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Autore: moni_cst    21/03/2014    10 recensioni
Prequel di Happy Valentines Day
dal testo
"Sdraiata sul letto, continuo a fissare l’oscurità del soffitto.
Ascolto le ore scandite dal rintocco delle campane e ascolto il respiro regolare di Castle, accanto a me.
Accarezzo lentamente la mia pelle nuda per sentirmi ancora viva e mi giro verso lui.
La mia roccia.
Quante volte negli ultimi lunghissimi mesi mi sono aggrappata a lui, solo per riuscire a respirare. Solo per riuscire a prendere quella boccata d’aria che mi era necessaria per vivere."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Rick Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
- Questa storia fa parte della serie 'La famiglia Castle'
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Nevica. 

I fiocchi di neve scendono da un cielo plumbeo e sbattono contro gli occhi mentre cerco di osservare oltre la coltre nebulosa che mi separa da te. 

Il profilo dei monti s’intravede appena in questa luce piatta e grigia che rispecchia così bene la mia anima. 

Tutto bianco.

Dentro e fuori di me.

Cammino lungo la strada che va verso il paese e osservo le caratteristiche forme delle case con i camini accesi e i comignoli fumanti.

Non ce n’è nemmeno una senza il fuoco acceso, senza il fumo che sale a spirale verso l’alto per disperdersi nel grigiore dell’aria.

Inalo il caratteristico odore del fumo, l’aroma di legna bruciata. 

Si respira pace.

Si ascolta silenzio.

I rumori sono attenuati dalla soffice neve e mi piace ascoltare lo scricchiolio sotto le mie scarpe. La neve è fresca e siamo alla temperatura giusta. 

E’ strano come un piccolo scricchiolio possa infondermi un senso di tranquillità che da tempo non provo.

Respiro a pieni polmoni e l’aria fredda s’insinua dentro di me facendomi percepire punti reconditi del mio torace che non ricordavo nemmeno più di possedere.

Ormai non ci sono più abituata. 

Pregna d’ossigeno, fresca. 

Sazia e riempie i polmoni intorpiditi dai piccoli consueti respiri cittadini. 

I miei organi si sono rattrappiti e non li uso più, se non per sopravvivere. A volte devo farmi forza per ricordarmi di respirare perché quel gesto spontaneo ha perso in me ogni automatismo e s’è fermato. 

Ora, per respirare, devo pensarci. 

Devo volerlo.

Tutto si è fermato per me quel giorno.

Tutto intorno a me inesorabilmente continua a vivere, a muoversi, ad accadere.

Inaudito.

Come è possibile che tutto possa andare avanti?

Osservo.

Osservo la gente che incurante del freddo staziona in piazza a parlare, inconsapevole del paradiso dove vive.

Strano: non ho mai pensato al paese del cottage di mio padre come ad un luogo incantevole. Da ragazzina, in vacanza lo odiavo. Mia madre cercava di farmi apprezzare le bellezze della Natura ma io desideravo solo ridere e scherzare con i miei amici. Non chiedevo nient’altro.

Il rintocco delle campane mi distoglie dai miei pensieri. 

Un brivido mi percuote e avverto il calore del braccio che mi cinge la spalla, mi stringo a lui appoggiandovi il capo.

“Hai freddo?” mi chiede mio marito.

“No, Rick. Sto bene. Ero solo sovrappensiero.”

“E’ meraviglioso questo posto. Dovremmo venirci più spesso. Farebbe bene a Tommy, ha bisogno di serenità… e anche noi”

“Già. Mi rendo conto di quanto mi mancava un po’ di riposo, un po’ di stacco.”

“Secondo te anche chi qui ci vive e ci lavora avverte questa tranquillità? A volte penso che abbiamo sbagliato  e dovremmo mollare tutto e cambiare vita”.

Mi sento proprio beffata dalla vita, schiacciata dalla frenetica routine quotidiana, schiacciata dal traffico, dal rumore, dal lavoro lontano da casa, dal lungo tragitto che ogni mattina e ogni sera incolonnata in mezzo a tanti altri percorro in macchina, senza mai riuscire a dare un senso a tutto ciò. 

Prima mi piaceva il mio lavoro, il distretto era la mia famiglia. 

Ora non sono più una brava detective, non riesco a mettere più cuore in quello che faccio e tutto il male con cui convivo ha finito per schiacciarmi definitivamente.

Sto studiando per fare il concorso per diventare capitano. 

Castle sostiene che starei più al sicuro, lontano dall’azione e tutelerei di più Tommy, che ha bisogno di noi, di me, ora più che mai.

Di giorno lavoro al distretto, torno a casa, sto con Tommy e quando lui va a letto mi metto a studiare tutta la notte. 

Per non pensare.

Per non impazzire.

Rick passa le notti accanto a me, a scrivere.

Lo fa per non pensare.

Lo fa per non impazzire.

