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Autore: xthanksidols    26/03/2014    15 recensioni
Per tutti i divergenti come me, che ancora devono riprendersi dalla fine di Allegiant.
Ho finito il libro in poco più di un giorno e me ne sono pentita. Il finale è stato devastante per me, penso che la vita faccia già abbastanza schifo di suo, almeno nei liri mi piacerebbe trovare un lieto fine.
Ho scritto questo finale alternativo di Allegiant, partendo dalle parole di Veronica Roth.
Spero sia di vostro gradimento, grazie se leggerete.
Ovviamente, SPOILER ALLEGIANT.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Four/Quattro (Tobias), Tris
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Dovrò aspettare il momento buono e agire molto in fretta.
«So che cosa hai fatto» prendo tempo. Comincio a indietreggiare, sperando che le mie accuse lo distraggano. «So che hai progettato il siero per la simulazione dell’attacco. So che sei responsabile della morte dei miei genitori, della morte di mia mamma. Lo so.»
«Non sono responsabile della sua morte!» esclama David d’impulso, a voce troppo alta e con uno slancio troppo improvviso. «Le avevo detto che cosa stava per succedere prima che cominciasse l’attacco, perché avesse tutto il tempo di portare al sicuro i suoi cari. Se fosse rimasta nascosta, ora sarebbe viva. Ma era una donna sciocca che non capiva la necessità di fare sacrifici per un bene più grande, ed è questo che l’ha uccisa!»
Lo guardo interdetta. C’è qualcosa nella sua reazione, nello sguardo vitreo dei suoi occhi, qualcosa che ha farfugliato dopo che Nita gli ha iniettato il siero della paura, qualcosa che riguarda lei.
«Tu l’amavi?» capisco. «Tutti quegli anni in cui lei ti ha mandato i suoi rapporti… il motivo per cui non volevi che rimanesse là… il motivo per cui le hai detto che non potevi più leggere le sue corrispondenze, dopo che aveva sposato mio padre…»
David è immobile come una statua, come un uomo di pietra. «Sì» ammette. «Ma è stato molto tempo fa.»

Dev’essere questo il motivo per cui mi ha
accolto nella sua cerchia di persone fidate, per cui mi ha concesso così tante opportunità. Perché io sono una parte di lei, perché ho i suoi capelli e perché parlo con la sua voce. Perché ha passato la vita a cercare di afferrarla senza ritrovarsi niente in mano.
Sento dei passi in corridoio. I soldati stanno arrivando. Ottimo. Ho bisogno di loro. Ho bisogno che entrino in contatto con il siero della memoria, che si propagherà nell’aria, e che lo trasportino nel resto della residenza. Spero solo che arrivino dopo che il siero della morte si sarà disperso del tutto.
«Mia madre non era sciocca» dico. «Aveva semplicemente capito una cosa che tu non riesci a comprendere. Che fare un sacrificio non vuol dire rinunciare alla vita di un’altra persona… quello è un puro atto di malvagità.»
Faccio un altro passo indietro e aggiungo: «Lei mi ha insegnato tutto sul vero sacrificio. Che dovrebbe essere fatto per amore, non per un ingiustificato disgusto nei confronti del patrimonio genetico di un’altra persona. Che dovrebbe essere fatto per necessità, non senza prima tentare tutte le altre possibili strade. Che dovrebbe essere fatto per le per- sone che hanno bisogno della tua forza per- ché loro non ne hanno abbastanza. Ecco per- ché è necessario che io ti impedisca di “sacrificare” tutta quella gente e i loro ricordi. Ecco perché ho bisogno di liberare il mondo dalla tua presenza, una volta per tutte». Scuoto la testa.
«Non sono venuta qui per rubare niente, David.»
Mi giro e mi lancio verso il dispositivo. Sento uno sparo e un dolore mi attraversa il corpo. Non so neanche dove mi abbia colpito il proiettile.
Nella testa riesco ancora a sentire Caleb che ripete a Matthew il codice. La mia manotrema mentre compongo il numero sulla tastiera.
Un altro sparo.
Altro dolore e buio ai bordi del mio campo visivo. Sento di nuovo la voce di Caleb. Il pulsante verde.
Il dolore è forte.
Ma come mai, se mi sento il corpo così intorpidito?

