Note
autore:
Storia by earlgreytea68,
originariamente postata su Archive Of Our Own, al link:
http://archiveofourown.org/works/615160
Traduzione a cura di:
_opheliac.
Beta: PapySanzo89,
sempre la mia salvezza.
Letters: The
Reading Of
Il messaggio in
segreteria era della signora Hudson. Sapeva
che lo era, perché aveva visto il suo nome tra le chiamate
perse.
John Watson,
circondato dalla gioia natalizia, sedeva nel bar
in cui si era fermato per della caffeina di cui sentiva fin troppo il
bisogno e
imprecava intensamente. Il suo telefono sembrava pesante
all’interno della sua
tasca, e lo stava ignorando da quando aveva finito il turno giornaliero
alla
clinica. Lo stava ignorando così tanto che si era rifiutato
di andare a casa,
perché allora non avrebbe avuto più nessuna scusa
per non ascoltare il
messaggio, così invece era circondato da troppe persone
dannatamente felici con
tutte le loro fottute risate. Che
diavolo? Aveva scelto l’unico giorno di
quell’insopportabile periodo natalizio
in cui gli acquirenti non stavano battibeccando tra di loro a causa
della
maleducazione ricevuta.
John fece un
profondo respiro e pescò il telefono dalla
tasca, fissando la notifica del messaggio. Fissò e
fissò e fissò. Trattenne il
respiro. Sorseggiò il suo caffè ( uno stupido
intruglio alla menta piperita –
stupido periodo di festa ). Girò un paio di volte il
telefono sul tavolo. Dopo
disse, sussurrando, “John Watson, ascolta quel
messaggio” e prese il telefono,
chiamò la segreteria rilassandosi leggermente, prima che
potesse cambiare idea.
Aveva avuto
paura che il messaggio potesse farlo sentire in
colpa. John non era più tornato al 221B da quando si era
trasferito quattro
mesi prima, ed era Natale, e sicuramente la signora Hudson stava
rivivendo
intensamente il tutto, sotto Natale. Il Natale era il periodo
più solitario dell’anno.
E lo scorso Natale
era stato… Ma John non poteva sopportare il 221B nelle
migliori circostanze,
figuriamoci a Natale.
Il messaggio,
comunque, lo sorprese. C’era un minimo di Non
ti vedo da un po’ e Spero
che tu stia bene, ma il succo del
messaggio era: Ti è arrivata una
lettera.
Una busta piuttosto spessa.
John
analizzò la questione. Non aveva riceveva lettere al
221B ormai da un bel po’. E poi una ‘busta
piuttosto spessa’. Non una bolletta,
e apparentemente non volantini. Di cosa poteva trattarsi?
Curiosità
combinata al senso di colpa e si trovò in piedi
fuori dal 221 di Baker Street, combattendo un improvviso attacco di
panico.
Chiuse gli occhi, imponendosi di non pensare. Non
pensare a Sherlock in piedi, con te, davanti questa porta per la
prima volta. Non pensare ad uscirne insieme
a lui, esasperato, felice, eccitato,
ridente, furioso; non pensare a niente di quel periodo. Stava
andando molto
meglio, davvero. Si era sentito un po’ più come se
potesse vivere per il resto
della sua vita, come se la cosa non fosse insostenibile. E adesso era
tornato
al 221 di Baker Street ed era
insostenibile.
La signora
Hudson aprì la porta e disse, “John”,
con grande
gioia, e poi si avvicinò a lui per baciarlo sulla guancia, e
John allontanò
l’attacco di panico e disse “Come sta, signora
Hudson?”
La signora
Hudson gli stava dando quell’occhiata con cui
valutava il suo stato, che era stanco morto di vedere nel volto della
gente.
Sapeva che non lo facevano con cattive intenzioni, ma voleva soltanto
smetterla
di essere Il Povero John Watson, il prima possibile. “Ha
detto che è arrivata
una lettera indirizzata a me?” suggerì John,
saltando i convenevoli poiché non
ne aveva alcuna voglia. Francamente non sapeva se era più in
grado di farne.
“Oh.”
disse la signora Hudson, capendo l’antifona e
rientrando nel 221A per un breve momento prima di ritornare con la
busta, la
quale era larga e, come la signora Hudson aveva detto nel suo
messaggio,
parecchio spessa.
“Grazie.”
disse John, automaticamente, mentre la prendeva.
Cercò il mittente ma non lo trovò, non aiutandolo
a capire cosa la busta
contenesse. John stava per girarla quando si ritrovò ad
osservare il suo nome e
l’indirizzo sul davanti. Dottor
John H.
Watson, 221B Baker Street. Le mani di John si strinsero
involontariamente
sulla busta, accartocciandola leggermente.
