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Autore: loveisasecret    27/03/2014    2 recensioni
[Jongkey]
"Ogni cosa in Kibum pareva che stonasse con lo scenario antico e tradizionalista del luogo in cui era nato e cresciuto.
Lo stesso Kibum, era convinto che quel luogo non facesse assolutamente per lui. Non meritava la piattezza grigia di Dyeolmyeong.
Meritava Seoul. Meritava la metropoli di cui i coreani andavano così fieri. Meritava i neon, i locali alla moda, il Music Bank, i grattacieli e il Lotte World.
Era solo nel posto sbagliato."
La mia seconda fanfic (la prima l'ho ormai abbandonata a sè stessa haha)
Buona lettura!
Genere: Erotico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Jonghyun, Key, Quasi tutti
Note: Lemon, Lime, OOC | Avvertimenti: nessuno
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La strada vuota era illuminata dai lampioni che emettevano una tenue luce arancione, mentre la Peugeot sfrecciava sicura sull’asfalto pieno di buche della SS 12, alle otto e mezza di sera di una domenica con la luna piena. Le montagne, più nere del cielo scuro, si distinguevano benissimo grazie al chiarore lunare, che proiettava le ombre degli alberi vicino alla carreggiata.
Nell’abitacolo, la radio trasmetteva una canzone degli Oasis a basso volume. Jonghyun, appoggiato con la testa alla guarnizione del finestrino, aveva lo sguardo fisso sul paesaggio che gli correva veloce davanti agli occhi, senza vederlo davvero. Onew era alla guida, il braccio fuori dal finestrino abbassato, intento a masti­care una chewing-gum di cui non sentiva più alcun sapore. Sul sedile posteriore, Minho era avvolto da una nube del fumo che emanava la sua sigaretta. Tutti e tre in un silenzio quasi fastidioso, tutti e tre ad aspet­tare che qualcuno parlasse.
Ma non accadde. Rimasero avvolti in quel silenzio, in quel buio che circondava la macchina, in quel nulla in cui si trovavano. Jonghyun sentì la macchina rallentare piano, e Onew svoltò in un incrocio immerso nel niente.
Era così, l’entroterra coreana. Cosparsa di piccoli paesi dal sapore tradizionale, distanziati l’uno dall’altro da chilometri e chilometri di strada. Mentre al nord, sulla costa, la capitale brillava come faro nella classifica delle città più sviluppate al mondo accanto a metropoli come Londra o New York, lassù, tra le montagne, si respirava ancora l’aria del dopoguerra, o quasi.
In quei paesi, loro ci erano nati e cresciuti. La loro realtà era ben diversa. Non c’erano luci al neon e locali alla moda in cui andare, ma alcuni bar dalle insegne deboli e occasionali feste di paese.
Ed erano lì che si stavano recando.
 
