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Autore: heartbreakerz    17/02/2014    0 recensioni
[ Erik x Charles, AU. ]
«La famosa rivista Magnus Magazine ultimamente ha guadagnato molta popolarità, soprattutto grazie a molte star newyorkesi che hanno prestato i loro volti per photoset a dir poco fenomenali. E molte altre sono le star che aspettano il loro turno! Quando toccherà a me? si chiedono. Ma non sanno cosa si nasconde davvero dietro le pagine di quella rivista!» E' il conduttore dello Shaw Weekly a parlare. «E sarò io, Sebastian Shaw, a svelarvi il grande segreto. Siete pronti per uno scandalo?» Con l'ultima domanda, Shaw dà il via al programma.
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Charles Xavier/Professor X, Erik Lehnsherr/Magneto
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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DISCLAIMER: Tutti i personaggi e le ambientazioni contenuti all’interno di questa storia non mi appartengono. Questa storia non è stata scritta a scopo di lucro e non intende infrangere il copyright dell’autore originale.


 

Secrets
1. Di giorno e di notte

 

Quarto piano, ore 10.37. La sala delle conferenze è così piena che è quasi impossibile respirare. Molti impiegati sono ammassati contro le pareti grigie della stanza, altri, invece, sono schiacciati contro i vetri semi-trasparenti che danno sul corridoio. Nonostante tutto, il silenzio è fastidioso come una fitta coltre di nebbia. La tensione è palpabile. Alcuni non riescono più a resistere lì dentro. Lentamente, sciami di impiegati escono dalla grande porta a vetro, trasparente vista da dentro, grigia da fuori. Tutto questo però in estremo silenzio.

Se ne vanno tutti. Tutti tranne tre persone. Il Presidente, Lehnsherr e Xavier. Rispettivamente il presidente della Magnus Ent., il nuovo capo e il nuovo vicecapo del Magnus Magazine. Il Presidente ha detto che ormai per lui è ora di ritirarsi dal mondo della moda ed ha affidato la rivista in mano al figlio, Erik Lehnsherr. Ciò ha fatto scoppiare Xavier, Charles Xavier, di rabbia.

Negli occhi di Charles fiammeggiano le parole Erik Lensherr è un raccomandato. E la tensione cresce ancora di più.

Charles lavora al Magnus Magazine da anni. E' stato lui a far crescere la sua popolarità negli ultimi cinque anni — precisamente da quando è stato eletto vicecapo. Charles però si è sempre aspettato una nuova promozione. O, almeno, se l'era aspettata fino a che, qualche mese prima, non era comparso il più piccolo dei figli del Presidente.

Ciò che ha fatto arrabbiare di più Charles, negli ultimi mesi, è il fatto che Erik sia riuscito ad imparare così velocemente come funziona una rivista di moda, tanto da superare in poco tempo tutti i nuovi apprendisti e la maggior parte degli impiegati fissi, e meritarsi anche lui il titolo di vicecapo. E due vicecapo sono come due magneti positivi: si può tentare di avvicinarli, ma essi si respingono sempre con più forza.

Entrambi vogliono vincere, ma solo uno dei due può farlo. Entrambi hanno ottime idee, ma solamente una può essere realizzata. Entrambi vogliono il ruolo di capo, ma solo uno di loro può ottenerlo. Ed ecco spiegato come mai la sala riunioni è ora completamente vuota.

Erik sa cosa pensa Charles di lui: il solito figlio di papà che vince sempre perché, be', perché suo padre è il presidente della compagnia. Peccato che non sia così. E, ogni volta che vede su di sé quello sguardo di sufficienza che solo Charles ha il coraggio di rivolgergli, Erik vorrebbe prenderlo a pugni su quel bel faccino che si ritrova e gonfiargli ancora di più quelle labbra fiammeggianti. E oggi c'è dannatamente vicino.

«Erik, ci lascieresti un attimo da soli?» gli domanda il padre. Erik vorrebbe dire di no. Una piccola, sadica parte di lui si diverte decisamente troppo a far innervosire Charles fino a farlo diventare rosso di rabbia. E quel colore così acceso gli è proprio nuovo. Oggi ha una strana sfumatura violetta. I suoi occhi esprimono una rabbia così intensa che Erik comincia a sentire il corpo bruciare, come se Charles potesse dargli fuoco da un secondo all'altro.