Conosceva quella
scrittura.
La signora
Hudson gli stava parlando, ma John non stava
registrando nulla di quello che lei diceva, o il fatto che stesse
effettivamente parlando. Stava fissando quella che era senza dubbio la
scrittura di Sherlock sulla busta, quella strana scrittura illeggibile,
datata
eppure moderna, che apparteneva a Sherlock,
e si stava chiedendo se stava avendo le allucinazioni, se stava
diventando
matto, o se davvero teneva in mano una busta inviata da Sherlock
– Sherlock –
che era morto ormai da cinque
mesi e ventisette giorni. Tutto ciò che riusciva a
comprendere era che doveva
far ritorno al suo nuovo appartamento, doveva rimanere da
solo, perché se non fosse stata inviata da
Sherlock, la
delusione l’avrebbe distrutto, e se davvero era da parte di
Sherlock, non c’era
alcun modo che una lettera del genere dovesse essere letta in mezzo ad
occhi
indiscreti.
Quasi cadde dai
gradini dell’ingresso nella fretta di andar
via, e riuscì a sentire la signora Hudson dire, con
preoccupazione, “John? John!”
“Sto
bene.”, mormorò in risposta, distrattamente. E
dopo, più
forte, “Sto bene, sto bene, io…Taxi!”
gridò a quello che stava passando in quel
momento per Baker Street, il quale si fermò davvero con suo
grande stupore.
John diede
l’indirizzo del suo appartamento e sedette sul
sedile posteriore del taxi e fissò il suo nome sulla busta. Dottor John H. Watson. Era decisamente
la scrittura di Sherlock. Decisamente. John aveva visto Sherlock
firmare per
entrambi, con prepotenza, nei vari posti in cui erano stati, fin troppe
volte
per non riconoscere la curva nella J, il taglio di quella W. Sherlock
doveva
averla spedita prima della sua morte, e la consegna era in ritardo di
molti
mesi perché la Royal Mail era assolutamente, completamente
una compagnia
spazzatura. Sherlock gli aveva inviato un messaggio, e John ne era
rimasto
senza per mesi. Era così
arrabbiato
che stava tremando. E cosa significava, il fatto che Sherlock gli
avesse
inviato un pacco prima che si buttasse dal tetto? Significava che aveva
pianificato il suicidio per tutto il tempo? Perché?
John
barcollò nel suo nuovo appartamento e strappò la
busta
prima di riuscire a chiudere completamente la porta, avendo aspettato
fin
troppo a lungo. Conteneva un fascio di fogli, tenuti insieme da una
graffetta,
e il primo foglio iniziava con, John
– Ci
sono cose che devo dirti, ma tu non sei qui per sentirle, e non posso
mettermi
in contatto con te perché dovrei essere morto. John
lesse di nuovo. Dovrei essere morto, lesse
di nuovo, e
di nuovo, e di nuovo.
E dopo
scivolò sul pavimento, la schiena contro la porta, e
fissò le parole sul foglio mentre il tempo sembrava
rallentare fino a fermarsi
completamente. Dovrei essere morto.
Dovrei essere morto.
Non
c’era data sulla lettera. Perché era chiaramente
una
lettera. John guardò il --SH alla fine.
Scorse i fogli
successivi. Il suo nome, in cima a tutti i
fogli, e nessuna data in nessuno di essi.
Tornò
a guardare il primo foglio. Dovrei essere
morto, diceva, e cosa significava? Significava che
Sherlock non era morto? O che non era stato morto? L’aveva
scritto prima di
lanciarsi dal tetto? E il trucco era andato male ed era morto sul
serio? Ma se
era quello il caso, perché ce n’erano così
tante? Non era solo una lettera, un biglietto
d’addio, per quanto
attentamente o disordinatamente composta. John si forzò per
leggere il resto
del primo pezzo di carta, ed era una qualche assurdità su un
esperimento nel
frigorifero. Non era niente, nulla
che importasse davvero, era quel tipo di nota che lui avrebbe lasciato
per
Sherlock invece di un sms. “Uscito per comprare il latte.
Torno fra poco.” Se
Sherlock l’aveva scritto prima di morire – ciascuna
di esse – perché le avrebbe
inviate? E, se Sherlock le aveva scritte prima di essersi buttato dal
tetto,
qual era il significato di Dovrei essere
morto?
Perché
John poteva arrivare ad una sola conclusione. Nel
mondo in cui stava vivendo, Sherlock doveva
essere morto. E John stava tenendo per le mani un fascio di
fogli che
sembrava indicare che Sherlock non lo era.
