Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: pocketsizedtitan    02/04/2014    11 recensioni
Levi/Eren | Coffee Shop AU
Eren Jaeger lavora come barista nel caffé di sua madre, ed è uno specialista di Latte Art. E poi c'è Levi, che non è esattamente il cliente tipico perchè è brusco e rozzo (il che in realtà, secondo Eren, non è poi così diverso dal cliente tipico), ma che soprattutto non fa altro che confondere il tenero cuoricino di Eren.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Rivaille, Un po' tutti
Note: AU, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti! Qui la traduttrice! Mi dispiace tantissimo di essere così tanto in ritardo ma il mio esame è stato posticipato di un giorno e mezzo e poi volevo aggiornare ieri ma il mio relatore ha chiamato i suoi tesisti in studio oggi e ho dovuto preparare del materiale per lui e non c'è stato tempo ;___;. Grazie mille a tutti per stare seguendo questa storia, grazie mille a chi l'ha messa nei preferiti/da ricordare/seguiti e soprattutto a chi ha lasciato un commento! Purtroppo ancora non ho tradotto i commenti all'autrice quindi non posso ancora rispondere ;____; lo farò domani pomeriggio e cercherò di rispondervi il prima possibile (oltretutto in queste due settimane di assenza ho avuto 12 commenti O___O sappiate che vi amo tutti incodizionatamente e che non potrei essere più felice anche se tradurre tutta 'sta roba in inglese a volte è dura xD). La smetto di rubarvi tempo e vi lascio al capitolo che è meglio. Buona lettura!
SULLA TRADUZIONE: bla bla bla errori di distrazione bla bla bevande inesistenti in italia, già sapete. Nella fic stiamo sotto Natale. Stavo ascoltando i Daft Punk mentre traducevo sdgfdsg non c'entra nulla ma ve lo volevo dire xD. L'assedio di Orgrimmar è riferito a World of Warcraft, un gioco per il pc (credo... è per il pc no?). Un 'F' è una bocciatura e una 'D' è un voto mediocre.


The Little Titan Café
CAPITOLO 11: Un triste, strano ometto

Benvenuti al Little Titan Café
Speciale di oggi: pumpkin latte speziato

C’erano delle caricature dei ‘giganti’ di Carla Jaeger, in versione definitivamente rimpicciolita – alcuni con un cappello da Babbo Natale, uno con un sacco pieno di regali, un altro a guidare una slitta – che Eren aveva disegnato sulla lavagnetta del negozio. Lo speciale era stato scritto con dei gessetti rossi e verdi, insieme ad un ‘Buone vacanze!’. Questo poteva significare solo due cose: o, uno, Carla Jaeger era tornata dalle sue vacanze e aveva costretto Eren a cercare di essere un po’ più festivo, o, due, Eren l’aveva fatto per scacciare la noia. Il che voleva dire che era molto, ma molto annoiato.

Quando lo sguardo di Jean si spostò dalla lavagna, vide Eren che usciva dal retro indossando un cappello da Babbo Natale con un cipiglio petulante dipinto in volto, e poté dedurre con facilità che la proprietaria del Little Titan Café era tornata a casa.

“Quando sei arrivato?” Chiese Eren, mentre la sua espressione si scuriva ulteriormente.

“Solo un minuto fa,” Jean fece un sorrisetto. “Carino il cappello.”

“Taci. Cosa vuoi?”

“Un mocha bianco, danzante.”

“Va bene.”

Jean quasi si mise a ridere quando Eren posò la tazza di fronte a lui pochi minuti dopo. Una faccia arrabbiata lo scrutava, disegnata sulla schiuma. “Brutta giornata?”

“Più o meno.” Eren sospirò, poggiandosi al bancone con un gomito. “Da quando mia mamma è tornata non fa altro che ripetermi che non ho proprio fatto un buon lavoro a controllare il negozio. Quindi lei-”

“Eren Jaeger!”

Il suddetto barista sussultò all’evidente ferocia nella voce femminile. Carla Jaeger uscì dal retro, mani sui fianchi, e con un’espressione accigliata molto familiare. Jean era sempre stato sconcertato da quanto Eren somigliasse a sua madre.

“Che c’è ora?” Chiese Eren, senza fare molto per mascherare la sua esasperazione.

“Non mi mancare di rispetto, signorino,” Disse lei sventolando un foglio in faccia al figlio, “Ti andrebbe di spiegarmi questo?”

