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Autore: GreenCats    13/02/2014    5 recensioni
Dover scegliere quello che più ti fa star bene non vuol dire scegliere la cosa migliore.
E' questo che capita ai protagonisti: Harry e Louis.
Un amore sbagliato, che potrebbe distruggere tutto oppure aggiustare le loro vite, complete solamente dopo essersi incontrati.
Conosciuti in una chat, i due ragazzi avranno modo di scoprirsi, di iniziare ad amarsi, ma avranno mai il coraggio di andare oltre uno schermo?
Genere: Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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23 GIUGNO – 10.11
 
«Allora principessa, con quanto sei uscita?»
«Smettila di chiamarmi così»! - tuonai, irritato da quel tono così prepotente che mi era stato rivolto.
«Attenzione! Attenzione! La principessa sul pisello si sta irritando» – rise, odiavo quella risata, vi erano state notti in cui quel suono era entrato nei miei sogni, incubi ad esser precisi.  
Dopo tre anni passati con della gente così, quelle battute erano solo il minimo.
Avevo imparato a farmi le ossa. L'alternativa era che le ossa te le facessero loro.
«A chi l'hai succiato per uscire con novantatré?»
«Nov...novantatré?» - chiesi incredulo dirigendomi verso i quadri appesi alla vecchia bacheca di legno, riuscii a scansare il ragazzo che mi ostacolava la vista. Cercai velocemente la mia classe ed il mio cognome.
Appoggia il dito sul mio nome, uno degli ultimi, seguii la linea retta che mi portava al voto e rimasi a bocca aperta.
93/100
Niente lacrime, niente gridolini.
Presi il telefono ed invia un messaggio a mio padre - « 93 »
Semplice, senza testi aggiuntivi.
È sempre stato un tipo da poche parole, come me, e quel voto doveva essere messo in risalto, tutto il mio passato era rinchiuso in quel semplice numero.
Quel voto era l'unica cosa che mi rimaneva di quelle mura.
«Hai la cena pagata in qualsiasi ristorante a tua scelta – Papà.»
«Hai vinto la scommessa» – Inviai un nuovo messaggio, ma questa volta il destinatario non era mio padre.
Infilai il telefono nella tasca posteriore dei miei jeans scuri e - "Sicuramente starà ancora dormendo" - pensai visto che la risposta tardava ad arrivare, cosa che mi preoccupò non poco. Scesi le scale lentamente; a differenza di tutte le altre persone presenti. Volevo godermi quelle ultime rampe, quei scalini di marmo grigio sporco che i miei piedi non avrebbero più solcato, era una promessa, forse l'unica che avevo davvero voglia di mantenere.
Passai una mano nei capelli, portai indietro il solito ciuffo ribelle che mi cadeva sull' occhio destro ed incalzai il passo, dovevo allontanarmi il prima possibile da quel posto che per anni era stata la mia prigione.
Infilai le cuffie e mi lasciai trascinare dalla musica. Avevo bisogno di quelle note. Negli anni addietro avevo imparato a infilare le cuffie nell'esatto momento in cui iniziavano ad insultarmi. Avevo trovato un bel modo per scappare, senza andarmene davvero. Ma in quel momento non importava più, non dovevo scappare più da nulla e nessuno, anzi dovevo raggiungere qualcuno. Mi abbandonai alla riproduzione casuale non appena il mio piede toccò l'ultimo scalino.
Il cielo inglese rispecchiava perfettamente il mio stato d'animo. Avrei dovuto sentirmi libero: ora potevo vivere davvero come volevo, studiare ciò che sognavo ed essere come desideravo.
Ma mi tremavano le gambe, quasi non reggevano il mio stesso peso. Respiri profondi scandivano i minuti, gli attimi che mi separavano dall'unica nota di colore che avrebbe reso la mia vita meno grigia.
Non ero nulla di preciso in quel momento.
Non ero libero.
Non ero vivo.
Iniziò a piovere, in pieno giugno.
                                                              
Suonai il campanello tre volte.  Lo facevo sempre, era un'abitudine che trovavo divertente perchè sapevo che lui avrebbe dato di matto e così fece. Si affacciò dal balconcino della cucina, l'unico che dava sull'ingresso, si strofinò gli occhi con la mano, il volto assonnato, lo riuscivo a vedere anche a tre piani di distanza. C'era da aspettarselo, in fin dei conti per lui era ancora troppo presto.
«Cazzo, ti ho sempre detto di venire dopo le undici! Lo sai che prima dormo!» – urlò; notai la striscia rossa che gli segnava la guancia destra, segno tangibile che aveva appena abbandonato il letto.
 «Vuoi aprirmi o devo aspettare qui 35 minuti?» – urlai a mia volta per farmi sentire, notando che la vecchietta del piano di sotto mi guardava accigliata, non gli ero mai piaciuto, forse da quella volta sulla tromba delle scale, dove mi aveva visto letteralmente con i pantaloni abbassati.
«Ti apro, insolente!»
«Grazie Zayn» – Sbattè la porta del balconcino e immediatamente si sentì lo scatto del portone aprirsi.
"Respira." 
 
