Yoake no enogu – I colori dell’alba
I soldati sanno come scaldarsi
d’inverno.
Anche noi, poiché abbiamo scelto che i nostri gradi non ci
permettano agi superflui, abbiamo scelto di goderci lo spettacolo in prima
fila.
Siamo in questa tenda uguale a mille altre, ad ascoltare il lento canto dell’inverno fuori di essa, e ci scaldiamo, stretti come due pulcini nello stesso guscio.
La pelliccia ispida punge il mio braccio nudo, mentre
cerco la tua mano.
Anche questa notte è trascorsa quieta, e io sorrido alla
smorfia insonnolita con cui accogli il nuovo giorno.
È così bello vederti rabbrividire, mentre esci dal bozzolo di coperte e cerchi nudo per la tenda il tuo mantello pesante.
Ami l’alba. Lo dici colla tua fretta di
vederla.
Ami i suoi colori, il viola e l’ambra che si mescono più in alto, e
la luce bionda che esplode attorno al sole.
So anche il perché, nonostante tu
non me l’abbia detto.
Non è stato per la differenza di grado che questa
notte non hai voluto possedermi, anche se a volte è divertente giocare secondo
le insulse regole degli incontri tra soldati.
Ti saresti sentito in colpa.
Avresti pensato a qualcun altro, nel farlo.
Sei innamorato.
È un gesto che mi ha mostrato quanto tieni a me,
anche se non ce n’era bisogno.
Oh, lo sai bene che non ti amo.
Non sarebbe
corretto, altrimenti, lasciare che gli scherzi che ci facciamo sotto le coperte
mentre ci strofiniamo a vicenda la pelle che pizzica dal freddo si concludano in
amplessi profondi, lungo quasi tutta la notte.
Scherziamo, mentre ci tocchiamo, gambe contro gambe, petto contro petto. Ci contiamo le cicatrici quasi riassorbite dalla nostra divinità. Ci prendiamo in giro perché ci siamo eccitati in fretta, o il nostro sesso è ancora a riposo tra le nostre cosce.
Mi chiami per nome, dissimuli un gemito, e mi chiedi cosa direbbero quegli idioti che mi considerano “la tua mogliettina” se mi vedessero ora che mi chino tra le tue natiche, tu stringi il lenzuolo nella mano, e assaporo le pieghe della tua carne bollente dove mi permetterai di scaldarmi.
È dopo, quando ci culliamo nella mollezza donataci
dal sesso, che m’intristisci, perché improvvisamente i tuoi occhi perdono
profondità, e come due sottili lastre di onice riflettono una figura che non
riesco a riconoscere, ma so chi è.
Tu non mi dici niente, e di questo non
capisco il motivo.
Il sole è sorto, mi getti la mia divisa addosso per
riscuotermi dai miei pensieri.
I colori del cielo ti si riflettono ancora
negli occhi, e io mi chiedo se, quando saremo tornati, a lui guardandoti
sembrerà di specchiarsi nel tuo viso, mischiando i propri colori con quelli di
tutte le albe che hai assorbito da quando siamo qui.
La mia preoccupazione,
che è fondata, perché tu sai essere così stupido e testardo, alle volte, amico
mio…
La mia preoccupazione è che questo segreto, così scioccamente evidente
per me, rimanga taciuto anche tra voi.
Perché lui è diventato così bravo a
nascondere, che non è più capace d’indovinare.
Non voglio che tu
soffra.