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Autore: Eruanne    20/02/2014    5 recensioni
Un elfo e un nano possono abbattere i pregiudizi che aleggiano da molti secoli? E' pressoché impossibile, questo è risaputo. Eppure la giovane Lalaith vuol provarci, e l'occasione le si presenta quando a Gran Burrone giunge la Compagnia di Thorin Scudodiquercia. Non chiede molto, in fondo, solo parlare tranquillamente con un membro di quel popolo di Durin di cui ha letto nei suoi libri. Riuscirà nel suo intento?
ATTENZIONE: QUESTA ONE-SHOT NON E' COLLEGATA ALLE MIE STORIE. E' solo una piccola storiella senza pretese. Buona lettura!
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elrond, Gandalf, Lindir, Nuovo personaggio, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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FORSE, IN UN MONDO PIU' GIUSTO


Il dolce suono della pagina sfogliata si aggiunse al gorgogliare della cascata poco lontana, alle foglie mosse pigramente dal vento e al cinguettio degli uccellini che volavano liberi nel cielo; un pigolio più forte degli altri attirò la sua attenzione facendole alzare gli occhi dalle lettere vergate minuziosamente del libro che reggeva con tanta premura tra le mani. Sorrise nel riconoscere un pettirosso, posatosi ad una manciata di centimetri dalla sua figura seduta; trattenendo inconsciamente il fiato per timore che volasse via si permise di osservarlo attentamente, notando il venir osservata a sua volta da quel piccolo esserino piumato di bruno. Spavaldo quanto poteva esserlo la sua specie mosse qualche passettino in avanti per poi girare il capo di lato e continuare a soddisfare la sua curiosità. Per poco non scoppiò a ridere, lo ammise: non era mai stata guardata tanto attentamente da qualcuno, benché meno da un passero. Gonfiò il petto aranciato e, sorprendendola enormemente, gorgheggiò per lei riempiendole il cuore di dolcezza e malinconia; mille brividi corsero lungo la schiena e le braccia, non lo negò. E lo ringraziò dal più profondo dell'anima attraverso un sorriso riconoscente e caldo quanto il sole più cocente dell'estate.

L'attimo sospeso di pace nel quale erano sprofondate quelle due figure così diverse volò via come il piccolo esserino; anch'ella udì dei passi che si avvicinavano ma, prima che potesse compiere qualsiasi gesto per scacciare l'intruso e trattenere il pettirosso – in che modo non avrebbe saputo dire – esso spiccò un balzò e spalancò le ali divenendo una sagoma indistinta e lontana nel cielo azzurro.

<< Ti cercavo, sorella. Credevo di trovarti nelle tue stanze. >>

Si voltò, non riuscendo a trattenere un'espressione che il fratello giudicò di disappunto.

<< Ti ho forse interrotto? >> le domandò, dispiaciuto.

Scosse la testa, facendo ondeggiare leggermente i lunghi capelli castani << Stavo semplicemente leggendo un antico tomo >> si fermò qualche secondo, sorridendo appena << e intrattenendo un'interessante conversazione con un pettirosso. >>

Il fratello non le rispose, credendo si burlasse di lui; ma negli occhi azzurri non lesse il tipico luccichio canzonatorio che la contraddistingueva in tali occasioni, perciò si limitò ad incrociare le braccia dietro la schiena << Sono creature affascinanti, vero? Mi risulta difficile pensare che animali così piccoli e delicati possano essere presagio di fatti imminenti. >>

<< Ognuno di loro è parte del disegno creato da Eru, fratello. Anche i pettirossi, simbolo di un inverno freddo e lungo >> rispose, alzandosi dalla panca di pietra; con una mano sistemò la lunga gonna verde chiaro, e alzò appena le sopracciglia quando si sentì trafiggere dagli occhi del parente << C'è qualcosa che dovresti dirmi, Lindir? >> domandò, curiosa.

Lo vide abbassare gli occhi, in cerca di coraggio per trovare le giuste parole << Ultimamente non mi pare di riconoscerti, Lalaith; la risata ha abbandonato le tue labbra da troppo tempo, ormai. So che ti senti sola, da quando dama Arwen è partita e- >>

<< Abbiamo affrontato l'argomento sufficienti volte, da che ricordi. Non occorre ripetersi. >>

<< Sono preoccupato per te >> disse, poggiandole una mano sulla spalla << Eri la sua dama di compagnia, dopotutto; e ora passi le tue intere giornate a leggere libri di avventure e battaglie accadute secoli fa, e parli con un pettirosso. >>

Dovette trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo o, nel peggiore dei casi, ridergli in faccia: pronunciata con quel tono di voce petulante sembrava la perfetta descrizione di una povera giovane confusa.

Al contrario si mostrò tranquilla e, con un sorriso rassicurante, gli accarezzò il braccio destro << Leggevo di Beren e Luthien, fratello. E ho solamente guardato il pettirosso, non parlato con lui; non ne sarei in grado, sei d'accordo? >>

La risata cristallina eruppe dalle labbra prima che potesse fermarla e Lindir, suo malgrado, si ritrovò a seguirla sommessamente; aveva dimostrato d'essere uno sciocco. L'ennesima volta.

