Storia partecipante al primo concorso della pagina Take a Beatles' song and you will feel better, Jude:
Once Upon a Time
A
day in Hogwarts
Il sole caldo di maggio riscaldava piacevolmente l'aria e
si rifletteva sul Lago Nero. Quel giorno sembrava ci fosse calma piatta in quel
lago misterioso, evidentemente le sirene erano meno arrabbiate del solito.
John Lennon, studente di Hogwarts
al sesto anno, appartenente alla casa di Corvonero, sospirò e strinse il suo
libro fra le braccia. Era stata una giornata di scuola davvero terrificante.
Innanzitutto alla lezione di Trasfigurazione con i
Tassorosso, la professoressa McGranitt aveva sorpreso la smorfiosa Marlene Macavoy e la sua amichetta Mary McDonald mentre scrivevano
sul banco, “Che palle la McGranitt”. In questo modo avevano fatto innervosire
la professoressa, che le aveva richiamate prima di punire tutta la classe con
un tema di tre fogli di pergamena sull’ultimo argomento spiegato.
Poi, alla lezione di Pozioni con i Grifondoro, quel
babbeo di Lumacorno aveva fatto preparare il Decotto Dilatante a
quell'imbranato di Peter Minus. Risultato: la pozione era esplosa, imbrattando
le pareti e tutti gli studenti. Il bellissimo mantello blu e nero di John si
era rovinato con i residui di quel pastrocchio appiccicoso. Per fortuna che gli
elfi della scuola avevano visto di peggio. L'avrebbe riavuto il giorno dopo,
lindo e come nuovo.
Infine al termine della lezione di Incantesimi con gli
idioti di Serpeverde, il professor Vitious aveva assegnato per il weekend la
lettura di ben cinque capitoli del Libro Standard degli Incantesimi, con
relativo riassunto, solo perché i suddetti Serpeverde avevano deciso di fare
chiasso per tutta l’ora, facendo arrabbiare come mai prima di quel momento il
piccolo professore.
Così ora John si ritrovava con una marea di compiti per
lunedì. Doveva farli al più presto, se voleva andare a Hogsmeade nel weekend.
Tuttavia era un peccato stare al chiuso, dentro il
castello, quando al di fuori di quelle mura vi era la più bella giornata
primaverile che quella stagione avesse offerto finora.
Per questo motivo John decise di prendere il suo libro di
Incantesimi e andare all’aperto, alla ricerca di un posto tranquillo e tiepido
per studiare.
Provò prima di tutto in cortile, ma pensò subito che non
andava bene: era troppo affollato per i suoi gusti. C'erano studenti di tutte
le case: i secchioni di Corvonero studiavano con le teste chine sui libri, e i
Grifondoro e i Serpeverde discutevano animatamente dell'ultima partita del
Campionato di Quidditch, tra le Holyhead Harpies e i Wigtown Wanderers.
In angolino John scorse anche uno scarno gruppetto di
Tassorosso. Erano davvero molto tranquilli, mangiavano i dolci di Mielandia che
erano posti al centro su una piccola tovaglia, e intanto ascoltavano uno di
loro che stava strimpellando dolcemente una chitarra. John si fermò un istante
ad ascoltarlo e lo riconobbe subito. Si chiamava George Harrison. Probabilmente
il più tranquillo dei Tassorosso. Era uno a posto, John aveva lavorato con lui
qualche volta negli anni precedenti, quando condividevano un calderone alla
lezione di Pozioni. Non era un ragazzo particolarmente loquace, ma quando
parlava era in qualche modo affascinante da ascoltare. John aveva così scoperto
che i suoi genitori erano Babbani e facevano parte di un gruppo musicale molto
famoso. John, provenendo da un orfanotrofio Babbano, li conosceva, aveva anche
ascoltato qualche loro canzone. La trovava una cosa affascinante, vivere di
musica. Se la magia non l'avesse conquistato in modo così coinvolgente,
probabilmente John avrebbe anche potuto pensare a imparare a suonare la
chitarra e fondare un gruppo e perché no? Fare dischi, tour e diventare famosi
in tutto il mondo.
George era molto bravo in tutte le materie a scuola, si
impegnava, ma lo era ancora di più a suonare la chitarra. Non aveva bisogno di
una bacchetta per fare incantesimi. Era lei la sua bacchetta e la sua musica
era l'incantesimo più ammaliante.
Oh, John sarebbe rimasto ad ascoltarlo per ore, ma il
libro di Incantesimi non si leggeva da solo.
Così quando George si accorse di lui e gli sorrise,
accompagnando il gesto con un cenno del capo, John ricambiò il saluto e poi se
ne andò.
Decise di uscire completamente dalle mura del castello e
di dirigersi verso le sponde del Lago Nero. Intraprese il piccolo sentiero che
discendeva costeggiando il campo di Quidditch e man mano che si avvicinava John poté udire sempre più distintamente gli
schiamazzi che arrivavano dall'interno del campo. Incuriosito da tanto chiasso,
si prese cinque minuti per entrare e dare un'occhiata.
Erano quei montati dei Grifondoro, quel gruppetto di
fanatici di Quidditch che rispondevano ai nomi di James Potter, Sirius Black,
quell'idiota di Peter Minus e Richard Starkey. Stavano facendo una partitella
due contro due, sembrava, James e Peter contro Sirius e Richard. Certo, una
divisione equa. James e Richard erano nella squadra di Quidditch di Grifondoro,
rispettivamente come Cacciatore e Cercatore. Sirius Black invece, per quanto
fosse bravo a volare e avesse il fisico perfetto per un Cacciatore come il suo
compare Potter, preferiva impiegare il suo tempo a oziare, infrangere le regole
e correre dietro le ragazze, possibilmente quelle già fidanzate, altrimenti
dove stava il divertimento?