Ottanta chilometri orari, senza rispettare i limiti di velocità. Onew ingranò la marcia, spingendo il pedale dell’acceleratore. Presto videro, ad una lontananza di sei o sette chilometri circa, un agglomerato di lam­pioni, una luce quasi accecante nel buio in cui gli occhi dei tre si erano abituati.
Dyeolmyeong si avvicinava, e insieme, anche una musica tipica coreana, una di quelle utilizzate durante le parate con i carri e nei mercatini del giovedì. Melodia di cui Jong non distingueva l’una dall’altra canzone, ma che gli ricordò all’improvviso  la sua infanzia.
Appena entrati nel paese, svoltarono verso quella che sembrava una stradina buia. Guidarono ancora per un po’, prima di arrivare ad un gruppo di case e magazzini dove pareva esserci il bar locale. Passarono da­vanti ai resti di un ristorante di spaghetti oramai chiuso da decenni, ma si accorsero molto presto che anche il bar non trapelava dall’interno nessun tipo di vita.
-Cazzo, è chiuso- Onew  ruppe il silenzio così. Parcheggiò davanti al locale, non convinto che lo fosse per davvero, e spense il motore.
Scesero dalla macchina. Videro un cartello scritto con l’uniposca  e appiccicato all’ingresso con lo scotch.
-“chiuso per vacanze estive”,  che roba è? Da quanto in qua i bar chiudono per le vacanze?- Minho staccò il foglio A4 dalla porta, accartocciandolo e gettandolo a terra in segno di protesta. Onew si accese veloce­mente una Chesterfield, poggiando il filtro alle labbra e aspirando a lungo.
-e ora che facciamo?- chiese ai suoi amici, sedendosi sul cofano della sua macchina.
Jonghyun prese la parola, per la prima volta. –che ne dite se andiamo a farci un giro in piazza? Solo due passi, e poi torneremo a casa.-
Onew lo guardò. – sei impazzito? io alle feste per vecchi non ci vado. Mi mettono tristezza.-
Jonghyun posò lo sguardo su Minho, speranzoso. Quest’ultimo lo notò, perché le sue parole risultarono un po’ imbarazzate. Odiava mettersi dalla parte di uno dei suoi amici, ma in una comunità come la loro era normale che qualcuno esprimesse una preferenza per uno piuttosto che per un altro.
-Per me va bene, insomma, in fondo mica ci stiamo tutta la sera, anche perché  l’alternativa è tornare a casa e a me non va proprio.-
Onew sbuffò sonoramente. –Umpf. Ok, due contro uno. Facciamo solo un giro però.  Preferisco piazzarmi sul divano a giocare tutta la notte a Call Of Duty invece di passarla a scansare passeggini alla fiera di Dyeol­myeong.-  e salì velocemente in macchina. Minho e Jonghyun, ancora sul marciapiede, si guardarono sorri­dendo prima di aprire le portiere ed entrare a loro volta nell’auto, che con un rombo secco sparì di nuovo nel buio.
 
Buio. Key non vedeva altro. Gli si insinuava nelle pupille, mentre si accingeva a calcare il palco malconcio allestito per la festa a Dyeolmyeong. A guidarlo, solo le luci flebili delle bancarelle in lontananza.
Un attimo dopo essersi messo al centro esatto del palco, proprio sopra una X fatta con l’adesivo nero, una luce lo investì. Uno dei riflettori, accendendosi, aveva rivelato un corpo magro, stretto in un paio di skinny neri, una canottiera dello stesso colore e, sopra, un cardigan rosa gomma da masticare. Ai piedi, i due pe­santi anfibi in pelle nera poggiavano sicuri sul palco traballante, e un cappello anch’esso rosa acceso era appena posato su una chioma bionda visibilmente tinta.
Eccentrico? Forse, per una semplice festa di paese. Eppure era quello a renderlo unico.
Già. Kibum, meglio conosciuto come Key, era assolutamente unico nel suo genere, almeno nella cittadina mentalmente insofferente al progresso come Dyeolmyeong, dove tutti e duemila abitanti avevano il suo nome sulle labbra ed era inevitabile che uomini, donne e bambini, si girassero a guardarlo. Anche se cam­minava per strada. Anche se era in fila dal salumiere.
Se lo guardavano non era solo per il suo outfit, che ogni mattina sceglieva con cura quasi maniacale, e neanche per l’eyeliner messo in modo da sottolineare lo sguardo felino.
Era il modo in cui si comportava, che faceva muovere le masse, le attirava come se fosse una enorme cala­mita. Kibum, così sicuro di sé, così padrone della situazione. Lo sguardo alto e fiero mentre passava tra la folla, il suo passo deciso, il sorriso impertinente e provocante. Mentre cantava sapeva essere un vero ani­male da palcoscenico, sembrava nato per fare questo, e guardando la feroce sicurezza nei suoi occhi scuri e felini tutti ne erano convinti.
Ogni cosa in Kibum pareva che stonasse con lo scenario antico e tradizionalista del luogo in cui era nato e cresciuto. Tutta questa “normalità” contrastante lo faceva sembrare un idol, uno di quei cantanti bellissimi per cui ogni domenica le ragazzine di Dyeolmyeong si incollavano davanti la loro tv, sognando storie d’amore irrealizzabili con dei ragazzi irragiungibili che bucavano lo schermo per le loro personalità sicure e talvolta presuntuose.
Lo stesso Kibum, era convinto che quel luogo non facesse assolutamente per lui. Non meritava la piattezza grigia di Dyeolmyeong.
Meritava Seoul. Meritava la metropoli di cui i coreani andavano così fieri. Meritava i neon, i locali alla moda, il Music Bank, i grattacieli e il Lotte World.
 