Ho la netta sensazione di aver appiattito tutti i miei sensi e le mie emozioni a tal punto da non riuscire più a distinguere le cose vere, le cose importanti.

In realtà non è così, io le distinguo benissimo.

Ma non riesco più a viverle. 

Sempre di corsa, volutamente. 

Sempre a riempirmi la vita con attività di ogni genere per tenere sgombra la mente.

La mente, solo se vuota, non fa male.

La mente, solo se è occupata in altro, non urla.

“Vieni Kate, rientriamo. Non mi va di lasciare Tommy ancora con la babysitter. Andiamo da lui”.

Giriamo su noi stessi e cambiando abbraccio ci incamminiamo verso il cottage.

 

***

Da quando abbiamo vissuto la perdita di nostro figlio tutte le nostre sensazioni e le nostre emozioni sono soffocate da un grigiore piatto. 

Questa realtà, volutamente e coscienziosamente offuscata, mi ha permesso di non perdere la ragione e di continuare a vivere senza impazzire del tutto. 

Mi sento vuota.

Sento le mie braccia vuote.

Solo quando Rick mi stringe e mi ama riesco a congelare per un attimo questa sensazione di vuoto che ormai fa parte di me.

E’ strana la vita. 

Mai avrei immaginato che questo mi avrebbe riservato il destino. 

Mai.

Ritenevo di aver già pagato i conti con il male. La morte di mia madre non mi ha permesso di vivere per più di 10 anni e ora è riiniziata la mia non-vita.

Ma non posso permettermelo, questa volta.

Devo trovare la forza dentro di me di reagire e di uscire da questo tunnel buio.

Ho Tommy che ha solo 3 anni e già mi sembra un ometto.

Ho Rick e devo resistere. 

Per lui e con lui.

Non posso lasciarmi andare e cedere.

Non posso.

Non si meritano questo.

Tommy ha diritto a una vita normale e felice e farò tutto quello che posso per donargliela.

Guardo il mio bambino e mi rendo conto, oggi più che mai, che ho la fortuna di poterlo osservare mentre corre, mentre gioca, mentre vive. Solo adesso realizzo veramente come dobbiamo saper apprezzare ogni piccolo gesto del nostro vivere quotidiano, anche il più insignificante, perché solo apparentemente è banale.

Il grande abete di fronte al cottage era appesantito dalla neve, oltre che dagli addobbi natalizi. I rami più bassi erano talmente carichi che si flettevano fin quasi a terra ogni volta che il refolo di vento li sospingeva.

Il rumore delle raffiche che soffiavano tra le fronde mi portò con la mente a ricordi dell’infanzia. Ricordavo perfettamente il sibilo del vento tra i rami degli abeti. E’ un suono particolare che solo abeti producono. Nessun altro frusciare di foglie è paragonabile a quel fischio ininterrotto che cambia d’intensità e di tono con il variare della forza del vento.

Sorrisi a quel ricordo.

Mi soffermo a guardare dalla finestra e osservo il passeggio lento e ritmato di due signore anziane, distinte, immerse in una fitta conversazione. Sono molto colpita da queste due figure che sembrano uscite da un quadro di altri tempi, che sprigionano uno charme e una classe che, inspiegabilmente, è difficile ritrovare in donne di generazioni più giovani.  Una certa combinazione di fascino, educazione, portamento, garbo, eleganza, che si è completamente perso nelle nuove generazioni.

Dietro di loro sopraggiunge un gruppo di giovani che ridono, scherzano, si spingono e si tirano pallate di neve in un’ilarità generale che produce solo una gran confusione.

Rappresentano, nel mio immaginario, il perfetto contraltare delle due signore. 

A questo si è ridotta ormai la mia vita: ad osservare.

Mi sposto dalla finestra quando una manina afferra la mia e mi trascina in cucina.

“Vieni mamma. Papà ha finito di preparare la cena.”

Asciugo una lacrima che è scivolata su una guancia prima che Tommy possa vederla e lo prendo in braccio e lo stringo a me.

“Ah, bravo papà! E che ci ha preparato di buono?” chiedo con un sorriso rivolto solo a lui.

“La pizza! Ti ricordi dopo pranzo abbiamo preparato insieme l’impacco”.

“Impasto”.

“Sì, l’impasto.”

Faccio una giravolta su me stessa facendolo roteare. Lo faccio egoisticamente,  per poter gioire della risata che sapevo sarebbe scaturita.

Lo faccio scendere appoggiandolo su una sedia e mi avvicino a Rick piano.

Mi dà le spalle, è indaffarato sul bancone della cucina.

Lo abbraccio da dietro, appoggiando le mani sul torace che tanto amo, lo bacio sul collo.

“Grazie” sussurro.

“Come stai?” mi risponde piano, girandosi e ricambiando il mio abbraccio.

Appoggio il viso sul suo petto e un senso di tranquillità e protezione invade tutto il mio essere. 