E Peter...beh, sì, era piccolo come Richard, ma non
altrettanto agile e veloce. Era tutto il contrario in effetti, goffo, impacciato
e traballante sulla sua scopa malconcia. Non riusciva a stare dietro a Richard
né tantomeno all'imprendibile Boccino d'Oro, suscitando in questo modo le ire
di Sirius che gli rivolgeva gli epiteti più cattivi. Ma tanto ormai, a quanto
pareva, Peter era abituato a un trattamento del genere. John davvero non lo
sopportava, c’era qualcosa in lui che gli faceva storcere il naso, ma allo
stesso modo non lo capiva. Perché mai continuava a frequentare quei bulletti di
James e Sirius, se lo trattavano così? Al posto di Minus, John li avrebbe già
mandati a quel paese.
Richard, invece, non era come loro: pur essendo nato in
un’importante e rispettata famiglia di maghi, era un ragazzo davvero umile e
gentile, il più gentile che John avesse mai incontrato.
Una volta, durante la lezione di Astronomia, John aveva
finito i fogli di pergamena e Richard gliene aveva prestato uno. Quando poi
John aveva cercato di restituirglielo, dopo aver fatto un'abbondante scorta a
Hogsmeade, lui non l'aveva voluto, accompagnando il tutto con un dolce sorriso.
Sì, Richard era ciò che si intendeva per "la
gentilezza fatta persona".
John si lasciò scappare un sorriso, quando all’improvviso
un rumore alla sua destra attirò la sua attenzione e lo fece subito voltare:
Remus Lupin era seduto sugli spalti, con libri, piume d’oca e fogli di
pergamena che erano caduti intorno a lui.
John lo raggiunse, aiutandolo a raccoglierli. Remus non
era il classico Grifondoro, John l’aveva sempre considerato come un Corvonero
mancato. Forse il Cappello Parlante, quella sera di cinque anni prima, aveva
sbagliato a emettere il suo verdetto.
E anche in quel caso, John si chiese come facesse a
trovarsi bene con quegli scapestrati che stavano ora svolazzando sulle loro
scope. Remus era un ragazzo studioso e tranquillo, gli unici guai in cui si
cacciavano vedevano sempre magicamente coinvolti anche Sirius, James e Peter.
Era come se ci fosse qualcosa, sotto, qualcosa di molto
importante che li univa così incredibilmente. Se si trattasse solo di amicizia,
forte amicizia, John non ne era sicuro, ma gli piaceva pensare che
condividessero qualche sorta di segreto, di cui nessun’altro era a conoscenza.
“Grazie.” lo ringraziò Remus, sorridendogli flebilmente,
permettendo così a John di vedere un paio di graffi ancora rossi sul suo viso.
Tuttavia John non ebbe tempo di pensarci, perché stava
già porgendo a Remus i fogli, “Di niente.”
“Devi studiare anche tu?”
“Sì, Vitious ci ha assegnato una punizione per colpa dei
Serpeverde.” sbottò lui, mostrando apertamente il suo disappunti.
Remus ridacchiò dolcemente, “Sì, l’ho sentito.”
“Tu cosa stai studiando?”
“Difesa Contro le Arti Oscure. Abbiamo un tema da fare
per lunedì.” rispose il giovane Grifondoro.
"Su quale argomento?"
"I Dissennatori e
l'Incanto Patronus."
"È molto difficile. L'abbiamo provato a lezione
settimana scorsa, ma non c'è riuscito quasi nessuno." commentò John,
sedendosi accanto a lui.
"Veramente ho sentito da un Serpeverde che tu ce
l'hai fatta."
John sbatté le palpebre, sorpreso, "Ah sì? A essere
sincero, era a malapena un piccolo lampo di luce argentea. Niente di che,
davvero."
"Non è quanto mi hanno detto." rispose Remus,
ammirato, "A quanto pare hai evocato un vero e proprio Patronus
con una chiara forma di aquila."
"Era più che altro un passerotto." cercò di
minimizzare John.
I complimenti, le lusinghe erano sempre piacevoli, ma lo
mettevano dannatamente in imbarazzo. Come se ci fosse una vocina dentro di lui
che gli sussurrasse di non meritare quegli apprezzamenti, che lui non valeva
più di uno stupido zellino di bronzo. Era una vocina
stupida, davvero, perché lui sapeva di essere intelligente e in gamba. Era
sempre stato molto sicuro nella sua vita, ma allo stesso modo questa vocina era
sempre stata dentro di lui e niente e nessuno poteva metterla a tacere.
"Paul mi ha detto che era una bellissima e luminosa
aquila d'argento. Ha anche aggiunto che secondo lui, potrebbe respingere
centinaia di Dissennatori, talmente era
brillante."
"C-centinaia?" balbettò lui, arrossendo appena.
"Sì.” rispose Remus, annuendo e fissandolo
intensamente, “Non lo trovi strano?"
"Cosa? Il Patronus?"
domandò ancora scosso per quanto aveva appena scoperto.
"Ma no. Anzi, non mi ha sorpreso sapere che proprio
tu sia riuscito a evocare un vero Patronus. Sei uno
degli studenti più in gamba di Corvonero. Mi riferisco a un Serpeverde come
Paul che parla così bene di un Corvonero come te. Dovevi vedere quanto fosse
entusiasta e orgoglioso. Sembrava quasi fosse stata opera sua."
"Oh... Beh..." iniziò lui, compiaciuto,
"Io e Paul siamo amici da tanti anni. Inoltre non siamo noi i mortali
nemici dei Serpeverde."
John gli fece l’occhiolino e Remus si lasciò scappare una
risata.