Passeggiarono lentamente tenendosi a braccetto, e si raccontarono ciò che avevano fatto durante quella mattinata luminosa e tiepida; non si guardarono in volto preferendo concentrarsi sul paesaggio rilassante e pacifico di Gran Burrone, trovando immensamente piacevoli i suoi alberi dalle foglie verdeggianti, l'edera delicata che si arrampicava e attorcigliava attorno alla pietra, le cascate che li attorniavano; perfino il palazzo dalle alte e sottili mura e dalle finestre ad arco componeva un ulteriore tassello di pace in quell'angolo lussureggiante e verde della Terra di Mezzo. Dopo centinaia e centinaia di anni l'affascinava ancora, non ne era mai sazia. Leggeva di epiche battaglie e imprese eroiche, era vero: ma era una svago, un piacevole passatempo che la distraeva da quelle lunghe e – di fatto – noiose giornate. Da quando la principessa Arwen aveva deciso di trascorrere del tempo presso la famiglia della madre a Lòrien e lei era rimasta lì, non aveva trovato altra occupazione se non quella di riprendere a frequentare la fornita biblioteca del palazzo; alcuni libri li aveva riletti ma, per quanto li ricordasse sufficientemente bene – erano trascorsi solo una cinquantina d'anni dalla precedente lettura, non di più – aveva cercato di proseguire con il medesimo spirito della prima lettura. Non era risultato semplice, all'inizio, però poi si era riabituata ed ora era perfettamente in grado di immergersi una seconda volta nella lettura senza che ciò la disturbasse.

Si vergognò quando un pensiero che sembrava non volerla abbandonare facilmente da un po' di tempo si presentò ancora alle porte del suo cuore; lo scacciò, non attardandosi a rimuginarci oltre. Piuttosto, lasciò che la comparsa di un alto elfo amico di Lindir la distogliesse dai pensieri.

Il fratello si sciolse da lei – avevano camminato a braccetto com'erano soliti fare – e si era allontanato di pochi passi ascoltando ciò che Amdir doveva comunicargli.

Lalaith ascoltò senza volerlo, immensamente curiosa; e, quando i due si congedarono in fretta fornendole una bugia, sentì i battiti del cuore aumentare.

Non perse tempo e li seguì a distanza, fermandosi in un punto riparato che, però, le avrebbe permesso d'osservare; doveva essere certa d'aver capito bene e, buona parte di lei, sperò di non essersi sbagliata. Ciò che vide la rincuorò, suscitandole al contempo una così grande sorpresa che si domandò anche in seguito come fosse riuscita a contenerla.

Riconobbe l'alta figura vestita di grigio che portava un cappello a punta del medesimo colore e, subito dietro, un gruppetto di tredici nani dalle facce scure e scontente; individuò anche un piccolo esserino del tutto diverso dalla razza fiera e cocciuta di ospiti, e subito la curiosità mandò fitte incessanti e domande pressanti alla testa.

Vide suo fratello accoglierli e scambiare qualche battuta con Mithrandir e, poco dopo, dalla vallata alle loro spalle giunse il suono del corno, tanto inatteso da farla sobbalzare: re Elrond tornava, seguito dai suoi cavalieri. I nani si strinsero subito in un cerchio compatto e impugnarono le loro armi sguainate, pronti a dar battaglia, ma nessuna goccia di sangue venne versata; ricordò di respirare solo quando l'alto elfo dai lunghi capelli castani scese da cavallo e parlò con Gandalf per poi rivolgersi ad un nano – probabilmente figura di spicco e capo di quella Compagnia - che era avanzato dall'assembramento.

Distolse lo sguardo allentando le dita e reggendo il libro con più delicatezza, mentre il cuore non decideva di placarsi e le orecchie ronzavano impazzite. Forse la sua silenziosa preghiera era stata ascoltata. Forse la staticità in cui versava Gran Burrone, e la sua immobilità, erano appena state incrinate.



Quando giunse nello studio privato di Lord Elrond non esitò un attimo a bussare, certa che l'avrebbe informata sul ritorno imminente della figlia prediletta; con suo enorme stupore, al contrario, le affidò un incarico.

Ancora adesso trovava a dir poco assurda quella richiesta, tuttavia non se n'era lamentata col suo signore, né lo fece in quel momento mentre percorreva i corridoi della reggia e si lasciava cullare dalla leggera brezza di fine estate. Dopo nemmeno mezzora dall'incontro eccola lì, davanti ad un'altra porta; stavolta si fermò qualche secondo, il tempo necessario per elaborare una sorta di discorso o presentazione – perché le sarebbe servita – e sospirò appena, alzando la mano libera e bussando piano, con gentilezza. Accorgendosi che le tremava impercettibilmente la riportò a sostenere la brocca d'acqua, ma non servì a distoglierla completamente dall'ansia che l'aveva colta.

Udì dei passi pesanti, così opposti alla camminata leggiadra della sua gente, e una voce profonda parlò in modo autoritario << Chi è? >>

Si bagnò appena le labbra, e rispose << Mi manda Sire Elrond. >> si complimentò per la voce ferma e calma, e sperò col cuore di mantenersi tale una volta al cospetto dell'ospite. L'avrebbe appurato presto, constatò, udendo il permesso d'entrare.

Aprì la porta e volse un breve sguardo alla stanza, fermandosi quando notò la figura decisamente più bassa ma non per questo meno imponente e orgogliosa; fu lei a sentirsi improvvisamente piccola e a disagio sotto le occhiate sospettose e fredde, quasi quanto le iridi azzurre del nano che le stava di fronte.