Dovrei stare sempre così.

“Mi spiace Rick. Non mi sono resa conto di quanto tempo ho passato davanti a quella finestra” dico sempre con voce bassa.

“Fa niente, Kate. A volte succede a me e tu stai con Tommy.” dice dolcemente. 

“Grazie” rispondo veramente riconoscente, stringendomi forte nell’abbraccio.

“Passerà, Kate. Passerà. Vedrai.”

Lo guardo sorridendo e gli carezzo il viso ma non ho il coraggio di replicare.

 

***

Sdraiata sul letto, continuo a fissare l’oscurità del soffitto.

Ascolto le ore scandite dal rintocco delle campane e ascolto il respiro regolare di Castle, accanto a me.

Accarezzo lentamente la mia pelle nuda per sentirmi ancora viva e mi giro verso lui.

La mia roccia.

Quante volte negli ultimi lunghissimi mesi mi sono aggrappata a lui, solo per riuscire a respirare. Solo per riuscire a prendere quella boccata d’aria che mi era necessaria per vivere.

Sospiro.

L’amore che ci unisce è speciale, ormai ne ho la consapevolezza ma in fin dei conti l’ho sempre saputo. La nostra collaborazione è sempre stata unica come anche la nostra amicizia.

Rifletto, come ormai era mia abitudine nelle lunghe ore d’insonnia notturna. 

Sono diventata un’attenta osservatrice di ogni momento e di ogni persona.

Non ho più tanta voglia di vivere e così mi soffermo sulla vita degli altri.

Guardo. 

Osservo.

E non devo fare altro.

Questo è il punto. 

Non fare niente.

Non ho più voglia di vivere per me. 

Da quando vivo il mio lutto ho smesso di essere una persona.

Galleggio.

Sopravvivo. 

Mangio.

Dormo.

Lavoro.

Osservo gli altri e i tanti controsensi presenti in questo mondo.

Allungo un braccio e lo appoggio sopra la sua schiena accarezzando piano la natica a cui arrivo.

Mi rendo conto che sto vivendo solo per Rick e per Tommy e per il nostro piccolo angelo in cielo, per dare un senso alla sua breve e sfortunata esistenza.

Tommy ha di fronte a sé tutta una vita e ha il diritto di viverla, serenamente.

Rick è attanagliato dal dolore come me, mi riempie la vita con le sue attenzioni, con la sua costante presenza, silenziosa o assordante, secondo i miei stati d’animo.

E io?

Penso a tutte le volte che ho pensato di non farcela e di morire d’infarto sentendo quel forte dolore nel petto. 

Eppure sono ancora qui, piano piano, giorno dopo giorno, ora dopo ora. 

Con la mia non-vita.

La contraddizione più grande la provo quando mi capita di ridere o di gioire per qualcosa  e al tempo stesso provo una profonda frustrazione e infiniti sensi di colpa. 

Sospiro, continuando ad accarezzare lievemente il mio uomo, senza volerlo svegliare.

Solo quel contatto mi infonde serenità.

La vita è una cosa meravigliosa ed è un peccato sprecarla, non viverla intensamente senza apprezzare ciò che ci circonda.

Avverto improvvisamente una calma interiore che non provo da molto tempo. 

Respiro a fondo.

Qualcosa forse sta cambiando in me.

Le prime luci dell’alba filtrano attraverso la tenda oscurante della camera. 

Mi è sempre piaciuto questo tendaggio color mattone. 

Mi alzo piano, per non svegliarlo.

Scosto leggermente la tenda per cercare di capire se fosse smesso di nevicare; mi sembra di intravedere un cielo terso, senza nuvole, sebbene fosse ancora tinto di scuro per il recente buio notturno.

Guardo il cielo e penso al mio angelo.

Un brivido di freddo mi attraversa la schiena; i termosifoni non sono ancora caldi.

Giro intorno al letto inciampando su qualcosa, caduto a terra, e mi infilo di nuovo sotto il piumone.

Piano piano mi avvicino a te incollando il mio petto alla tua schiena, mi muovo lentamente  per non svegliarti. Riesco a far aderire il mio corpo al tuo e con il braccio ti avvolgo. 

Mi prendi la mano e la stringi nel sonno, con un gesto automatico, ripetuto nelle tanti notti insieme.

Sei stanco e negli ultimi tempi hai sofferto anche tu di insonnia.

Però ho bisogno di sentire il tuo calore. 

Ho sonno, non ho riposato tutta la notte.

Cerco di rilassarmi e godermi questo momento di silenzio e d’inusuale pace interiore che sto provando, quando intravedo Morfeo che viene a prendermi con le sue ali grandi e possenti. Porta con sé dei papaveri che avvicina alle mie palpebre già chiuse, pronto a regalarmi un bel sogno mattutino pieno di speranza e di vita.

  
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