"Hai ragione, e se devo essere-"
Il giovane Grifondoro fu interrotto da un improvviso urlo
e subito scattò in piedi, guardando verso il campo. John lo imitò senza esitare
e vide Peter Minus che stava cadendo sempre più velocemente verso il basso,
dopo essere stato disarcionato dalla sua scopa. Remus estrasse immediatamente
la sua bacchetta.
"Aresto Momentum!"
La caduta del ragazzo si arrestò a pochi centimetri dal
suolo, e poi Peter cadde dolcemente senza farsi un graffio. John guardò Remus,
mentre James e Sirius si congratulavano per i suoi riflessi pronti, e Richard
si avvicinava al ragazzo per controllare che non si fosse fatto male.
Ora John capiva. Remus era colui che li tirava fuori dai
guai. Per questo li frequentava. Senza
di lui, chissà che fine avrebbero fatto quei tre malandrini.
“Sta bene!” urlò Richard agli altri due.
“Allora sbrigati, Peter, e torna in sella.” affermò
Sirius, “Abbiamo una partita da finire e
io e Ritchie dobbiamo stracciarvi.”
James scoppiò a ridere in modo isterico, tenendosi la
pancia, “Ti piacerebbe, vero, Sirius? Pensa piuttosto a evitare che segni
ancora. A quanto siamo arrivati? Cinquantadue a?”
“Non esultare tanto presto, Potter, Ritchie prenderà quel
maledetto Boccino e allora saremo noi a ridere!”
John si riscosse dalla scenetta, ricordando a se stesso
che doveva studiare, per la barba di Merlino!
“Devo andare.” disse infine, voltandosi verso Remus.
“Certo, il dovere chiama. Buono studio.”
“Grazie. Ci vediamo."
Detto questo uscì dal campo di Quidditch e tornò sul
sentiero che portava al Lago Nero. Non sentiva schiamazzi, per cui pensò che
non ci dovessero essere troppi suoi compagni di scuola.
L'acqua del lago era più scura vista da così vicino.
Molti studenti stavano alla larga da quelle rive da quando si era sparsa la
voce che le sirene potessero saltare fuori, catturare i ragazzi e trascinarli
giù con loro per affogarli e mangiare i loro cuori.
Ma John sapeva che non era vero. Se lasciavi stare le
sirene, loro lasciavano stare te. Più semplice di così…
Quando finalmente arrivò, si guardò intorno. Come aveva
pensato, non c'erano molti ragazzi: una coppietta di Tassorosso amoreggiava
all'ombra di un platano; più in là due sue compagne di casa stavano studiando,
probabilmente, la stessa materia, ma John non voleva unirsi a loro. Preferiva
fare e stare da solo. Rendeva meglio. In compagnia avrebbero finito per parlare
di quanto fossero poco stimolanti le lezioni di Erbologia
o quanto ridicoli fossero gli argomenti di Divinazione.
Infine c'era un’altra ragazza, poco più in là. I capelli
rossi e la divisa di Grifondoro dicevano chiaramente a John che si trattasse
della dolce, bella e intelligente Lily Evans. Una nata Babbana
come lui, nonché, dicevano, la strega più brillante della sua età. E John non
faceva fatica a crederci. Era davvero in gamba in tutto ciò che faceva,
ammirata da tutti professori, invidiata dalle ragazze e amata dai ragazzi.
A parte John ovviamente. Lui la stimava, anche se le
aveva rivolto la parola due volte, sì e no, ma niente di più. Tutti sapevano
che era territorio di caccia di quel Potter, e non ci voleva un genio per
capire che presto avrebbero cominciato a uscire insieme.
E ora, ora sì, John doveva studiare. Lasciò la visione di
Lily che leggeva con la schiena appoggiata a un albero, e poi lo vide. Lui,
l'albero perfetto presso cui studiare. Era maestoso, con un tronco robusto e
grandi fronde verdi che riparavano dal sole, lasciando passare la giusta
quantità di raggi.
Proprio perfetto.
Si diresse verso il prescelto e cominciò ad arrampicarsi.
Lasciò il libro a terra e raggiunse un ramo particolarmente stabile su cui
sistemarsi. Poi estrasse la sua bacchetta e la puntò verso il libro.
"Wingardium Leviosa!"
E il libro si librò nell'aria fino ad arrivare di fronte
a lui e posizionarsi delicatamente sulle sue gambe. Bene, ora niente poteva
impedirgli di aprire il libro, iniziare a leggere il capitolo e…
Niente, a parte chiunque stesse
avvicinandosi fischiettando senza curarsi di quella oasi di tranquillità.
John scostò un piccolo ramoscello per riuscire a scorgere
il disturbatore e quasi cadde giù dall’albero: James Paul McCartney, meglio
conosciuto come Paul, il suo amico Paul, arrivava con la sua andatura
spavalda, dal sentiero che pochi minuti prima aveva percorso anche John.
Come al solito, era una visione: la pelle bianchissima, i
capelli neri e scompigliati, la cravatta verde-argento allentata e la camicia
fuori dai pantaloni.
Forse stava cercando John, forse l’aveva visto
allontanarsi dal castello e l’aveva seguito. Forse voleva stare con lui. Forse-
“Ehi, Evans!”
John aggrottò la fronte, stringendo il libro fra le mani
e seguendo attentamente Paul che si dirigeva verso Lily. La ragazza non sembrò
particolarmente turbata e continuò a leggere, senza badare a lui.
“Che magnifica visione sei, oggi.” commentò, sedendosi
accanto a lei, “Hai sempre avuto i capelli così splendenti?”
Quando lui le accarezzò una ciocca dei suoi lunghi
capelli rossi, Lily alzò gli occhi al cielo e nello stesso momento anche John
la imitò; poi lei si alzò in piedi e si spostò, avvicinandosi all’albero sui
cui rami era seduto il giovane Corvonero.
“Oh, andiamo, Evans, perché non mi parli?” esclamò Paul,
correndole dietro.