Comincio a cadere e, mentre scivolo giù, sbatto la mano sulla tastiera. Una luce si accende dietro il pulsante verde.
Sento un bip e il rumore di un meccanismo che si mette in funzione.
Sono a terra. Sento caldo sul collo e sotto la guancia. Rosso. Il sangue ha un colore strano. Scuro.
Con la coda dell’occhio vedo David accasciato sulla sua sedia.
E mia madre che compare dietro di lui. Indossa lo stesso vestito che aveva l’ultima volta che l’ho vista, l’abito grigio da Abnegante senza maniche da cui sbuca la punta del tatuaggio, macchiato del suo sangue. Nella sua camicia ci sono ancora i fori delle pallottole, che lasciano intravedere le ferite sulla pelle, rosse ma non più san- guinanti, come se per lei il tempo si fosse fer- mato. I suoi capelli biondo scuro sono legati sulla nuca, ma alcune ciocche libere diseg- nano una cornice dorata intorno al suo viso.
So che non può essere viva, ma non capisco se sto delirando perché ho perso troppo sangue, o se il siero della morte mi ha confuso i pensieri, o se lei è davvero qui in qualche strano modo.
Si inginocchia accanto a me e mi appoggia una mano fresca sulla guancia. «Ciao, Beatrice» mormora sorridendo.
«Ho finito ora?» le chiedo, ma non so se l’ho detto veramente o se l’ho solo pensato e lei mi ha sentito lo stesso.
«Sì» mi risponde, con le lacrime che le luccicano negli occhi. «La mia cara bambina, sei stata così brava.»
«E gli altri?» Mi sento soffocare da un singhiozzo mentre ripenso a Tobias, ai suoi occhi scuri e calmi, alla sua mano forte e calda quando per la prima volta ci siamo guardati in faccia. «Tobias, Caleb, i miei amici?»
«Si prenderanno cura gli uni degli altri. È questo che fa la gente.» Sorrido e chiudo gli occhi. Sento di nuovo un filo tirarmi, ma questa volta so che non è una forza sinistra che mi trascina verso la morte.
Questa volta so che è la mano di mia mamma, che mi tira a sé per avvolgermi tra le sue braccia.
E io le vado incontro felice.
Potrò essere perdonata per tutto quello che ho fatto per arrivare fin qui?
Voglio esserlo. Posso.
Ne sono convinta.



