Solo
io ti conosco
davvero
Serie: Perfetti…ma
non troppo
Personaggi: Kipp Steandman, Claude
Casey, Jeb Denton, Lydia, Ramona
Note: I personaggi non mi
appartengono, scrivo questa fanfiction solo per puro diletto e non a
scopo di
lucro.
Kipp si
portò una mano alla bocca per coprire uno sbadiglio che
indicava quanto fosse
annoiato in quel momento.
Claude e Ramona stavano di nuovo parlando di quanto la rossa fosse
contenta
delle nuove scarpe che aveva preso, e bla bla bla…
Non lo faceva apposta: le loro scrivanie erano vicine, e per forza di
cose
doveva sorbirsi ogni discorso della collega; discorsi inutili a parer
suo.
Incrociò le braccia al petto e sbuffò
pesantemente, per palesare la sua
presenza e invitare quindi quelle oche ad abbassare la voce.
“Qualche problema Kipp?” domandò calma
Claude, voltandosi verso di lui con
l’ausilio della sedia girevole, mentre Ramona si metteva le
mani sui fianchi
pronta a menar con le parole.
La donna di colore non si faceva certo problemi a rimettere a posto
quel
‘’Segretario!’’, come Jeb usava
chiamarlo.
A volte Kipp aveva un fare da primadonna, sinceramente…
“No, nessun problema. Continuate pure, come se non ci fossi.
Anzi, dato che
sono qui potreste…un pochino abbassare i toni, non
credete?” le invitò il
ragazzo, avvicinando il pollice e l’indice per indicare
quanto la loro voce
dovesse essere alta.
Praticamente una briciola.
Claude alzò gli occhi al cielo, sospirando a sua volta. Si
alzò dalla sedia e
con un cenno guidò l’amica via di lì:
“Scendiamo al ventiduesimo piano, da Owen
e Carl…avremo meno problemi.”
La rossa preferiva evitare i problemi, che affrontarli, a meno che non
fosse
strettamente necessario.
Kipp per quello l’aveva giudicata una stupida, timida e
insicura donna, ma
forse non era poi una così brutta qualità, visto
che ora le sue orecchie
potevano riposare.
Già, forse Claude era meglio di quel che pensava. Avevano
litigato tante volte,
spesso si era ritrovato la sua insalata in faccia
–così unta…bah!- ma doveva
ammettere che la collega, in fondo, non era così male. Non
ambiziosa quanto
lui, ma piuttosto l’opposto: lui il cattivo, e lei la buona.
Ormai anche Lydia non era più antipatica come una volta,
dopo il matrimonio con
Jeb, il suo capo.
Quell’uomo che lo chiamava con disprezzo: “Segretario!”,
diamine, era così degradante, ma gli serviva quel lavoro,
doveva sopportare.
Congiunse le mani e le posò in grembo, mentre si appoggiava
completamente allo
schienale della propria sedia, stanco di quei pensieri.
“Kipp?”
Il moro sobbalzò, sentendo il suo nome
all’improvviso –non detto da Jeb per
fortuna, ne era più che certo- e si ritrovò a
fissare gli occhi di Claude, così
vicino.
“Aahhh!!” si lasciò andare a un poco
virile urletto, stringendosi le braccia al
petto, mentre la rossa scoppiava a ridere.
“Stavi dormendo! Sul posto del lavoro!” lo prese in
giro lei, tenendosi la
pancia con le mani, sinceramente divertita.
Lui voltò il capo offeso con una smorfia, fissando con
interesse la propria
scrivania, alla ricerca di carte da mettere a posto tanto per farsi
passare il
nervosismo.
Certo lui era il primo a prendersi gioco di lei, adorava tormentarla,
c’era più
gusto.
Ma non sopportava che fosse lei a farsi beffe di lui.
“Che c’è?” domandò
seccato, voltando lo sguardo per fissarla con una faccia non
proprio amichevole.