“Sparisci.”
“Sparisci?!” ripeté Paul, fintamente oltraggiato, “E
perché mai, sei arrabbiata con me?”
“Voglio solo leggere il mio libro in santa pace.” sospirò
lei, implorandolo di andarsene con lo sguardo.
Paul le sorrise, intrigante, “Giuro che ti lascio stare,
a una condizione.”
“E quale sarebbe?” domandò Lily, spazientita.
“Esci con me.”
“Non se ne parla.”
“Avanti, perché no?” la pregò Paul, “Hai anche, e
permettimi di aggiungere finalmente, lasciato quello sfigato di Piton.”
“Non che siano affari tuoi.” sbottò lei, che, sentendo
quel nome, si rabbuiò improvvisamente, “Ma non stavamo insieme.”
“Beh, comunque, non gli stai più appresso. Il che
significa che hai più tempo libero da dedicare a te stessa.” insistette Paul.
John sospirò, Paul non era uno che accettava facilmente
un no. E faceva quasi male, in quel momento, sapere che fosse un po’…
anzi, soprattutto colpa di John.
“Non direi, siamo al sesto anno e abbiamo un mucchio di
cose da studiare.”
“Suvvia, che devo fare per convincerti, Evans?” le
domandò Paul, afferrandola per un braccio.
Lei si liberò gentilmente dalla sua presa, “Proprio
niente.”
“Non sarà forse che stai pensando di cedere a quel
bulletto di Potter?”
Nonostante si trovasse a una certa altezza, John poté
vedere le guance di Lily colorarsi lievemente. Ecco, lo sapeva!
“Se fosse così, neanche
questi sono affari tuoi.” esclamò Lily, “E poi credo che anche tu abbia già una
persona a cui pensare…”
John sussultò, sporgendosi
ancora di più per guardare i due ragazzi. Paul era impassibile, lo sguardo da
malizioso e implorante, era diventato improvvisamente apatico. Vuoto.
“Ti sbagli, non c’è
nessuno.” fu la sua risposta.
“Ma…”
“Aguamenti!”
L’incantesimo uscì dalle
labbra di John senza che lui se ne accorgesse, ritrovandosi ora con la
bacchetta puntata verso Paul, Paul bagnato fradicio come un pulcino per colpa
dell’incantesimo dell’amico, Paul che fece scattare subito la testa verso
l’alto, scorgendo John in mezzo ai rami dell’albero.
“John?!” esclamò
allibito, mentre Lily ridacchiava sommessamente.
Con un agile balzo, John
raggiunse i due ragazzi a terra, “Ciao, Macca.”
“Cosa…si può sapere che ti è
preso?” domandò Paul, cercando di strizzare i vestiti per liberarli dall’acqua.
“Mi sembrava che stessi
importunando questa ragazza. Dovevo intervenire.”
“Importunare?” ripeté Paul,
sempre più sconvolto, “Ma che stai dicendo? E poi che ci facevi là sopra?”
“Stavo studiando per la
punizione che ci avete procurato voi stupidi Serpeverde.” sbottò infastidito,
“E ora se vuoi scusarmi…”
John cercò di andarsene, ma
Paul lo fermò afferrandogli un braccio, “John, aspetta.”
Il tocco sembrò bruciare
sulla sua pelle, come Ardemonio, e quando Paul lo
costrinse a voltarsi, John puntò istintivamente la bacchetta contro di lui.
“Levicorpus!”
Paul non ebbe il tempo di
sorprendersi, perché subito si ritrovò appeso a gambe all’aria e la testa in
giù. John si lasciò scappare una risata e fece per girarsi sui tacchi, pronto
per andarsene davvero, quando…
“Locomotor
mortis.”
L’incantesimo di Paul lo
immobilizzò sul proprio posto, le gambe di John erano bloccate e non c’era modo
di farle muovere.
A quel punto, Lily cercò di
intervenire per calmare gli animi, “Ragazzi, forse è meglio se-”
Ma John non la ascoltò e
mentre Paul si rialzava, dopo essere caduto sul fondoschiena, esclamò, "Rictusempra!"
Subito Paul si contorse in
preda a spasmi per un improvviso solletico causato dall'incantesimo, ma si
costrinse, con tutte le forze che riuscì a recuperare, a reagire.
"Everte
statim!" rispose Paul, e John fu
scaraventato all'indietro di un paio di metri.
Si rialzò ed era pronto a
scagliare un altro incantesimo contro Paul, quando intervenne prontamente Lily.
"Immobilus!"
esclamò la ragazza.
I due ragazzi, presi alla
sprovvista, si ritrovarono incapaci di muoversi.
"Ora basta. Non sono
ammessi duelli fra studenti a Hogwarts. Perciò, in
qualità di Prefetto, cinque punti in meno a Corvonero e Serpeverde.” sentenziò
solennemente Lily, “Ora vi libero, ma se vi sorprendo ancora a duellare così
insensatamente, non esiterò a riferire il tutto ai professori delle vostre
case." esclamò e poi fece terminare il suo incantesimo, "È
chiaro?"
John tornò ad avere il
controllo del proprio corpo e guardò Paul riprendersi e pulirsi la divisa,
prima di annuire, mantenendo però nella sua direzione uno sguardo profondamente
arrabbiato.
"Chiaro!" disse
poi.
"Paul?" lo
incoraggiò Lily.
Paul ricambiò lo sguardo di
John con la stessa fiera rabbia, "Cristallino."
John sostenne gli occhi di
Paul ancora qualche minuto, poi si voltò e si allontanò con passo affrettato.