John
realizzò che le sue mani stavano tremando, quindi
poggiò
i fogli di carta sul pavimento vicino a lui e poggiò la
fronte sulle ginocchia
e respirò, profondamente.
Dopo si
alzò e, lasciando i fogli sul pavimento, andò al
pub
e ordinò una birra senza berla. Sedette nel pub
finché non si svuotò attorno a
lui, guardando la televisione di fronte ma continuando a vedere un
fascio di
fogli. Lettere. Da Sherlock. Uno Sherlock possibilmente vivo. Che gli
aveva
spedito una qualche stupida lettera su un esperimento.
John
lasciò la birra senza averla toccata, tornò al
suo
appartamento e raccolse le lettere dal pavimento, permettendo a se
stesso di
leggere la successiva. La prima era stata scritta su un pezzo strappato
da un
foglio di quaderno, ma la seconda era su pesante carta da lettera color
crema,
su cui Sherlock si lamentava del fatto di dover parlare francese per
tutto il
tempo. Non aveva mai saputo che Sherlock fosse andato in Francia
durante la
loro convivenza. Sherlock
si era buttato
dal tetto davanti a lui, aveva lasciato che John credesse che il suo
migliore
amico si fosse suicidato, e dopo era andato in vacanza in Francia, apparentemente. Fermandosi
soltanto per preoccuparsi di
uno stupido fottuto esperimento che
si era lasciato dietro.
John
desiderò che il nuovo appartamento avesse un camino,
perché avrebbe drammaticamente bruciato ogni dannata lettera
che Sherlock gli
aveva scritto. Invece, le gettò nel secchio della spazzatura
e andò a letto.
****
John fissava il
soffitto, riflettendo. Sherlock possibilmente
era vivo. Sherlock poteva essere vivo.
E non molto tempo prima John aveva implorato ogni essere
dell’universo affinché
Sherlock lo fosse. E adesso aveva delle lettere da parte sua, e lui le aveva gettate nella spazzatura.
Alle quattro del
mattino, John Watson rotolò fuori dal letto
e recuperò le lettere dal secchio. Le porto con
sé in cucina, dove si fece con
attenzione una tazza di tè. Sherlock gli aveva inviato delle
lettere. Dopo mesi
di silenzio. John non poteva neanche iniziare a pensare al
perché l’avesse fatto,
ma non poteva non leggerle. Anche se Sherlock non era vivo, anche se
era solo
qualche stramba cosa che Sherlock aveva organizzato prima che si
buttasse, come
poteva John rifiutare quelli che potevano essere gli ultimi pensieri di
Sherlock che avrebbe mai avuto? E, se Sherlock era
vivo… non era possibile che lo fosse. John stava
avendo le
allucinazioni, un qualche tracollo mentale; non aveva delle lettere dal
suo
coinquilino morto sul tavolo della cucina. La sua terapista sarebbe
stata molto
delusa; aveva fatto così tanti
progressi.
John sedette al
tavolo della cucina con la sua tazza di tè e
iniziò a leggere.
Le lettere
furono sorprendentemente facili da leggere
all’inizio. Sherlock era chiaro e chiassoso nel loro
contenuto. John poteva
praticamente sentire la sua voce mentre leggeva. Era come se Sherlock
fosse
improvvisamente apparso e lo stesse intrattenendo con un monologo su
tutte le
cose che lo irritavano. Era così simile al Prima di tutto
che per un po’ John
dimenticò di essere depresso e si perse tra la nebbia dei
commenti e le
osservazioni di Sherlock.
E poi
arrivò ad Avrei
ascoltato qualsiasi cosa tu avessi avuto da dire. Tutto ciò
tu avessi avuto da
dire. Non posso credere tu non lo sapessi. Lo sapevi? E
il suo cuore esplose. E Sherlock era –S
adesso, l’unica S nella vita di John.
Arrivò
al suo nome, anagrammato, e
dopo scritto con mano fermamente disordinata, come se Sherlock ci si
fosse
aggrappato come un’àncora, la rappresentazione di
John nella sua pagina.
Arrivò
a vieni qui immediatamente, ho bisogno di te,
e fermò la lettura e
spinse via le lettere e si mise la testa tra le mani cercando di
respirare.
Guardò la sua tazza, ancora piena di tè ormai
freddo. Si alzò e la svuotò nel
lavandino e riempì il bollitore e si fece una nuova tazza, e
dopo si sedette
prendendo quell’ultima lettera, scritta su un pezzo di carta
che sembrava
essere stato staccato da un libro. La lesse di nuovo e la
poggiò via tremante,
e prese la successiva dopo un profondo respiro.