6 MESI PRIMA...
11 DICEMBRE – 17.04
 
Iscrizione avvenuta con successo: il tuo nome confermato è 'Need2beloved'
 
Inutilmente si è aggiunto alla chat.
«Tutti con la stessa paura di essere inutili» – scrissi velocemente e senza pensare inviai, non avevo da perdere niente, dopotutto ero in una chat di sconosciuti.
«Scusami, ce l'hai con me?» - rispose velocemente ed in privato lo sconosciuto a cui avevo dedicato la frase qualche attimo prima.
«E' semplicemente una canzone, mi è venuta in mente leggendo il tuo nick»
«Well all need to be loved. Perché hai bisogno di essere amata/o?»
«Perché in momenti come questi mi sento terribilmente...»-  Ci ripensai, ma ormai avevo inviato parte della frase - «Nulla, fai come se non avessi scritto niente»
«Terribilmente...?»
«Vuoto. Terribilmente vuoto. E solo. Neanche il libro di fisica vuole trovarsi nella mia stessa stanza.» – "Non caricare di problemi uno sconosciuto che si fingerà dispiaciuto" - pensai, notando che 'Inutilmente' non rispondeva più da qualche minuto.
«Vorrei poterti citare un'altra canzone, ma non ne trovo neanche una al momento. Scusami»
«Tranquilla InutilMente. Altrimenti avresti avuto un nick come SempreDiAiuto, no?» – Un mezzo sorriso si venne a delineare sul mio volto, avevo davvero trovato così divertente una battuta del genere?  
«Chi ti ha detto che io sia una ragazza?»
«Non neghi neanche il contrario» – La psicologia inversa era sempre stata la mia arma per capire la gente o meglio, quelle poche persone che riempivano a malapena la mia vita. Non ero un tipo solitario semplicemente mi piaceva avere i miei dannati spazi. Ero selettivo con le amicizie e abbastanza pretenzioso da non fare entrare molte persone nella mia vita, mi bastavo da solo.
«Scusami ma devo davvero andare. Alla prossima, se ci sarà.»
«Ciao Lola!» – chiusi il laptop e lo buttai incurante sulla poltrona vicino al letto, maledicendomi per ciò che avevo appena detto a quello sconosciuto, sarei passato come un'idiota, ma ormai il danno era fatto ed era inutile continuare a maledirsi per la scelta davvero discutibile di quel soprannome.
 
14 DICEMBRE - 22.22
Le dieci per me, era sempre stato un orario scomodo. Sentivo la stanchezza per la giornata passava ma non riuscivo mai ad addormentarmi, finivo sempre per scrivere, leggere, sentire musica ma mai studiare, cosa che dovevo fare assolutamente se volevo mantenere la mia media alta fino al diploma. Era la cosa che più mi interessava, ciò a cui puntavo. Non avevo niente di più di quello e di altre piccole cose. Ero steso a pancia in giù col le gambe in aria ed una matita bloccata tra i denti quando notai lo schermo del laptop segnalarmi la presenza di una nuova notifica, proveniente dal social network a cui mi ero iscritto solo qualche giorno prima, senza un motivo apparente. Avevo sentito parlare a scuola di queste chat e non avendo il coraggio di chiedere di più ai miei compagni, mi ero semplicemente iscritto. «Neanche ricordavo di essermi iscritto» - borbottai tra me e me, chiusi il libro che stavo leggendo, Bukowski poteva attendere, mi allungai per afferrare il computer che continuava a segnalarmi un nuovo messaggio e quasi non lo feci cadere, stupida pigrizia.
«Lola?» - aprii il messaggio e lo sconosciuto di qualche giorno prima mi aveva appena scritto, dal pallino verde vicino alla sua foto capii che era ancora online e senza far scorrere altro tempo risposi - «Cosa diavolo stai dicendo?»
«Chi è Lola? Mi hai chiamato così» - solo in quel momento ricordai la conversazione avvenuta qualche giorno prima e l'uso da parte mia di quel soprannome.
«Prometti di non ridere?» - digitai velocemente aspettando una risposta che non tardò ad arrivare.
«Non so mantenere le promesse, mi dispiace.» – sembrava così, così triste quell'affermazione. Decisi di raccontargli di quel soprannome assurdo nato qualche anno prima, un gioco che nonostante il tempo mi divertiva ancora - «E' il nome in codice che usiamo io e mio padre. Quando ha scoperto che sono gay, ha iniziato ad accompagnarmi in alcuni locali, sai non voleva che io frequentassi brutti giri. Ha scoperto che molte donne frequentano quei bar alla ricerca di un qualche tipo di trasgressione e a mio padre va bene passare una serata in compagnia di qualche donna che la mattina dopo rinnegherà. Il problema è scoprire quale sono vere donne e quali meno. Allora me le presenta dicendo 'Lola', ciò vuol dire che è confuso, che non sa di che genere di donna si tratti e allora io gli do il mio parere. Tutto qui» - risposo velocemente cercando di non essere troppo prolisso ma comunque far capire il perchè di quel soprannome.
«Porti tuo padre nei locali?»
«Di tutto ciò che ti ho detto noti solo quella parte? Comunque sì, io e lui abbiamo un rapporto molto aperto su questo genere di cose, anche se non è così concessivo con cose come la scuola e quelle merdate lì»  
«Vorrei averlo anch'io un rapporto del genere...Tua madre non dice nulla?»
«Mia madre semplicemente non c'è» – Il sorriso si dileguò non appena lessi quella domanda, era un argomento così delicato, personale e doloroso che non lo affrontavo mai, nemmeno con mio padre nonostante fossero passati più di diciassette anni. Mi portai le mani sul vino, ero abbastanza titubante sul rispondere, non volevo certo parlare della mia vita privata con un perfetto sconosciuto ma una piccola parte di me mi ripeteva che non c'era nulla da perdere.
«...Divorziati? Se non oso troppo.»
«Più o meno. Mia madre non c'è mai stata, a quanto ricordi. Ecco perché vivo così bene con mio padre, ha dovuto fare per due. Mi ha cresciuto viziandomi. Certo il cibo non è il suo forte, ma riesce ad ascoltarmi meglio di un amico e tre anni fa ha imparato ad usare la lavatrice, non male per uno che non sapeva neanche distinguerla dalla lavastoviglie» - non volevo parlare di quella donna, non riuscivo a concepirla come una madre, perché madre non lo era mai stata, preferivo sempre dare tutta la mia attenzione a mio padre, all'uomo che con coraggio e forza mi aveva cresciuto, bene per giunta. Sospirai, quell'argomento mi metteva sempre un certo nervosismo addosso, aveva sempre condizionato la mia vita, anche se era assente.
«Non immaginavo, mi dispiace, scusami - continuò a scrivere - In realtà non so nulla di te. Al massimo so che la fisica ti annoia»
«Non dispiacerti, in compenso ho molte zie opprimenti, una nonna che mi adora e mi strafoga di cibo ed un nuovo cane che ha appena pisciato sulla moquette» - sbuffai nuovamente notando la macchia giallastra, ma lasciai perdere, non avevo nè la forza nè la voglia di rimproverare il cucciolo, quindi tornai a dare attenzioni al computer, non che avessi di meglio da fare comunque.
«Non mi vedi ma sto sorridendo» - scrisse ed una leggera fitta mi colpì al petto, lo avevo davvero fatto ridere? Perchè in quel momento anch'io stavo maledettamente sorridendo. Mi passai una mano tra i capelli, spostando il ciuffo che ricadeva in continuazione sulla fronte ed iniziai a fantasticare sulla persona sconosciuta dall'altra parte del computer: com'era? Era un uomo o una donna? Qual era il suo nome?
«Oltre a sorridere cosa stai facendo?»
«Cerco di mandar giù dell'olio di oliva. Oggi ho la voce spezzata e mi hanno consigliato di berne un cucchiaino da thè, non pensavo potesse fare tanto schifo del semplice olio d'oliva e sono anche in ansia per un esame e nulla, cerco di non mandare tutto a quel paese scappando dalla finestra. La mia vita è davvero pessima»
«Se sai di essere pronto, puoi farcela. Mio padre me lo ripete sempre» - "No, quello che se lo ripete sei sempre tu, perché sai di non essere mai abbastanza" - disse il mio subconscio, scacciai quel pensiero e attesi la sua risposta per oltre venti minuti, ma non ci fu. Avrei voluto raccontargli che anche la mia vita era una merda, soprattutto in quell'ultimo periodo ma tralasciai il tutto, non era giusto affollare con i miei problemi una persona sconosciuto. Buttai il laptop nuovamente sulla poltrona, mi alzai a fatica per riprendere il libro che inspiegabilmente era arrivato posizionato al centro della stanza e tornai a leggere, ma sul mio volto non c'era più quel solito cipiglio, quella sera c'era un leggero sorriso e sapevo a chi dare la colpa.
 
