commentò Vato, fissando estasiato la decorazione – Qui membri dell’esercito non se ne vedono quasi mai e di certo non dei gradi così alti.”
“L’ultima volta che sono venuti dei militari è stato un due anni fa, quando hanno fatto rifornimento prima di andare verso sud.” ricordò Roy che, ovviamente, aveva marinato la scuola ed era andato ad osservare tutte quelle operazioni alla piccola stazione ferroviaria.
“Papà, credi che verranno per la questione della vecchia miniera?” chiese Vato.
“Io ed il padre di Kain abbiamo mandato a chi di dovere la documentazione – scrollò le spalle Vincent – ma dubito che avremo una risposta a breve. E’ un tipo di pratica che spesso tende a restare nelle scrivanie per diverso tempo. Ed è anche probabile che una volta che diano il consenso a sigillarla, lascino la cosa completamente in mano nostra.”
“Avresti potuto chiedere a tuo padre, vero Roy?”
“Se fossi un soldato avrei provveduto io stesso, la vedo molto più semplice così.”
“Pensi di diventarlo?” gli chiese Vincent squadrandolo con attenzione.
Roy rimase in silenzio e fissò di nuovo la decorazione di tenente colonnello.
“Perché no, – disse infine – potrebbe essere il modo giusto di vedere il mondo, finalmente.”
“Vuoi andare via da qui?” chiese Vato con sincera sorpresa.
“Forse, non lo so… non ho più alcun legame con Central City.” scrollò le spalle con finta noncuranza.
“Ma a Central c’è Maes Hughes, vero? Se non ricordo male la sua famiglia si è trasferita proprio lì.”
“E’ vero, ma nel caso voglio farcela da solo.”
 
Quando Vato accompagnò Roy fino alla fine della strada dove abitava, gli prese un braccio.
“Senti, Roy, ti ha dato molto fastidio che abbiamo parlato di tuo padre e di Maes?”
“No, – scosse il capo lui – davvero, non farti problemi.”
“Non è stato molto delicato, me ne rendo conto.”
“Figurati… e poi con Maes ci scambiamo delle lettere. Non è che ho perso i contatti con lui; anzi, forse in primavera farà un salto qui con i suoi.”
“Capisco…”
“Per allora conto di aver terminato il mio progetto.”
“Quale progetto?”
“Il mio gruppo basato sull’amicizia. Riuscirò a far capitolare Heymans e Jean, in un modo o nell’altro!”
“L’hai presa proprio come sfida, eh? – sorrise Vato – Certo che fare amicizia con loro non è semplice come farla con me o Kain.”
“L’hai detto tu stesso che ognuno ha tempistiche differenti. Come per te ed Elisa, no?”
“Che vuoi dire?!” chiese, arrossendo.
“Si vede che ti piace, e tu piaci a lei: avete sedici anni, che ne dici di chiederle di diventare la tua ragazza?”
“Non… non è semplice.” ammise lui, stringendosi nel cappotto.
“Le ragazze del locale di mia zia sono simpatiche con me e spesso chiacchieriamo quando non lavorano… – iniziò Roy – non fare quella faccia: hanno avuto dei problemi con la vita, certo, ma sono delle bravissime persone… comunque, dicevo, diverse di loro mi hanno detto che niente è più bello del primo bacio, ovviamente se si è innamorati. E tu ed Elisa lo siete: che cosa aspettate?”
“Ma lo so che non ci deve essere niente di più bello! Anche i libri non fanno che descriverlo come una cosa meravigliosa… solo che…”
“Solo che…?”
“Non ci riesco. Ogni volta che ci provo è come se qualcosa mi bloccasse!” ammise il giovane con aria estremamente sconsolata.
Roy si mise a braccia conserte e cercò un modo per confortare il suo amico: non riusciva a capire da dove venisse fuori tutta questa indecisione, ma forse apparteneva tutto allo strano e misterioso mondo dell’amore vero… e dell’antropologia.
Ma forse è solo questione di porsi una scadenza precisa.
“Entro primavera!” dichiarò infine, puntandogli il dito contro.
“Eh?”
“Entro primavera noi diventeremo tutti un gruppo e tu darai il primo bacio ad Elisa, ho deciso.”
“Deciso? Che cosa vorresti dire con deciso?”
“Semplice: siccome sei mio amico ti darò tutto il sostegno possibile per questa spinosa faccenda dell’amore e del primo bacio. In un gruppo funziona così: ci si aiuta a vicenda.”
“Roy… ti prego! Niente di eclatante… è già abbastanza difficile!” supplicò Vato.
“E allora datti una mossa! Buona cena!” esclamò con allegria spiccando la corsa verso il locale di sua zia.