Non
è che vedrai mai queste lettere, in ogni caso, scriveva
Sherlock nella lettera successiva, ma non aveva alcun senso,
perché dopotutto
gliele aveva spedite e John era lì seduto a leggerle. Aveva
contato sul fatto
che John le avrebbe buttate via, arrabbiato, prima di leggerle? John
l’aveva
quasi fatto, quindi forse questa era una di quelle rare occasioni in
cui
Sherlock sbagliava le sue previsioni sul comportamento di John. Forse
Sherlock
era stato via troppo a lungo. Forse Sherlock aveva sottovalutato la
violenta
spinta di desiderio, ancora ferma nello stomaco di John a renderlo
nauseabondo.
John lesse di
Sherlock, che ammetteva di aver ripreso a
fumare; di Sherlock, che voleva disperatamente scusarsi verso un uomo
con un
maglione a strisce; Sherlock, che non riusciva a dormire; Sherlock, che
andava
a vedere il nuovo film di James Bond, dolorante e sofferente, e quello
eliminò
ogni dubbio che John avesse avuto su quando le lettere erano state
scritte,
perché sarebbe stato davvero molto crudele da parte di
Sherlock scrivere di
essere andato a vedere un film che non era ancora uscito solo per far
credere a
John che quel giorno non era davvero morto. L’unica
conclusione che John poteva
raggiungere era che, in qualche modo, Sherlock davvero
non era morto quel giorno. Era vissuto per andare avanti
con qualsiasi cosa stesse facendo in quel momento, per essere solo e
scrivere
su carta pensieri che John non si sarebbe mai aspettato, per soffrire
di
insonnia e lamentarsi della mancanza di tè, per andare a
vedere un film di
James Bond che John, a Londra, era stato incapace di obbligarsi a
vedere.
John
deglutì profondamente e spinse
via la sua tazza di tè, nuovamente freddo. Prese la lettera
successiva, che
iniziava con Caro John. Era la
prima
volta che Sherlock lo aveva chiamato con qualche vezzeggiativo, seppure
uno
formale come caro
all’inizio di una
lettera. John trattenne un respiro mentre leggeva, mentre leggeva
attraverso l’aggettivo
possessivo accostato al suo nome, mentre
leggeva di Sherlock circondato da proiettili e armi e sangue, Sherlock
solo e
fuori-posto che proiettava il tutto sul John che era stato
lì prima, e la
lettera finì senza firma, solo con Mi
chiedo
se pensi a me anche se solo per il tempo di un battito.
John
desiderò poter rispondere. Per la prima volta da quando
aveva iniziato a
leggere le lettere, avrebbe voluto rispondere. La lettera sarebbe stata
qualcosa come, Sherlock, idiota, penso a
te ogni singolo istante. Dove sei? Torna a casa. Come poteva
Sherlock non
saperlo? Come poteva Sherlock non aver mai pensato, mai,
che avrebbe lasciato John nella convinzione che fosse morto e
che John non avrebbe passato ogni singolo
istante sentendo la sua mancanza?
E nonostante
John avesse passato così tanto tempo perso nel contenuto
delle lettere che era
ormai mattina e doveva prepararsi per andare alla clinica, si
ritrovò incapace
di muoversi finché, finalmente, non poggiò la
testa sul tavolo, sopra le
braccia incrociate, e pianse per Sherlock Holmes come non aveva fatto
in cinque
mesi e ventotto giorni.
****
Quando
arrivò alla clinica, Sarah gli lanciò quel tipo
di occhiata attenta che non riceveva
da molto tempo. Quello sguardo da Non
sembri stare molto bene, meglio tenerti
d’occhio. John realizzò che era andato
avanti, aveva rimesso assieme i
pezzi della sua vita, e Sarah aveva iniziato a rilassarsi pensando che
stesse meglio, la
stessa cosa che aveva pensato lui.
Si sentì come un drogato che era andato
incontro ad una ricaduta. E quello gli fece pensare a Sherlock. E non
era
produttivo.
Ebbe una
seduta di terapia con Ella quella sera, e fu una tortura andare e star
seduto e
provare a fingere di stare tanto bene quanto la settimana prima. Ella,
ovviamente, lo notò immediatamente, e John non disse, Sherlock non è morto. Mi ha inviato
delle lettere. Ho passato l’intera
giornata a pensarci. Non ho idea di cosa farò adesso. Ella avrebbe cercato di
farlo ragionare.
Sherlock si era lanciato dal tetto di un edificio davanti ai suoi
occhi,
davanti ad altre persone. La sua morte era stata una notizia da prima
pagina.