Gli sorrise appena, mostrandosi comunque cordiale << Il mio signore mi ha chiesto di portarvi questa >> spiegò, accennando col capo alla brocca << le stanze per gli ospiti ne sono fornite, ma l'acqua che è contenuta qui è appena stata presa dalla fonte ed è notevolmente più fresca. >>

Il nano non smise di squadrarla e, se possibile, strinse ancor più le braccia al petto coperto da cuoio e pelle decorati con forme geometriche.

Interpretò l'ostico silenzio come assenso e, senza aggiungere altro, raggiunse il tavolino di legno decorato; nel farlo passò accanto al letto, accorgendosi di una spada posata sulle coperte color panna. Dopo che ebbe poggiato la brocca si diresse lentamente lì, sotto lo sguardo di un vigile Thorin, ora in parte allarmato.

<< Cosa hai intenzione di fare? >> domandò, più brusco di quel che avrebbe voluto.

L'elfo femmina bloccò le dita a pochi centimetri dalla lama di Orcrist e girò il capo verso di lui << Nulla. Volevo solo ammirare questa spada. >>

<< Te ne intendi? >>

Con sua sorpresa, e senza badare al tono ironico con cui le si era rivolto, si ritrovò a sorridere << Affatto, ma credo di conoscere sufficientemente bene ciò che è stato forgiato dal mio popolo. Ho passato svariate centinaia di anni in questo luogo, e mi è capitato di passare davanti alle forge, qualche volta. >>

La risposta arguta sembrò piacere al nano, perché sulle labbra sottili passò un brevissimo ed effimero sprazzo di sorriso; rincuorata, si permise di continuare quello strano dialogo.

<< E' un dono oltremodo prezioso. Siete molto fortunato, Thorin Scudodiquercia, e sono certa che saprete servirvene a dovere. >>

Il Re si irrigidì, strinse gli occhi in due fessure ostili << Non ricordo d'essermi presentato– >>

<< Perdonatemi, il mio nome è– >>

<< - e non intendo conoscerti. >>

<< - Lalaith. >>

Il silenzio greve che piombò subito dopo quell'inadeguato scambio di battute sembrò aumentare come un macigno sempre più pesante sulle loro spalle; Lalaith non riuscì a sostenere il suo sguardo glaciale e furioso perché era stato interrotto, e pensò fosse il caso di congedarsi.

Schiuse le labbra però fu lui, stavolta, ad interromperla << Come sai che non l'ho sottratta ad un elfo? Potrei averlo aggredito, o ucciso. Potrei averla rubata senza provare un minimo di rimorso. >>

Provò un inaspettato piacere nel notare la confusione regnare sul volto liscio e senza alcuna imperfezione, su quegli occhi del colore del cielo più terso di una tonalità meno fredda rispetto ai suoi. Non si vergognò di quella prova, tutt'altro: conosceva i pensieri che turbinavano nelle menti di quegli alti esseri, così lontani e altezzosamente distaccati da ciò che era al di fuori del loro mondo perfetto; sapeva ciò che pensavano a proposito della sua gente, e questo rischiò di farlo infuriare più di quanto non lo fosse già.

La giovane – ma quanto può esserlo un elfo? - ponderò bene la risposta, lo capì dagli occhi meno sgranati e quasi più adombrati; infine, ritenne di fornirgli l'agognata risposta.

<< Non sareste tanto sciocco da passeggiare con noncuranza con una simile spada se il modo con cui l'aveste posseduta fosse disonorevole. Non siete un ladro né un bugiardo, perciò è chiaro che l'abbiate trovata; il come mi è ignoto, tuttavia non intendo chiedervelo se voi stesso non vorrete parlarmene. >>

Thorin fu estremamente lento di riflessi, e non riuscì ad impedire ad un sincero stupore di dipingersi sul volto stanco dai tratti severi e nobili; mise a tacere una minima parte della coscienza che sussurrava beffarda e si beava nel rimarcare il suo sbaglio, ovvero la convinzione che tutti gli elfi li considerassero ladri avidi di denaro e metalli preziosi.

Poteva essere una trappola. Doveva essere una trappola, architettata per coglierlo in fallo. Quella creatura era stata inviata da Elrond in persona, il che significava solo una cosa: era lì per spiarlo e controllarlo. Se le avesse concesso un briciolo di confidenza in più e si fosse lasciato scappare qualche informazione si sarebbe precipitata a riferirglielo; dentro di sé sorrise sprezzante: oh, non aveva alcuna intenzione di intrecciare una sorta di dialogo con lei, né pacifico né furibondo. Sarebbe dovuta passare sul suo cadavere per ottenere qualche informazione, perché dalle sue labbra nulla sarebbe fuoriuscito, eccetto insulti.

<< Hai detto bene, non ne parlerò perché non sono faccende che ti riguardino. Ora, gradirei rimanere solo. >>

Era alterato, lo comprese immediatamente; non riusciva a capire, aveva forse detto qualcosa di sbagliato?

<< Vi ho offeso? Non era mia intenzione, sono mortificata >> disse, dispiaciuta.

Thorin se ne accorse e, a malincuore, dovette quasi rimproverarsi duramente; scacciò quel pensiero molesto preferendo rivolgerle la precedente richiesta, stavolta con tono meno rude.

<< Non lo sono, ma preferirei rimanere solo. >>

Lalaith avrebbe voluto chiedergli molte cose, però ritenne più saggio obbedire; spostò lo sguardo dal suo viso e lo puntò verso l'uscita, avanzando lentamente. Thorin seguì la sua figura elegante e graziosa finché non si chiuse la porta alle spalle e, solo allora, espirò; doveva pensare ad un piano per riprendere il cammino verso Erebor.