Erik sorride. «Ma certo, padre» dice. Poi si avvicina alla porta. Abbassa la maniglia e apre un piccolo spiraglio.  Non si stupisce di vedere alcuni impiegati correre via, è ormai abituato al gruppo di pettegoli. La cosa stranamente lo diverte.

«Ah, ti aspetto nel mio ufficio» dice Erik rivolto a Charles. «Dobbiamo finire di parlare del nuovo progetto.» Vorrebbe continuare ancora un po' per fargli capire che ora il capo è lui, Erik, e Charles deve sottostare alle sue regole. E quella piccola, sadica parte di lui si mostra una seconda volta: «Vicecapo» conclude. E sorride.

E, poco prima di chiudere la porta, è sicuro di sentire una tazza schiantarsi contro il pavimento.

 

* * *

 

Erik è abituato alle serate in discoteca. Adora andare in discoteca, soprattutto quando ha intenzione di portarsi a letto qualche bella ragazza. Può avvicinarsi a loro, rimorchiarle con qualche frasettina trita e ritrita, ballare un po' con loro — adora quando i loro soffici corpi si strusciano, volontariamente o meno, sul proprio corpo — e, infine, portarsele da qualche parte, senza doversi sorbire ore e ore di chiacchiere. Ecco, Erik ama le discoteche perché la musica è così forte che gli impedisce di parlare o, al massimo, di ascoltare gli altri.

Erik è abituato anche ad andare in discoteca con gli amici, soprattutto con Azazel, che, di tanto in tanto, lo trascina — letteralmente — in discoteca. E, dopo aver trovato una bella bionda da strapazzare, solitamente lo abbandona sulle sue.

Erik quindi è ormai abituato a girare per le varie discoteche, e, fino a che Azazel non gli ha mostrato quella discoteca, era convinto di conoscerle tutte, quelle di New York e dintorni.

Quella discoteca però non l'ha mai vista. Da fuori assomiglia ad un piccolo bar di dimensioni modeste. Non sembra nemmeno una discoteca: l'unica cosa che attira una particolare attenzione è la scritta luminosa che recita il nome del locale: Underground. Non sembra nulla di speciale. Ma ormai sono lì e Azazel, in qualche modo, lo riesce a convincere ad entrare dalla grande porta d'ingresso. Erik rimane sorpreso: nonostante da fuori la discoteca non sembri nulla di spettacolare, l'interno è davvero spazioso. Lo stabile è rettangolare. Tutto gira attorno ad una pista da ballo, illuminata da luci brillanti e vivaci dai colori più disparati. Proprio davanti alla pista da ballo, c'è un DJ, il quale sembra essere troppo occupato a palpeggiare una morettina per potersi occupare della musica.

A destra c'è una grande bar, controllato da due baristi, che, ovunque si girino, trovano clienti da soddisfare.

Ma la cosa che attira di più l'attenzione di Erik — dopo la bella biondona che si sta avvicinando a loro con passo elegante — è una porta, situata proprio al fianco del piano bar.

«Ehi, bellezze.» La sua voce è stridula e Erik si è già stancato di ascoltarla. Azazel, invece, gli fa l'occhiolino e avvolge le sue spalle in un caldo abbraccio. Ed ecco che Erik si trova di nuovo da solo e si dirige verso il bar, cercando di evitare che altre galline dalla voce stridula gli si avvicinino.

Erik è stanco. La giornata è stata pesante e avrebbe un gran bisogno di riposarsi. Si appunta mentalmente di non raccontare mai più ad Azazel i suoi traguardi lavorativi. Per Azazel, ogni scusa è buona per festeggiare. Erik non condivide molto l'idea, soprattutto quando vorrebbe stare a casa a riposarsi, magari con un bel libro in una mano e un bicchiere di Scotch nell'altra.

«Desidera qualcosa?» domanda un cameriere.

Erik lo squadra bene. E' un ometto alto un po' meno di lui. Ha capelli i capelli rossicci, e rossicce sono anche le lentiggini che gli ricoprono il viso. Erik non gli dà più di diciannove anni.