“Segretario!” la voce di Jeb Denton, il suo capo,
era inconfondibile: il tono duro,
sprezzante, come se chiamarlo fosse un fastidio; Kipp
incassò la testa nelle
spalle, assottigliando gli occhi a quella parola.
“Jeb e Lydia ci vogliono nel suo
ufficio.” Informò la rossa, indicando con un cenno
l’ufficio dell’anchorman
della rete, che al momento aveva la porta leggermente aperta. Per
quello aveva
sentito così bene il suo richiamo…
Sospirante, si alzò ed entrò nello studio del suo
capo, trovandolo seduto sulla
comoda sedia in pelle e con Lydia seduta sulla scrivania con una gamba
sopra
l’altra, un sorriso malizioso sul viso.
“Segretario…Casey….” Kipp
alzò gli occhi al soffitto, mentre Claude sorrideva
divertita.
“Tesoro, vuoi avere tu l’onore di dire ai nostri
collaboratori la bella
notizia?” domandò l’uomo con un sorriso
sornione e compiaciuto, come se un’idea
geniale gli fosse passata per la mente.
La bionda appoggiò le mani intrecciate sul ginocchio
sinistro, tenendo la testa
alta che le dava una certa imponenza.
“ I miei genitori vengono a farmi visita
e…vogliono uscire a cena con me e Jeb,
questa sera. –lei lanciò uno sguardo adorante al
marito, che ricambiò con la
stessa passione- solo che hanno…imposto di portare anche una
coppia di nostri
amici.” Tornò a posare lo sguardo sui due
impiegati, che sgranarono gli occhi
sorpresi, consci di dove la produttrice volesse andare a parare.
“I…io…è fantastico Lydia, io
e Carl
saremo più che entusiasti di accompagnarvi.”
dichiarò con ansia, gesticolando
come a dare enfasi alla frase, e soprattutto sottolineò il
nome del suo
compagno con cui ormai aveva una relazione solida.
Jeb alzò un sopracciglio, lanciando un’occhiata a
Lydia, che ricambiò con un
cenno d’assenso.
“Claude, io non voglio che il capo della mensa
dell’azienda venga alla cena.
Sarebbe…terribilmente imbarazzante!
–l’espressione della bionda era di puro
terrore- so di cosa parlerebbe, di cosa serve in quei piatti, dove si
rifornisce e tante cose di cui a nessuno importa!”
“A me importa!” Ribatté con ferocia
l’impiegata, stringendo le mani a pugno lungo
i fianchi.
“Anche a me importa.”
Claude si voltò a guardare Kipp con sorpresa, la rabbia che
sfumava. Da quando
in qua era d’accordo con lei?
“Io –e si indicò- e lei
–indicò la donna al suo fianco- non usciremo
insieme
solo per far bella figura con i tuoi.- e indicò Jeb e Lydia
muovendo il dito
più volte.- È chiaro?”
Lydia incrociò le braccia al petto, stringendo le labbra con
rabbia.
“Kipp.”
“Sì?” rispose con tono decisamente
annoiato il moro.
“In nome della nostra amicizia e antica alleanza, dovrai
accompagnarmi!”
sentenziò, perentoria, lasciandolo di stucco e a bocca
aperta la povera Claude.
“D’accordo, d’accordo –il
segretario alzò le mani in segno di resa- ma non con
lei!” commentò con stizza, riferendosi alla rossa,
che richiuse la bocca e
annuì energicamente.
“Niente storie, voi due siete la cosa che più
conosciamo meglio, siete…beh, non
proprio perfetti insieme, ma voglio voi due e voi due
verrete!”
***
Quella
sera stessa…
Il suono
insistente del campanello avvisò che il collega era arrivato
a prenderla.
Claude corse sugli alti tacchi delle sue decolté e
aprì la porta, trovando Kipp
appoggiato allo stipite con fare annoiato.