Era solo nel posto sbagliato.
 
Intonò una canzone dei Cranberries, mentre guardava diritto davanti a sé, brillando come solo una stella di Broadway sa fare.
Seppur erano solo le prove della sua esibizione, non sbagliava una sola nota. Non una sola insicurezza. Non un solo momento di indecisione. Le gambe non gli tremavano.
Kibum non si stupì. Perché avrebbero dovuto farlo? Quella notte era sua.
 
 
 
-Decisamente, questa non è la mia notte- pensò Onew, già stufo della festa, delle chiacchiere rumorose della gente che si elevavano fino al cielo, dell'odore di soffritto. Seguiva Minho e Jonghyun che spintonavano la folla, cercando però di non pestare nessun piede o di non far scoppiare nessun palloncino ai bambini. Si erano aperti un varco lungo quella che sembrava una stradina appena sotto la piazza, un corso pieno zeppo di gente che si accalcava alle bancarelle poste ai lati della strada, rendendo impossibile  il passaggio.
I "scusi" e i "permesso" servivano a poco, in quella situazione. La cosa più utile da fare, pensò Jong, era quella di passare dietro le bancarelle, così che avrebbero evitato tutta quella fila per raggiungere la piazza. E così fecero, ritrovandosi in quattro e quattr'otto in piazza, di fianco al palco, proprio sotto lo stand del cibo. Ecco da dove veniva la puzza di soffritto. Nello specifico, soffritto di scarafaggi e grilli allo spiedo.
Presero tutti e tre una birra, e  sorseggiandola piano, stavano in silenzio, ascoltando per  un po' il brusio della gente che si faceva sempre più forte e i canti tradizionali che si facevano sempre più squillanti. Jonghyun guardò distrattamente un cartellone appeso con mancata grazia su uno delle travi che reggevano il palco, che sembrava di stare per cadere in mille pezzi.
Su questo grande cartellone c'era scritto 'Esibizioni canore 2014' e sotto, in un carattere più piccolo 'vinci anche tu una prestigiosa borsa di studio per l'accademia delle Belle arti ad Asan!" a Jong scappò un ghigno. Ci doveva essere qualcosa sotto, altrimenti non  si spiegava come mai l'Accademia di Asan avesse sponsorizzato una cittadina come Dyeolmyeong, immersa nel nulla, tra pascoli e montagne e boschi quasi incontaminati.
-Buonasera a tutti.- d’un tratto una voce profonda fece tacere il fastidioso brusìo della folla, che si voltò subito verso il palco. –E benvenuti alla 14esima edizione del concorso canoro di Dyeolmyeong, in collaborazione con la fiera del Fritto e sponsorizzato dall’accademia delle arti di Asan!- quando gli applausi di una decina di persone scemarono, il presentatore (un uomo sulla cinquantina, basso e con un po’ di stomaco, vestito di tutto punto neanche dovesse partecipare ad un gala indetto dal presidente in persona) continuò raggiante presentando i vari sponsor e ringraziando il signor Sindaco per aver permesso lo svolgimento di questo “prestigioso” concorso.
Tutta l’attenzione del pubblico era oramai quasi completamente scemata mentre il presentatore chiamava sul palco la prima concorrente, una ragazzina di dodici anni un po’ sovrappeso. La sua cover di “invitation” di Ailee passò totalmente in sordina tra la folla, perché il brusìo regnava di nuovo sovrano.
-Grazie, Haneul! Accomodati mentre chiamo il prossimo concorrente…-
I tre ragazzi, nel frattempo, avevano finito la birra. Jonghyun Sentì Onew lamentarsi rumorosamente e pregare di andare a casa, e  stava quasi per voltarsi e dirgli che sì, avrebbero fatto meglio a passare la nottata in compagnia della xbox, quando si accorse che il vocìo della gente era inspiegabilmente cessato.
 Ora guardavano tutti verso il palco, in fremente attesa.
-Buonasera.- una voce soffiò delicata nel microfono. Lontana anni luce dal timbro del presentatore, pensò Jonghyun. E non era neanche quella di un ragazzino di tredici anni. Ma la cosa terrificante era che conosceva benissimo quella voce, perché un tempo aveva sentito il suo nome provenire da quelle labbra a cuore.
Jonghyun si voltò verso il palco, e il suo, di cuore, perse un colpo.
 