E doveva trovare Gandalf.



Non incontrò Thorin durante il giorno, né la sera, né il giorno dopo ancora. Ogni volta che bussava alla porta non riceveva risposta, oppure un elfo l'informava che l'ospite non si trovava in camera. Nel pomeriggio Lindir le raccontò della cena a cui aveva assistito, e non poté far altro che dapprima inorridire alle maniere dei nani e poi ridere al pensiero del cibo che aveva sfiorato il volto del fratello. Come di consueto, dopo avergli augurato la buonanotte, era uscita a prendere un po' d'aria e a rimirare il paesaggio; Gran Burrone assumeva un'aura magica non appena il sole calava a ovest. Era il suo momento preferito: le lanterne mandavano freddi bagliori, la luce diventava azzurrina, lo scroscio dell'acqua aumentava di volume, nessun verso d'animale turbava la quiete; tutto sembrava sospeso, come un sogno che si vuol trattenere a sé il più a lungo possibile.

Gli alberi che costellavano la valle non erano spaventosi, nulla lo era; nemmeno l'edera non soffocava le altre piante, preferendo attorcigliarsi attorno alla pietra. Perfino l'aria respirata aveva il potere di calmare ogni spirito angustiato e dubbioso; ti rigenerava, riempiva l'anima di benevolenza verso te stesso e il prossimo. Le sculture, immobili, ne erano partecipi; la regalità emanata era pari a quella degli abitanti. E la pace regnava indiscussa, anche se in quel momento durò notevolmente poco poiché scorse la bassa ma inconfondibile sagoma di Thorin.

Poggiava i gomiti su una balaustra, lo sguardo concentrato perso in un punto indefinito; probabilmente stava pensando, e Lalaith ne intuì piuttosto chiaramente l'argomento.

Per un po' rimase lì in disparte, su un gradino della scalinata di pietra, indecisa se avvicinarsi o meno; forse la sua presenza l'avrebbe indisposto, dato che non pareva gradire compagnia. Specialmente di un elfo femmina. Scacciò quell'ultima frase e permise ai piedi di muoversi, arrivandogli a pochi centimetri di distanza senza tuttavia sfiorarlo. Thorin si accorse di lei troppo tardi, e maledisse quei passi troppo leggeri sfuggiti all'udito. La guardò da sotto in su – odiando il loro dislivello, dovette ammetterlo – ma non disse nulla; ripuntò lo sguardo verso il versante della valle e strinse le mani tra loro, aspettando il momento in cui lei avrebbe parlato per prima. Congratulandosi con se stesso non attese molto.

<< Raccontatemi di Erebor >> sussurrò, tuttavia senza guardarlo.

Oh, questa richiesta non se la sarebbe mai aspettata! Thorin l'osservò incredulo, sentendo i primi sentori di rabbia farsi largo nel cuore.

<< Non credo ti riguardi anche questo >> ribatté seccamente.

<< Poco fa ci stavate pensando, nevvero? Non ho secondi fini, se è quello che temete; vorrei solo ascoltare la vostra storia, e quella della vostra casa. >>

<< Perché? >> domandò, mordendosi la lingua subito dopo: non era stata sua reale intenzione porla.

Lalaith lo guardò, accennando un timido sorriso << L'ho udita molte volte. Dopotutto, è passato così poco tempo da quando è accaduta... e ho fantasticato a lungo sul vostro aspetto e sul vostro carattere domandandomi se, un giorno, le nostre strade si sarebbero incrociate. Per grazia dei Valar ciò è avvenuto, e questo mi permette di chiedervi com'era la vita a Erebor; mi interessa solo questo, niente altro. Però, se vorrete sfogarvi parlando con qualcuno, sappiate che sono disposta ad ascoltarvi. E ora...vorreste concedermi questo privilegio? >> lo incoraggiò, ampliando il sorriso.

Il nano si accigliò, ripensando a quegli anni e a quelli seguiti, e improvvisamente non ci fu più la smania di assecondare la richiesta quanto, piuttosto, l'antica furia che sempre l'accompagnava.

<< Non intendo parlare del mio regno con un elfo. >>

Soddisfatto, vide un lampo buio attraversarle gli occhi chiari. Lalaith maledì la sua cocciutaggine, ma sapeva anche che lei non era da meno, e glielo avrebbe dimostrato; perciò, con un gesto stizzito tolse la sottile tiara d'argento dal capo, sistemandosi i lunghi capelli lisci e scuri facendoli ricadere sopra le orecchie a punta. Poi, battagliera, l'affrontò.

<< Ecco. Ora fingete di parlare con una donna mortale. >>

Thorin avrebbe voluto ribattere che era impossibile, poiché non aveva mai perso tempo a scambiare parole con una donna degli Uomini; e, in secondo luogo, una di queste non avrebbe mai eguagliato la sua bellezza.

Persino lui ammetteva che le elfo femmina fossero molto più gradevoli d'aspetto. Non delle nane, questo mai!

Non disse nulla, benché meno l'ultimo commento; sospirò pesantemente e massaggiò un attimo la fronte, pensando nel contempo a come fuggire da quella situazione così strampalata. Nemmeno nei suoi sogni più estremi si sarebbe aspettato di chiacchierare con una creatura come lei! Concluse che, però, non vi sarebbe stato nulla di male a parlare di Erebor. Solamente della città e basta. Nient'altro sarebbe fuoriuscito dalle labbra.

