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Autore: Alley    30/03/2014    12 recensioni
"Ho vissuto molte vite che ho dimenticato."
Una menzogna fin troppo evidente per chi, come lui, combatte tutti i giorni contro un passato indelebile.
I ricordi sono macchie incancellabili; provare a rimuoverle le rende solo più vivide.
"Non si decide di dimenticare con uno schiocco di dita."
"Sì invece” ribatte, e Steve si domanda se voglia convincere lui o se stessa “O dimentichi o muori."

[pre "The winter soldier"]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff, Steve Rogers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il viaggio è la maschera dietro cui si cela la fuga.
 
Steve ha provato a negarlo, raccontandosi che, per un soldato, è lecito il desiderio di lasciarsi alle spalle il campo di battaglia.

Dopo New York, ha macinato chilometri e rimpianti in sella alla sua moto, in bilico tra un presente privo di obiettivi e un futuro senza volto: in mezzo, il simulacro di una vita perduta tra i ghiacci.
 
La chiamata di Fury è stata una liberazione, tornare l’unica scelta possibile.
 
Non serve andare lontano; certi fantasmi te li porti dietro.
 
*
 
Natasha è poco più di un’ombra: è discreta e silenziosa e, il più delle volte, pare non accorgersi della sua presenza – o forse, semplicemente, non le dà abbastanza peso da reagirvi.

Lei e Steve parlano soltanto quando lui le impartisce gli ordini, ricevendo in cambio monosillabi o brevi cenni del capo.
 
La loro prima trasferta insieme è a Zagabria. Non portano altri agenti con loro; a detta di Fury, Capitan America e Vedova Nera sono sufficienti ad archiviare la pratica.
 
Quando Natasha lo raggiunge sulla rampa di lancio, l’ora stabilita per la partenza è abbondantemente passata.
 
“Sei in ritardo” le dice e non è un rimprovero, ma un tentativo di infrangere la barriera che li separa.
 
“Sono una donna, Capitano.”
 
“Ai miei tempi le donne non viaggiavano senza almeno tre valigie.”
 
Natasha scrolla appena le spalle e sale sul jet, sfuggente come un alito di vento. “Sono una donna anomala.”
 
È lo scambio più lungo che abbiano avuto fino a quel momento.
 
*
 
Durante il volo, Steve non resiste alla tentazione di rompere il silenzio. “Com’era la Russia?”
 
Natasha alza la testa e pianta gli occhi nei suoi, senza parlare; a Steve pare quasi di poter toccare i ricordi di cui è intessuto quello sguardo.
 
“Fredda” dice, il tono secco e disilluso di chi è stato tradito troppe volte “E spietata.”
 
La Russia, pensa Steve, è un’ottima maestra.
 
*
 
Fury ha un concetto di “missione semplice” piuttosto singolare – senza dubbio distorto.
 
La cellula terroristica che hanno il compito di smantellare sembra essere un fantasma; tiene sotto scacco mezza città, eppure, rintracciarne i membri si rivela un’impresa.
 
È il quarto giorno che Steve perlustra il quartiere alla ricerca di indizi e informazioni e, ancora una volta, si ritrova con un pugno di mosche.
 
Questa volta, però, quando fa ritorno all'appartamento, nell’aria non ristagna il consueto odore di muffa, ma un olezzo ben più pungente che gli pizzica le narici ancor prima che apra la porta. Quando la spalanca, lo accolgono una nube grigiastra e un’imprecazione in russo.
 
“Natasha?”
 
Avanza tossendo, la puzza di bruciato diventa sempre più asfissiante.
 
“Natasha?” la chiama ancora, ma non riceve risposta. Trovarla in piedi davanti ai fornelli, visti gli scenari che si era figurato, è straordinariamente rassicurante.
 
“Niente riscaldamento e una cucina inservibile. È proprio vero che le casse dello S.H.I.E.L.D. languono” commenta lei, gettando nel lavandino una pentola ancora fumante “O forse la Hill ha ragione quando dice che Nick è diventato avaro, con la vecchiaia.”
 
“Io ho cucinato senza problemi nei giorni scorsi.”
 
Natasha apre il rubinetto e si volta, la fronte corrugata e un sopracciglio leggermente inarcato – tutto ciò che le occorre per risultare terrificante. “Stai insinuando che è colpa mia?”
 
Steve la fissa di rimando, l’ombra di un sorriso gli arriccia le labbra. “Non sarei mai così sconsiderato.” 
 
*
 
Il giorno dopo, Natasha si presenta in cucina con una sacca. Una volta apertala, ne rovescia il contenuto; decine di documenti si ammucchiano sul tavolo.

Steve ne afferra una manciata. “Aalina Petrov, Pavlina Bogdanov, Dana Popov" legge a voce alta "Quante donne sei stata?”
 
“Questa è solo una piccola parte” risponde Natasha, lasciando cadere la borsa sul pavimento "Ho vissuto molte vite che ho dimenticato."

Una menzogna fin troppo evidente per chi, come lui, combatte tutti i giorni contro un passato indelebile.

I ricordi sono macchie incancellabili; provare a rimuoverle le rende solo più vivide.
 
"Non si decide di dimenticare con uno schiocco di dita."
 
"Sì invece” ribatte, e Steve si domanda se voglia convincere lui o se stessa “O dimentichi o muori."
 
*
 
Alla fine, Steve ottiene le notizie che cercava. Individuare il nemico è stata la parte più dura; sbaragliarlo non ha richiesto molto tempo né particolari energie. Niente è andato storto, eppure, al rientro, li divide il silenzio teso e inquieto che segue i fallimenti.
 
