Parole,
Rumori e Giorni
Siamo
ancora in tempo per ricominciare a ridere
Siamo ancora in tempo per scrollarsi tutto e vivere.
“Be’,
è stato…”
Struggente?
Estremamente doloroso?
Quelle parole risuonavano ancora per tutto il bunker, in un certo
senso, mentre
gli occhi di Dean correvano da una parte all’altra senza
sapere bene dove
fermarsi, senza sapere bene a cosa pensare o cosa fare.
Kevin e la signora Tran erano uscito una volta per tutte da
quell’inferno
personale che Sam e Dean si erano andati a creare in così
poco tempo. Quell’inferno
che ora sembrava avere le fiamme più calde e ustionanti
dell’interno pianeta.
“Ah, Lucifero. Scommetto che nemmeno l’inferno
è più così caldo.”
Commentò
mentalmente mentre muoveva dei passi nella stessa direzione nella quale
Sam era
sparito poco prima, senza lasciargli il tempo di ultimare quella frase.
Mentre camminava Dean non riusciva a pensare ad altro che non fosse il
rumore
della porta di Sam che sbatteva, così come non riusciva a
dimenticare le sue
spalle in un momento in cui era arrivato a chiedere quasi
disperatamente le sue
braccia, il suo corpo, ma di sicuro non le sue spalle. O almeno non in
quel
frangente.
Come se si fosse trattato di un bambino viziato, anziché di
un uomo grande e
fatto, sbatté la porta proprio come ebbe fatto poco prima il
fratello,
riuscendo così ad avere una normale visuale della sua camera
e del letto.
Ah, quanto avrebbe desiderato tornare indietro nel tempo, eh? Quando
l’ora di
andare a infilarsi nelle camere non era altro un pretesto per chiedere
all’altro
di raggiungerlo, così da tenere mani e bocche impegnate. Ma
quella volta non
sarebbe stato così, no.
Le mani di Dean tremolarono mentre schiacciava il pulsante
dell’ipod e faceva
ripartire la musica, infilandosi così nuovamente quelle
grandi e lussuose
cuffie.
“Be’, è
stato…”
Era stata una cosa totalmente assurda, una cosa fuori dagli
schemi.
Dean guardava affranto il muro davanti a sé con
l’espressione più arrabbiata di
cui era impossesso, l’espressione più scontrosa e
cattiva che conoscesse.
Era stata una cosa crudele, una cosa da…
“…Sam.” Aggiunse il suo cervello e in un
primo momento riuscì perfino a
sentirsi in colpa per aver pensato una cosa del genere, per aver
definito Sam
la persona più crudele che avesse conosciuto in tutta la sua
vita.
Gli altri erano demoni, esseri oscuri, angeli andati fuori di testa e
potevano
avere la scusante del “Sono fatto così, sono quel
che sono.” Ma quando il tuo
stesso fratello, carne della tua carne, sangue del tuo sangue, arriva a
dirti
una cosa del genere? Quando la tua metà, la tua salvezza,
arrivava a fare certe
cose?
Il petto di Dean, con più precisione alla base del cuore,
prese a fare un male
che non aveva mai provato.
“Perché, perché proprio lui?”
Il ragazzo si girò su un fianco e chiuse gli occhi,
abbattuto.
Avrebbe voluto continuare a parlare con suo fratello, avrebbe voluto
provare a
sistemare tutto, ma a quanto pare Sam aveva deciso per lui.
Quella notte nel bunker vi furono Parole non dette, Rumori non uditi e
i Giorni
sembrarono passare.
Dean non uscì dalla sua camera per due giorni se non per
fare rifornimenti di
alcool, e Sam non vi uscì per ancor più tempo se
non per prendere qualche nuovo
libro il computer che lasciava un po’ ovunque.
Nessuno dei due volle parlare, nessuno dei due volle provare a
continuare quel “Be’,
è stato…”. Nessuno.
Semplicemente i due fratelli passavano ore e ore a tergiversare su
qualcosa da
dirsi ma senza poi farlo, passavano più tempo a pensare alle
parole che ai
fatti. Anzi, questi ultimi venivano totalmente dimenticate, o almeno
fin quando
il leggero fruscio non fece sobbalzare e insospettire un po’
il maggiore dei
fratelli.
Da sotto la porta era passato un foglietto bianco piegato in due e
l’altro non
ebbe nemmeno il problema di chiedersi chi fosse, semplicemente non
potevano
esserci altre spiegazioni.
Dean si alzò dal letto e con un passo quasi traballante si
avvicinò alla porta,
afferrando il foglio.
Ah, se stava in silenzio poteva quasi sentire il respiro un
po’ velocizzato del
fratello oltre alla porta e ciò non fece altro che procurare
un maggiore
tremolio alle sue mani.
Aprì il biglietto e rimase fermo, socchiudendo gli occhi; in
cima al foglietto
c’era la scritta “Be’, è
stato…” scritta in corsivo e sotto vi erano varie
opzioni
accompagnate da una casellina vuota.
Dean sorrise, leggendo con un tono di voce non troppo alto.
«Crudele, Stupido,
Insensato…» Dean
continuò a leggere e alla fine sbottò con una
sottospecie di tono ironico.
«Ehi, non ci hai messo “Da Sam”. Avrei
scelto quello.» Esclamò mentre
richiudeva il biglietto e lo appoggiava sopra a un mobile li vicino,
aprendo
lentamente la porta. I suoi occhi ebbero modo di bearsi della vista del
fratello, sebbene non sembrava stare nel migliore dei modi. Un
po’ come lui.
«Be’, è stato da Sam. Tutto
quanto!» Esclamò il diretto interessato,
sollevando
le mani. Lasciò ricadere le braccia sopra alle cosce
fasciate dai jeans. «Mi
sono proprio comportato da Sam.»
Dean si appoggiò allo stipite della porta, incrociando le
braccia al petto.
«Non potevi comportarti altrimenti. Tu sei Sam, no? Quindi ti
comporti da tale.»
Sam annuì mestamente, dando ragione al fratello, facendosi
così vicino di un
passo arrivando a un palmo dal suo naso, chinandosi un poco su di lui.
Le labbra di Sam lasciarono un bacio delicato sopra alla bocca di Dean,
intenzionato a parlare subito dopo, sebbene non ci riuscì.
Non per qualche
strano sentimento, ma per la bocca di Dean che si fiondò
sulla sua,
allacciandogli le braccia al collo e spingendolo contro al muro,
immobilizzandolo con la sola forza del suo corpo e delle sue mani.
Nessuno dei due parlò, nessuno fiatò per dire
qualcosa eccetto per gemere.
Se prima il bunker era fiondato nel silenzio, in parole non dette e in
rumori
flebili, ora avrebbe passato giorni a bearsi dei gemiti dei due
fratelli.
Alla fine succedeva così, no?
C’era sempre la pace dopo la tempesta, ma era Sam e Dean
Winchester. Non si
sarebbero potuti comportare diversamente.