* * * * * *


Il viaggio di ritorno alla residenza è lento e cupo. Guardo la luna scomparire e riapparire da dietro le nuvole, mentre procediamo tra- ballando sul terreno irregolare. Quando rag- giungiamo il confine della d città, ricomincia a nevicare, con grossi fiocchi leggeri che danzano davanti ai fari. Mi domando se Tris stia guardando la neve sfiorare l’asfalto e raccogliersi in piccoli cumuli accanto agli aerei. Se stia vivendo in un mondo migliore di quello che ho lasciato, tra persone che non ricordano più che cosa significhi possedere geni puri.
Christina si sporge in avanti per sussur- rarmi nell’orecchio: «Quindi l’hai fatto? Ha funzionato?»
Annuisco. Nello specchietto retrovisore la vedo coprirsi la faccia con entrambe le mani e sorridere tra sé. So come si sente: salva. Siamo tutti salvi.
«Hai iniettato l’antidoto alla tua famiglia?» le domando.
«Sì. Erano con gli Alleanti, nell’Hancock. Ma l’ora del resettaggio è passata… a quanto pare, Tris e Caleb l’hanno fermato.»
Hana e Zeke mormorano tra loro lungo la strada, pieni di meraviglia verso lo strano mondo oscuro che stiamo attraversando. Amar offre qualche spiegazione dei dettagli principali e, mentre parla, si volta verso di loro, distogliendo lo sguardo dalla strada
troppo spesso per i miei gusti. Cerco di ignorare il panico che mi assale ogni volta che si ritrova a schivare all’ultimo secondo lampioni e guardrail, concentrandomi sulla neve.
Ho sempre odiato il senso di vuoto che l’inverno si porta dietro, i paesaggi bianchi e la netta differenza tra terra e cielo, il modo in cui gli alberi si tramutano in scheletri e la città si trasforma in una terra desolata. Forse quest’inverno potrei cambiare idea.
Oltrepassiamo le recinzioni e ci fermiamo davanti all’ingresso, che non è piantonato da nessuna guardia. Scendiamo, e Zeke prende la madre per mano per aiutarla a non scivolare mentre arranca nella neve. Ci avviciniamo alla residenza e ora so per certo che Caleb c’è riuscito, perché non si vede in giro nessuno. Questo può solo significare che sono stati tutti resettati, che i loro ricordi sono stati cancellati per sempre.
«Dove sono tutti quanti?» chiede Amar. 
Attraversiamo senza fermarci il check- point abbandonato. Dall’altra parte vedo Cara. Ha un brutto livido sulla faccia e una benda in testa, ma non è questo che mi allarma. A preoccuparmi, è la sua espressione angosciata.
«Che c’è?» le chiedo. Lei scuote la testa. «Dov’è Tris?» domando. «Mi dispiace, Tobias.» «Ti dispiace di cosa?» interviene Christina in modo brusco. «Dicci che cos’è successo!»
«Tris è andata nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb» spiega Cara. «È sopravvissuta al siero della morte e ha liberato il siero della memoria, ma le… le hanno sparato. E non ce l’ha fatta. Mi dispiace tantissimo.»
Sono quasi sempre capace di capire quando le persone mentono e questa deve essere una bugia, perché Tris è ancora viva. È nel cortile interno, con gli occhi luminosi, le guance arrossate e il suo corpo piccolo ma
pieno di forza e di energia, avvolta da un raggio di luce. Tris è ancora viva, Tris non mi lascerebbe da solo, non andrebbe nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb.
«No…» Christina scuote la testa. «Non è possibile. Ci dev’essere un errore.»
Gli occhi di Cara si riempiono di lacrime. È allora che me ne rendo conto. Ovvio che Tris andrebbe nel Laboratorio Armamenti al posto di Caleb.
Ovvio che lo farebbe.




Sono passati due mesi, eppure ancora si ripresenta.
La paura folle di perderla, di non averla più al mio fianco.
Ho sfiorato la sua morte per ben due volte, la prima è stata al centro degli Eruditi, la seconda quando ha voluto sacrificarsi al posto di suo fratello.
Da quel giorno ho ripercorso più volte il mio scenario della paura ed è cambiato rispetto a prima che tutto ciò accadesse.
Sento la porta della sala delle simulazioni aprirsi dietro di me, poi il rumore delle stampelle. E’ lei, ma non può vedermi in questo stato.
Sto tremando e ho il viso bagnato dalle lacrime. Mi ha rimproverato più volte di non pensarci, ma non posso farci nulla.
 «Ehi.. » dice avvicinandosi.
Mi volto e la vedo zompettare verso di me, ormai ha preso la mano a camminare con le stampelle, ma io ancora non sono abituato a vederla. Quando David le ha sparato l’ha presa di striscio sull’avambraccio e l’ha centrata in pieno nella coscia  destra. Ho sempre immaginato che lei fosse indistruttibile, anche dopo la ferita alla spalla è andata avanti, ma mi rendo conto che anche lei è vulnerabile.
«Ero venuta a cercarti in camera tua, quando non ti ho trovato ho immaginato fossi qui. Ti avevo detto di non venire più. » 
Lentamente si abbassa e si siede a terra di fronte a me, non mi ero accorto di stare in ginocchio fin quando non me la sono trovata di fronte.
«Scusami. Volevo vedere se qualcosa era cambiato. » 
Abbasso lo sguardo.
«Ehi, ascolta… forse non sconfiggerai mai la tua paura di perdermi, l’impotante è che io sono qui con te. Noi siamo insieme! »
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia.  
Da quando ho rischiato di perderla sento ancor più il bisogno di averla con me, di abbracciarla, di baciarla, di stringerla tra le mie braccia.
E quindi la stringo a me mentre continuiamo a baciarci.
Restiamo così per un po’, finche lei cerca di tirarsi su con scarsi tentativi e decido di prenderla in braccio.
«E’ ora di andare a letto. » mi dice sorridendo. E la conduco in braccio, verso la mia stanza.