Sentì il suo sguardo su di sé, fu come essere
passata ai raggi X; la rossa lo
prese per un braccio e lo tirò dentro con prepotenza, per
poi chiudere
velocemente la porta.
“Ehi, ma cosa ti prende?” domandò il
moro, massaggiandosi l’arto con insistenza
e fissandola con occhio critico.
“Sei pazzo a stare lì fuori? Se Carl ti vede
penserà chissà cosa!”
esclamò lei,
riferendosi al fatto che il suo compagno abitava proprio
nell’appartamento di
fronte, e Kipp lo sapeva bene, visto che per un periodo il capo della
mensa lo
aveva ospitato mosso da pietà.
“ Tu invece – e lui le levò con un gesto
stizzito il cerchietto nero dai
capelli, seguito da un urletto di sorpresa della rossa- saresti pazza a
presentarti con una cosa del genere in testa! Cosa sei, una
bambina?” commentò
sprezzante come al solito, e Claude fu seriamente tentata di prendere
un
oggetto contundente e colpirlo.
Già una
volta gli aveva lanciato la sua
insalata in faccia…
“Sei pronta?” domandò lui, guardando
l’orario sul suo orologio al polso,
impaziente.
“Lydia e Jeb sono già qui fuori con la
limosine.” Precisò, e alla donna andò
di
traverso qualcosa di inesistente.
“La cosa?”
“Limosine. Vogliono fare le cose in grande, ha insistito
Lydia, sai com’è
fatta.”
Lydia adorava lo sfarzo e l’eleganza. Come una prostituta
donna d’alto
borgo.
Claude sbuffò e si ritoccò il trucco, per poi
uscire velocemente con il
collega.
Doveva ammettere che Kipp sapeva anche essere bello se teneva la bocca
chiusa…
***
Più o
meno,
erano sopravvissuti alla fatidica cena.
I genitori di Lydia si erano dimostrati invadenti, facendo domande a
destra e
manca senza un minimo di riguardo.
Jeb aveva sfoggiato il suo sorriso migliore e risposto senza alcuna
remora,
nonostante il padre della moglie lo avesse fissato male per tutta la
sera.
Kipp e Claude si erano ritrovati a bere parecchio alcool per riuscire a
non
insultarsi e risultare una ‘amabile’ coppietta
degna della loro figlia.
Erano riuscita a cavarsela, ma alla fine potevano a malapena reggersi
in piedi:
i due coniugi li avevano poi riaccompagnati a casa Casey, e la rossa
aveva
acconsentito a tenere Kipp a dormire sul divano.
Barcollanti, sostenendosi a vicenda, erano entrati
nell’appartamento e
stravaccati sui comodi cuscini del sofà.
“Sei fortunato che Carl non ci abbia visto, o te la avrei
fatta pagare…”
bofonchiò Claude con un braccio sugli occhi.
“Carl di qui, Carl di là…lo ami
così tanto eh?” commentò Kipp, ad occhi
socchiusi.
“Da morire. Il nostro rapporto funziona perfettamente. E lui
mi conosce così
bene… non come te…” rispose, marcando
il tono sull’ultima frase.
“Del tipo?” incalzò lui, curioso nel
sapere dove voleva andare a parare.
“Per una settimana, tempo fa, mi ha coccolato come mai prima
d’ora… Mi ha
portato del Chianti, il vino che adoro… Abbiamo giocato con
delle card
personalizzate da lui…e quell’insalata che mi ha
fatto era a dir poco divina! E
infine…con l’ukulele mi ha cantato una
canzone…tutta per me!”
Kipp esibì sul viso una smorfia, sapeva benissimo tutte
quelle cose.
“Subito voleva propormi un film, ma era solo uno scherzo!
È stato così
romantico…tu non puoi nemmeno pensare di
eguagliarlo.” Concluse, chiudendo gli
occhi.
