Il vento soffiava da Nord, ma si trattava soltanto di una
brezza leggera.
La bambina osservava i pappi dei soffioni volar via ed inseguirsi, leggiadri,
sotto il sole di maggio.
Rise di gusto, roteando su sé stessa e tendendo le manine paffute per cercare di
coglierli al volo.
Non ci riuscì. Ma non era prona al pianto, quindi scoppiò a ridere.
L’odore dei fiori la inebriava. La loro vista, anche.
Si guardò intorno, nel giardino: voleva davvero coglierne un mazzo, e poi farne
una ghirlanda (era davvero brava, a fare le ghirlande); ma la mamma si sarebbe
arrabbiata di sicuro, se l’avesse beccata a cogliere quei fiori. D’altronde, li
aveva cresciuti con cura.
Ci mise un po’ a trovarla, sua madre.
Riversa per terra, capo posato tra i fiori tanto affettuosamente coltivati,
schiacciandoli.
”Mamma?” chiamò dapprima la bambina, con un fil di voce. Poi, più forte.
“Mamma!”
La donna non rispose.
Soltanto avvicinandosi, la bimba vide le lacrime che le solcavano il viso, per
poi perdersi tra i mughetti.
“Papà!
Papà, la mamma è…!”
…
”…papà?”
[ La ville aux coeurs fanès ]
Prologo.
La citadelle sempervirente
Fuori dal finestrino, il paesaggio scorre monotono da ore.
Le distese di grano si susseguono una dopo l’altra, già vicine all’essere
mature: la grande cappa di caldo scesa a metà maggio ha, forse, ingannato anche
loro.
Sicuramente ha ingannato Allen Walker che, seduto su quel treno che taglia in
due la Francia, si ritrova a domandarsi se l’Ordine abbia delle uniformi
estive.
Dovrebbe averle, pensa, chiudendo gli occhi e gemendo abbattuto, prima
di procedere a sventolarsi affannosamente con il fascicolo. Lenalee, seduta di
fronte a lui, soffoca un risolino.
E lui, non potendo far nulla per impedire a quel rossore di diffonderglisi sul
viso – un po’ colto in flagrante, un po’ per il caldo – distoglie lo
sguardo.
Conseguentemente, la ragazza scosta il suo, portandolo
sul panorama sempre uguale al di là del vetro.
”Dovrebbe mancar poco, ormai”, esordisce, scostando una ciocca del finalmente
quasi-caschetto dietro l’orecchio.
Ignorando l’ormai familiare – seppure sempre inquietante – ombra riflessa
accanto al suo viso sul finestrino, il ragazzo porta l’attenzione su di lei e
si affretta a battere ciglio, quasi a cercar di scacciar via quella strana
inerzia.
”A… uhm…” le sue sopracciglia si crucciano appena, in un tentativo piuttosto
vistoso di scavare nella memoria per la parola straniera, nella foschia
dell’umidità “…Églantine?”
La cinese scuote il capo, sospirando. Sulle sue labbra,
un sorrisetto rassegnato che sa di scusa. “La ferrovia non arriva fino al
villaggio.”
Cosa?
”Dovremo scendere a Millau, e proseguire di lì. Mio fratello ha detto che è
comunque abbastanza vicino, quindi…”
Allen, tra le tante cose, si affretta anche a metter su una risatina affatto
convincente, stringendo spasmodicamente le dita guantate sul fascicolo della
missione.
“Sotto questo sole?”, commenta, quindi, distrattamente.
”Sotto questo sole”, conferma lei, e sembra mortificata.
Apparentemente, ha sentito bene.
Con un sospiro, il ragazzo scosta dal campo visivo qualche ciocca color latte
sfuggita al codino sulla nuca. Quei capelli che, in un modo o nell’altro, gli
rendono del tutto impossibile mimetizzarsi nella folla, e sono causa di quegli
sguardi curiosi e fissi che, spesso, lo mettono a disagio.
E’ grato, in qualche modo, per i vagoni privati riservati all’Ordine: non è una
bella sensazione, viaggiare con tutti quegli occhi addosso, sebbene la colpa
sia in qualche modo anche di Timcanpy.
(che in quel momento sembra trovare molto interessante il paesaggio al di là
del finestrino)
Case rustiche e timide si affacciano sporadicamente nel paesaggio, ora, segno
della zona civilizzata ormai vicina. Allen arriccia il naso e si sente
stranamente assonnato; sicuramente, il caldo gli dà l’impressione di esser
stato privato di gran parte delle sue capacità intellettive. Non c’è altra
spiegazione.
”Va bene, va bene. Facciamo il punto della situazione… ora che non sono
costretto a camminare lì fuori?” propone con un mugolio, sorriso ancora tirato
sulle labbra. Lenalee annuisce, incrociando le gambe.