19 DICEMBRE - 01.48
Dopo la conversazione dei giorni prima, non ero più entrato su quel sito, anche se avrei voluto maledettamente tanto, parlare ancora una volta con lo sconosciuto o sconosciuta, dopotutto non sapevo ancora se era un uomo oppure una donna a nascondersi dietro quel profilo. Avrei voluto dirgli che in quella mezz'ora di parole era riuscito a farmi sorridere, che ero stato bene anche con uno sconosciuto. Ma non lo feci, non ne avevo il coraggio.
Presi il laptop socchiuso da sopra la scrivania che mi indicava la presenza di un nuovo messaggio, chiusi gli occhi e sperai involontariamente che a scrivermi fosse stato lo sconosciuto.
«Scusami ero a fare una corsa» - questo era ciò che mi aveva appena scritto, una banale e stupida risposta, dopo quasi cinque giorni di assenza se ne era uscito così, senza un vero senso logico eppure ero contento. Diedi la colpa al sonno per quello stupido pensiero.
«A quest'ora? Dovresti dormire» - Risposi senza neanche pensare – "Che cazzo di risposta hai dato?!" - mi colpii la fronte con una mano, non
«Anche tu dovresti dormire a quest'ora e poi mi piace correre mentre sta iniziando a nevicare. Abbassa lo stress»
«Mi sembri mio padre, dice sempre che dovrei fare attività fisica, ma la mia pigrizia avvolte mi impedisce anche di passare dal divano al letto - la risposta non arrivava, volevo sentirlo, così continuai - qui nevica già da un bel po'»
«La verità è che ho paura di non farcela» - ammise, osservai sbalordito le parole che mi aveva appena scritto, era forse la cosa più personale che mi aveva detto da quando ci conoscevamo, certo quella non potevo definirla una conoscenza o qualsiasi cosa di simile eppure non riuscivo a fare a meno di andare avanti, voler scoprire di più. Mi passai una mano tra i capelli disordinati, dovevo davvero tagliarli, agitai i piedi in aria in segno di nervosismo, non sapevo assolutamente cosa rispondere, odiavo la mia poca decisione, volevo assolutamente consolarlo in qualche modo, fargli capire che ce l'avrebbe fatta, se ce la facevo io a rimanere vivo in quell'inferno, sarebbe stato per tutti gli altri una passeggiata - «Ce la farai. So che sei brava/o»
«Neanche mi conosci!»
«Chiamiamolo settimo senso!» - Accennai un piccolo sorriso nel rispondere, non c'era molto di divertente eppure stavo ridendo davanti ad uno stupido schermo.
«Non dovrebbe essere sesto senso?»
«Beh, il mio sesto senso è già occupato da altro!» - Il piccolo sorriso, divenne leggermente più grande.
«Torna a dormire, non voglio essere la causa delle tue occhiaie domattina!»
«Giusto, buonanotte Lola!»
«Buonanotte Senzanome»
«E sono sicuro che domani ce la farai. Io sarò lì con te»
Quella sera andai a dormire con una strana ma bella sensazione allo stomaco.
 
