Prologo
The girl who dreamt
Celia Stebbins era una ragazza normale. Forse leggermene sopra le righe, forse non la ragazza che le madri avrebbero sognato per i propri angioletti, forse non la più aggraziata e docile tra le fanciulle, ma era, in fondo una ragazza normale dai gusti un po' strani.
Per esempio, Celia Stebbins era tipo da girare con un lungo cappotto, o nero o beige, sia che fuori ci fossero quaranta gradi, sia che vi fosse la neve a mezza gamba. Era tipo, Celia Stebbins, da cambiare colore di capelli due volte nella stessa settimana, passando dal suo castano naturale a un verde acceso, per poi tingersi di viola e infine di rosso. Solo, non era mai stata nera. Il nero in testa le sarebbe entrato dentro, diceva. E così di nero portava solo quel famoso cappotto. Tutto nel suo abbigliamento era sempre colorato, a partire dalle calze arcobaleno sulle gambe magre. Non era una bellezza da copertina, ma aveva un certo fascino che solo in pochi notavano.
Studiava Lettere a Londra, Celia Stebbins. Aveva rifiutato la borsa di studio a Oxford e a Cambridge, preferendo una piccola università in centro, e aveva dei voti nella media. Ma era molto intelligente, Celia Stebbins.
E aveva un sogno ricorrente. Sognava di una cabina del telefono blu, una cabina più grande al suo interno, una cabina capace di viaggiare tra i mondi e nello spazio. E sognava anche di un uomo, dalla giacca di pelle, i capelli corti e gli occhi grigi, che la salvava dai mostri. O dagli alieni. Su questo punto non era d'accordo nemmeno con se stessa.
Non aveva mai parlato con nessuno dei suoi sogni, nemmeno a sua madre, nemmeno al gatto. E a Clark di solito diceva tutto. Ma ora voleva sapere, Celia Stebbins, sapere se era matta come un cavallo o se quelli erano in un certo senso dei ricordi, se c'era qualcosa di vero. Perché Londra non era più la stessa città di quando era bambina, cosa strane erano successe e il suo ottavo senso (con il sesto intuiva le bugie e con il settimo se stava per piovere) le diceva che l'uomo che viaggiava con la cabina telefonica blu era in un qualche senso collegato a quegli strani avvenimenti.
Per quello, in un pomeriggio di metà maggio, con il cappotto beige, le calze arcobaleno e i capelli lilla, bussò al 221B di Baker Street.
Angolo della decerebrata la cui mente (lo so, è quasi una contraddizione) ha partorito tutto questo mentre avrebbe dovuto chiaramente fare altro:
Buonsalve a tutti quanti, sarò breve perchè voglio pubblicarvi anche il primo capitolo, così che abbiate un'idea dell'andamento della cosa.
In realtà, non ho oggettivamente molto da dire, se non che spero che la storia vi piaccia, perchè l'idea di partenza mi sembrava buona, ma magari mi sono persa per strada. Oppure non sono mai partita. Bè, sappiatemi dire se vale la pena di continuare :)