”Églantine, villaggio della Linguadoca-Roussillon”, comincia, sporgendosi
appena in avanti per prendere il fascicolo dalle mani di Allen – che ne rimane
un po’ indispettito, dal momento che lo stava usando per areare un po’ il viso
“… Uh… Pare che molti residenti si stiano ammalando lentamente di una malattia
non meglio identificata. Il fascicolo dice che è stata definita ‘maladie du
sommeil’ dai finders che erano stati mandati ad assicurarsi se le cause
erano da rimandare all’innocence…” prosegue Lenalee, sfogliando rapidamente le
pagine “… ed quei finders sembrano scomparsi nel nulla. I loro aggiornamenti si
sono interrotti bruscamente una settimana fa.”
Assorbendo le informazioni per la seconda volta, Allen non
ha nessuna particolare illuminazione. Esattamente come la prima volta.
Sospirando, abbassa lo sguardo, piccola ruga di concentrazione fra le
sopracciglia.
Lenalee attende, per qualche attimo, una sua parola. Un suo gesto. Qualcosa.
Accorgendosene in ritardo, il ragazzo si affretta a mettere su un sorriso
genuino, sollevando le mani a mo’ di scusa.
Ciò che sta per dire è interrotto dal fischio del treno che, rallentando, entra
in città.
A metà strada sul sentiero battuto, Allen ha rinunciato
alla giacca dell’uniforme, che riposa ora piegata sotto un braccio; la camicia
bianca nascosta sotto la giacca ha i primi due bottoni sbottonati, in un ultimo
tentativo disperato di cercare aria fresca. Tentativo per l’ennesima volta
fallito.
Nessuna sorpresa, qui.
Persino Timcanpy aveva, ad un certo punto del tragitto, cominciato a volare
basso basso e mogio mogio. E, tenendo presente che i golem non avrebbero
neanche dovuto sentirlo, il caldo, Allen aveva trovato la presenza di spirito
di meravigliarsene moderatamente, senza sprecare troppe energie.
Lenalee, dal canto suo, aveva sopportato il tutto in maniera veramente
dignitosa.
E molto femminile, come sempre.
Il paesaggio era risultato monotono anche nell’avanscoperta a piedi, e non
c’era nulla di veramente notevole. La campagna era sembrata soltanto piena di
pace, tranquillità, e terribilmente lontana dalla frenesia della città, per
quanto vicina. Per un attimo, Lenalee aveva avuto l’impressione che la guerra
fosse stata un brutto incubo, così come l’attacco all’Ordine di qualche mese
prima. Ma le scarpette ed i bracciali rossi alle sue caviglie – cerca di non
pensare troppo al fatto che fosse sangue suo, quello – le avevano ricordato che
era successo tutto. Davvero.
Fiori selvatici, piccoli e gialli, si erano susseguiti
sull’orlo della strada battuta che – guardando bene, in lontananza – già faceva
intravedere il campanile del piccolo centro abitato.
Avevano allora proseguito con rinnovato vigore – mentre lo stomaco di Allen
brontolava – al pensiero di essere quasi arrivati.
E adesso, nella prima stradina della cittadella,
un’insegna in legno dai caratteri arzigogolati recita:
« Bienvenus dans Églantine, la citadelle
sempervirente »
Lenalee cruccia le sopracciglia nella traduzione, e si ritrova a domandare cosa
significhi esattamente “sempervirente”.
Allen arriccia il naso, prima di fare spallucce ed ammettere che,
effettivamente, quella parola manca anche al suo vocabolario. Con un sospiro –
non è davvero una cosa importante, dopotutto – la cinese si asciuga la fronte
dal sudore e si guarda attorno.
Più che un villaggio, pensa, sembra un piccolo paradiso. Il contrasto fra le
erbacce del sentiero ed i fiori che circondano l’insegna – fiori viziati, ben
curati, in ciuffi di azalee e mughetto –è terribilmente forte.
Così come il loro profumo, ed il ronzio delle api ed il battito sporadico di
qualche farfalla dai colori tenui. Una piccola brezza, proveniente da nord,
smuove lentamente le foglie che, giovani ed ingenue, si lasciano sedurre dai
soffi di vento, piegandosi al suo volere.
A quel punto Lenalee starnutisce, quasi uno squittio, infrangendo la quiete
quasi celeste e facendo sobbalzare Allen. Lui si volta verso di lei, battendo
ciglio.
Lei arriccia appena il naso, prima di tirar su un paio di volte. Poi, starnutisce
di nuovo.
”Tutto bene?” domanda Allen, a metà fra il divertito ed il preoccupato, al
quarto starnuto.
”Sì, sì…” risponde lei, stropicciandosi appena un occhio “… te--- tebo di
essere allergica a…”
L’ennesimo starnuto la interrompe prima che possa specificare, esattamente, a
che cosa. E’ il turno di Allen di soffocare un risatina: Lenalee sceglie
prontamente di ignorarla, lasciando cadere lì il discorso. Fra tante varietà di
fiori, alla fine, sarebbe stato impossibile individuare esattamente a quale fosse
allergica davvero.