Era folle pensare che Sherlock Holmes non fosse morto… a
meno che non avessi
conosciuto Sherlock Holmes. E John aveva pensato di conoscerlo meglio
di
chiunque altro, quindi come aveva potuto non
capirlo, com’era stato fregato così
totalmente? E perché? Perché,
tra tutte le persone, Sherlock aveva dovuto mentire
proprio a lui?
La mente
di John era in tumulto ma Ella non poté aiutarlo e gli diede
un’occhiata triste
quando lasciò il suo ufficio, come se l’avesse
delusa. Anche lui si sentiva
come se l’avesse delusa, ma non poteva farci nulla. Voleva
andare a casa, dove
le lettere di Sherlock lo stavano aspettando sul tavolo della cucina.
Voleva
disperatamente leggere quelle rimaste. Non era sicuro di come fosse
riuscito a
trattenersi abbastanza a lungo da riuscire ad andare a lavoro.
John non
si preoccupò neanche di prepararsi il tè. Si
sedette al tavolo della cucina e
si avvicinò impaziente le lettere. Non rilesse quella
proveniente
dall’Afghanistan. Non pensava di potere.
Quindi andò avanti.
Le tre
lettere successive erano scritte su pezzi di carta. Sherlock era
esausto;
Sherlock non riusciva a dormire; Sherlock, apparentemente, era stato in
America
per il Ringraziamento, che era stato soltanto poche settimane prima.
La lettera
dopo era scritta su un altro pezzo di carta, ma quest’ultimo
era più grande dei
precedenti e la lettera era più lunga e un completo
disastro: un flusso di
coscienza sconclusionato in cui Sherlock prometteva a John di comprare
il latte
ogni giorno. Era quasi senza senso, e John ne era quasi spaventato, e
ancor di
più lo fu quando lesse la lettera successiva, la quale era
una striscia di Mi manchi scritto
in continuazione, la
scrittura di Sherlock che si dissolveva in uno scarabocchio
disordinato. John
non riusciva a capire se l’Afghanistan era stato una sorta di
punto di svolta
fisico o semplicemente uno mentale ed emotivo, ma le lettere successive
a
quella dell’Afghanistan sembravano contenere un po’
più di disperazione.
Sherlock stava cadendo a pezzi, su carta, di fronte a lui e John non
era
assolutamente in grado di aiutarlo. John stava seduto nella sua
confortevole
cucina con, sul grembo, lettere provenienti dal suo coinquilino in
piena crisi
emotiva.
John avrebbe
dovuto essere furioso con Sherlock. Lo era stato, proprio il giorno
prima. Ma
sedeva con un pezzo di carta pieno di Mi
manchi, tutti rivolti a lui, e la rabbia era davvero
l’ultima emozione che
provava al momento.
La lettera
dopo era anche peggiore, una lista delle cose di cui Sherlock sentiva
la
mancanza: il colore degli occhi di John, il sorriso di John, la risata
di John,
il respiro di John. Dovette trattenersi dallo stringersela addosso,
perché lui
aveva già attraversato tutto questo prima, nel suo
lutto per
Sherlock. John aveva pensato alla sua parte di Mi
manchi con il freddo conforto del suo solo cuscino, gli
occhi
serrati, odiando Sherlock. John aveva mentalmente catalogato le cose di
Sherlock di cui sentiva la mancanza: quegli occhi indescrivibili, i
sorrisi
genuini che ogni tanto John riusciva a rubargli, il modo in cui John
riusciva a
farlo ridacchiare come nessun altro, il conforto dei suoi continui e
profondi
respiri, quando John non riusciva a sopportare il pensiero di essere solo. Sherlock era in lutto per John
allo stesso modo in cui John era stato in
lutto
per Sherlock, ed era tutto così inutile – nessuno
di loro era morto – e la
rabbia iniziò a crescere
nuovamente nelle sue viscere, seppure in gran parte diluita.
Sherlock
si riprese nella lettera successiva, una qualche assurdità
sui semi di mela, e
fu quasi confortante, nonostante fosse firmato come Sherlock,
una firma molto più personale di quelle che aveva
mai
usato con John. Le lettere seguenti erano una successione della
disperazione di
uno Sherlock molto stanco: riflessioni sulle manette, irritazione sul
blog che
John non aveva ancora aggiornato, lamentele sulla noia. John
desiderò aver
aggiornato il proprio blog; non aveva idea che Sherlock potesse essere
in giro
cercando di usarlo per rimanere in qualche modo connesso a lui.
La lettera
sulla cocaina fece fermare il cuore di John per qualche momento. Era
fiero che
Sherlock avesse evitato la tentazione e non gli importava neanche che
ci fosse
voluto un pacco di sigarette per far ciò, ma si chiedeva,
preoccupato, per
quanto tempo Sherlock sarebbe riuscito a tener duro. John non aveva mai
visto
Sherlock così distrutto come in quelle lettere, e lo
diventava sempre di più
man mano che andava avanti, e non ne erano rimaste molte altre, e John
era
terrorizzato da quello che potevano contenere.