Entro e richiudo la porta alle mie spalle.
Adagio Tris sul letto e mi tolgo la maglietta e i pantaloni, lei resta sul letto a guardarmi. 
«Mi aiuti, per favore?» chiede con una voce da bambina. La guardo e mi viene da sorridere.
Con la gamba in quelle condizioni è ancora impacciata nei movimenti, ma credo che ne approfitti di tanto in tanto per ricevere delle attenzioni in più da me. La cosa non mi dispiace, così la assecondo sempre.
La aiuto a sfilarsi i pantaloni, vedere la ferita mi fa ancora star male, ma sta guarendo.
Risalgo lentamente a sbottonale la camicia, mentre le bacio il collo. Le tolgo anche quella e passo le mani lungo i suoi fianchi. E’ così bella.
Riprendo a baciarla e la lascio sdraiare sotto di me. Le mie mano corrono ad accarezzarle tutto il corpo, mentre i nostri respiri si fanno irregolari.
«Ti amo.. » mi sussurra.

Quella notte decisi che, come lei aveva vinto la paura dell’intimità, io avrei vinto la paura di perderla.

La mattina dopo mi svegliai con lei al mio fianco. Era così bella.
Il viso rilassato e il respiro regolare mi regalarono una sensazione di tranquillità
di cui in quel periodo avevo tanto bisogno.