Tira su col naso, mentre Allen incrocia le mani dietro la nuca, battendo ciglio
– ed il suo stomaco, sentendosi ignorato, riprende a brontolare.
Per le strade, non c’è nessuno.
Quel paradiso sembra totalmente deserto, una natura fine a sé stessa: Lenalee
ragiona che non è affatto possibile che lo sia davvero, perché quei
fiori sono talmente ben tenuti che ci deve essere necessariamente qualcuno a
prendersene cura.
Riporta l’attenzione su Allen, che è tornato a sfogliare il fascicolo,
mordicchiandosi l’interno della guancia.
Sta pensando: riconosce la sua espressione, quando pensa.
E poi, ancora una volta, starnutisce.
Alla fine, decidono di proseguire con cautela. E, soprattutto, in silenzio.
Fortunatamente, il silenzio fra lei ed Allen non è uno di quei silenzi pregni
di disagio, o tensione, uno di quei silenzi che si muore dalla voglia di
infrangere. E’ un bel silenzio, il loro, e dopotutto Lenalee non è mai stata
una ragazza bisognosa di molte parole. La sua amicizia con Kanda, dopotutto, ne
è una prova tangibile.
Pertanto, la ragazza si concentra piuttosto nell’osservare attentamente
l’ambiente in cui quella strana “malattia” sembra aver trovato culla e tana.
Lungo la stradina acciottolata, ogni casetta ha il suo piccolo giardino,
smagliante di colori. Il suo piccolo orto, dalla terra morbida e le foglie
curate. E’ davvero un piccolo Eden.
Dietro le foglie ed i petali variopinti, però, le finestre sono chiuse.
Ogni singola casa è cieca e chiusa in sé stessa, imbevuta della luce intensa
solare. Intonaco bianco, brillante, che riflette la luce e ferisce lo sguardo.
In qualche modo, sembra che le case invitino i passanti a non guardarle. I
fiori esigono, invece, il contrario.
A dire il vero, più ci si addentra nella città, più questo contrasto diviene
evidente. Quasi caotico.
Arrivati ormai all’altezza della piccola chiesa, Lenalee conclude che quella
cittadella, più che un paradiso, sembra una piccola città fantasma.
Ripete quella riflessione ad Allen, in un sussurro, prima di avvertire ancora
quel fastidioso solletichio al naso e lasciarsi andare ad una nuova serie di
piccoli starnuti.
”Lenalee!” attacca Allen, di qualche passo davanti a lei, con un indice
sollevato davanti alle labbra e fascicolo e giacca dell’uniforme sotto il braccio.
Lei batte ciglio, chinando leggermente il capo d’un lato.
“… senti?”
Ed è allora che Lenalee, tra il fruscio del vento e il ronzio delle api, le
sente.
Quelle risate talmente nitide e cristalline da poter
appartenere soltanto a dei bambini.
A/N: IO
VORREI TANTO CHE HOSHINO DECIDESSE DEFINITIVAMENTE I COLORI DEI PERSONAGGI
PERCHE’ NON CI STO CAPENDO PIU’ NIENTE. Ecco. Sfogo finito. In questa
fanfiction, Lenalee non avrà i capelli viola. E neanche verdi. Li avrà neri, da
brava cinese. Anche Kanda non li avrà blu. Li avrà neri, come ogni bravo
giapponese. Gli occhi di Kanda, poi, non ne parliamo. Vanno dal grigio
all’azzurro al nero, nelle illustrazioni. Opterò per un grigio scuro. Nella
vita bisogna fare delle scelte. Hoshino mi costringe a farle.
E’ più il tempo passato a fare ricerche
su di Allen e sui colori, che il resto. Per non parlare delle ricerche sulla
Francia. -_-
Églantine è rigorosamente
inventato da me. Non penso esista, comunque.
Comunque, primo tentativo di longfic su d.Gray-man. Ci
sarà un po’ d’azione – d’altronde, da una missione cosa pretendete? – ma non
contateci troppo. Per lo più, mi soffermerò sull’introspezione, credo. Questa è
un’idea che mi venuta all’una di ieri
notte. Son stata su a scrivere la trama fino alle tre. Ed oggi non mi son
staccata dal pc per mettere su il primo capitolo.
Essendo tutto programmato, la finirò di sicuro. E’ un esperimento più che
altro. Ringrazio Liy per l’aiuto con il personaggio di Allen, che per me è
decisamente ostico. Ho provato davvero a scriverlo al passato, ma veniva
stranamente pesante come narrazione. Ero io, e non riuscivo a leggerlo. Vi ho
risparmiati. °_°
Note sul francese:
“la ville aux coeurs fanès” :
la città dai cuori sbiaditi
« bienvenus dans Églantine, la citadelle sempervirente » :
benvenuti ad Églantine, la cittadella sempreverde.