“Non ce n’era bisogno” dice e non specifica di cosa – sa che non occorre.
 
Natasha richiude la porta alle sue spalle e lo supera senza guardarlo. “Era un ostacolo” replica, nella voce una noncuranza fredda, asettica – la stessa con cui ha spezzato il collo a quella sentinella. Lo scricchiolio dell’osso ha crepitato per un istante lunghissimo prima di spegnersi.
 
“Era un uomo.
 
“Poteva essere d’intralcio.”
 
“Sparargli a una gamba sarebbe stato sufficiente.”
 
“Se stai pensando alle autorità locali, puoi stare tranquillo; non faranno storie. Da queste parti la polizia preferisce raccogliere cadaveri che affollare le celle.”
 
“Non si tratta di questo.”
 
Natasha lo fissa, lo sguardo impenetrabile e pieno di obiezioni mute. “La pietà è una debolezza, Capitano.”
 
*
 
“Credevo che non saresti tornato.”
 
È la prima volta che è lei a rivolgergli la parola. Lo fa dopo due giorni di silenzi ostici e densi, seguiti a quel diverbio a cui Steve non riesce a smettere di pensare.
 
“Lo credevo anch’io.”
 
“Perché l’hai fatto?” gli chiede Natasha, negli occhi un interesse che cozza con la piattezza del tono impiegato - la sua voce è un blocco di marmo privo di scanalature, indecifrabile come le maschere dietro cui si nasconde. 
 
“Tu perché lo fai?” 
 
“Io e te siamo diversi.”
 
“Non è quello che ti ho chiesto.”
 
Distoglie lo sguardo, Natasha, un gesto a metà strada tra una fuga e un’ammissione di colpa. Certe domande bruciano come ferite aperte e le risposte, se possibile, fanno ancora più male.
 
“Per sopravvivere” dice, ed è schietta e onesta come non è mai stata - non con lui, non in questa vita.
 
“Allora siamo più simili di quanto credi.”
 
*
 
Il soggiorno a Zagabria si prolunga più del previsto. Quando Steve contatta la base Fury gli comunica che il jet arriverà al più presto ma, dopo due giorni, non ve n’è ancora traccia.
 
Natasha è uscita senza rivelare la sua destinazione, lui s’è messo ai fornelli per ingannare un tempo che sembra essersi cristallizzato.
 
Gli ingredienti a disposizione non sono molti, ma abbastanza da tirarvi fuori un pasto più decente di quello rifilatogli dal take away.
 
Se la cava bene ai fornelli. Cucinare è una delle tante cose che il fronte gli ha insegnato.
 
Sei una perfetta donna di casa. Sai anche cucire? 
Piantala, Bucky, o tornerai a mangiare fango.
Fai sempre così o è l'aria di guerra a renderti permaloso?

 
I ricordi sono macchie incancellabili; provare a rimuoverle le rende solo più vivide.
 
*
 
Quando la porta cigolante annuncia il rientro di Natasha, Steve è ancora al lavoro. Si volta per accoglierla, il mestolo in una mano e l’olio nell’altra. Passa qualche istante e lei compare assieme a due grosse buste bianche. Si blocca sulla soglia, come se avesse davanti un ostacolo invisibile, e sgrana gli occhi in un moto di sorpresa così genuina che Steve quasi fatica a riconoscerla.
 
La vede serrare le labbra, nel tentativo di ingoiare la risata che le vibra in gola – tentativo che fallisce un attimo dopo. Ride forte, col cuore e con gli occhi, e il suono è limpido e pulito come il gorgoglio di un ruscello.
 
“Come ti sei conciato?”
 
“Come si concia chiunque voglia cucinare. Continui a dimostrare di non avere dimestichezza con l’argomento.”
 
“Scusa, non volevo offenderti, ma Capitan America vestito da colf fa un certo effetto.”
 
Natasha poggia le buste sul pavimento e la risata sfuma in un sorriso morbido, una gemma di sangue che si schiude sulla pelle candida.
 
“È la prima volta.”
 
“Che indossi un grembiule di pizzo?”
 
“Che ti vedo ridere.”
 
Un’ombra guizza sul volto di lei e cala un silenzio tagliente, stranamente pesante.
 
“Cos’hai comprato?” domanda Steve, felice d’aver trovato un pretesto con cui spezzarlo. Natasha, dal canto suo, pare altrettanto sollevata.
 
“Scarpe.” 
 
“Allora non sei una donna così anomala.”
 
*
 
Steve guarda le nubi che scorrono fuori dal finestrino e gli sprazzi d’azzurro che di tanto in tanto lasciano intravedere. Natasha è seduta al suo fianco e, questa volta, è lei a rompere il silenzio.
 
“Sono contenta d’essermi sbagliata.”
 
“Su cosa?”
 
“Sul fatto che non saresti tornato.”
 
Il viaggio è la maschera dietro cui si cela la fuga, ma a volte, con le persone giuste, può diventare il motivo per interromperla.
















Note
Se non l'avete ancora fatto correte a vedere "The winter soldier", perchè è la cosa più bella e spettacolare dell'universo - cinematografico e non. Dopo averlo visto scriveteci fan fiction, che ne ho un bisogno fisico. 
Grazie a Tonia per il fangirling sfrenato di questi giorni e per gli spunti *spupazza* 

Una breve annotazione burocratica:
"Ho vissuto molte vite che ho dimenticato."
"Non si decide di dimenticare con uno schiocco di dita."
"Sì invece. O dimentichi o muori."

Lo scambio è una citazione del libro "Il club degli incorreggibili ottimisti" di Jean-Michel Guenassia.
 
  
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