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Autore: RebeckahPhantomhiveSoul    11/03/2014    0 recensioni
Storia di una ragazza, malata di una rara malattia che vuole solo essere normale.
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Devo correre. Non posso arrivare in ritardo.
Sento le ruote che strisciano sulla strada. Sento il cuore battere a ritmo di un tamburo per lo sforzo. La parrucca pizzica e i capelli sintetici mi ricadono sul viso. Devo correre.
Ho il fiatone. Sulle mie ginocchia il vocabolario pesa come un’incudine. Greco. Perché ho scelto il classico? Studiare ore e ore , con la flebo attaccata al braccio, mi ricorda una sanguisuga. So che è stupido. Dopotutto non mi preleva sangue, mi inietta il medicinale che mi permette di vivere, ma è come se ogni volta si prendesse un pezzo di vita piuttosto che restituirmela.
La sedia a rotelle che da due anni sostituisce le mie gambe è faticosa e pesante da far muovere. So che qualcosa in me non va. Qualcosa nel mio corpo è malato  e non mi permette di correre, di uscire il sabato con gli amici, di vivere.
I miei unici amici sono la simpatica infermiera che vive con noi e i miei libri. Questi ultimi mi permettono, un po’ per volta, di vivere la vita di qualcun altro. Sono stufa dei day hospital, sono stufa della gente che non sa niente e dice “Siete coraggiosi. Siete voi gli eroi di oggi.” Io non mi sento un’eroina. A volte si, ma non sempre. Mi sento un’eroina quando riesco a farmi la doccia da sola, quando, come oggi, percorro la strada che porta a scuola senza che nessuno spinga la mia carrozzina, quando non mi sento una neonata con il corpo di una quattordicenne. La motivazione me la chiedono in molti, la mia risposta non cambia e non mi stufo di ripeterla “Se mi convinco di essere come una qualsiasi ragazza, alla fine convincerò anche gli altri”
Sono arrivata. Vado all’ascensore, mi faccio aiutare da un professore per entrare e mi guardo nello specchio. La parrucca assomiglia molto ai miei vecchi (veri) capelli. Lisci, castani, con due ciocche che mi incorniciano il viso ed il resto che ricade sulle spalle. Ho le occhiaie, probabilmente per la notte insonne passata al lume dell’ansia per il compito.
Entro in classe, pronta ed ansiosa oltre ogni dire.
La versione sembra difficile, il cervello mi scoppia, il vocabolario è scritto in un carattere minuscolo e mi viene voglia di bruciarlo ma arrivo alla fine della giornata e fuori scuola c’è Lottie che mi aspetta: la mia infermeria.
Arrivo a casa e Lottie attacca la Sanguisuga al mio braccio.
-Come è andata?- chiede gentile.
-Bene. Anche il compito. Spero.
-Sei intelligente, Hazel. Sarà andata tutto bene.
Dopo la Sanguisuga sono stanchissima e Lottie mi aiuta a mettermi a letto. In questo momento mi sento una neonata.
Ho scoperto la mia malattia poco più di tre anni fa. Il ventitré ottobre del duemiladieci.
Ho passato gli ultimi tre anni con la flebo al braccio.
Ho passato gli ultimi due anni senza poter più camminare.
I dottori hanno detto ai miei genitori che sarei migliorata, con il tempo, con medicinali sempre nuovi avrei potuto camminare ma non avrei mai più corso ed ho un’aspettativa di vita che non supera i cinquant’anni. Se avrò i miei veri capelli, potrò vederli bianchi prima di morire.
I miei genitori non sono vissuti bene in questi ultimi anni. I loro occhi sono spenti, le guance hanno dei fossi scavati dalle lacrime. Non ricordo il viso di mio padre prima che fisse deturpato dalla preoccupazione.
Da due anni a questa parte ho una nuova parente: Lottie è ormai una zia.
È entrata nella nostra vita con il suo caschetto biondo, i suoi occhi azzurri e le origini tedesche. A volte mi parla in tedesco e non la capisco subito. A volte mi porta perfino dei Kipferl, dei dolcetti tedeschi.
E sono proprio dei Kipferl la mia colazione il giorno di due risultati.
Prima a scuola, con il risultato del compito di greco, quel vocabolario che pesava sulle mie ginocchia mi è valso un otto e mezzo.
Poi il pomeriggio, all’ospedale dove le guance dei miei genitori sono nuovamente solcate da lacrime, fortunatamente di gioia. Il livello della malattia è sceso a otto e un quarto della scala i cui punteggi sono dati da cause ed effetti.
Sono scesa di mezzo punto. La malattia sta regredendo, piano, lentamente e con piazenza guarirò. Smetterò di essere un’eroina dei nostri giorni. Smetterò di sentirmi una neonta. Credo di essere già una ragazza normale.
In fondo, mi è piaciuto di più quel piccolo infinito e mezzo al compito di greco che quello ai test della malattia.
  
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