Schiuse le labbra e iniziò dal principio, narrando con voce roca e bassa di quando Thràin I vi si recò per la prima volta nel 1999 della Terza Era e fondò il regno dei Nani “sotto la Montagna”; proseguì parlando del suo avo Thorin I, di suo nonno Thròr che ritornò a Erebor mentre il fratello si recò ai Colli Ferrosi, e si soffermò sugli anni che lo videro calcare quei pavimenti. Raccontò con una grandissima malinconia riflessa negli occhi azzurri unita ad una sconfinata dolcezza, e Lalaith si ritrovò a sorridere a sua volta, persa ad osservare quei tratti rilassati e distesi; poi ne seguì l'orgoglio per ciò che producevano con cotanto impegno, e si commosse. Il cuore, prima gonfio di emozione, si riempì di pena quando arrivò ad introdurre Smaug, e come la sua vita – e quella di tutti i nani di Erebor – fosse mutata in pochi istanti. Molti persero la vita, avvolti dalle fiamme o travolti dalla furia del drago, e a nulla valsero le loro misere difese; una volta all'esterno, senza più speranza ma solo con immensa paura, ecco arrivare la salvezza: gli elfi di Bosco Atro. Thorin ripensò alle sue accorate richieste d'aiuto, alle preghiere urlate nella mente e nel cuore, rimaste inascoltate.

Non si fermò come aveva programmato, continuando nel racconto del lungo esilio, della ricerca di una nuova dimora, del dolore e dell'umiliazione che quel popolo potente ora decaduto affrontò con dignità e determinazione. E la sanguinosa, tremenda battaglia ai Cancelli di Moria dove persero la vita suo fratello, suo nonno, suo cognato. Proseguì anche allora, ormai le sue parole erano un torrente in piena. Lalaith immaginò il feroce scontro contro Azog il Profanatore, la quasi disfatta, il ritrovamento fortuito del ramo di quercia, la vittoria sul mostro e sui suoi abominevoli compagni. Il dolore e il senso di perdita che impregnarono il racconto si radicarono nel suo giovane animo tanto da provare le medesime sensazioni; il fiato le mancò e dovette respirare a pieni polmoni per ricevere aria. Abbassò lo sguardo quando lui la guardò con occhi fiammeggianti, rimembrando la vita misera patita e imposta – pur avversa alla volontà - alla sua famiglia, che mai aveva perso fiducia in lui e in quella Riconquista che valeva più della sua stessa vita.

Lalaith provò vergogna. Thorin collera.

Infine, il silenzio regnò; le ultime parole si dispersero nel vento della sera, e lei quasi si stupì nel riconoscere gli alti e leggeri palazzi di Gran Burrone con i loro archi a sesto acuto e le colonnine tortili, le stanze dolcemente aerate e le lunghe tende che oscillavano.

Aveva viaggiato con lui, attraverso meravigliosi e brucianti ricordi.

<< Mi dispiace >> si ritrovò a sussurrare, timorosa di infrangere quel silenzio sospeso << Se queste due misere parole potessero sconfiggere il drago e farvi riprendere la vostra dimora, le pronuncerei con maggior convinzione! >>

Thorin rimase basito da quello slancio così poco elfico, accorgendosi inoltre di uno scintillio nuovo nei suoi occhi.

Non stava mentendo, ne era certo: era sincera.

Si ritrovò a stringere le mascelle, poco abituato e avvezzo ai numerosi sentimenti che si agitavano nel cuore; per un brevissimo momento fu certo di riconoscere della gratitudine.

Abbassò lo sguardo al passaggio di pietra sotto di loro ma poi riportò gli occhi verso l'alto, verso lei.

<< Non servirà >> borbottò, riprendendo contegno << Basteremo noialtri. >>

Lalaith serrò le labbra, per poi pronunciare una frase con tono che giudicò quasi disperato, invece d'avvertimento << Non c'è nulla per te, là. Solo morte. >>

Gli occhi azzurro chiaro del sovrano la scrutarono malamente senza soffermarsi sulla familiarità con cui gli si era rivolto << L'hai veduto nelle tue visioni? >> chiese, sprezzante.

<< Non posseggo quel potere, ma non occorre >> ribatté, seria.

<< Mi chiedi di rinunciare? Attendo questo momento da lunghi anni, non saranno le tue paure a fermarmi. Oppure è un trucco per appropriarti del tesoro insieme alla tua razza? >>

<< Non mi importa delle ricchezze. Ti chiedo solo di tornare quando avrai molti più nani al seguito; chiedi aiuto agli elfi, Lord Elrond ti aiuterà. >>

Thorin sbottò in una risata priva di calore << Gli elfi! Quale aiuto giunse da loro? Nemmeno in seguito, quando al popolo di Durin non rimaneva che l'orgoglio. >>

<< Lo so, ma erano altri tempi, altre situazioni... >>

<< Oh no, mia signora. Thranduil non mosse un dito allora, né lo farà adesso. >>

<< Non solo lui possiede un esercito. Non gettare la tua vita e quella dei tuoi compagni! Non dar loro speranza laddove non c'è. >>

<< Hanno scelto di seguirmi, non li ho obbligati. Sono consapevoli dei rischi e li affronteranno, però non devi temere: mi assicurerò personalmente che Smaug muoia, prima di spirare a mia volta. >>

La giovane si preparò a ribattere quando le orecchie dall'udito finissimo colsero dei passi; si bloccò appena in tempo onde rivelare la loro presenza, perché sapeva per certo che non sarebbero stati visti di buon occhio lassù, e soprattutto insieme. Non da Elrond e Mithrandir.