24 DICEMBRE – 00.42
«Auguri di Buon Natale. Spero che l'esame sia andato bene e che la tua vita stia procedendo al massimo»
Nessuna risposta.
"Non sta certo dietro un ragazzino conosciuto in un sito" – Pensai, prima di cadere nelle braccia di Morfeo. Avevo bisogno di sonno, di sicurezze, di sogni. Erano ormai intere settimane che non dormivo più di tre o quattro ore a notte, urlavo nel sonno e non c'era nessuno a dirmi che era solo un fottuto incubo, quel periodo non passava davvero più. Mi sentivo spento, solo, avevo l'assoluto bisogno di essere amato.
Quella notte sognai visi confusi e sorrisi gentili, occhi sconosciuti e belle parole.
 
28 DICEMBRE- 13.40
«Oggi ho sentito una voce urlare Lola e la cosa più strana è che mi sono anche girato» - il messaggio catturò tutta la mia attenzione, non ci voleva molto per distrarmi da chimica. Quasi saltai sopra la sedia dopo aver letto quelle parole e subito mi precipitai a rispondere. Non aspettavo una sua risposta, giuro di no, forse solo un pochino?
«Iniziare una conversazione normalmente no?» - "ASPETTA! "
InutilMente è Offline.
«Allora sei un ragazzo! Mi toccherà trovarti un nuovo soprannome, Lola però ti s'addiceva! - quello sconosciuto mi intrigava più del dovuto - Grazie per avermi lasciato da solo con la mia poca voglia di studiare»
"È davvero meglio chiudere libri e computer ed iniziare ad andare! Il prossimo treno è tra soli venti minuti"
Mi preparai velocemente non badando molto a quello che stavo mettendo addosso, l'anno era quasi giunto al termine eppure non mi interessava, ero sempre stato nervoso per l'arrivo del nuovo anno, ma per quello, non mi aspettavo niente, assolutamente nulla. Mi ero illuso già l'anno precedente e in fin dei conti non era cambiato nulla, forse ero cresciuto qualche centimetro ed avevo raggiunto i diciotto anni, ma quello era stato il massimo del cambiamento. Mi ero augurato nuovi amori, nuove emozioni ma anche per quell'anno vi era stata una siccità di sentimenti ed io ero stanco di sperare che le cose cambiassero. Mi guardai allo specchio, la mia camicia di flanella cadeva grande sui miei fianchi morbidi ed i capelli erano stati intrappolati in un cappello di lana che qualche parente mi aveva regalato per Natale, non era male, certo era di un color cachi davvero discutibile, ma inquadrava bene il mio viso ed aveva una piccola scritta sul lato niente male e poi non ero un così fanatico di moda per lasciarlo ammuffire in uno degli ultimi cassetti del mio armadio. Diedi ancora un ultimo sguardo ed uscii. Londra mi stava aspettando.
Quel giorno però il destino aveva in riserbo per me una sorpresa e fu così simpatico da farmici sbattere contro. Un ragazzo anonimo con una grande borsa di pelle mi era appena venuto contro facendomi cadere. Ero già troppo in ritardo per mettermi a litigare con uno sconosciuto, corsi via e solo a metà strada mi accorsi di non avere più il mio cappello - «Che schifo di giorno»
 
Londra mi metteva sempre un po' d'ansia, non ero abituato alle grandi città, troppo caos, troppa gente. Ecco perché amavo così tanto Holmes Chapel, la mia città. Tutti si conoscevano. Le voci correvano sempre troppo veloci, ma tutti dimenticavano nel giro di qualche giorno, allettati da un nuova notizia.
Con gli anni avevo imparato quali posti potevo e quali no frequentare, quali bar davano da bere alcolici ad un sedicenne senza documenti e dove potevo rifugiarmi quando volevo essere lasciato solo.
Ad Holmes Chapel avevo imparato a sopravvivere, a farmela piacere. Ma a Londra, a Londra mi sentivo solo un puntino nero, una persona in più che affollava il vagone della metropolitana.
«Sei sempre il solito ritardatario!»
«Scusa Beth, non volevo!» – Le presi il volto tra le mani e bacia la fronte della mia migliore amica, era più bassa di me di almeno una ventina di centimetri e quel bacio era un po' un nostro sigillo.
«Perdonato?» - chiesi mostrando il labbro inferiore come un bambino piccolo e facendola sorridere. Era semplice farla ridere ed io vicino a lei mi sentivo sempre un po' meglio, un po' più leggero.
«Oh! Tu e i tuoi sorrisi con me non funzionate eh!» mi diede una leggera spinta ed io mi allontanai da lei fintamente imbronciato. Beth corse nella mia direzione e mi abbracciò, cosa che non faceva quasi mai ma non chiesi nulla, le afferrai saldamente il braccio ed insieme ci dirigemmo verso l'appuntamento al buio che la mia migliore amica mi aveva organizzato.
 
