Quattro aprile: 21th to the Theatre.
Le luci soffuse erano ancora accese
e gli spettatori frementi erano ancora pochi.
Era intenta a cercare un posto, la piccola donna;
un posto dal quale godere pienamente
della rappresentazione;
cercava con lo sguardo verde pallido
che s’inerpicava tra volti e voci e sospiri -
e fu allora che la vide:
seduta su una delle tante morbide poltrone porporine
un placido sguardo passivo
apparentemente sopito
nelle crune scure degli occhi.
La giovane le si avvicinò,
scrutandola con grande curiosità:
il tempo inclemente
aveva inciso solchi profondi
su quella pelle troppo tirata;
aveva raggrinzito i movimenti;
aveva forse ferito la focosa spavalderia femminista?
La fanciulla non lo credeva possibile,
ma l’altra sembrava stanca, umanamente stanca.
Lo sguardo però era immutato, oh sì,
sempre acuto: non s’era assopito.
Sostenne quelle due pupille sveglie
- esse celavano una vita intera –
fingendosi sicura, la giovane donna;
quando in realtà c’era solo soggezione,
soggezione e un immenso rispetto.
Gli anni erano
trascorsi,
autunno dopo estate
inverno e poi primavera;
ma la donna anziana non era cambiata così tanto:
stesso sorriso;
stesso sarcasmo.
Il futuro
prese posto accanto
al passato.
Le luci si spensero
e il sipario si dischiuse
rivelando la scena
e calò il silenzio.
“ Sarà il ventunesimo Amleto, questo, per me.”
“ Così pare, professoressa”
"Forse anche l'ultimo"
"Non dica così"
“Come stai?”
“Mi limito a vivere”
“Vivi o sopravvivi?”
“Mi piace pensare di vivere in questo momento, sì”
“Allora va’ tutto bene”
“E lei…?”
“Inizia il primo atto. Le parole a più tardi.”
(11 Gennaio 2012)