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Autore: FeelingRomanova    28/03/2014    2 recensioni
Da quando aveva incontrato Castle aveva imparato che non era sola. Aveva imparato di nuovo ad amare. Aveva capito che staccare la spina, allontanare il cuore dal resto del mondo non era la soluzione, solo un’altra punizione, l’ennesima, ma non poteva abbandonare il passato ed il suo cuore era nel passato. Finiva comunque per nascondersi, per rimanere sola. Ma da quando era arrivato Castle era cambiato tutto, non era più sola, per quanto fastidioso, infantile, inappropriato, perverso o improbabile potesse essere, le era sempre accanto, anche se a volte fingeva le desse fastidio non era così, perché le mancava avere qualcuno vicino, una spalla su cui piangere, degli occhi profondi in cui perdersi.
Genere: Fluff, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Johanna Beckett, Kate Beckett, Richard Castle | Coppie: Kate Beckett/Richard Castel
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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“Amore, ma sei bravissima!” esclamò Jhoanna, guardando la bambina che pedalava in fretta “Grazie mamma!” gridò una Kate di sei anni,  ridendo, finalmente aveva imparato. L’aria le scompigliava i boccoli castani, facendole il solletico e spingendola a ridere ancora più forte.
Ad un tratto la bimba cadde dalla bici, finendo dritta sull’asfalto. La madre si affrettò a raggiungerla e si chinò su di lei. La bambina piangeva, si era sbucciata il ginocchio. “Andiamo piccola, adesso curiamo il ginocchio, vieni” disse Jhoanna, prendendo in braccio la piccola e spingendo la bici in giardino con la mano libera.
Portò dentro la bambina che piangeva e la fece sedere sul divano e le disse di aspettare. Quando tornò aveva con sé delle salviettine e il disinfettante. Passò il liquido sul ginocchio della figlia e poi pulì con la salviettina.
“Va meglio?” chiese la madre, sorridendo. La bimba annuì, mentre le ultime lacrime scivolavano sulla sua guancia. La madre la abbracciò. Quando si lasciarono la bambina sorrise, guardò negli occhi la madre e sorrise. Quegli occhi brillavano, brillavano d’amore puro, brillavano di tenerezza, di dolcezza. Pensava che niente avrebbe potuto separarle, niente le avrebbe potuto togliere quel sorriso, quella risata, niente poteva togliere l’aria ad un essere vivente, giusto? Non sapeva di sbagliarsi.
Ignara di ciò che le avrebbe riservato la vita continuò a guardare il sorriso della madre, quel sorriso che era la sua medicina.
*
Si alzò dal divano e aprì di nuovo l’armadietto dei medicinali, prese una garza e tornò sul divano. Inaspettatamente bussarono alla sua porta. Si alzò, poggiò le bende sul tavolino del salotto ed andò ad aprire.
“Castle” disse sorpresa “Ciao. Ero venuto per sapere come stavi, sai, mentre inseguivi quell’uomo oggi sei caduta su quei vetri e…” spiegò l’uomo, gesticolando con le mani. Abbassò lo sguardo e notò il taglio sul braccio della donna. La guardò negli occhi, per farle capire che era preoccupato. Kate non indugiò, del resto non si poteva non cedere davanti a quegli occhi “Entra, vieni” disse, facendosi da parte e lasciando che l’uomo solcasse la soglia della casa.
Kate riprese le bende dal tavolino sul quale le aveva poggiate e si sedette per poi cominciare ad avvolgere con fatica.
“Aspetta, ti aiuto io” disse Castle, sedendosi affianco alla donna. Non appena Castle toccò la donna i loro sguardi si incontrarono. Entrambi erano terribilmente imbarazzati, ma sapevano di desiderarsi incredibilmente. Non potevano rinunciare l’uno all’altra eppure ogni volta che avevano un’occasione non la coglievano, come se fossero separati da un vetro, consapevoli della presenza, dei sentimenti, dell’altro, ma troppo insicuri dei propri per rompere il vetro, troppo attenti a non far del male alla persona dall’altra parte per ridurlo ad un insulso mucchio di frammenti.
Kate mise fine a quel momento, distolse lo sguardo e si alzò.
“Castle, io…” balbettò. L’uomo si alzò dal divano e raggiunse Kate. Le prese le mani e la guardò negli occhi.
Kate si perse nell’azzurro dei suoi occhi, così profondi, così puri, così dolci. Castle era venuto per lei, per sapere se stava bene. Non lo fai se non tieni ad una persona. Non lo fai. Eppure era lì. Non riuscendo a sostenere lo sguardo dell’uomo abbassò gli occhi, sulle loro mani unite,
Non poteva  non guardarlo negli occhi, le ricordava troppe cose. Le si comprimeva il petto, i polmoni le si congelavano, come se non potesse più respirare, il solo ricordo le faceva ricordare la gioia del vento tra i boccoli bruni e il pianto di una bambina per una piccola sbucciatura. Le sembrava di sentire il bruciore del disinfettante sulla pelle ed il calore della pelle della madre. Tutto le ricordava sua madre e non poteva in quel momento, piangere davanti a Castle era l’ultima cosa che voleva fare. Non poteva mostrarsi fragile, non poteva lasciare a vedere che in tutti quegli anni era stata malata e non aveva avuto la possibilità di prendere la sua medicina. Non aveva potuto  non avrebbe mai più potuto farlo. Sapeva che aveva bisogno di un medicinale generico piuttosto che quello di marca, ma sapeva che non avrebbe mai fatto lo stesso effetto.
Però la presenza di Castle la rassicurava un po’. Da quando aveva incontrato Castle aveva imparato che non era sola. Aveva imparato di nuovo ad amare. Aveva capito che staccare la spina, allontanare il cuore dal resto del mondo non era la soluzione, solo un’altra punizione, l’ennesima, ma non poteva abbandonare il passato ed il suo cuore era nel passato. Finiva comunque per nascondersi, per rimanere sola. Ma da quando era arrivato Castle era cambiato tutto, non era più sola, per quanto fastidioso, infantile, inappropriato, perverso o improbabile potesse essere, le era sempre accanto, anche se a volte fingeva le desse fastidio non era così, perché le mancava avere qualcuno vicino, una spalla su cui piangere, degli occhi profondi in cui perdersi.
Tutto quello che le era mancato lo aveva ritrovato in Castle.
“Kate” disse, quasi in un sussurro. Alzò finalmente lo sguardo, con gli occhi lucidi e le lacrime pronte a sgorgare “Si?” rispose, come una bambina spaesata “Kate…” lo scrittore non poté finire la frase. La donna si gettò tra le sue braccia, lui, in un primo momento, fu sorpreso dal gesto della detective, ma poi le cinse le spalle e affondò il volto nei capelli della donna, assaporandone il profumo e cercando di fissarlo nella mente, perché temeva che non avrebbe più potuto sentirlo.
“Castle, grazie” sussurrò con una vocetta resa acuta dall'imminente pianto Kate. Castle la strinse più forte.
Lui non era la sua medicina, non lo sarebbe mai stato veramente, ma era un buon medicinale generico.

 
Angolo autrice:
Ciao gente!
Si, sono sempre io, quell'idiota che si ostina a scrivere su Castle nonostante sia incapace.
Sono qui e vi propongo questa One-Shot, che spero vi sia piaciuta.
Non so che atro dire, un bacio a tutti!
Supernova
  
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