25 GENNAIO - 10.40
«Due ore di matematica, per giunta insieme, mi uccidono!» - commentò Betty ma io non ero interessato, nè a lei nè alla stupida lezione sugli algoritmi e per questo continuai a scarabocchiare sul banco, incurante di tutto ciò che mi stava succedendo intorno. I miei pensieri erano ancora più complessi di quei calcoli disegnati alla lavagna di fronte a me.
Posai i miei occhi chiari sulla mia migliore amica. Aveva una penna tra i denti e ci avrei scommesso la mano destra che neanche lei stesse seguendo davvero quella noiosissima lezione. Continuai a fissarla e sorridere. Lei era una delle poche persone con cui parlavo, su cui avrei sempre messo la 'mano sul fuoco'.
Non sono mai stato un tipo estroverso e lei lo sapeva, sapeva che il mio forte non era parlare, quindi lasciavo parlare lei per riempire i miei silenzi.
L'adoravo per questo.
Più che ad una persona, somigliava ad un mocho colpa delle treccine e della sua corporatura minuta, le mani sempre secche ed un sorriso che faceva sorridere anche me. Amavo soprattutto il fatto che non si spingeva mai oltre un certo numero di domande con me, riusciva a capire i miei gesti, i miei silenzi, i miei occhi coperti dal ciuffo ribelle. Capiva il mio stato d'animo dal ritmo dei respiri, ma la cosa più bella è che quando ero con lei non pensavo. Non avevo tempo per pensare a ciò che mi corrodeva, dovevo stare dietro alle sue parole, ai suoi mille flirt, al suo parlare veloce. L'unica persona che avevo fatto entrare volutamente nella mia vita e a cui non avrei mai permesso di lasciarmi solo.
Ero il mio scudo, la mano che mi sorreggeva dal cadere nel baratro.
«Ohi, ci sei?» - Ma non amavo la sua voce ed il suo fastidioso accento americano.
«Ero sovrappensiero, scusa Beth» - Tornai a disegnare e a fingere che tutto andava bene, ogni tanto spostavo lo sguardo sulla lavagna ma quel giorno ero davvero troppo stanco per seguire qualsiasi cosa, persino una chiacchierata con Beth.
«Non l'avevo capito guarda» - Accompagnò il tutto con un sorrido, uno di quelli da "dimmi tutto, posso salvarti da matematica o dalla tua vita, io posso salvarti".
«Non fare la sarcastica! Oggi non sono dell'umore adatto per nulla, tanto meno per raccontare a te cosa succede» - Sbottai, abbassai lo sguardo ma riuscii comunque a cogliere il dispiacere nel suo viso, non si meritava certo un migliore amico così scontroso dopotutto era grazie a lei se venti giorni prima avevo trovato un ragazzo, beh quello che Zayn era. La classe sorprendentemente rimase composta nonostante il tono alto di qualche secondo prima, fui felice per questo non volevo altri occhi addosso, già quelli di Beth bruciavano abbastanza su di me.
«Certo che hai un'aria...» - Sapevo dove voleva arrivare, era quello il suo obiettivo iniziale, capire cosa avevo. Di solito le serviva poco tempo ma avevo imparato anch'io a mettere i miei muri, muri che nemmeno lei riusciva a saltare. Sospirò sconfitta e tornò a dare attenzione al suo libro di matematica.
«Ho mal di testa. Ieri è stata una serata movimentata» - Continui flashback nella mia testa, continue immagini di me e di Zayn, dell'alcol che continuava a fluire nelle mie vene, delle parole sputate contro.
«Quanto hai bevuto?»
«Non molto. Credo che tu lo hai già capito...» - Oh sì, lei l'aveva capito quando nel corridoio, al cambio dell'ora, l'avevo volutamente evitata, quando avevo saltato la lezione di chimica per stare solo nel piazzale dietro la mensa quella mattina. Quando non ho risposto ai suoi messaggi e lo capiva anche in quel momento.  «Non usare quegli occhi con me!» - Apprezzai il fatto che non fece domande, rimane solo con i suoi occhioni marroni puntati su di me a scrutare ogni mia minima reazione che purtroppo non avvenne.
«Ieri sono stato da lui, da Zayn. Abbiamo litigato, pesantemente - Ormai le parole uscivano a raffica anche se pesanti e dolorose - Non si fida di me ed il problema sono solo io. Sono io che non lo lascio fare, che non mostro i miei sentimenti. Non mi conosce, ci prova, ma ha capito che non sono come mi mostro, che questo sorriso non esiste, che sono fottutamente falso. Ha capito che io non potrò mai dargli un noi perché sono troppo legato al passato e...» - Mi interruppe, mi strinse il braccio e vi appoggiò la testa, mentre con una delle sue piccole mani continuava a disegnarmi cerchi sul collo. Aveva un tocco gentile che riusciva a calmare un mio incombente attacco di panico, gliene fui grato ma non proferii parola, per non rovinare quel momento di pace che da troppo tempo non provavo. Afferrai la penna e scrissi velocemente sulla mia pelle: 'Un giorno farò invidia a tutti'.
«Ehi piccolo, devi stare calmo. E' solo un mese che vi frequentate, andrà tutto bene.  Poi che sei una persona gelida, dovrebbe saperlo» - il sarcasmo pungente di Betty colpì dritto al punto. Le diedi un leggero schiaffo sulla coscia nuda, lei e quei maledetti pantaloni strappati in pieno gennaio.
«Grazie» - Ora, oltre le mani, tremava anche la voce, ma non lo diedi molto a vedere, poiché rimani in silenzio per i restanti minuti finché lei non interruppe tutto - «Figurati» - sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, prima di iniziare a parlare dell'assurda pettinatura di Lucy e della nuova presunta fidanzata di Niall, era cotta di quell'irlandese dal primo giorno che aveva messo piedi nella contea del Cheshire ma non aveva il coraggio nemmeno di salutarlo, nonostante dividessero la metà delle loro lezioni. La saccenza di Beth si annullata totalmente davanti a Niall, era così divertente vedere come diventava rossa davanti a lui.
«Ieri ho scritto al tipo della chat, avevo lo strano desiderio di sentirlo, ma nien-» - Fui interrotto - «Niente! È solo un contatto, non sai la sua storia o chi è»
«Già niente. Ma sembra così simile a me»
«Non sai chi è, non fissarti, hai già un ragazzo» - fissai la foto che avevo come blocco schermo, uno Zayn sorridente e solare era vicino a me, con la mano intrecciata nei miei capelli. Era una delle poche foto che avevamo insieme, era stata scattata nel suo appartamento quando le cose sembravano semplici e senza problemi. Gli volevo bene, davvero tanto, ma mi chiedevo se quello era anche solo lontanamente vicino all'amore. Zayn era il mio primo ragazzo e non sapevo come ci si sentiva, sapevo solo che quando lo guardavo mi sentivo confuso e felice, arrabbiato e completo, un miscuglio di sentimenti che non riuscivo a catalogare. Eppure una piccolissima parte di me, forse una leggermente masochista, voleva ancora sentire quello sconosciuto, conoscere i più piccoli dettagli della sua vita e salvarlo. Quel pensiero risuonò così stupido nella mia mente.
Non ebbi il tempo di replicare che davanti a noi si plasmò il professor Turner. – «Ci rendete partecipi del vostro bel discorso? Oppure preferite svolgere una delle disequazioni presenti alla lavagna? Io vi boccio!»
Betty seguì il mio sguardo, già abbassato da un po' e sorridendo finse un - «Ci scusi».
 
