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Autore: Levy94    05/04/2014    2 recensioni
Nithael è un angelo. Era un angelo.
Un unico errore l'ha reso un Caduto.
Ora vive sulla Terra, tra umani e demoni, senza potersi nemmeno considerare degno di vivere.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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Pov Nithael

 

Fisso il vuoto con lo sguardo perso.

Questo palazzo è così alto che dal tetto su cui sono, le strade sembrano linee tracciate con una matita e le persone piccoli puntini in movimento e senza meta.

Mi è sempre piaciuta l'altezza. Quando ancora avevo le ali e scendevo sulla Terra, mi piaceva volare in alto, così in alto che i contorni delle città si offuscavano. Potevo volare sopra le nuvole, vedere quanto fossero bianche e simili a batuffoli di cotone. Vederle cambiare colore prima di un temporale, diventare scure e nere di pioggia. Adoravo sentire il vento accarezzarmi la pelle, mi divertivo a lasciarmi trasportare dalle correnti e osservare le vite degli umani scorrere lentamente.

Se chiudo gli occhi posso ancora sentire la presenza delle mie ali sulla schiena. Forti, possenti, così grandi e bianche da essere invidiate da molti dei miei fratelli. Erano il mio vanto, la parte di me che più amavo.

Quando, quel giorno, me le strapparono, una parte di me morì. Non certo per il dolore, ancora non lo provavo, ma qualcosa dentro di me si spezzò. Forse era solo la sensazione che da quel momento non sarei più potuto tornare indietro.

Poi caddi.

La prima sensazione che provai con un corpo umano, fu il dolore.

Sentire le ossa spezzarsi, gli arti piegarsi in posizioni innaturali. Per la prima volta avvertivo il sangue scorrermi tra le dita.

Avrei voluto gridare, consumarmi la gola con le urla, far uscire tutto quel dolore usando la voce. Non ho potuto. Sentivo in bocca un liquido caldo, probabilmente il mio stesso sangue. Annaspavo in cerca d'aria, aria che non riuscivo a respirare per colpa del sangue.

Lentamente il mio corpo aveva iniziato a rigenerarsi da solo. Le ossa tornavano dolorosamente al loro posto, gli organi e la pelle si richiudevano fermando le emorragie.

Ricordo che continuavo a fissare il cielo. Continuavo a chiedermi il perchè dovessi ricevere una punizione per quello che avevo fatto. Infondo, nessuno ne aveva sofferto della mia scelta. Ricordo che iniziai a piangere. Ricordo che piansi per molto tempo. Piansi tutta la mia paura, la mia frustrazione, la mia rabbia. Di quest'ultima ce n'era in abbondanza, tanto da andare a braccetto col dolore che provavo.

Mentre ancora stavo guarendo, Lecktis mi aveva letteralmente trascinato all'inferno.

Una goccia di pioggia sul volto mi risveglia dai ricordi.

Da quel giorno, nulla è cambiato. Sono sempre all'inferno, il mio migliore amico è il dolore e so per certo che non ne uscirò mai.

Sento lacrime salate rigarmi il volto, ma stavolta non cerco di fermarle.

Sono infinitamente grato alla pioggia.

 

Sei mesi sono passati da quando la mia vita e quella di Gadriel, il mezzo demone, si sono incrociate per puro caso. Due vite che non si incroceranno mai più. Un demone di una famiglia forte, potente, e un Caduto senza nemmeno una dignità, che ha perso il proprio onore nel momento in cui è stato rinchiuso in questo bordello.

Probabilmente si è già dimenticato della mia esistenza.

Anzi, meglio per lui se l'ha già fatto.

Eppure la cosa non mi importa. Mi basta essere io quello che si ricorda di lui. Mi accontento di essere l'unico a ricordare il modo così umano con cui mi aveva trattato. Mi sarei sempre ricordato di quell'unica gentilezza nei miei confronti.

 

 

Pov Gadriel

 

L'università a cui mi sono iscritto mesi fa non è la migliore del paese né la più costosa, ma è dove si sono iscritti quasi tutti i miei pochi amici. Mio padre non ha di certo approvato la scelta “a dir poco egoistica”, a suo dire.

Alla fine non mi importa nemmeno della facoltà a cui mi sono iscritto, tanto qualunque cosa scelga, in fondo non è importante. Dovrò portare avanti gli affari di famiglia, non è così necessario continuare a studiare.

Eppure è il mio modo per dire “no”. Non voglio avere un futuro già deciso da altri.

Voglio costruire la mia vita da solo. A modo mio.

 

Anche oggi, in aula, durante una delle noiosissime lezioni di sociologia, mi faccio gli affari miei. Il docente, un uomo sulla quarantina con una barba lunga quanto quella di Babbo Natale, ha un tono di voce soporifero che l'unico modo per restare sveglio è ignorarlo completamente.

Decido di spegnere il cervello e scarabocchiare un po' sul blocco degli appunti.

«Hey,» mi chiama il mio vicino di banco, nonché mio amico, «che si fa dopo le lezioni? Ci chiudiamo in qualche buco a studiare?»

«Nemmeno per sogno. È venerdì, non voglio studiare oggi.»

«L'hai detto anche ieri. E il giorno prima. E anche quello prima.» mi ricorda lui. «Non passerai mai gli esami se continui così...»

Sbuffo. «E va bene, mi arrendo! Oggi: studio intensivo!»

E così si prospetta una lunga, lunghissima giornata. Almeno non sarò costretto a tornare a casa presto.

Mentre la lezione sta per finire, abbandono i miei scarabocchi. Solo ora noto di aver scritto qualcosa sul foglio, e di certo non sono appunti. Un'unica parole, sette lettere.

Nithael.

Nithael. L'ho sentito da qualche parte, ne sono sicuro. L'unica cosa che riesco a collegare a questa parola è un colore. Un azzurro chiaro come il ghiaccio.

 

Passare l'intera mattina in biblioteca a studiare non era certo tra i miei programmi. Nel tardo pomeriggio riesco finalmente a “fuggire” dai libri di sociologia per rintanarmi nel mio rifugio.

Normalmente abito nella casa della mia famiglia, ma sono riuscito a convincerli a farmi tenere un piccolo monolocale vicino al centro, in modo da poter studiare in pace e portare a casa qualche amico ogni tanto. Ormai vivo più qui che con loro. Meglio così.

Qui posso fare quello che voglio. Posso suonare, finalmente, senza che qualcuno mi dica quanto sia inutile la musica. Senza che mi vengano portati via gli strumenti e nascosti perchè “disturbano la mia concentrazione da dedicare allo studio”.

Appena entro abbandono i libri sul pavimento, così, dove capita e con un solo movimento imbraccio la chitarra e recupero il plettro dalla tasca. Con un calcio accendo l'amplificatore e subito inizio a suonare.

Chiudo gli occhi e divento un tutt'uno con la musica.

 

Non ho intenzione di seguire le orme di mio padre.

Abbandonerò il mio cognome, abbandonerò tutto quello che mi rende parte della famiglia. Voglio ricominciare da capo.

A modo mio.

 

 

 

 

 

Salve!

 

Sono tornata xD

Lo so, sono lenta...

Lo studio mi uccide u.u

Okay, questo capitolo, più che altro, è un capitolo di passaggio. Ho voluto aggiungere qualche dettaglio sulla personalità dei due personaggi, anche se non ho detto ancora tutto.

Ricordo che questa fanfiction non è betata, quindi mi scuso in anticipo per qualsiasi errore.

Detto questo, spero di riuscire ad aggiornare presto u.u

Fatemi sapere che ne pensate xD

 

Ciao!

  
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