Forse per l’alcool, forse per quelle provocazioni, il moro
non riuscì più a trattenersi.
“Posso eguagliarlo eccome, perché sono stato io a
suggerirgli tutte quelle
cose.” Sputò, con una punta di risentimento.
Claude riaprì gli occhi a fatica, fissandolo intontita ma
spaventata.
Cosa?
“Tu scherzi.”
“No.”
Kipp? Era stato davvero Kipp?
In effetti, tutte quelle cose erano avvenute proprio mentre Carl
ospitava il
collega a casa sua.
“Io lo aiutavo a trattenersi da te per avere la casa tutta
per me! Ma sono io
quello che ti conosce meglio, Claude.” Confessò
lui, indicandosi e annuendo tra
sé con ovvietà.
“B-bugiardo! Dici così solo per screditarlo e
perché….perché tu sei invidioso!
Non sopporti che qualcuno sia meglio di te.” Rispose lei con
una punta di
incertezza della voce.
Sapeva quanto fosse vanitoso, arrivista e competitivo il collega, ma
non in
questo campo. Non con lei.
“Vogliamo provare? Ti ricordi la canzone?”
domandò, e la rossa annuì. “Benissimo.
La canterò per te, e ti dimostrerò che
l’avevo composta io.”
Tutta quella sicurezza la inquietava, ma recuperò lo
strumento che Carl aveva
lasciato qui e lo porse al moro, sempre più incerta.
La sua fiducia per Carl vacillava…andava tutto
così bene! Non poteva rovinare
anche quel rapporto…
Kipp afferrò l’ukulele e lo accordò,
nonostante l’alcool era una cosa che
sapeva fare senza alcuno sforzo, e già dalle prime note,
Claude impallidì.
Quando poi sentì le esatte parole della canzone uscire anche
dalla bocca dell’uomo
vicino a lui, si abbandonò sul divano con una faccia
indecifrabile e più che
sconvolta.
Mai, mai e poi mai si sarebbe aspettata una cosa simile.
Alla fine dell’esibizione, il moro appoggiò lo
strumento sul tavolino di fronte
a sé e rivolse il suo sguardo a Claude, con un sorrisino
soddisfatto e compiaciuto.
“Io ti conosco Claude. Molto meglio di lui. Ancora prima che
arrivasse in
azienda. Scommetto che…- e si avvicinò a lei,
lentamente- saprei anche baciarti
meglio.” Sfidò, con quella faccia da schiaffi che
si ritrovava.
Ma non arrivò nessun colpo. La rossa era certamente
arrabbiata, ma anche molto
confusa e piena di sconforto.
Lei si era innamorata ancora di più per l’uomo che
sembrava conoscerla bene, e
aveva scoperto che quell’uomo non era il suo Carl, ma
nientemeno che Kipp
Steandman.
Il suo collega, con cui condivideva il lavoro, con cui lavorava fianco
a
fianco, con cui spesso scherzava o litigava.
Forse era Kipp l’uomo di cui si era realmente innamorata.
Ma Kipp era antipatico. Arrivista. Primadonna. Vanitoso e narcisista ai
limiti
del possibile.
Eppure…
Si era già avvicinata a lui, il fiato corto, il cuore che
batteva a mille.
Era adulta, ma sentiva di voler provare a baciarlo, sapere se diceva
davvero la
verità.
Lui le appoggiò la mano sulla guancia, calda e morbida.
Lentamente, i due unirono le loro labbra in un bacio a stampo, mentre
il cuore
pareva voler esplodere nel petto.
Quel contatto sembrò risvegliare qualcosa, un fuoco che
ardeva da dentro e che
la bruciava velocemente.
Entrambi schiusero le bocce per permettere alle loro lingue di entrare
l’una
nell’altra, a intrecciarsi, sfiorarsi, baciarsi come mai
prima d’ora.
Un calore incredibile, tutto attorno pareva sparire, lasciando solo la
coppia
in mezzo al nulla.