 05 FEBBRAIO - 11.35
«Salvami da biologia, ti prego.»
 
 05 FEBBRAIO - 17.11
«Che eroe sei? Neanche mi salvi quando chiedo aiuto»
 
 05 FEBBRAIO- 17.32
«Quindi, non potendoti più chiamare Lola, come ti posso chiamare?»
 
 05 FEBBRAIO - 23.12
«Ci sono momenti, come questo, che avrei voglia di ribaltare tutto. Sai come ti sentivi prima dell'esame? Ecco, esattamente così. Ho un nodo alla gola che non riesco a sciogliere. Vorrei fuggire, lontano. Lontanissimo. Ascoltare solo la voce del vento. Stare solo. Ho voglia di urlare. Ho voglia di nuotare. Di farmi un nuovo tatuaggio. Ho voglia di vedere facce nuove. Ho voglia di vedere te, ascoltare come suoni il pianoforte, mi basterebbe anche solo il suono della tua voce. Lo suonavo anch'io insieme a mio nonno, come te. Ero entrato anche al conservatorio. La verità è che ho anche voglia di piangere. Mi sento terribilmente solo»
 
 05 FEBBRAIO - 00.21
«Farò un nuovo tatuaggio.»
 
 05 FEBBRAIO- 00.54
«Buonanotte e sogni d'oro» - "Sono patetico, tutto questo è patetico". 
La birra che avevo in mano ormai era calda. Si vedevano le stelle, niente nuvole.
Ero solito salire sul tetto di casa ormai da qualche mese, era il mio posto. Mi isolavo dal mondo, era li che i miei pensieri prendevano forma. Più di una volta avevo cercato di contare quanti metri mi dividevano dalla strada sottostante. Come sarebbe stato saltare, lasciarmi cadere, ma poi ho pensato a nonna, chi l'avrebbe accompagnata a fare la spesa o in chiesa, a nonno e al suo pianoforte, Betty senza di me non ce l'avrebbe fatta a dichiararsi a Niall, a papà e alla sua società e alla fine pensavo anche a mia madre. Avrebbe mai saputo della mia morte? Sarebbe mai venuta al funerale di quel figlio che non ha mai voluto? Ma io dovevo essere coraggioso, coraggioso nel vivere, tutti sarebbero stati capaci di arrendersi e cadere, lasciarsi andare, ma io avevo bisogno di rialzarmi e tornare a correre.
Finii la birra e tornai in camera.
Notte insonne, un'altra.
 