Voleva essere lontano da Paul, lontano da tutti, essere solo, lui e la sua
rabbia, la sua gelosia, la frustrazione di non poter essere, in quella scuola,
libero di fare quello che voleva. Era il colmo, aveva a disposizione la magia,
eppure questa non poteva porre rimedio a tutto, non poteva far sì che il
sentimento di John fosse accettato da tutti, che fosse rispettato, non poteva
proteggerlo dalle accuse, dagli insulti...
Per quanto riguardava
Paul... beh, John era arrabbiato anche con Paul, perché sembrava che ignorasse
tutto non appena ci fosse qualcun altro con loro. Bastava la presenza solo di
un'altra persona per cancellare velocemente tutti quegli attimi insieme, rubati
a un mondo cieco e ottuso che non voleva accettarli. E John odiava quando Paul
si comportava così, soprattutto se intorno a loro ronzava una ragazza. Per
tutte le mutande di Merlino, John lo odiava quando faceva il cascamorto con la
prima ragazza che capitava a tiro.
Così arrabbiato era, che non
si rese conto di dove le sue gambe lo stessero portando esattamente. Si ritrovò
dentro il castello, e si fermò un istante per cercare di orientarsi. Perdersi
ancora a Hogwarts dopo sei anni di scuola... sì, era
possibile. Anche per la mente eccelsa di John Lennon. Grazie tante, signori
fondatori di Hogwarts.
Proprio mentre cercava di
capire dove si trovasse, sul muro di fronte a lui apparve una porta. Così, dal
nulla. Un momento c'erano i mattoni del muro, quello dopo un grande portone di
legno.
John sorrise fra sé, prima
di avanzare e aprire quella porta che dava su una stanza: non era molto grande.
Vi era un camino scoppiettante e di fronte un gran mucchio di cuscini, tutti
colorati e di dimensioni diverse. Sembrava un posticino caldo e invitante.
Tuttavia la cosa veramente
meravigliosa di quella stanza erano le pareti: erano composte da librerie piene
zeppe di tomi finemente rilegati. C'era anche una scala per poter raggiungere
gli scaffali più alti.
John li osservò ammirato,
cercando di scorgere qualche titolo: tutti questi libri erano uno più
interessante dell'altro. Voleva, anzi no, doveva leggerli tutti. Ne
afferrò subito uno e si tuffò sui cuscini, pronto ad avventurarsi fra le pagine
del prescelto.
Aveva sentito parlare di
quella stanza. Era la Stanza delle Necessità. Appariva solo a chi ne aveva
davvero bisogno e John, in quel momento di assoluta frustrazione, aveva
desiderato un posto dove sparire, dove essere lontano dagli occhi di tutti,
dove poter stare da solo con i suoi pensieri.
Pensieri che lo riportarono
velocemente a diversi anni prima, quando era solo un piccolo mago al primo anno
alla scuola di Hogwarts, con i libri più pesanti di
lui, gli occhiali troppo spessi, ma anche con una grande eccitazione che
scorreva nelle sue vene, nonché una consapevolezza di sapere di essere in un
posto dove poteva diventare qualcuno, un posto dove poteva finalmente dire di
appartenere.
Era stata una sorpresa per
lui, ricevere la lettera di Hogwarts, dal momento che
nessuno sapesse che fine avessero fatto i suoi genitori. Nessuno, né nel mondo
Babbano, né nel mondo magico. La vita in orfanotrofio era stata difficile, ma
John aveva affrontato ogni giorno con determinazione, con la convinzione che il
riscatto per lui sarebbe arrivato prima o poi, e ora era lì, finalmente. Era lì da sei anni, da sei splendidi,
indimenticabili anni.
La magia era la sua vita, e
quella vita era stata resa ancor più speciale da Paul.
John si abbandonò
all’indietro, sprofondando nei morbidi cuscini con un gran sospiro.
Ricordava come fosse ieri
quando aveva visto Paul, il piccolo Paul, appena smistato in Serpeverde,
proprio lui che veniva da una famiglia di Grifondoro. Non avevano preso molto
bene la notizia, e l’averli delusi aveva solo reso Paul più insicuro e indifeso
di quanto già non fosse. Non era una sorpresa, in quei primi giorni di scuola,
incrociare il piccolo Paul nei corridoi, alle prese con qualche compagno più
grande che gli rubava il libro o la bacchetta. Era uno spettacolo sconfortante,
soprattutto perché Paul arrossiva, non sapendo come fare a riprendere le
proprio cose. Un giorno di questi, John, spazientito da quella visione, che gli
ricordava troppe scene vissute sulla sua stessa pelle all’orfanotrofio, aveva
deciso di intervenire. Li aveva affrontati con coraggio, dopo aver imparato
qualche incantesimo utile sul libro di testo, Manuale degli Incantesimi,
Volume Primo. Così aveva fatto in modo che Paul si riappropriasse dei suoi
effetti personali, e da quel momento, da quel, “Ciao, mi chiamo John”, “Io sono
Paul”, non passava giorno che i due ragazzi non trascorressero insieme, con
John che difendeva Paul dai bulletti più grandi e gli mostrava come acquisire
sicurezza in se stesso, e Paul che gli insegnava i particolari del mondo magico,
un mondo in cui John era stata appena catapultato, un mondo di cui conosceva
davvero poco.
Crescendo, John si era
ritrovato nella condizione di non poter fare a meno di lui, il solo pensiero di
non averlo più nella sua vita era terribilmente angosciante. Se prima era lui
quello forte e determinato, ora diventava il ragazzo più fragile e vulnerabile,
al pensiero che Paul potesse abbandonarlo. Paul che ormai non aveva più bisogno
dei suoi insegnamenti, Paul intraprendente, intelligente, sveglio, simpatico.
Paul per cui John impazziva.
Era stato difficile da
accettare? No, per nulla. Era stata la cosa più naturale del mondo. Non c’era
nessun’altra persona che John volesse accanto a sé, in tutta la sua vita, per
tutti i giorni della sua vita.