I due stavano parlando e, a malincuore, permise alla curiosità di prendere il controllo; quasi si tese come una corda d'arpa e trattenne il fiato, origliando attenta.

<< Certo che te l'avrei detto, aspettavo questa occasione. E sul serio, credo... che tu possa fidarti! So cosa faccio >> Gandalf risultò un poco incerto quando il suo intento era dimostrare il contrario.

<< Davvero? Quel drago dorme da sessant'anni. Cosa accade se il tuo piano fallisce, se risvegli quella bestia? >>

<< E se abbiamo successo? Se i nani si riprendono la Montagna le nostre difese a est saranno rafforzate. >>

<< E' una mossa pericolosa, Gandalf >> l'avvertì il signore di Gran Burrone, portando le mani dietro la schiena.

<< E' pericoloso anche non fare niente! Avanti, il trono di Erebor è di Thorin per diritto di nascita! Di cosa hai paura? >> domandò il Grigio Pellegrino, spazientendosi.

<< Hai dimenticato? Una vena di pazzia scorre profonda in quella famiglia. Suo nonno uscì di senno, suo padre soccombette all'identica malattia. Puoi giurare che Thorin Scudodiquercia non farà altrettanto? >> si fermò, scrutando seriamente l'amico Istari alla ricerca di vacillamento.

Anche Lalaith si bloccò e, involontariamente, strinse i pugni; d'istinto si girò verso il nano, ma questi le aveva voltato le spalle, il volto era celato. Nonostante ciò vide con certezza la sua sofferenza: le spalle un poco afflosciate in avanti glielo confermarono. Sapeva non avrebbe tollerato vederla triste per lui, o che gli occhi riflettessero la pena che la ghermiva; quindi sbatté le palpebre e continuò a prestare attenzione ai due, che avevano ripreso a camminare lungo il passaggio.

<< Gandalf, queste decisioni non spettano solo a noi. Non tocca a te o a me ridisegnare la mappa della Terra di Mezzo. >>

Furono le ultime parole di Elrond perché poi si allontanarono. Lalaith espirò piano, sbirciando con la coda dell'occhio un qualsiasi movimento di Thorin, ma rimase delusa giacché passò qualche minuto prima che dalle labbra sottili fuoriuscisse una frase colma di risentimento.

<< Ecco, hai udito? Questo è quel che pensa il tuo sovrano. Credi forse vorrà aiutarmi? >> si girò, permettendole di guardarlo nel volto furioso << No, mia signora Lalaith. E ora, se me lo concedi >> disse, ironico << penso di congedarmi. Arrivederci. >>

Mosse i primi passi, allontanandosi, quando lei trovò la forza di parlare << Dovrò abbandonare ogni speranza di dissuaderti? >> chiese un'ultima volta, pregando cambiasse idea e rimanesse al sicuro ancora un poco.

Smise di camminare e la guardò ancora mentre lei lo implorò con gli occhi di ripensarci, di ascoltarla. Non occorreva che abbandonasse tutti i suoi sogni, glielo aveva detto; solo, gli chiedeva di non andare incontro alla morte così presto, così impreparato. La rabbia aveva soffocato la ragione. E lei, per qualche motivo, voleva cercare di riportarlo sulla retta via.

<< Temo di sì. >>

Lalaith sentì il peso del fallimento per la prima volta nella sua vita. Fece male. Più di quanto potesse immaginare.

Thorin prese atto della caparbietà della giovane elfo femmina e, di nuovo, si lasciò sorprendere e spiazzare dalla frase successiva.

<< Anche quella in cui un elfo e un nano possano un giorno valicare qualsiasi avversità senza accanirsi l'un l'altro? >>

La domanda titubante aleggiò per lunghi secondi, prima di trovare posto nel cuore di entrambi. Thorin la considerò semplicemente assurda, dato che due razze come le loro non potevano allontanare ogni torto subìto per uno sciocco e infantile capriccio; troppo rancore e troppi anni nel quale si era versato in tutta la sua brutalità. Eppure, anche lui sentì distintamente un pensiero distaccarsi dagli altri e attecchire: la loro precedente conversazione non rispecchiava il desiderio, anche se in minima parte? Si era confidato con lei senza badare poi molto alla sua razza, anche se in alcuni casi aveva voluto urlarle il suo disprezzo, specie dopo averla guardata e aver registrato quelle insormontabili differenze d'aspetto e carattere.

Per questo non le rispose sgarbatamente con un secco diniego, ma con una frase a suo dire sibillina che lasciava un minimo spazio di dubbio << Forse, in un mondo più giusto. >>

Lalaith si irrigidì, attonita; il severo e inflessibile Thorin Scudodiquercia che disprezzava tanto la razza elfica aveva appena detto che vi poteva essere ancora speranza di riconciliazione? Trattenne a sé quella frase, la abbracciò e l'amò con tutta la sua anima, il suo cuore, la sua mente. Avrebbe voluto vederla concretizzarsi, in futuro. Avrebbe voluto non vederlo partire per quella missione suicida, desiderava che tornasse sui suoi passi e attendesse il momento propizio. Che ripercorresse la via del ritorno verso casa, là nelle Montagne Azzurre.