“Sì… buona cena…” mormorò Vato.
Non che mettesse in dubbio le buone intenzioni di Roy… ma aveva una tremenda paura che queste iniziative fossero più dannose che altro.
 
Se la cena di Vato fu profondamente disturbata dal pensiero di eventuali disastri sul rapporto tra lui ed Elisa, a casa Fury i due adulti fissavano con aria perplessa il loro figlio che sembrava totalmente assorto in pensieri profondi… tanto che ad un certo punto furono sicuri di sentire gli ingranaggi del suo cervello che cigolavano pesantemente e freneticamente.
“Kain, tesoro, c’è qualche problema con quei piselli?” chiese infine Ellie, guardando il bambino che divideva meticolosamente le piccole sfere verdi disponendole agli angoli del piatto.
“Che? Oh no, mamma, sono buonissimi come sempre.” rispose, riportato bruscamente alla realtà.
“E allora perché li stai… selezionando?”
“Oh, no non li sto selezionando! – arrossì Kain, accorgendosi di quanto stava combinando – Stavo solo pensando ad un circuito della radio che sto costruendo per Riza e stavo schematizzando la cosa.”
“Con i piselli?” chiese Andrew, nascondendo un sorriso davanti a quel modo veramente originale di mettere in pratica le proprie teorie.
“Intuizione improvvisa…” spiegò il bambino, ammucchiando il suo operato e riprendendo diligentemente a mangiare.
“Ci stai davvero mettendo un grande impegno per questo tuo progetto: – commentò Ellie, passando al figlio il pane – dev’essere una bella sfida per te costruire tutto da zero.”
“Mi sono voluto mettere alla prova.”
“E come sta venendo la tua prova?”
“Non male, papà, anche se devo ammettere che ogni tanto ho qualche problema. Ma conto di finire la radio entro una decina di giorni.”
“E poi libera camera tua da tutti quei fogli sparsi, mi raccomando. Non oso buttare niente o muovere qualcosa, ma ormai è impossibile entrare lì dentro.”
“Scusa, mamma, come finisco giuro che metterò tutto in ordine.” promise il bambino.
Ma non ci poteva fare niente: aveva bisogno di far avanzare il suo progetto anche con una parte teorica e dunque scribacchiava schemi o idee ovunque gli capitasse. Effettivamente aveva ragione sua madre a dire che camera sua era diventata un vero caos: lui stesso doveva far attenzione a come muoversi quando si metteva a letto o si alzava la mattina.
Dopo aver aiutato sua madre a sparecchiare, fece per salire le scale e tornare a rimuginare sulla sua opera, ma Andrew lo chiamo e gli fece cenno di seguirlo nel suo studio.
Kain obbedì con aria perplessa, chiedendosi cosa potesse volere suo padre che, negli ultimi giorni, era molto impegnato: per un attimo fu attanagliato dal sospetto di aver fatto qualcosa di grave, ma non gli venne in mente nulla che fosse meritevole di una sgridata.
Almeno, non credo che il disordine in camera lo indispettisca così tanto… e poi non sembra arrabbiato.
“E così, ragazzo mio, hai scoperto la gioia di cimentarti in qualcosa di esclusivamente tuo, eh?” disse l’uomo con un sorriso enigmatico, andando verso la libreria che stava sulla parete e dove c’erano tantissimi volumi di ingegneria e architettura. Kain ne aveva sfogliato qualcuno ogni tanto e li aveva trovati incredibilmente belli… ma complessi.
Capendo che non aveva nulla da temere, il bambino si avvicinò al genitore e sfiorò con reverenza uno di quei pregiati tomi: di certo non se ne trovavano di simili nella piccola libreria del paese… questi provenivano direttamente dalla capitale del distretto dell’Est.
“Papà, hai dovuto studiare molto per diventare ingegnere, vero?”
“Sono stato tre anni ad East City per frequentare l’Università – disse Andrew iniziando a frugare tra i libri del ripiano più alto, dove il bambino non poteva arrivare – e ogni giorno stavo chino sui libri e sui miei progetti.”
“Però ne è valsa la pena: sei diventato così bravo! – esclamò il bambino con estremo orgoglio – E poi, non credo che molti qui siano andati all’Università…”
“E’ stato un mio grande desiderio, fin da quando ho iniziato la scuola. Ho avuto questa grande occasione e, fortunatamente, anche i tuoi nonni mi hanno appoggiato.”
“Credi che un giorno ci potrò andare pure io, all’Università intendo.”
