Un’alienata con l’anomalia di voler
essere… normale! La sua esile voce spicca tra la folla, si differenzia dagli
altri sventurati detenuti del manicomio di Fogg per l’inesauribile speranza che
popola il suo cuore nonostante l’aver vissuto una vita ostile fatta di molte
stanze, damasco e buio. Una dolce allodola rinchiusa in gabbia che se non può
volare vuole almeno cantare.
“Che
peccato che ai matti non sia permesso di parlare saggio di ciò che i saggi fanno
pazzamente!”
William S.
Nota dell’autrice:
Salve a tutti! ^^
Per la prima volta azzardo a cimentarmi anche
qui, infatti temo seriamente che queste potrebbero essere le mie ultime parole
dato che per scrivere la prima one-shot della mia vita ho preso spunto da 3
persone, tra cui uno di questi ancora vivo grazie al cielo, e perciò potrebbe
rintracciarmi e strangolarmi se mai leggesse quello che segue, vero Tim?
^^’
In ogni caso questa breve one-shot tratta una mia opinione riguardo al mondo dove gli individui sono etichettati come le verdure sottospirito, suddivisi in categorie insulse e mai ascoltati, un esempio perfetto di questo è proprio Tim Burton appunto, un grandissimo uomo e divino regista che calpesta i canoni Academyani per fare un film musical senza nemmeno un attore cantante professionista eppure ne esce con uno dei suoi più grandi capolavori! (forse dopo questo discorso non vuole strozzarmi più :P)
La protagonista è Johanna Barker, ho dato voce
a lei perchè mi piace molto come personaggio, assomiglia alla mia Sally di
Nightmare Before Christmas: imprigionata, triste, innamorata
*w*
Premesso che detesto tutti i musical a parte 2 e Sweeney Todd è uno di questi ho preso comunque spunto dalla canzone “Green Finch And Linnet Bird” sicuramente avete capito perché =)
Ditemi cosa ne pensate di questo mio primo
esperimento, io intanto vado a cambiare nome e casa prima che Tim mi trova
XD
Buona lettura, un
bacione!
-Capitana-
(Kela)
__I
matti di Bedlam__
E’
buio, fa tanto freddo qui… Non s’ude nient’altro che singhiozzi, lamenti, gemiti
di dolore, rabbia, odio…
Troppo
poco affermare di aver soltanto paura.
Un
ora trascorsa qui dentro e dimentichi persino il tuo nome, cerchi di leggerlo
sul volto di chi è al tuo fianco, ma scorgi solo lineamenti rigonfi, lividi di
puro terrore, sconforto, abbandono.
Quando pensi ad una stanza piena di persone immagini dialogo, allegria, calore… amore!
Invece
qui siamo solo una calca indistinta di ripudi umani, umiliati, maltrattati,
sfruttati come pecore da lana per la disgrazia di avere i capelli color
dell’oro.
Ho
trascorso la mia intera vita sola, segregata in una stanza, con l’unica
compagnia di un’allegra allodola e una finestra per rendermi il mondo meno
sconosciuto, cresciuta da un padre che non era il mio e non ho mai
voluto.
Credevo
davvero che un giorno vi sarei uscita, certo non in questo modo… Avrei
desiderato poter fissare la pioggia da vicino, sentire il suo odore, il suo
sapore sparso nell’aria; e magari persino passeggiare per le strade con un
grazioso ombrellino accompagnata a braccetto da un gentiluomo, come dalla mia
finestra molte volte ho visto fare alle imbellettate dame di Londra, guardando
disperati le stelle…
Ora
finalmente sono libera, assolta dalla perversione di quel disonesto giudice, le
catene del suo finto affetto, dal suo falso sorriso di conforto, seppur le
sbarre sono rimaste.
Ma
non so ben dire se preferisco questa cella di dannati, giudicati dalla società
come poveri malati di mente, matti senza speranza, rinnegati da ogni forma di
umanità quando invece potrebbero essere semplici vittime proprio come me; oppure
quella fortezza di molte stanze, damasco e tenebre in cui ho, per così dire,
“vissuto” sin ora.
Una
notte già qui dentro ho preso coraggio, rinvenuto non so in quale angolo della
mia anima, per affacciarmi alle sbarre del penitenziario che danno sulla strada.
Lì ho scorto un’ombra, camminava tormentata per tutto il perimetro
dell’edificio, fin quando non ha notato la mia presenza e si è avvicinata.
Non
hai tu paura di una nefasta menomata?
La
luce di un lampione ha schiarito il suo già niveo volto e nelle tenebre ho
scorto il sorriso di quel dolce marinaio che ha fatto tanto sobbalzare il mio
cuore quando lo vidi per la prima volta con gli occhi persi ed innamorati presso
la mia finestra.
Mai
vidi tanto amore nel solo sguardo di una persona.
Qualche
tempo dopo donai lui una chiave, vinsi la mia paura di affrontare una eventuale
punizione del Giudice Turpin nel caso mi avesse scoperta e riposi tutte le mie
speranze in quel gesto.
Speravo
la usasse per entrare in casa “mia” e liberarmi da quella prigione, avevo già
riempito un baule con le mie bambole, qualche abito, effetti di poco conto, ma
il destino è stato efferato con me.
Mi
hanno confinata qui, come Dio scagliò Lucifero all’inferno, eppure io non ho
commesso alcun peccato di superbia.
Vorrei
solamente riuscire a cantare nonostante tutto, come la mia allodola imprigionata
nella gabbia che trova la contentezza per diffondere dolci note
armoniose.
Oltre
quelle sbarre il cielo intero mi attende, questa volta non devo adattarmi,
piuttosto resistere, essere forte per salvare me stessa.
Malgrado
non so cosa sia un desiderio, nemmeno un sogno, non ne ho mai avuti, soltanto
incubi. E qualsiasi cosa io faccia o possa credere, saranno gli unici a non mi
lasceranno, quei fantasmi non andranno mai via.
Attendo
qui il mio fato, non mi resta altro da fare, prenderebbero le mie parole come i
deliri di un’altra matta di Bedlam.
Che
peccato che ai matti non sia permesso di parlare saggio di ciò che i saggi fanno
pazzamente!