La lettera
successiva parlava dello sparare alle persone, chiaramente, e John
ignorò il
complimento che Sherlock gli aveva fatto alla fine - è
possibile che tu sia più intelligente di me – e si concentrò
sul fatto che Sherlock stesse probabilmente
sparando a qualcuno. Sherlock gli era sempre sembrato un po’
troppo fragile per
poter uccidere delle persone, con tutto il suo essere drammatico. John
aveva
visto gli attimi di sconcerto sulla faccia di Sherlock ogni qual volta
qualcuno
veniva ucciso dinanzi a lui. Per quanto fingesse diversamente, per
quanto fosse
affascinato dalle cause della morte, il vero e proprio atto della morte
gli era
sgradevole. John non si era mai preoccupato dell’avvertimento
di Sally sul
fatto che Sherlock avrebbe potuto iniziare ad uccidere qualcuno,
perché John
aveva sempre pensato che Sherlock non ne sarebbe mai stato capace.
Apparentemente, Sherlock era andato avanti, anche se, sembrava, non
bene,
considerando lo stato in cui versava
nelle
lettere e considerando l’insonnia continua che Sherlock aveva
documentato ( e
apparentemente un’insonnia disturbata,
visto
che Sherlock non era mai sembrato stressato dalla mancanza di sonno
prima
d’allora ).
Perché? John non
riusciva a capire cosa
stava succedendo. Dov’era Sherlock? Che cosa stava facendo?
Perché aveva
drammaticamente finto la sua morte, distrutto John in piccoli pezzi,
per poi
scappare via in questo esilio auto-imposto, dove stava chiaramente
morendo poco
a poco, dove si stava aggrappando a sostanze chimiche per poter andare
avanti
giorno dopo giorno, dove stava uccidendo della gente e ferendosi?
Qual’era il motivo?
John
arrivò all’ultima lettera, e il suo nome non era
in cima, solo una veloce J. La
lettera era lunga – più lunga
della maggior parte – ma anche chiaramente rapida, la
scrittura faceva
confondere le parole insieme, ed era piena di pause e inizi, frasi che
Sherlock
non si era preoccupato di concludere.
John lesse
i primi tre paragrafi prima di pensare che non era pronto a leggerla,
non
l’ultima lettera: non era pronto alla fine di tutto
ciò. Posò la lettera sul
tavolo della cucina e si alzò e camminò
attraverso le stanze prima di ritornare
in cucina e riprendere la lettera. Non si sedette. Rimase in piedi, e
continuò
a leggere, arrivando al punto del Ti amo.
Scritto di nuovo, e di nuovo, e di nuovo. Ti
ho amato dal primo momento in cui ti ho visto. Ti ho amato e amato e
amato e
non te l’ho mai detto. Ti amo. TI AMO, diceva
l’ultima lettera di Sherlock,
firmata con un Tuo, Sherlock, e
John
lesse la lettera finché non sentì la campana
della chiesa in fondo alla strada
scoccare la mezzanotte. La lesse un’altra volta.
Dopodiché
la posò sul tavolo della cucina con mani tremanti e
andò nella sua stanza per
cambiarsi per andare a letto, per una dormita che sapeva non si sarebbe
fatto.
I suoi pensieri erano pieni delle lettere, di tutte quante, che
rotolavano
l’una contro l’altra nella sua testa, parole e
frasi e Ti amo. Perché
Sherlock le aveva inviate? Finalmente? Dopo tutto
quel tempo? Le stava chiaramente scrivendo da dopo la sua finta morte.
Quindi
perché inviarle adesso?
Specialmente
quand’era chiaro, dal contenuto delle lettere, che non aveva
mai voluto che
John le leggesse. Erano pieni di scorci della mente di Sherlock che
Sherlock
non avrebbe mai permesso in circostanze normali.
John,
mentre si lavava i denti in maniera assente, si guardò allo
specchio e vide i
suoi stessi occhi spalancati fissarlo. In
circostanze normali. John sputò il dentifricio,
corse frettolosamente verso
la cucina, e cercò l’ultima lettera,
focalizzandosi sulle parti a cui non aveva
fatto realmente caso prima, nel mezzo della rivelazione del Ti amo. Non ho
mai voluto esserlo per davvero, diceva la lettera. Solo un’ultima volta, diceva la
lettera.
L’ultima sigaretta, diceva
la
lettera.