E poi un giorno, un giorno
qualunque a Hogwarts, in riva al lago, mentre
studiavano, Paul gli aveva rubato un bacio, così, dal nulla, solo perché
poteva, solo perché, “Sentivo che lo volevi anche tu, Johnny.”
Certo.
Certo che lo voleva. E lo
voleva anche ora, in questo momento buio, in cui si ritrovava
contemporaneamente a odiare e amare Paul. Odiare e amare ogni più piccolo
elemento della sua personalità, del suo aspetto.
Voleva averlo proprio lì,
per stringerlo fra le sue braccia e intanto urlargli che l’aveva fatto morire
dentro quel pomeriggio.
Tuttavia era davvero troppo
combattuto in quel momento, avrebbe solo fatto scappare Paul lontano da lui. E
questa era certamente una cosa che voleva evitare.
Poi si ricordò del messaggio
che Paul gli aveva inviato quella mattina stessa, con il suo gufo, un piccolo
biglietto dove gli chiedeva di vedersi di notte, nell’aula abbandonata dove
erano soliti incontrarsi da quando questo rapporto si era evoluto in qualcosa
di più dolce.
Con la rabbia del momento,
John pensò di dargli buca. Se lo meritava, in fondo. Ma ciò avrebbe significato
una crisi ben peggiore di quella attualmente in corso. No, questa non era
un’opzione accettabile.
Il pensiero che mancasse
qualche ora all’appuntamento lo rilassò. Dopotutto aveva ancora un po’ di tempo per sbollire la rabbia.
Sarebbe andato al loro
incontro per chiarire tutto e avrebbe affrontato Paul con maggior razionalità.
Era pur sempre un Corvonero.
Trovava sempre una soluzione.
****
La sera giunse con il suo
manto scuro, trapuntato di stelle, che coprì Hogwarts
e dintorni.
Alla fine John non andò
nella Sala Grande per la cena, se n’era semplicemente dimenticato e ora moriva
di fame. Con molta attenzione si aggirò nei corridoi semi-deserti della scuola.
Che ore erano, le undici? Si supponeva che gli studenti fossero a letto e
soprattutto che non fossero fuori dalle loro sale comuni.
John stava andando
all’appuntamento con Paul. Un miscuglio potenzialmente esplosivo di sensazioni
diverse fra loro stava ribollendo in lui: c’era la fame, la rabbia, la gelosia,
l’amore, la paura che Paul non si presentasse…
Era una cosa che stava
prendendo in considerazione solo ora. Se John aveva pensato di non andare al
loro incontro, non era altrettanto probabile che lo stesso pensiero avesse
attraversato la mente di Paul?
Certo. E ora John si
ritrovava divorato dall’ansia di sapere se anche lui stesse mantenendo la
parola data.
Se l’avesse lasciato tutta
la notte ad aspettare da solo in quella piccola aula, John non pensava che
avrebbe potuto sopportarlo, sarebbe impazzito, avrebbe perso la testa e non
credeva che le conseguenze di un tale evento potessero essere piacevoli, né per
lui, né per Paul, né per chiunque altro fosse capitato tra i suoi piedi.
Fu così che raggiunse l’aula
vicino alla biblioteca, quella che ormai nessuno usava più, quella con i banchi
e le sedie tutti accostati lungo le pareti, quella che aveva visto così tanti
momenti fra John e Paul, i litigi, le riappacificazioni, ancora litigi e poi
baci e baci e ancora baci….
Ma quella sera c’era
qualcosa di diverso nell’aula. John lo notò subito: era uno specchio. Doveva
essere appena stato sistemato lì, a giudicare dall’assenza di polvere.
Era appoggiato al muro di
fronte a lui e aveva una cornice d’oro riccamente decorata. John si avvicinò
interessato. Si accorse che lo specchio poggiava su due zampe di leone; i suoi
occhi percorsero tutta la cornice fino in cima dove vi era una strana
incisione: “Erouc li amotlov
li ottelfirnon”.
John si sistemò gli
occhialini sul naso e aguzzò la vista. Sì, c’era scritto proprio così. Rifletté
un attimo su cosa potesse voler dire, non era latino, né qualche lingua
derivante.
Stava per rinunciare e
allontanarsi quando nel riflesso dello specchio apparve un’altra figura accanto
alla sua. Era…
“Paul!” esclamò, voltandosi
subito all’indietro.
Ma dietro di lui non c’era
nessuno. Scosse il capo e tornò a guardare lo specchio: Paul era ancora lì.
Solo che ora aveva la mano intrecciata con quella del riflesso di John. E
sorrideva. Sorridevano entrambi. John chinò il capo per guardare la sua
mano, ma era vuota. Sola.
Il suo riflesso non lo era.
C’era Paul con lui, e poi arrivarono altre persone, tutti i loro compagni di
scuola, tutti felici, non un solo viso si contrasse in una smorfia a vedere
quei due ragazzi che si tenevano per mano.
Il cuore di John sussultò a
quella visione e lui alzò il capo verso l’incisione in cima allo specchio: “Erouc li amotlov li ottelfirnon”
Forse aveva capito, forse
quello specchio-
“John.”
Il giovane Corvonero si
voltò e questa volta Paul era davvero lì. Paul in carne e ossa. John si sentì
improvvisamente euforico e arrabbiato nello stesso momento. Forse la rabbia era
più forte in quell’attimo, e prevalse su qualunque altro sentimento positivo
che si accese alla vista di Paul, Paul che l’aveva raggiunto, che aveva
rispettato il loro appuntamento.
E prima che potesse
esplodere in uno sfogo di pura frustrazione, in cui avrebbe urlato le cose più
cattive a Paul, il quale era proprio lì, di fronte a lui, che aspettava una sua
risposta, fu Paul ad agire per primo.