Il ragazzo strabuzzò gli occhi, riuscendo a stento a vedere quella che sembrava una ‘F’ scritta in rosso. “Ti sei messa a rovistare tra le mie cose?”

“No. La tua borsa è caduta e si è rovesciato tutto a terra, quindi ho iniziato a mettere a posto e ho trovato questo. Spero caldamente che tu non abbia intenzione di essere bocciato in matematica.”

“E’ solo una F. Lo supererò.” Disse Eren senza preoccupazione, evitando di dire che aveva preso anche una ‘D’. “E poi dovremmo davvero discutere queste cose qui?”

“Ah.” Carla arrossì in imbarazzo. Poi fece un sorriso di scuse a Jean. “Ciao, Jean caro.”

“Salve, signora Jaeger,” La salutò Jean con un sorriso educato, “Come è stata la sua vacanza?”

“Oh. Fantastica,” Rispose lei con entusiasmo. “Ho delle foto sei vuoi- ”

Proprio mentre iniziava a trafficare con il marsupio attaccato al suo grembiule per prendere tali fotografie, Eren la interruppe: “Mamma. Vai a casa.”

“Ma- ”

Eren iniziò a spingerla verso il retro, “Hai già mostrato quelle foto ad ogni singolo cliente che hai servito.”

“Avevo intenzione di rimanere e aiutarti a chiudere il negozio.”

“Non ce n’è bisogno.”

“M- ”

“Vai.”

“-a.”

“Vai a casa.”

Entrambi tornarono dal retro del negozio un paio di minuti dopo, Carla con indosso la sua giacca e con la borsa appoggiata poco cerimoniosamente al braccio mentre Eren continuava a sollecitarla a lasciare il negozio. Le aprì la porta e le diede un bacio sulla guancia. “Ci vediamo dopo.”

Carla sospirò. “Ti lascio la cena nel frigo. Stai attento quando chiudi.”

“Lo sarò.” Eren non poté trattenersi dal sorridere perché chiudere il negozio voleva dire farsi scortare alla macchina da Levi. Carla strinse gli occhi sospettosamente, e mentre si girava si scontrò casualmente con qualcuno.

“Mi scusi tanto.” Disse lei ad un uomo basso, che si era prontamente spostato per farla passare.

“Le scuse sono mie, signora.”

“Chiamami sei hai qualche problema, Eren.” Disse Carla prima di incamminarsi verso la sua auto. Levi la fissò con quella che, secondo Eren, poteva essere chiamata solo in un modo: curiosità. Era sempre difficile decifrare i pensieri dell’uomo.

“Tua…?”

“Madre.”

“Ah.” Levi entrò nel caffè, togliendosi i guanti di pelle. “Le somigli un sacco.”

Eren fece un gemito. “Per favore non dirmi che stavi facendo un pensiero su mia madre.”

“Cosa te lo farebbe pensare?”

“Non so, l’hai guardata in un modo strano.”

“Posso assicurarti che non ci sto facendo nessun pensiero.”

Eren si accigliò. “Vuoi dire che mia madre non è abbastanza bella per te, o cosa?”

Levi lo schernì, mormorando: “Non è tua madre che mi interessa.”

“Che hai detto?”

“Niente.”






Eren si sentiva un po’… a disagio. Questo perché Jean e Levi sedevano l’uno vicino all’altro – Levi al suo solito posto vicino la cassa, e Jean un paio di sgabelli più in fondo. Era strano perché uno dei due era il suo ex ragazzo, mentre l’altro era l’oggetto della sua corrente infatuazione. Lui era più che sicuro che non c’era niente da preoccuparsi dal momento che tra lui e Jean era finita una volta e per tutte, ma sembrava che Levi non la pensasse allo stesso modo. O perlomeno, questa era la sua impressione. Era difficile dirlo con certezza quando l’uomo cambiava modo di fare da un momento all’altro: un attimo faceva il freddo, mentre quello dopo diceva ad Eren che nessuno a parte lui poteva toccarlo.

Eren si fermò a metà ragionamento.

Perché era quello che Levi intendeva no? Quando aveva detto, Eren citò nella sua testa, ‘Io sono un’eccezione, moccioso'.