09 FEBBRAIO - 04.17
«Non riesco a prendere sonno.» - Questa volta ad illuminarsi fu il mio telefono, avevo scaricato qull'applicazione anche sul telefono, era più semplice sentire lo sconosciuto, anche se lui non aveva risposto neanche ad uno dei miei messaggi. Erano rimasti lì, non letti, ed io ogni giorno pregavo che tornasse a farsi sentire.
«Chi si risente! Pensavo fossi morto o peggio, rapito dagli alieni»
«Ti preoccupavi?» - "Sì, avevo il fottuto bisogno di sentirti!" - pensai senza scriverglielo, non volevo passare certo per un sociopatico o qualcosa del genere.
«No ma vorrei davvero essere almeno presente al tuo funerale»
«Tu dovresti essere a dormire, piccolo» - disse, facendo andare il mio cuore al massimo. Era un fottuto sconosciuto ed io avevo le palpitazioni! Dovevo dire a Zayn di usare quel tipo di soprannome, forse avrebbe avuto lo stesso effetto ma sapevo che non era così.
«Scusami, ma sono appena rientrato. Considerando che è sabato...» - risposi cercando di darmi un tono, in realtà non ero uscito, semplicemente stavo avendo un'altra delle mie nottate insonni.
«Che hai fatto per rientrare a quest'ora?»
«Sai sono uscito con un ragazzo e a fine serata mi ha dato una pacca sul culo e cercato anche di infilarmi la lingua in bocca» - Inventai continuando a sembrare interessante, non ero davvero bravo in questo, passavo la maggior parte del mio tempo a compatirmi, non ero proprio bravo a darmi un tono, nemmno con uno sconosciuto.
«Sei gay?» - chiese diretto ed io annaspai, ero giusto dirgli la verità? Ero fiero di ciò che ero ed avevo smesso di nascondermi molto tempo prima.
«Già, mi interessano i racazzi, scusa errore di battitura, ragazzi, te l'avevo detto anche il primo giorno»
«Non ricordavo scusami, ho una memoria pessima. Tuo padre cosa ne pensa?»
«E' un problema...?» - chiesi e stupidamente mi ritrovai con gli occhi chiusi a sperare che non fosse un problema.
«Per tuo padre?»
«Per te! Lo è, vero? E' un problema.» - Ormai ero abituato a sentirmi dire quello, avevo sentito epiteti ben peggiori, ormai nulla mi scalfiva più anche se certe volte trovavo divertente il modo in cui la gente continuava a creare fantasiosi insulti solo per me.
«No, assolutamente no. Avevo notato la preferenza nel tuo profilo» - Sospirai, non so se per il sollievo o meno e "Il misterioso", così l'avevamo soprannominato io e Beth, non si sbilanciava mai troppo, lo invidiavo per questo.
«Hai davvero gli occhi di quel colore?» - chiese Inutilmente, sorprendendomi, non pensavo certo che la conversazione avrebbe preso quella piega. Era più leggera e forse era un metodo per conoscersi.
«Si, come mia madre...» - Era dalla notte sul tetto che non pensavo a lei e non volevo davvero farlo ma spesso mi ritrovavo ad immaginare una vita insieme a lei, come un figlio normale. Tutti i miei danni erano per colpa sua, non riuscivo a fidarmi di me stesso per colpa sua ed ero fottutamente triste, per colpa sua.
«E' morta?»
«E' andata via quando ero piccolo, depressione post-partum.  Almeno così hanno sempre detto»
«Hai mai provato a cercarla?» - Non voglio pensarci, cazzo, non voglio parlare di lei, urlai per la frustrazione ma mi coprii la bocca col cuscino non volevo certo svegliare mio padre in piena notte, già i miei incubi erano un problema per lui, non volevo aggiungerci anche le urla.
«L'ho cercata una volta, due anni fa. Ha un bar a Londra, uno di quelli ricercati, pieni di musica trasmessa dalle televisioni appese in modo strategico alle pareti. Quel bar è come lei, pieno fuori, ma non aveva neanche una Lemon Soda all'interno» - Solo Beth sapeva che ero andato a cercarla. Non avevo mai parlato di quel giorno ad altri, soprattutto a mio padre, sapevo che sarebbe stato furioso anche solo al pensiero di suo figlio sulle traccie della sua ex moglie.
«E l'hai vista?»
«No.»  - Bugiardo. L'avevo vista. Parlava al tavolo con un fornitore. Aveva gli occhi segnati dal tempo che ormai era passato insieme ad un filo di trucco nero, gli occhi più chiari di come ricordassi, i capelli neri corvini legati in una crocchia veloce. Gambe lunghe e snelle, mani curate incorniciate dallo smalto rosso. Sorrideva spensierata, sembrava così a suo agio. Per settimane mi ero chiesto se mi avesse notato, se avesse riconosciuto i miei occhi, i miei capelli, la voce simile a quella di mio padre. Mi ero chiesto se quando ero fuggito via con le lacrime agli occhi, lei mi avesse seguito anche solo con lo sguardo.
«Hai davvero fatto un tatuaggio?»
«Non è neanche il primo, ne ho altri sei»
«Cosa hai tatuato?»
«Won't stop 'till we surrender.»
«Sweet Disposition»
«Complimentoni, conosce la musica»
«E' la mia vita!»
«Sono geloso» - "Non l'ho detto davvero, no." - «Scusami. Sta iniziando a nevicare!» - Cambiai discorso cercando di non sembrare troppo imbarazzante. Presi un sorso dalla mia tisana ed aspettai una sua risposta, quella sera stavamo parlando più del dovuto e a me piaceva sempre di più quella crescente sensazione nel mio petto. Guardai il telefono e notai che Zayn mi aveva mandato la buonanotte poco prima ma la ignorai riportando tutta la mia attenzione allo sconosciuto.  
«Anche qui» - affermò, non diceva mai troppe parole e trovavo questa cosa estremamente snervante
«Dove sei?» - chiesi con la speranza di sapere di più, ma era io quello che aveva parlato della sua intera vita non lui. Io non sapevo assolutamente nulla di lui e questa cosa mi rendeva pazzo.
«Mistero» - Non si sbilanciava mai troppo, mai.
«Non sei simpatico»
«Se sta nevicando da tutte e due nello stesso momento, vuol dire che lontano non siamo, non credi?» - Forse mai, non era vero. Sorrisi e mi affacciai alla finestra, la neve aveva ormai riempito tutto il vialetto di casa, mi piaceva quella sensazione di pace che solo l'inverno riusciva a trasmettermi.
«Sei a Holmes Chapel?» - chiesi stupidamente con la speranza di una semplice affermazione
«Piccolo, non so neanche dove sia! E di certo non lo dico a uno sconosciuto in chat»
«E' vero, con te niente domande scontate"
«Semplicemente non mi piace la banalità e il 99% delle domande che ricevo, sono sempre scontate - Continuò - Perché hai scelto di farti quel tatuaggio? Ha un significato, come dire, forte»
«Ma tu non eri contro le domande banali?» - Passai il pollice sul tatuaggio all'interno del mio braccio, era ancora rosso ed in rilievo ma più passava il tempo e più lo trovavo bello, mio.
«Non vuol dire che io non ne possa fare!» - lo immaginai a ridere dietro lo schermo del computer, non sapevo come era fatto, una voce mi ricordava perennemente che io non lo conoscevo eppure la mia mente viaggiava veloce e creava immagini di un ragazzo gentile e bellissimo dietro quello schermo.
«Perché nella mia vita, non sono mai stato abbastanza per nessuno. Mai. Non lo sono stato per mia madre, che mi ha abbandonato. Non lo sono per mio padre e per il suo lavoro del cazzo e tanto meno lo sono per me stesso, ma non mi posso arrendere. Non posso perché la persona di cui io ho più paura è me stesso, ma so anche che sono l'unico su cui posso contare. Nelle mie mani ho il potere di rovinarmi la vita, oppure rompere le catene e fuggire, essere libero. Solo che devo capire quale delle due cose mi convenga di più. Non posso arrendermi perché in questo mondo, io ho solo me stesso» - digitai velocemente cercando di ignorare le crescenti lacrime ai miei occhi.
«Tu non sei un tipo banale»
«È una bella o una brutta cosa?»
«Bella» - ed eccolo il sorriso, anche tra le lacrime.
«Ti ho raccontato la mia vita solo spiegandoti un tatuaggio e mi accorgo di non sapere nulla di te.» - Pensai - "Cazzo, fai un passo verso di me. Uno solo."
«Iniziamo dal presupposto che non mi chiamo Lola»
«Ed è già una gran bella cosa!» - Sentivo cose se stesse ridendo. Immaginavo quel sorriso, fragile, insicuro.
«Posso fidarmi?»
«Non sono uno stalker, tranquillo»
«Sapresti più cose di quante io ne sappia di te» - tu conosci la mia vita, ma fu una frase che non aggiunsi al messaggio appena inviato. Mi sentivo senza armi e senza filtri con lui e non riuscivo a capire quanto bene fosse questa cosa.
«So che sei di Holmes Chapel, non so il tuo nome»
«Io non so neanche questo. Comunque...Harry»
«Harold?»
«Harry, per favore.»
«Harold di Holmes Chapel»
«Ora sono facilmente rintracciabile, sai, non siamo in molti. Io so solo che suoni il pianoforte» - portai le unghie tra i miei denti, era un vizio che avevo preso fin da piccolo e non riuscivo proprio a toglierlo, ma non c'era nessuno a guardarmi o mia nonna a rimproverarmi, quindi continuai a torturarmi le unghie aspettando una risposta
«Potrebbe anche bastare» - "No che non basta!" - sbottai e guardai la luce del corridoio accendersi, avevo svegliato mio padre, perfetto! 
«Stronzo.» - digitai cercando di nascondere la luce proveniente dal pc alla vista di mio padre.
«Buonanotte Harold»
«No, ti prego.»
 