“Cazzo.”
mormorò John, la testa che gli girava, perché
Sherlock non avrebbe mai inviato
quelle lettere in circostanze normali. Sherlock aveva inviato quelle
lettere
perché aveva pensato di star per morire sul serio.
****
John era
stato nell’ufficio di Mycroft soltanto una volta prima
d’allora, una vita fa,
quando era stato il coinquilino di Sherlock Holmes e amico e solo Dio
sapeva
cos’altro, davvero, perché leggere le lettere di
Sherlock avevano mandato il
mondo di John completamente sottosopra. Era come essere in una palla di
vetro
con la neve, inclinata e rovesciata e mossa da forze fuori dal suo
controllo.
Quando John era andato nell’ufficio di Mycroft quella prima
volta, c’era stato
un via vai di gente impegnata, anche se era un’ora tarda.
Adesso, nel bel mezzo
della notte, c’era comunque un gran via vai di gente
impegnata, e John ne era
sorpreso. Nessuna di quelle persone andava mai a casa?
Quando
disse di voler vedere Mycroft Holmes, causò una raffica di
occhiate vacue da
tre o quattro persone, chiaramente molto impegnate, riunite presso la
reception. E poi uno di loro gli chiese il nome e lui disse,
“John Watson” e quelli
quasi inciamparono sui loro stessi piedi per portarlo nello stesso
ufficio dove
era stato portato l'ultima
volta. John era
andato nell'ufficio di Mycroft quasi per capriccio, pensando che non
c’era alcuna
probabilità che Mycroft sarebbe stato davvero lì.
Era andato perché era troppo
inquieto per stare semplicemente seduto a casa con le lettere di
Sherlock, e
non fare nulla. Aveva pensato che sarebbe arrivato lì e
l’ufficio sarebbe stato
buio e vuoto e si sarebbe girato, e sarebbe tornato a casa a camminare
per
l'appartamento. Non si aspettava di essere accompagnato nell'ufficio di
Mycroft, come se Mycroft fosse davvero stato
lì.
L’ufficio
di Mycroft era vuoto. John si sedette sulla sedia in cui si era seduto
l’ultima
volta, con le mani strette attorno alle lettere che aveva portato con
sé, e
guardò la piccola stella di natale all’angolo
della scrivania di Mycroft, un
cenno al periodo festivo. John aveva, solo pochi giorni prima, pensato
di comprare
un albero di Natale. Aveva pensato di andare
avanti. Gesù Cristo, sembrava essere stata la vita
di qualcun altro. John
era un completo disastro emotivo, il suo mondo era sottosopra, non
sapeva
quello che stava facendo, ma quello che sapeva
era che si sentiva più se stesso in quel momento di come si
era sentito in quei
cinque mesi e ventinove giorni. Si sentiva John Watson. Non sapeva chi
era
stato due giorni prima, ma non era stato John Watson .
La porta
si aprì e si chiuse, e John si girò sulla sedia
per vedere Mycroft entrare.
“John.”
disse, con un sorriso tirato. “Questa è una
sorpresa.”
John
notò
la mancanza dell'aggettivo piacevole
in quella frase. E John decise anche che non aveva intenzione di
perdersi in
chiacchiere. Questo era qualcosa che il suo io di due giorni prima non
sarebbe
riuscito a sopportare, ed era forse l'unica cosa che John avrebbe
tenuto dal
suo io di due giorni prima. “Sherlock è
vivo.” disse John, seccamente.
Il volto
di Mycroft non reagì se non con un tremolio. Si
appoggiò contro la scrivania e
considerò John in maniera impassibile . “Ti ha
contattato?”
Così
non aveva
neanche intenzione di fingere di
non
sapere che Sherlock fosse vivo, che non l’avesse saputo per
tutto il tempo.
John voleva fare un milione di domande, ma decise che non era il
momento, le
avrebbe fatte a Sherlock una volta che l’avrebbe trovato.
John voleva anche
prendere a pugni Mycroft, ma decise che anche quella era qualcosa che
poteva
fare all’altro Holmes una volta trovatolo.
Quindi,
ciò che John fece fu mostrargli il fascio di lettere. John
aveva tolto quelle più
personali, quelle che mostravano Sherlock in quella che era sicuro
Sherlock
avrebbe considerato la peggiore visione di sé, anche se
aveva tenuto l'ultima
per necessità. John guardò Mycroft sfogliarle
come se non fossero i regali più
sorprendenti che gli fossero mai stati dati, guardando con un
po’ più di
attenzione l’ultima.
“Penso
che
sia nei guai.” disse John, una volta che il volto di Mycroft
continuò ad essere
privo di espressioni.
“Cosa
te
lo fa pensare?” chiese Mycroft, blandamente.