Il solo pensarci – insieme al modo in cui Levi lo aveva toccato, gli aveva carezzato i capelli: gentilmente a dispetto dei suoi modi – gli fece infiammare il viso. Era davvero sorprendente come si ricordasse ogni singola volta che si erano toccati. E nemmeno una sola Levi era stato brusco. C’era una chiara risolutezza, un’ombra di spietatezza che si celava dietro, ma che non faceva altro che far battere il suo cuore più velocemente, lasciandogli un calore che non riusciva a scrollarsi di dosso. Lo ossessionava nei suoi sogni. Lo ossessionava durante il giorno quando sognava ad occhi aperti. Lo stava ossessionando in quello stesso momento, facendogli tremare le ginocchia.

E proprio una delle sue ginocchia traballanti che batteva contro uno degli armadietti del bancone lo risvegliò dal suo stato di stordimento. Eren finì di versare il latte in una tazza, terminando con una spruzzatina di cannella e si girò, posando il pumpkin latte speziato di fronte a Levi.

“…”

“Perché quella faccia?”

Levi lanciò uno sguardo alla sua bevanda, solo per rivolgerlo di nuovo ad Eren e alzare un sopracciglio, incredulo. “un …cuore?”

Bello e chiaro, disegnato sulla schiuma del suo latte, c’era un cuore. Uno stupido cuore. Eren resistette all’urgenza di schiaffeggiarsi la fronte da solo. Come diavolo era successo? “E’… è che è tutta la sera che faccio cuori per tutti i clienti, okay? E’ un disegno molto comune dopo la rosetta.”

“Pensavo che odiassi fare i cuori.” Jean si intromise. Lo stupido, deficiente Jean che doveva per forza mettersi in mezzo quando avrebbe potuto semplicemente infilarsi una scarpa in bocca, o da qualche altra parte. O preferibilmente in entrambi i posti.

“Fatti gli affari tuoi.” Lo zittì Eren, alzando le spalle in tono difensivo. Poi corse verso Jean, determinato a non guardare Levi in faccia. “Non dovresti tornare a casa dalla tua vecchia? Inizierà a preoccuparsi se non ti vede tornare per il coprifuoco.”

“Per favore. Anche tu vivi con tua madre.”

“…”

Eren stava per schiaffare un mano sulla bocca di Jean – o per infilargli un pugno in gola, uno dei due – ma le parole ‘tocchi sempre le persone così liberamente?’ risuonarono nella sua testa. Le mani gli si chiusero a pugno sui fianchi, mentre la rabbia e l’imbarazzo gli riscaldavano il corpo. Alla fine, optò per zittire Jean mettendosi un dito davanti alla bocca. “Shh.”

Non capiva che Levi era lì e che poteva sentirlo!? Ugh. Se solo il pavimento avesse potuto inghiottirlo in quel momento, per favore e grazie.

“Comunque,” Jean riprese, facendo una faccia strana ad Eren, “Volevo sapere se avevi un compagno per il progetto.”

“Progetto?”

“Sì, sai, per il corso di dizione.” Sospirò Jean. “Non hai seguito per niente oggi?”

Eren ricordava di essere stato a lezione, ma essere effettivamente lì era tutta un’altra cosa. Era troppo occupato a cercare un modo per migliorare la sua squadra in modo da riuscire ad andare avanti nell’assedio di Orgrimmar. E quando non stava pensando alla realtà virtuale, i suoi pensieri tornavano a Levi, e più specificatamente all’altra sera e a cosa diavolo era riferita quella-

“Pronto. Terra chiama Jeager.”

“Sì, certo. Che progetto è?”

“La professoressa ci ha dato una dispensa…”

Eren aggrottò le sopracciglia, ricordando vagamente di aver ricevuto delle fotocopie durante la lezione. “Giusto. Sì. Ci darò un’occhiata dopo. Ma sì, posso fare coppia con te. Avresti potuto direttamente inviarmi un messaggio.”

“Volevo qualcosa da bere, e non ho pensato al progetto fino a quando non sono arrivato qui.”

Eren stava per contraddirlo, ma la suoneria del telefono di Jean interruppe la loro conversazione.

“Vecchia? Sì, sì, sto venendo. Donna, calmati. I- ” Jean allontanò il telefono dal suo orecchio, desiderando che qualcuno lo uccidesse seduta stante. “Questo è il motivo per cui non vedo l’ora di andarmene.”

“Non hai ancora trovato nessuno con cui convivere?” Chiese Eren mentre la ramanzina continuava dall’altra parte della linea.

Jean sospirò. “No.”