Egli sorrise nervosamente,
rivolgendo un cenno del capo allo specchio dietro John, “E’ nuovo quello, o
sbaglio?”
Il tono solo lievemente
agitato della sua voce, ma ancora pacato, fu il tranquillante perfetto per John
e la sua rabbia cominciò a diminuire, a spegnersi come un piccolo falò sotto
l’azione dell’acqua, perché in fondo John sapeva che non ci sarebbe stata
alcuna violenta discussione quella sera, non lo voleva lui, né Paul, allora
perché litigare? Erano lì, insieme, solo questo contava ormai.
“Già.” sospirò lui, come a
voler allontanare tutti i sentimenti di rancore verso Paul, “Forse non sapevano
dove metterlo e il preside ha deciso di sistemarlo qui.”
“E’ uno specchio molto bello,
perché sbarazzarsene?” domandò Paul, avvicinandosi a John per ammirare meglio
l’oggetto in questione.
“Non ne ho idea.”
“Troppo piccolo per
contenere l’ego del vecchio Albus?” esclamò Paul e
John, senza neanche rendersene contro, si ritrovò a ridere sommessamente.
Paul se ne accorse e si voltò
a guardarlo con un dolce sorriso sulle labbra. Notandolo, John arrossì
vistosamente, mentre Paul si affrettò per cercare qualcosa sotto il mantello.
Estrasse dalla tasca un tovagliolo un po’ rovinato, che avvolgeva quella che
sembrava una fetta di torta, e subito dopo la porse a John.
“Tieni, ho visto che non sei
venuto a mangiare e ho pensato che potessi aver fame.”
John, un po’ sorpreso, anzi molto sorpreso, non riuscì a
fare altro che guardarlo, senza poter muovere neanche un muscolo, ma Paul non
si lasciò intimorire dalla sua mancanza di reazione, e rimase lì, con la mano
protesa verso John.
“Cheesecake zucca e cioccolato,
specialità degli elfi della cucina. È la tua preferita.”
Poi gli prese la mano e appoggiò la torta sul suo palmo. John
osservò il dolce, mentre sussultava in modo impercettibile perché Paul l'aveva
toccato.
"Mi dispiace per oggi." iniziò Paul, sinceramente
mortificato, "Ti stavo seguendo per farti una sorpresa, ma poi ho visto
che c'erano altre persone. E ho dovuto improvvisare."
A vederlo così dispiaciuto, così che glielo si leggeva
sul volto, John si rilassò.
Paul stava seguendo lui. Lui.
Perché voleva stare con John, forse studiare con lui, o
solo guardarlo mentre leggeva. Ma che importava? Era questo che contava, Paul
voleva lui, come tutti gli altri giorni, come sempre, solo John.
"E mi dispiace anche per quegli stupidi incantesimi.
Non avrei mai dovuto farlo."
"È stata colpa mia, Paul. Ho iniziato io." si
affrettò a dire John, "Ero così... così..."
"Geloso?" concluse Paul.
"Sì. Geloso. Stavo impazzendo di gelosia." gli
fece notare, e improvvisamente lo attirò a sé per un braccio.
Paul ridacchiò, lasciando che John lo abbracciasse.
"Non devi essere geloso. Non devi esserlo mai. Per
me ci sei solo tu, John, ogni giorno della mia vita."
"Ogni giorno?" ripeté John, ammirato, stringendolo
e facendo toccare le loro fronti, "Non ti stancherai di avermi tra i piedi
tutti i giorni?"
Paul sospirò, "Correrò il rischio."
Poi lo baciò, gemendo dolcemente al contatto delle sue
labbra, per far sapere a John che aveva aspettato tutto il giorno per poterlo
fare, che quel pomeriggio non avrebbe mai e poi mai voluto duellare con lui, ma
che al contrario avrebbe voluto stringerlo fra le sue braccia e non lasciarlo
più andare.
John si concesse di abbandonarsi al suo bacio, almeno
fino a quando gli fu possibile. Si allontanò da lui, con il respiro leggermente
affannato e il viso arrossato. Paul sorrideva soddisfatto, le braccia avvolte
intorno al suo collo, come se non avessero alcuna intenzione di lasciarlo
andare. Era ancora troppo presto.
"Perché oggi pomeriggio ci hai provato proprio con
Lily?” domandò poi John, rammentando dolorosamente quella scena e tutto ciò che
era accaduto dopo fra loro, “Lo sanno tutti che va dietro a Potter."
Paul sospirò tristemente, "Non volevo farlo, ma
probabilmente se mi avesse visto bighellonare lì intorno, si sarebbe
insospettita. Ed è per quello che l'ho scelta. Sapevo che mi avrebbe rifiutato,
ma almeno ho cercato di continuare questa farsa."
“Non credo che tu l’abbia convinta molto.” gli fece
notare John, alzando maliziosamente un sopracciglio.
“Perché è la strega più brillante della nostra età.”
ribatté Paul, ammiccando.
“Pensi che l’abbia capito?” domandò timoroso John.
“Probabile, ma non devi preoccuparti. Anche se fosse
così, sono sicuro che manterrà il segreto.”
Paul sembrava tanto sicuro che John non poté non annuire,
ma la poca convinzione del suo gesto non passò inosservata agli occhi di Paul..
“Cosa c’è che non va?” gli chiese, sollevandogli il capo
con una mano sul mento.
"E’ solo che, Paul, sono stanco di dovermi
nascondere ogni giorno, per stare con te." sospirò affranto ed esausto.
Paul lo guardò comprensivo per pochi istanti, prima di
accarezzargli teneramente una guancia.