* * * * * * 
UN ANNO E MEZZO DOPO…


Io e Tris siamo sul treno, non che si possa dire un’uscita romantica, sono agitato per quello che sto per fare ma se sto con lei sto bene.
«Pronto? » mi chiede e io sono prontissimo.
Le prendo la mano e insieme saltiamo dal treno e prendiamo la strada che va alla zip-line.
Davanti a me vedo l’Hancock che si tende verso il cielo, la base più larga della cima, le travi nere che si rincorrono fino al tetto,incrociandosi, divaricandosi per poi incontrarsi di nuovo. È passato molto dall’ultima volta che mi sono avvicinato così tanto a questo edificio.
Entriamo nell’atrio dal pavimento lucido e scintillante, e dai muri ricoperti di graffiti colorati che i residenti hanno voluto conservare come reperti del loro passato. Questo è un posto da Intrepidi perché gli Intrepidi ci si sono affezionati: per la sua altezza ma anche, secondo me, perché è solitario. Agli Intrepidi piaceva riempire gli spazi vuoti con il loro baccano. È una cosa che ho sempre amato di loro.
Tris chiama l’ascensore, entriamo e preme il numero 99.
Chiudo gli occhi quando l’ascensore scatta verso l’alto. Riesco quasi a vedere il vuoto che si apre sotto i miei piedi, un pozzo di oscurità… c’è solo una piattaforma spessa pochi centimetri a impedirmi di sprofondare, cadere, precipitare. Tris lo percepisce, sa che ho paura, così fa scivolare le sue dita tra le mie e mi stringe la mano, per trasmettermi forza. 
L’ascensore si ferma con un sobbalzo e io mi appoggio alla parete per sorreggermi mentre le porte si aprono.
Mi trascino con gli altri verso la scala, troppo indolenzito dalla paura per poter muovere i piedi più velocemente di così.
Trovo la scala con le dita e mi concentro su un gradino alla volta. 
Una volta ho chiesto a Tori, mentre mi tatuava i simboli sulla schiena, se pensava che fossimo le ultime persone rimaste al mondo. Forse, mi aveva risposto senza aggiungere nient’altro. Credo non le piacesse rimuginarci su. Ma qui sopra, sul tetto, viene proprio da crederci di essere le ultime persone rimaste sul pianeta.
Guardo gli edifici lungo il contorno della palude e il petto mi si stringe fino allo spasimo, come se fosse sul punto di collassare su se stesso.
Tris attraversa il tetto di corsa verso la zip-line e aggancia una delle imbragature al cavo d’acciaio. Poi la blocca in modo che non scivoli giù e ci guarda, in attesa.
Non riesco a guardare.
Chiudo gli occhi e respiro profondamente.
«Pronto?» mi richiama. Scuoto la testa.
«Dai» esclama. «Ci sono io qui!»
«No. Vai tu, per favore.»
«Si, e come farò ad accertarmi che scenderai anche tu? Forza, io ti raggiungo appena arrivi!»
«Non credo di potercela fare.» Anche se la mia voce è ferma, il mio corpo sta tremando.
«Certo che puoi» mi incita. «Sei "Quattro", la leggenda degli Intrepidi! Puoi affrontare qualunque cosa.»
Con le braccia conserte, vado verso il ciglio del tetto. Non mi sono ancora neanche avvicinato e già sento il corpo precipitare nel vuoto. Scuoto la testa. No, no e ancora no.
«Ehi.» mi dice dolcemente. «Fallo per me!» mi sorride.
Lo faccio per lei, non posso tirarmi indietro. «Come mi devo mettere?» domando rassegnato. «Con la faccia avanti» sorride vittoriosa.
«D’accordo.» Mi arrampico nell’imbragatura, con le mani che tremano così tanto che quasi non riesco a stringerne i bordi. Tris mi sistema le cinghie sulla schiena e sulle gambe.
Guardo Lake Shore Drive sotto di me, inghiottendo saliva amara, e comincio a scivolare.
E d’improvviso vorrei rimangiarmi tutto. Ma è troppo tardi, ormai, sto già schizzando verso terra. Grido così forte che vorrei tapparmi le orecchie per non sentirmi. E il grido è una cosa viva dentro di me, che mi invade il petto, la gola, la testa.
Il vento brucia negli occhi ma mi costringo a tenerli aperti e, nonostante il cieco panico, capisco perché lei mi abbia consigliato questa posizione, con la faccia avanti: perché così sembra di volare, come un uccello.
Sento ancora il vuoto sotto di me ed è come un vuoto dentro, come una bocca che sta per inghiottirmi.
Mi rendo conto, allora, che sono fermo.
Il suolo è solo pochi metri sotto di me, abbastanza vicino da poter saltare giù. Premo la faccia contro l’imbragatura e scoppio a ridere; mi porto le braccia dietro la schiena per slacciare le cinghie. Con un salto atterro, barcollando un po', ma sto bene.
Si alza un silenzio impacciato mentre guardo l’Hancock pieno di meraviglia.
Poi la guardo, sta arrivando anche lei e la sento urlare di gioia.
Quando si fa vicina mi preparo e la afferro prima che sbatta a terra. Le slaccio le cinghie e insieme rotoliamo ridendo per terra.
Lei prende il mio viso tra le mani e mi bacia, poi ride, ride ancora.
«Com'è stato?  è in estasi! Forse anche più di me...
«E' stato incredibile! » Dico sorridendo anche io.
«Ce l'hai fatta! Hai superato la tua paura. »
Era vero. L'avevo superata!

Ed ora che lei era tra le mie braccia ne ero certo, io non avevo più paura.



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Spero vi sia piaciuto!  Così è come ho immaginato il finale di Allegiant, dopo aver letto della morte di Tris ho pensato che ci sarebbe stato un colpo di scena del genere, ma dato che la nostra Veronica ha voluto distruggerci tutti emotivamente, ho deciso di scriverlo io stessa!
Dedico questo finale ad Angelica, che ha sopportato i miei drammi da fangirl e mi ha aiutato nella stesura di questo finale. Ti voglio bene Ange! 
(Se recensite non mordo c: )
  
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