“Potrei conoscere qualcuno.” Disse Eren. Un paio di sere prima Marco gli aveva detto che stava cercando un coinquilino perché Eren si era lamentato di voler andare a vivere da solo. Anche se non avrebbe disdegnato andare a vivere con Marco, Eren sperava di trovare un posto con Armin e Mikasa.

“Ti stai offrendo?”

Eren roteò gli occhi. “Diamine! No.”

“Be’, io mi offro.”

“Stai scherzando?”

“No.”

E Eren poteva vedere che Jean era serio. Ingoiò, sentendosi stupidamente a disagio. Sicuramente ora erano amici, ma sarebbe comunque stato strano, no? Andare a vivere con il tuo ex. “Ehm…”

Il rumore acuto di una tazza sbattuta sul piattino risuonò fastidiosamente nel locale, spostando l’attenzione di Eren da Jean a Levi, che si alzò bruscamente. “Devo andare in bagno.”

Mentre Levi si alzava dallo sgabello, Jean incrociò il suo sguardo e un brivido freddo gli attraversò la schiena. E non un brivido da fuori-fa-freddo, ma uno da tutto-sembra-sudato-e-appiccicoso-e-fa-freddo-e-caldo-contemporaneamente. Dietro quegli occhi di acciaio c’era un’ostilità sottesa, una veemenza pura e qualcos’altro che Jean non riuscì propriamente a definire, ma lo fece piantare sulla sedia dalla paura. Era snervante vedere che un uomo così basso potesse instillargli un assoluto terrore.

“Che problema ha?” Chiese Jean, quando lo strano omino sparì dalla sua vista.

“Probabilmente gli stavamo dando fastidio.” Spiegò Eren, occhieggiando il pc. “Di solito viene qui per lavorare in silenzio.”

“Una reazione un po’ esagerata se lo stavamo solo infastidendo.” Disse Jean, riportando il telefono cautamente all’orecchio. “Okay, sì, ci vediamo tra poco.” Poi attaccò. “Comunque sul serio, dovremmo trovarci un appartamento insieme.”

“Assolutamente no.”

“Perché lo fai suonare come se fosse terribile vivere con me?”

“Ah, chissà,” Eren puntò un dito, “Forse perché litighiamo sempre.”

“Non abbiamo litigato così tanto ultimamente,”

“Sei disordinato.”

“E quindi?”

“Sei un idiota.”

“Come te.”

“Ah e noi uscivamo insieme una volta. Imbarazzante.”

“Oh-oh.” Era ovvio che il pensiero non aveva toccato Jean fino a quando non allargò gli occhi in segno di realizzazione. “Giusto, è che io pensavo che era passato tutto e quindi la cosa non avrebbe avuto alcuna importanza.”

Dannazione. “E’ finita, ma vivere insieme sarebbe comunque imbarazzante. Chi lo sa cosa potrebbe succedere? Potremmo finire con l’odiarci ancora di più o poterebbe di nuovo nascere qualcosa e non ce lo possiamo permettere,” Eren strinse gli occhi sospettoso, prima di finire: “A meno che non è proprio questo che vuoi.”

Jean si stava già alzando e infilando il cappotto. Si mise le mani in tasca, sorridendo in una maniera suggestiva che all’epoca faceva impazzire Eren – e in senso buono. “Forse.”

“Sei un idiota.”

“Sì, sì. E tu ci uscivi con questo idiota.”

“Smettila di ricordarmelo.”

Mentre Jean usciva dal Little Titan Cafè, di colpo capì cosa significava la luce che quell’uomo aveva negli occhi: dopo l’ostilità e il fervore, c’era un’insormontabile dose di possessività, come se stesse cercando di dire a Jean di farsi fottutamente indietro. Il ragazzo indugiò un secondo fuori il locale, lanciando uno sguardo al losco uomo attraverso la finestra, mentre questi tornava a sedersi. Anche da fuori, con un vetro appannato a separarli, Jean poteva vedere come il viso di Eren era illuminato e tutto divenne chiaro.

Si chiese se era il caso di tornare dentro e mettere in guardia Eren nei confronti dell’uomo, ma alla fine non erano affari suoi. E comunque Eren non l’aveva mai guardato in quel modo, nemmeno quando erano ‘fidanzati’ – mai con quello sguardo di completa e totale adorazione.

Con i suoi stessi passi che risuonavano sul marciapiede, Jean se ne andò.