“Perché
Sherlock non mi avrebbe mai mandato quelle lettere a meno che non fosse
nei
guai.”
“Perché
no?” Mycroft fece cadere le lettere con noncuranza sulla
scrivania, incurante
del loro valore. “Sherlock ha sempre avuto un punto debole
quando tu eri
coinvolto. È stato stupido da parte mia pensare che avrebbe
potuto farti credere
di essere morto per un periodo di tempo troppo lungo.”
“Penso
che
ci sia riuscito per un periodo di tempo abbastanza lungo, grazie
molte.” sbottò
John, perdendo la calma. “Sapevi che aveva finto la sua
morte?”
“Certo
che
sì.”
“Allora
dov'è ora?”
Mycroft
esitò, per un momento, e quell’esitazione disse
tutto. John pensò a come stava
Mycroft l'ultima volta che lo aveva visto quando Sherlock era ancora
vivo, esitante,
incerto, in qualche modo più piccolo. In quel momento di
esitazione, Mycroft
era di nuovo in quel modo, e John sentì la stessa pressione
nel petto che aveva
sentito le prime settimane dopo la morte di Sherlock,
l’ossessiva voglia di
dire no, no, non può essere vero.
“Non
lo so.”,
disse Mycroft, finalmente.
“Cosa
vuoi
dire?”
“Doveva
rimanere in contatto. Non l’ha fatto. L'abbiamo
perso.”
“Quando?”
“Una
settimana fa.”
“Una settimana fa? Perché non me
l'hai detto?”
“John,
pensavi
fosse morto, una settimana fa. Cosa avrei dovuto dirti? Che credo che
questa
volta potrebbe essere morto per davvero?” la voce di Mycroft
era tagliente,
tradendo quanta emozione ci fosse in realtà dietro. Non era
una conversazione
facile per lui, John lo sapeva.
A John non
importava, comunque. “Dov'era quando è
scomparso?”
“Argentina.”
“Cosa
stava facendo?”
“Distruggere
la rete di Moriarty. Ecco perché tutto questo è
accaduto, John. Sbarazzarsi di
Moriarty, in modo da poter tornare da te.” La voce di Mycroft
era ironica e
triste allo stesso tempo.
“Così
l’hai
mandato lì come operativo?
Sherlock?”
Mycroft si
irrigidì. “Pensi che abbia avuto scelta? Non ti
ricordi quant’era testardo?”
“È.” corresse John,
con insistenza. “Quant’è
testardo. E non mi interessa.
Sherlock è molte cose, Sherlock è così
tante cose, ma non è un soldato.
Ecco
perché c’ero io.
E l’hai lasciato
andare là fuori, da solo.”
“A
Sherlock
piace lavorare da solo.”
“Sherlock
odia lavorare da solo. Come puoi non
saperlo? Come puoi vederlo così poco chiaramente? Sherlock
lo odia: ha bisogno
di persone intorno a lui, alleati, amici.”
“Lui
non
ha amici, John, a parte te.”
“Oh
mio
Dio, sei sempre stato così in
errore
al riguardo. Entrambi. Idioti.” John si alzò e
tirò via le lettere dalla
scrivania di Mycroft, rabbiosamente. “Buon Natale,
Mycroft.”
“John.”
Mycroft lo chiamò. “Mi dispiace. Ma... lui
è morto. Questa volta per davvero.”
John si
fermò con la mano sulla maniglia della porta di Mycroft e lo
guardò. “L’ho già
creduto una volta. Non ho intenzione di fare lo stesso errore due
volte. Ho
intenzione di trovarlo e di riportarlo a casa.” John si
assicurò di sbattere la
porta mentre usciva.
Note
della traduttrice:
Con solo un giorno di
ritardo rispetto alle mie previsioni, colpa del mio word che aveva
improvvisamente deciso di diventare alquanto capriccioso, riesco a
postare la
seconda parte di Letters, a mio parere la più bella ed
emotiva, ma io sono di
parte perché mi rivedo sempre così tanto in John,
e leggere del suo viaggio
emotivo attraverso le rivelazioni dei sentimenti di Sherlock
è sempre così…non
ci sono parole.
Questa parte è stata
molto
più complicata da tradurre, aggiungete un word che non salva
dei pezzi ma anzi
te li cancella, un word che cambia improvvisamente formati dando dei
problemi
di apertura non solo a me ma anche alla mia beta, aggiungete una vita
sociale
impellente..e insomma, cercate di capire il mix di situazioni che hanno
portato
questa povera traduttrice a delirare.
La terza parte della serie
dovrebbe arrivare entro una settimana, dieci giorni al massimo!
Grazie per le recensioni,
spero di leggerne ancora di più!
_opheliac