Ma quella non era la sua dimora, ricordò. Era Erebor. Non riuscì a condannare la sua scelta di procedere, anzi: la trovò molto coraggiosa, così com'era chi la affermava con orgoglio e sicurezza. Nessun eroe di cui aveva letto nei suoi preziosi libri poteva considerarsi degno di Thorin. Lui era e sarebbe stato il più temerario di tutti.



L'alba la sorprese ancora in giardino, seduta su una panchina posta in una nicchia isolata. Non si era nemmeno accorta della sparizione dell'oscurità, delle ombre che si allungavano e dei colori tenui e sempre più vivaci immediatamente dopo, né del risveglio della vita animale. Il groviglio di pensieri sembrò dipanarsi non appena alzò gli occhi verso il cielo e, sospirando appena, si alzò; era tempo di ritornare nella propria stanza a rassettarsi. Poi, forse... forse avrebbe ancora parlato con Thorin. Le aveva fatto un immenso piacere conversare civilmente con lui; certo, alcuni suoi scatti rabbiosi erano spuntati in più di un'occasione, ma era sempre riuscito a dominarsi. Probabilmente perché lei era donna e perché, in fin dei conti, non era responsabile della sua condizione; era semplicemente parte di quella razza tanto odiata.

S'incamminò, facendo vagare lo sguardo lungo i versanti e chiedendosi nel mentre se davvero, un giorno, qualcuno avesse abbattuto i pregiudizi e l'odio che intercorreva tra elfi e nani. Stava traendo le sue conclusioni quando scorse movimenti sospetti sullo stretto passaggio che conduceva alle Terre Selvagge; il cuore batté più veloce, e i piedi parvero muoversi con rapidità. Lo sguardo si aguzzò, permettendole di riconoscere le figure dei nani; se ne stavano andando, proseguivano il loro viaggio e si muovevano svelti, come se non volessero farsi vedere; con un sorrisetto, Lalaith giunse alla verità, e si ritrovò a pensare allo sguardo accigliato di Lord Elrond una volta scoperta la fuga proprio sotto il suo naso.

Notò che uno dei quattordici – certamente il signor Baggins – si era fermato e aveva guardato un'ultima volta l'Ultima Casa Accogliente, volendosi imprimere nel cuore e nei ricordi ogni più piccolo particolare; Lalaith si nascose inconsciamente dietro un albero, sperando di non essere stata notata. Sbirciando, espirò sollevata e tornò a concentrarsi su un'altra figura dalla stazza più imponente e fiera, fermatasi a sua volta; non ebbe bisogno di conferme per capire di chi si trattava e, allora, decise d'uscire allo scoperto facendo in modo d'essere ben visibile anche al nano, la cui vista era sì acuta ma non quanto la sua.

Thorin incitò Bilbo a non perdere il passo, lanciandogli un sorrisetto sarcastico; lo hobbit, oltremodo mogio poiché affezionatosi a quel luogo meraviglioso e confortevole allungò con molta pena il primo passo, accorgendosi di star camminando e di incolonnarsi dietro agli altri. Superò il capo della Compagnia, che rimase l'ultimo, cogliendo con la coda dell'occhio un suo certo tentennamento; non vi badò poi granché, preferendo non dargli ulteriore motivo di odiarlo o canzonarlo.

Thorin non stava affatto tentennando, beninteso. Aveva solamente intravisto una lunga ombra seguirli e poi nascondersi al pari di una spia; ma poi gli si era mostrata non appena lo scassinatore aveva voltato le spalle, come fosse giunta solo per lui. Temendo si trattasse di un elfo – erano così simili, dopotutto! - si era irrigidito, non riconoscendola subito; eppure, qualcosa nella fisionomia l'aveva fatto vacillare. E infatti, non appena si era avvicinata un altro poco, l'aveva riconosciuta. Rimase immobile, chiedendosi se sarebbe corsa ad avvertire il suo signore, anche se una parte di sé lo negò; non avrebbe fatto nulla, mantenendo il segreto.

Lalaith capì che non poteva certo osservarlo all'infinito; doveva compiere un gesto, poiché quella era l'ultima volta in cui i loro sguardi si sarebbero incrociati. Alzò la mano destra in saluto. Solo quello, nient'altro. I battiti del cuore raggiunsero le orecchie, riempiendole del ritmo un poco impaziente. Aveva ormai perso ogni speranza - sentendosi indubbiamente ridicola – quando lui la sorprese: alzò il braccio a sua volta. Fu rapido, troppo veloce e pieno di vergogna, ma la ricambiò. Fece appena in tempo a sorridergli tristemente che Thorin Scudodiquercia girò la testa e si incamminò, seguendo i compagni un po' più lontani.


Nai tiruvantel ar varyuvantel i Valar tielyanna nu vilya



L'inverno era giunto. O, almeno, questo era quello che sapeva accadere all'esterno. Lì, a Gran Burrone, il tempo era immutato. Stava attendendo Lindir, appoggiata alla stessa balaustra che l'aveva vista con Thorin quella lontana sera.

Ogni tanto i pensieri vagavano verso il Re di Erebor e i suoi compagni; si domandava se avessero raggiunto la Montagna Solitaria, e se avessero trovato o meno Smaug. Si augurava di no.

<< Ultimamente passi molto tempo quassù. >>

Un angolo della bocca si alzò, e annuì << Troppo, hai ragione. Forse dovrei veramente prendere in considerazione l'idea di raggiungere Dama Arwen a– >> girò leggermene la testa, scorgendo l'espressione del fratello, e si bloccò. Pareva agitato, l'allarmò.