Un’ombra scura aleggiava su Levi, o un’aura, forse. In ogni caso, Eren poteva praticamente vedere il viticcio di oscurità che gli stava crescendo addosso.

“Mi dispiace se ti abbiamo infastidito mentre stavi lavorando.” Disse Eren. Possesso. Il modo in cui Levi diede una manata secca al suo pc gli sembrò possesso.

Non rispose ad Eren.

“Jean è un amico, sai.” L’ombra sembrò scurirsi alla menzione di Jean. “Solo un amico.”

Levi si rilassò un minimo.

“Uscivamo insieme una volta.”

Buio pesto.

“Ma era un bel po’ di tempo fa. E’ finita ora.”

Grigio scuro.

Eren si morse le labbra, resistendo alla voglia di ridere. “Lui pensa che sia un buona idea dividere un appartamento, ma io gli ho detto che la cosa sarebbe talmente imbarazzante che è fuori questione.”

La nuvola si schiarì e divenne di un grigio chiaro. Le dita di Levi sembravano ora meno frenetiche mentre si muovevano sulla tastiera.

“Mi dispiace se ti abbiamo disturbato.”

La solita faccia imperturbabile di Levi tornò al suo posto. L’uomo terminò di bere e poi porse la tua tazza verso Eren. “Ancora.”

Eren sorrise e prese la tazza.

“Dentista.”

“No.”

“Veterinario.”

“No.”

“Ex ufficiale di marina.”

“No.”

“Sei segretamente uno dei membri dei Daft Punk?”

“Ti sembro uno dei Daft Punk?”

“Sai chi sono?”

“Non vivo fuori dal mondo.”

“Fai finta di essere uno di loro usando il casco? Come una sorta di controfigura?”

“No.”

Eren batté il pugno contro il palmo dell’altra mano. “Ah! Lo so! Lavori per Rivaille?”

Con un gomito poggiato sul bancone, Levi poggiò la guancia contro le nocche della sua mano stretta in un pugno. “Qualcosa del genere.”

“Sei il suo addetto alle relazioni stampa? Redattore? E’ questo quello che fai sempre? Cambi le sue bozze e scrivi un sacco di critiche costruttive? Anche se probabilmente saranno per lo più commenti cattivi. Poverino.”

“Smettila di saltare alle conclusioni, moccioso.”

Eren fece spallucce, con un sorrisetto sulle labbra. Tutto quello che faceva era saltare alle conclusioni, dopotutto. Forse era un po’, un pochino pochino, ossessionato dall’uomo. Giusto un pochettino. “Credo che inizierò a chiudere il negozio.”

Mentre Eren iniziava – prendendo la tazza di Levi per lavarla, controllando e chiudendo la cassa, ripulendo il bancone – lo sguardo di Levi lo seguì con discrezione. Era venuto al negozio con l’intenzione di lavorare al suo prossimo romanzo. Era riuscito a fare qualcosa, ma la maggior parte della sera era passata rimuginando su come quello stupido moccioso flirtava apertamente con l’altro stupido – ma stupidamente carino – moccioso. Levi sarebbe stato perfettamente soddisfatto anche se l’avessero lasciato cuocere nella sua rabbia, ma Eren era arrivato a calmarlo, quasi come se consapevole che Levi era furioso.

Ah, quel moccioso birichino.

Man mano che passavano le serate, Levi trovava sempre più difficile concentrarsi sul lavoro quando era fin troppo preoccupato a guardare Eren andare da una parte all’altra, come in quel momento. Bisbigliava sempre qualcosa tra sé e sé, e la maggior parte delle volte Levi non riusciva a sentire, ma in genere era qualche commento irritato perché c’era qualcosa che non quadrava con la cassa, o perché Connie aveva lasciato la sua bevanda semi-finita sul bancone, o perché – dannazione – Sasha lasciava sempre briciole dappertutto. Era sempre divertente quando si chiudeva le dita nel registro di cassa, o si dimenticava di tirare fuori i soldi prima di chiudere tutto e spegnere il sistema.

Qualche volta era goffo. Qualche volta i lacci delle scarpe gli si erano sciolti e lui ci inciampava dentro.

Era anche dannatamente tenero vederlo grattarsi la testa mentre rimetteva a posto i conti, spostando quel ridicolo cappello da Babbo Natale. Era ovvio che Eren aveva completamente dimenticato che lo stava indossando.