«Sì» risponde. «Un Martini Dry con due olive e sapere cosa c'è dietro quella porta.» E' costretto ad alzare un po' la voce ma il barista lo sente comunque e lo guarda divertito. Comincia subito a versargli il suo Maritini e pochi istanti dopo Erik può già cominciare a sorseggiare il suo liquore. Nonostante tutto, non ha ricevuto risposta.

«Dunque? Cosa c'è dietro quella porta» domanda, lanciado un'occhiata alla targhetta appesa alla camicia del barista, e lo chiama per nome: «Sean?».

Il ragazzo sembra sorpreso di sentirsi chiamare per nome. Ma, mentre prende l'ordinazione di un uomo seduto lì vicino, gli risponde: «C'è Charlie, in quella stanza. Si occupa, sa, di serate più intime.» Erik pensa di aver concluso il discorso. Ma Sean lo sorprende, continuando: «Può scendere, se vuole».

Erik soppesa la sua frase e poi si lascia convincere. Tutto pur di non sentire più quella musica rimbombante nelle orecchie.

Ringrazia Sean con un cenno del capo e si muove verso quella porta. La maniglia è di un colore simile all'oro, ma è sbiadita e leggermente incrinata. Qualcuno ci avrà sbattuto contro. La afferra e l'abbassa, si chiude la porta alle spalle e comincia a scendere la scalinata buia, illuminata solo da qualche lampada rossa di dimensioni minime.

Le sue orecchie quasi sospirano di sollievo. Dentro quella stanza non si sente il forte rumore della discoteca, ma si avverte un lento jazz, romantico, sensuale, che guida Erik fino ad un'altra porta. Quando la apre, rimane sorpreso dai lunghi veli scuri che scendono dal soffitto.

Sono semi-trasparenti ma brillanti, lucidi, di una stoffa che Erik non riconosce, ma della quale, in quel preciso istante, proprio non gli potrebbe importare di meno.

L'attenzione di Erik è puntata verso qualcos'altro: sul palco, una figura si muove con movimenti sinuosi attorno ad un palo alto fino al soffitto. I suoi movimenti sono lenti, quasi estenuanti, ma proprio per quello nessuno in quella stanza riesce a togliergli gli occhi di dosso.

Erik scosta un velo e fa qualche passo avanti. Una luce rossa illumina la figura dai movimenti ipnotici ed Erik riesce a cogliere qualche particolare.

E' una figura maschile. Lunghi pantaloni attillati, scuri come la notte, gli avvolgono le cosce e i polpacci, accentuando i muscoli, rendendo i movimenti ancor più deliziosi. Erik è quasi convinto che quelli siano pantaloni di pelle. Lo può percepire da come la stoffa si increspa quando le sue gambe si attorcigliano al palo. Ma è la maglia ad attirare l'attenzione di Erik. Più che maglia, a dire il vero, è una canottiera altrettanto scura e strappata; lascia intravedere lunghi lembi di pelle, pelle diafana, dello stesso colore della neve bagnata dal sole, con una tonalità ugualmente brillante.

Erik scosta un altro velo e quasi non si scontra contro una ragazza; ma lei non si accorge di nulla, troppo presa dallo spettacolo, e quasi non rovescia il suo drink a terra. Erik comunque è nelle stesse condizioni.

Finalmente riesce a cogliere qualche altro particolare. Il ballerino ha capelli castani, abbastanza lunghi da scontrarsi col suo viso quando compie piroette sul palo o semplici giri su sé stesso, e, soprattutto, ha le labbra rosse rosse, del colore del sangue o del vino; labbra così rosse da sembrare quasi irreali, da creare un contrasto così forte con la sua pelle che diventa quasi ipnotico.

Il ballerino si arrampica come un ragno sul palo e le sue cosce e le sue gambe si stringono forte attorno all'asta di ferro; fa un giro attorno al palo, sospeso, e poi rimane a testa in giù per qualche secondo.
Ad Erik sembra una rosa bianca, decorata con sprazzi scarlatti sui petali; una rosa bianca, delicata e selvaggia, arrampicata e avvolta attorno ad un ramo. E quella rosa gli sembra fin troppo familiare.