<< Lindir? Che è accaduto? >>

Lui attese un attimo prima di risponderle << E' giunta una notizia da est. Una sanguinosa battaglia è stata combattuta alle pendici della Montagna Solitaria. >>

<< Contro Smaug? >> chiese angosciata, stringendo le dita attorno alla pietra.

<< No, sorella mia. Il drago era morto prima, per mano di un Uomo del Lago, ma altri si sono precipitati a reclamare il tesoro di Scudodiquercia o la sua testa. >>

Lalaith sgranò gli occhi, pensando immediatamente ad Azog il Profanatore.

<< Uomini, Elfi e Nani hanno unito le forze contro Orchi e Goblin. >>

<< I nani sono riusciti a riprendersi Erebor? >>

Lindir annuì, notando quanto il volto della ragazza si distendesse sollevato; la trovò ancora più strana del solito però non ebbe cuore a commentare, poiché non aveva ancora finito di parlare << Sì, ma a caro prezzo. Il sovrano e i suoi nipoti non sono sopravvissuti. >>

Lalaith provò un immenso gelo nel cuore, si diffuse in ogni sua parte del corpo; per un poco non riuscì a ragionare, a formare pensieri coerenti. La frase continuava a rimbombarle con spietata ferocia, sferzandola come in preda alla morsa del vento più gelido. La tristezza prese il sopravvento in maniera talmente potente da lasciarla senza fiato; pareva che una mano le si fosse serrata attorno alla gola e al cuore, stringendo con lunghe dita che sapevano di morte.

Appoggiò la schiena alla pietra per tentare di sostenersi, dato che le gambe avevano iniziato a cedere. Lindir lo comprese e, di scatto, le afferrò il braccio destro.

<< Sorella, cosa– >>

<< Sei sicuro? >> sussurrò, guardandolo negli occhi << Lindir, è veramente accaduto? Thorin Scudodiquercia è... morto? >> concluse a fatica, facendo fatica a crederci.

<< Così ho udito da Lord Elrond, sì. Ma perché ti angusti così tanto? >> chiese, non capendo.

Come poteva, d'altronde? Non era stato lui a parlare con quel nano orgoglioso e autoritario, vedendone l'anima più nascosta e comprendendolo come nessun elfo – o qualsiasi altra creatura, ne era quasi certa – avesse mai fatto.

Non glielo avrebbe confessato. Sarebbe rimasto un suo piccolo segreto, custodito gelosamente fino alla fine della sua lunga esistenza.

Deglutì appena, abbassò lo sguardo << Ne sono dispiaciuta, perché ha sofferto tanto durante la sua vita, animato dal desiderio di vendetta; inoltre era un capo giusto e valoroso pronto a sacrificarsi per i suoi compagni e la sua casa, ed era coraggioso. È morto con dignità e onore, anche se i Valar sono stati ingiusti con lui; aveva appena riconquistato Erebor, dopotutto. Non potrà godere di essa, né della pace che ora è giunta >> il tono si affievolì, trattenne le lodi e le parole dolci che avevano cercato di sfuggire alle labbra rosate. Lindir non avrebbe compreso, non era indispensabile sapesse.

<< Sarebbe stato un buon Re sotto la Montagna >> concordò, ripensando tuttavia con orrore a quando li avevano ospitati.

Una leggera folata di vento si alzò in quel preciso istante, muovendo le chiome degli alberi e le foglie secche a terra; la giovane si sistemò i capelli dietro le orecchie a punta che tanto erano state odiate in quella piacevole serata di mesi prima. Le stesse poi scomparse al di sotto delle ciocche castane, e che avevano permesso a quel nano taciturno e pieno di risentimento di aprirsi con lei, appartenente alla razza tanto disprezzata. Lalaith si accorse di star sorridendo amaramente e cercò con le lunghe dita la mano del fratello, stringendola in cerca di sostegno e conforto; d'improvviso, una frase si stagliò netta nella testa, desiderosa di fuoriuscire: e chi era lei per trattenerla?

<< Forse, in un mondo più giusto. >>




CANTUCCINO DELL'AUTRICE

Ehm... sì, ecco. Non so nemmeno io da dove sia uscita 'sta... cosa. Confesso che è stata tutta colpa dell'ennesima visione del dvd dello Hobbit; ad un certo punto mi sono ritrovata con i nani a Gran Burrone e con le varie scene estese, e mi è partito un flash di questa elfo femmina che, perché no, chiacchierava con Thorin. Ora, spero non sia risultata una cosa romantica, melensa, drammatica e Ooc, perché NON era mia intenzione O.o! Diamine, già è strano per me scrivere di un elfo e Thorin nella stessa frase, immaginatevi scriverla XD Davvero, non so che mi sia capitato! Se avete notato qualcosa di sospetto è colpa del fascino di quel gran bel nano che, come sapete bene, mi da' alla testa XD. Volevo semplicemente che un elfo e un nano scambiassero i loro punti di vista senza tanti rancori, e spero d'esserci riuscita – anche parzialmente va bene XP.

Come al solito mi rimetto a voi, cari/e lettori e lettrici ^^. spero vi abbia trasmesso un qualche sentimento, e spero vogliate farmelo sapere attraverso le recensioni :D

Un abbraccio, e buona giornata ^^


Nai tiruvantel ar varyuvantel i Valar tielyanna nu vilya

Possano i Valar proteggervi nel vostro cammino sotto il cielo.”

  
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