 
Il cuore di Kibum era quello di sempre, algido, glaciale. Il suo battito cardiaco non accelerava, con l’avanzare verso il palco. Sorrideva sornione mentre, per la seconda volta, si posizionava al centro.
Perché lui era così. Fiero e sicuro come una tigre.
Il silenzio della platea lo rendeva quasi insopportabile, più simile ad un’attrice altezzosa che si concede al suo pubblico urlante solo per tre miseri minuti, che ad un cantante in erba con troppi sogni di gloria nel cassetto.
Era quello a cui Kibum aspirava. La gloria nel vedere le persone in silenzio, gli sguardi di ammirazione che si posano sul tuo corpo quasi come a pretenderlo o ad invidiarlo. O semplicemente come a contemplarne (e allo stesso tempo criticarne) la bellezza dei particolari.
Da quel momento, Kibum era Key, il ragazzo dalla voce angelica che avrebbe vinto quella borsa di studio per l’accademia delle belle Arti di Asan.
Avrebbe brillato come una stella in quella notte buia che circondava Dyeolmyeong, e la sua stessa luce gli avrebbe indicato la strada per arrivare a Seoul, l’anima dell’Asia.
E quando Kibum voleva una cosa, Kibum la otteneva.
 
Partì l’attacco di Dreaming my Dreams,e Key si sentì invincibile, bellissimo e invincibile.
Proprio come una tigre.
 
Una tigre. Jonghyun non vedeva altro sul palco, mentre si estraniava dal mondo, percependo a malapena l’eco lontana di quello che succedeva intorno a lui. Aveva occhi solo per il profilo magro di Key, illuminato dai riflettori giallo acceso posti sopra il palcoscenico. Era lontano da esso, eppure riusciva a sentire il profumo della sua pelle, e anche se non lo stava guardando, ricordava il taglio dei suoi occhi felini, neri come la pece.
 
Dio, quanto gli era mancato.




Salve a tutti!
Prima di precipitarvi su google maps (so che non l'avreste mai fatto, lol) vorrei orecisare alcune cose:

  1. Dyeolmyeong è un nome di fantasia, così come i nomi delle strade. Partono tutti dalla mia (fervida) immaginazione, non sono realmente esistenti!
  2. Il paesaggio descritto non è quello coreano, sebbene la storia si ambientata in Corea! Perciò può darsi che non ci siano in realtà quelle colline e quei villaggi, ma ancora una volta sono derivati della mia fantasia.

Detto questo, sono curiosa di quello che avrete da dire, all'inizio non ero sicurissima di pubblicarla ma alla fine mi sono decisa:)
Spero vi abbia appassionato, avevo questa trama in testa già da un po'! Anche se i primi capitoli possono sembrare un po' noiosi sono fondamentali per lo svolgimento della storia!
Cercherò di non deludervi!
A presto^^

 

  
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