"Si tratta di resistere solo per un altro anno,
John. Poi saremo liberi. Potremo fare tutto quello che vogliamo, viaggiare,
vedere il mondo e potremo farlo insieme.” gli disse, sorridendo fiducioso, “Penso
che per una tale prospettiva valga la pena aspettare solo un anno. Che ne
dici?”
John strinse un po’ di più le braccia intorno a Paul, “Dico
che posso aspettare.”
“E l’attesa renderà quel giorno ancora più bello, John,
te lo prometto.” affermò Paul, aspettando che John annuisse con più sicurezza
questa volta, prima di continuare, “E ora mangia questa dannata torta, prima di
svenire qui.”
“Non accadrà.” lo rassicurò John, sciogliendosi
dall’abbraccio per mangiare la sua cena.
“Me lo auguro. Non ho alcuna voglia di portarti in
infermeria.” commentò Paul, incrociando le braccia, “Pensa cosa accadrebbe se
Madama Chips vedesse arrivare un Serpeverde e un Corvonero a quest’ora della
notte. Finiremmo subito nei guai, te lo dico io.”
John ridacchiò divertito e Paul lo imitò, mentre il
giovane Corvonero gustava la fetta di cheesecake,
assaporando il mix perfetto di zucca e cioccolata, caldo e dolcissimo.
Poi un rumore li fece
sussultare entrambi e le risate si fermarono all’istante.
Paul portò un dito sulle
labbra, per indicargli di stare in assoluto silenzio, mentre delle voci indistinte
e dei passi affrettati giungevano dal corridoio. Lentamente, con passo felpato,
i due ragazzi si avvicinarono alla porta, appoggiandovi delicatamente
l’orecchio.
“Signor
Gazza, si può sapere perché mi ha fatto precipitare qui con tutta questa fretta?”
“Mrs.
Purr ha sentito dei rumori provenire dall’aula dello
Specchio.”
John guardò Paul, che gli disse con il labiale,
“Silente.”
John annuì e il suo cuore cominciò a battere fortissimo,
faceva vibrare la sua cassa toracica e lui si scostò appena dalla porta: era
sicuro che potesse far tremare anche la porta, così quella stupida gatta li
avrebbe scoperti una volta per tutte.
Tuttavia i passi si fermarono.
“Oh,
andiamo, signor Gazza, chi vuole che scopra quell’aula abbandonata?”
“Studenti
fuori dai loro letti, signor Preside?”
“Sono
sicuro che nessuno studente sia fuori dal proprio letto, correndo quindi il
rischio di perdere punti a così pochi giorni dall’assegnazione della Coppa
delle Case.”
“Ma
lo Specchio? Potrebbe essere in pericolo.”
“Mi
creda, signor Gazza, se dovesse accadere qualcosa allo Specchio delle Brame,
sarei il primo a saperlo.”
“Ma
Mrs. Purr-”
“Probabilmente
i rumori che ha percepito la sua gatta sono stati causati da Pix.”
Seguì un breve attimo in cui nessuno disse più nulla, e
John era certo che Silente avesse appena toccato il punto giusto. Pix, l’eterna nemesi di Gazza. Infatti…
“Pix! Quel piccolo demonio! Se lo prendo, questa volta la
pagherà cara.”
“Coraggio,
ora vada a dormire. Darà la caccia a Pix domani
sera.”
I passi ripresero a echeggiare nel corridoio, solo che
questa volta stavano allontanandosi dall’aula in cui erano nascosti John e
Paul. Così i due ragazzi si lasciarono scappare un gran sospiro di sollievo,
prima di rigirarsi e cadere seduti a terra, con la schiena contro la porta.
“C’è mancato poco stavolta.” esclamò John.
“Quella stupida gatta ficcanaso.” commentò Paul, con una
smorfia, “Un giorno farà la fine che si merita.”
John si portò una mano sul cuore, il quale impiegò un po’
di tempo prima di tornare a un ritmo accettabile. Questo gli diede l’occasione
di riflettere sulle parole di Silente. Il vecchio preside aveva parlato di uno Specchio delle Brame…
“Sarebbe questo, allora, lo Specchio delle Brame?” domandò
Paul, come se avesse intuito i pensieri di John.
“Sì.”
“E quale sarebbe la sua particolarità?”
John si morse il labbro pensieroso, ricordando
l’incisione sulla cornice. Era tutto chiaro ora, quello che John vi aveva visto
dentro.
“Non rifletto il
volto ma il cuore.”
Paul lo osservò, aggrottando la fronte, “Che significa?”
“Significa che non conta come siamo agli occhi degli
altri, ma quello che sentiamo.” gli spiegò John, sorridendo dolcemente, prima
di voltarsi verso di lui, “E io sento solo te, Paul.”
Poi gli prese il viso con una mano e lo baciò, rendendolo
ancora più felice di quanto già non fosse, perché ora sì, era tutto a posto.
“Chissà come mai Silente non ha lasciato che Gazza
controllasse quest’aula.”
John rise all’affermazione di Paul e sfiorò la punta del
suo naso con le labbra.
“Non dirlo a nessuno, Paul, ma secondo me, Silente ha il
nostro stesso segreto.”
Era solo la fine di un altro giorno a Hogwarts
per John e Paul, ma la speranza che quello migliore della loro vita dovesse
ancora arrivare lo rendeva speciale come tutti gli altri.
Note
dell’autrice: e andiamo con il primo crossover tra due
delle cose che amo di più. I Beatles e Harry Potter.
Non c’è molto da dire, il contest prevedeva di scrivere
una AU con i Beatles catapultati in un universo alternativo di un libro. E
questo abbinamento volevo farlo da un po’.
Grazie a kiki che ha corretto
la storia, grazie a _SillyLoveSongs_ e al gruppo di facebook “Cercando chi dà la roba alla Rowling [Team
Harry/Hermione]” per alcune consulenze.
Spero che la storia sia piaciuta.
A presto
Kia85