Levi chiuse il pc e lo infilò in borsa. Poi vide una delle sue penne sbucare da una delle tasche e un pensiero gli attraversò la mente. Un pensiero cattivo, di quelli che avrebbe dovuto ignorare istantaneamente ma non poteva, perché Levi aveva deciso che avrebbe reso quel moccioso suo – non necessariamente ammettendolo in questi termini, ma il senso era quello, okay?

E aveva intenzione di divertirsi nel frattempo.

E così, senza preoccuparsi ulteriormente, Levi prese una delle penne e la lanciò dall’altra parte del bancone. Questa cadde rumorosamente, catturando l’attenzione di Eren. “Ooops.” Biascicò Levi. Poi puntò alla suddetta penna rossa e disse. “Potresti prendermela?”

“Certo.” Disse Eren, piegandosi per afferrarla.

E mentre Eren si abbassava, un sorrisetto soddisfatto stirò le labbra di Levi.

Oh-oh… non male. Niente male proprio.

Ah Levi, sei proprio un triste, strano ometto.






Faceva freddo fuori, ed era probabilmente una delle notti più fredde che c’erano state ultimamente, e Levi non desiderava altro che raggiungere la sua macchina e accendere il riscaldamento. Eren provava lo stesso, ed era evidente dal modo in cui stava cercando di chiudere in fretta la porta con le dita intirizzite dal freddo. Aveva lasciato i suoi guanti a casa.

Levi si fece uscire di bocca un ‘tsk’ perché Eren ci stava mettendo parecchio per chiudere la dannatissima porta. Alla fine spinse le mani del barista via e prese le chiavi, inserendole nella serratura e chiudendola prima di ridarle ad Eren. “Non ti dimenticare i guanti la prossima volta.”

“S-scusa.” Farfugliò Eren infreddolito.

“Forza.” Disse Levi, tirandosi dietro Eren impazientemente, con la sciarpa. Faceva troppo freddo perché questi protestasse e Eren si lasciò trascinare dall’uomo, quasi scivolando su una lastra di ghiaccio. “Volevo farti sapere una cosa: Rivaille sta scrivendo una seguito per Attack on Eoten.”

“D-davvero!?” Boccheggiò Eren, gli occhi spalancati per l’eccitazione. “Ma… perché adesso? Sono passati nove anni da quando fu scritto il primo.”

“Ha trovato… l’ispirazione.”

“Capisco.” Eren sorrise mentre si fermavano nel bel mezzo del parcheggio. Rimase lì impalato, ridicolo come non mai, continuando a sorridere valorosamente nonostante i suoi denti stessero battendo violentemente dal freddo. Sotto la luce fluorescente dei lampioni Eren appariva pallido, ma c’era un po’ di colore nelle sue guance perché il suo battito si era intensificato animatamente non appena Levi aveva iniziato a strofinare le sue mani tra le proprie.

“Rivaille vuole commissionarti il disegno per la copertina.” Levi aggiunse in un tono casuale.

Eren era troppo scioccato per dire qualcosa, senza aggiungere che Levi si era tolto i guanti per poi infilarli sulle sue mani. “C-cosa?”

“Ne parleremo meglio la prossima volta,” Disse Levi, aggiustandogli la sciarpa. “Buonanotte, Eren.”

“Buonanotte.” Rispose Eren debolmente.

Poi sbattè gli occhi, finalmente registrando di avere i guanti di Levi addosso. Erano caldi intorno alle sue mani, probabilmente perché Levi li aveva indossati per primo. Erano anche un po’ larghi sulle sue dita, ma incredibilmente comodi.

Be’, sperava proprio che Levi non si aspettasse di vederli restituiti.






“No, ma sul serio. Conosco qualcuno che sta cercando un coinquilino.”

“Non saprei, non voglio dividere una casa con qualcuno che non conosco.” Disse Jean.

“E’ un ragazzo simpatico.” Eren ripensò alla ragazza che aveva chiesto il numero a Marco. “Carino, anche.”

“Non sto cercando un coinquilino ‘carino’, Eren.” Jean rispose, impassibile.

“Sì, lo so. Ma credo che lui ti piacerà.”

“Sicuro.” Jean tremò al pensiero dello strano ometto che gli aveva fatto così paura. “Come se tu sapessi giudicare bene gli uomini.”

Eren fece un sorrisetto convinto. “Non è un caso che sia uscito con te.”

“…”

“Guarda che te la sei cercata faccia da cavallo.”

“Zitto. Stai zitto.”

  
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