Scostando anche l'ultimo velo, si ritrova a pochi metri dal palchetto sollevato. E' nascosto nel buio della sala, poiché l'unica luce presente, quella rossa, illumina il ballerino. Ballerino al quale ora riesce a dare un nome.

Charles.

Quella pelle candida, quelle labbra cremisi, quei zaffiri che si ritrova al posto degli occhi. Tutto, tutto quello appartiene ad una sola persona, una persona che conosce bene, che conosce dannatamente bene.

Charles Xavier. Il suo vicecapo.

Erik ci mette qualche secondo a rielaborare l'idea. Quella figura aggraziata e felina non può essere il suo vicecapo. Quella figura armoniosa e delicata non può essere quell'uomo scontroso che, puntualmente, arriva in ufficio ed inizia ad urlargli contro su ogni misera cosa.

Quell'opera d'arte che continua imperterrita a danzare ad occhi chiusi come se la musica gli sia entrata nelle vene e non abbia nessuna intenzione di andarsene semplicemente non può essere Charles Xavier. Non può esserlo. Ne vale la sanità mentale di Erik.

Erik. Lui, nel frattempo, ha abbandonato il suo bicchiere da qualche parte. Potrebbe averlo lasciato su un tavolo, come sulla testa di qualcuno: non ci ha fatto caso. Si è invece avvicinato di più a Charles. Non può credere ai suoi occhi. Vorrebbe tanto allungarsi verso di lui e assicurarsi che non sia un gemello di Charles — magari un gemello segreto?

Ma quell'uomo è chiaramente Charles. Ed Erik, a quella scoperta, rimane ancora più incantato. E' insolito vedere Charles così rilassato. A lavoro è quasi sempre teso o nervoso o, ancora, arrabbiato. E forse Erik si diverte decisamente troppo a vederlo arrabbiato. Ma vederlo così sereno, pacato è uno spettacolo da non perdere. Le sue labbra, quelle labbra rosse come le ciliegie, sono piegate in un sorriso così dolce da sembrare quasi angelico. Ma non c'è proprio nulla di angelico in quella figura, in quei movimenti. Ed Erik se ne rende conto troppo tardi.

Quando Charles riapre gli occhi, li punta sulla folla. Le note del jazz continuano a volare placidamente per stanza ed Erik si ritira lentamente nel buio, per paura di essere scoperto. Vorrebbe rimanere lì ancora un po', per vedere come finisce quello spettacolo, per vedere se Charles riesce a riconoscerlo tra tutta quella folla. E vorrebbe che Charles gli andasse incontro, che gli sorridesse in quel modo, che, dannazione, ballasse per lui in quel modo.

Erik fa qualche passo indietro. Si assicura di nascondersi dietro i vari veli, nonostante, probabilmente, Charles non si accorgerà nemmeno di lui. Risale le scale e si fionda fuori dalla porta.
Il rumore provocato dalle casse è come un muro di cemento armato: si schianta contro Erik e lo lascia barcollante.

Sean gli lancia uno sguardo e sorride. Erik non lo prende nemmeno in considerazione.

Ha bisogno di avere la mente lucida e di prendere un po' d'aria. Finge che non sia successo nulla, mentre la sua mente è ancora un caos di musica e immagini, immagini di Charles — o meglio Charlie — che balla, che lo ipnotizza come mai nessuno è riuscito a fare. E poi immagini di Charles che entra nel suo ufficio infuriato, Charles che si versa il caffè, Charles che indossa quei pantaloni in pelle e Charles che si struscia contro il proprio fianco.

Se avesse qualcosa in mano, probabilmente lo lancerebbe contro il pavimento.
Si dirige verso la porta ed esce, velocemente, senza dire nulla ad Azazel — che sicuramente è troppo occupato per prestargli attenzione. Non ha nemmeno intenzione di prendere un taxi. Ha un assoluto bisogno di liberarsi la mente da ogni pensiero.

Cammina lentamente lungo il marciapiede: le mani in tasca e la testa tra le nuvole.

Si chiede come farà lunedì a lavoro. Non ce la farà e ne è sicuro. Ne è sicuro perché quell'immagine di Charles non uscirà più dalla sua testa.

   
 
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