“Se lo desideri io e tua madre ti appoggeremo, su questo puoi stare tranquillo. Ma il motivo per cui ti ho chiesto di venire qui è un altro: volevo farti vedere una cosa.”
 Sfilò dai vari libri quello che sembrava un vecchio quaderno e lo passò al figlio.
Kain lo osservò con perplessità, non mancando di notare la bella copertina rigida e l’elastico rosso che la  teneva chiusa: lo aprì ed iniziò a sfogliare le pagine leggermente ingiallite con crescente meraviglia: erano piene di schizzi, appunti, disegni, commenti… tutto con la grafia pulita ed ordinata del genitore.
“Che bello! – esclamò – Papà questi schizzi sono meravigliosi! Che cos’è questo edificio?”
“Il palazzo municipale di East City – spiegò Andrew, inginocchiandosi accanto al figlio ed indicando col dito il disegno – mentre questo qui è il ponte che sta sul fiume. Grandi esempi di architettura ed ingegneria: mi sono ispirato molto a quelle opere… in questo quaderno ci sono tutti i miei primi progetti, quando ero ancora uno studente del primo anno. Scrivere e disegnare tutte queste cose mi aiutava tantissimo.”
“Che bravo che sei…” mormorò il bambino chiudendo il quaderno.
“Tienilo pure, magari ti sarà d’ispirazione.”
“Sul serio? Oh, grazie, papà! Lo custodirò come il più prezioso dei tesori, lo giuro!” sorrise Kain, stringendoselo al petto.
Andrew gli arruffò i capelli e poi si diresse alla sua scrivania e da un cassetto tirò fuori un grosso quaderno molto simile, sebbene chiaramente più nuovo.
“E dato che la tua testa è un vulcano di idee, questo quaderno è per te: – dichiarò, tornando vicino al figlio e porgendoglielo – scrivici ogni fase del tuo lavoro, disegna ogni cosa che ti viene in mente, anche se non c’entra nulla; sono sicuro che diventerà un grande aiuto.”
“Oh papà, ma questo è un quaderno così bello… ha anche la copertina rigida e l’elastico come il tuo…”
“Beh, è un quaderno per le cose importanti, come lo è il tuo grande progetto e come lo saranno quelli futuri”
Il bambino lo prese con mano tremante e se lo strinse al petto, assieme all’altro quaderno.
“E poi vediamo, – continuò l’uomo – per scrivere in un quaderno importante ci vuole una penna importante, no?” e prese dal taschino della propria camicia una penna nera e lucida con la clip argentata.
“Ma papà, – sgranò gli occhi il bambino – è… è la penna che ti ha regalato il nonno quando sei diventato ingegnere e sei tornato qui. Me l’hai raccontato tante volte…”
E Kain aveva sognato altrettante volte di poter usare almeno una volta quella penna così bella e precisa.
“E adesso io la regalo al mio unico figlio, – disse Andrew con serietà inginocchiandosi e mettendo le mani sulle spalle del bambino – perché, nonostante abbia solo undici anni, mi sta dimostrando di essere diventato davvero maturo e responsabile. Ed inoltre è davvero un bravissimo esperto di elettronica.”
“Papà…” sussurrò Kain, mentre lacrime di commozione gli rotolavano sulle guance.
“Non vedo l’ora che tu finisca la tua radio, figlio mio, – disse Andrew abbracciandolo – sarò estremamente fiero di vederti concludere il tuo primo grande progetto.”
“Anche se è per Riza, tu sarai il primo a vederla, promesso!” singhiozzò il bambino, affondando il viso nella sua spalla.
“Ci conto, ragazzo mio.”
Kain rimase così, a crogiolarsi in quell’abbraccio così sincero e affettuoso: era incredibile come ultimamente il rapporto tra lui e suo padre si fosse evoluto in positivo. Quel gesto così bello, quel passaggio di consegne, lo rendevano estremamente orgoglioso e carico di entusiasmo: adesso era ancora più determinato a finire quella radio.
“Se un giorno avrò un figlio – dichiarò staccandosi da lui – giuro che gli darò il mio quaderno ed il tuo! E anche la penna del nonno!”
“Se lo farai sarà sicuramente un bellissimo gesto che potrai fare nei confronti di tuo figlio, credimi. Ma mi pare un po’ prematuro pensare a queste cose: quello che ora mi importa è sapere che tu metterai sempre tutto l’impegno possibile per raggiungere i tuoi obiettivi. Io e la mamma saremo sempre pronti a sostenerti, ma la buona volontà è una cosa che ci devi mettere tu.”
“Lo farò, papà, te lo giuro: in ogni cosa.”


 
  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Full Metal Alchemist / Vai alla pagina dell'autore: Laylath