Claude si strinse a Kipp, fece aderire il suo corpo contro il suo, e
dopo un
istante si separarono, poiché i polmoni richiedevano aria.
Ansanti, con i rispettivi petti che si alzavano e abbassavano
velocemente, i
due si guardarono negli occhi con sorpresa e con una strana
consapevolezza.
Nessuno, né uno né l’altra, aveva il
coraggio di ammettere che fosse stato
fantastico.
“ Io… è meglio che vada…a
letto.” Balbettò la rossa, togliendosi
completamente
da lui.
Kipp non poté far altro che annuire, togliendosi le scarpe
per potersi stendere
sul divano e mettersi comodo, per quanto fosse possibile.
Lui e Claude si erano baciati per davvero.
E chi dormiva ora?
***
Era certo
che nemmeno la padrona di casa avesse dormito, visto che
l’aveva sentita
rigirarsi nel letto più e più volte, come se
fosse stata agitata.
Non che lui fosse stato da meno, solo che il divano non permetteva
tutta questa
libertà d’azione.
La mattina era arrivata e con essa un mal di testa colossale.
Lo sapeva di aver bevuto troppo, e quella cosa stupida della sera
precedente
era sicuramente dovuta a quello.
Svelare a Claude che era stato lui a corteggiarla e successivamente
baciarla
non era stata una mossa intelligente.
Anche se il bacio era stato uno dei migliori che avesse mai provato.
Sentì i passi della donna nella cucina, adiacente al salotto
dove ora stava
lui.
“Buongiorno.” Salutò la rossa, atona,
vedendolo mettersi seduto.
“Buongiorno.” Salutò incerto, tenendosi
la testa con la mano e fissando la
tazza che la collega teneva in mano.
“Caffè?” domandò Claude,
indicando la macchinetta con un cenno della testa,
sorseggiando il liquido scuro lentamente.
Il moro annuì, alzandosi a fatica, e la raggiunse, prendendo
una tazza pulita e
fissandola con aria critica: fiorellini di tutti colori ornavano la
mug, e
avrebbe voluto lanciarla contro il muro per distruggerla.
“Dobbiamo parlare.” Cominciò la rossa,
con una voce che sembrava provenire dall’oltretomba.
Kipp deglutì, versandosi il liquido scuro nella tazza e
portandoselo alle
labbra per berlo e darsi una svegliata.
“Quello che è successo ieri sera… non
è mai accaduto, non ne dovremo mai
parlare, e ripeto, mai…e… continuare come nulla
fosse.” Dichiarò, gesticolando
con le mani segni che indicavano in tutti i modi NO.
Kipp mandò giù un gruppo in gola e
appoggiò la tazza sul banco della cucina,
pensieroso.
Non sarebbe stato semplice continuare come se nulla fosse.
Avrebbe pensato sempre a quelle labbra, d’ora in poi.
Ma in effetti, sarebbe stato capace di affrontare il cambiamento del
loro
rapporto?
A vedere Claude come sua ragazza?
Alle frecciatine di Ramona e Owen?
Ad affrontare Carl? Che soprattutto, era questo che più lo
spaventava.
Il capo della mensa era il doppio di lui. Sarebbe morto prima della
fine del
turno.
Anche se era difficile…
Era la cosa migliore da fare.
Non erano pronti, né lui, né lei.
“Sono d’accordo.” Acconsentì,
schiarendosi la voce per cercare di apparire
quanto più convincente possibile. Dopotutto, non era una
cosa semplice.
Sentì Claude sospirare, sollevata, e dopo questo,
recuperò la sua giacca.
“Vai a casa?”
“Ovviamente.”
I due si guardarono per un ultimo, piccolo istante.
“Ci vediamo in ufficio.”
“Si. Ci vediamo in ufficio.”
Spero possa piacere!
Errori e sviste, complimenti e critiche, son ben accette!