 
11 FEBBRAIO - 04.47
 
«Vorrei sapere il tuo nome»
«Ma tu ogni tanto dormi?»
«Sono appena rientrato da un locale» - Falso Harry, non riuscivi a dormire e speravi con tutte le forze che lui ti rispondesse, mi ricordò la vocina dentro la mia testa.
«Cosa vinco se te lo dico?»
«Un sorriso? E la consapevolezza di aver riempito un vuoto che mi riempie da mesi» - era già passato così tanto tempo? Mesi. In quasi tre mesi io non sapevo ancora niente di quello sconosciuto eppure più passava il tempo e più ero affamato della sua storia, scoprire i tasselli che componevano la sua vita.
«Ma tu sei sempre qui sopra?»
«Mi arrivano le notifiche push sul telefono appena mi scrivi. Il nome...» - provai ad insistere, ma stavo per perdere le speranze. Sbuffai e lasciai per qualche minuto quella chat per inviare un messaggio a Zayn, meritava almeno la buonanotte. Ultimamente le cose andava bene, per i nostri standard di litigate giornaliere.
«Torna a dormire!» - insistette ed io continuavo ad immaginarlo con le braccia incrociate ed un cipigli sul volto ordinarmi di andare a letto.
«Allora non mi scrivere!» - «Voglio sapere il tuo cazzo di nome» - urlai non preoccupandomi di svegliare mio padre, non c'era.
«Ti mancherei ;)»
«Mi manchi anche quando non ti fai sentire per due giorni» - "Cazzo Harry!"
«Troppo presto, Harold»
«Effetto sonno» - scrissi, avevo davvero sonno e quando ero in quella situazione tendevo a straparlare, come quel momento e a dire cazzate. Mi fermai prima di scriverne ancora.
«Buonanotte»
 
11 FEBBRAIO - 05.52
«Comunque...Piacere Louis»
 
Salve a tutti, è -G che vi parla. 
Questa è la prima storia Larry e voglio spiegarvi i punti più essenziali. Harry e Louis si sono conosciuti in chat, non pensate a quelle chat stile Facebook, ma quelle dove ti iscrivi e leggi e vedi tutto quello che dicono le altre persone. Harry è rimasto colpito dal nick che Louis ha scelto, Inutilmente. Forse perchè anche Harry, come Louis, si sente inutile e confuso in questo periodo. Altro punto da chiarire, l'età. Louis ha appena compiuto 21 anni, è grande il nostro LouLou, mentre Harry è all'ultimo anno di liceo e deve compierne 18. Ultima cosa, come avete notato la storia parte da giugno, ecco, ho voluto inserire un evento futuro che poi svilupperò nei prossimi capitoli. Giugno sarà il mese più importante per i nostri Larry.
Se non vi è chiaro qualcosa chiedete pure, sarà felice di rispondere. 
-G
  
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