Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: ThePirateSDaughter    10/04/2014    3 recensioni
SPOILER EPISODIO 22
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"Che si parlasse della canaglia ribelle dei bassifondi o del soldato più potente dell’umanità, Rivaille non è mai stato uno di tante parole. Non che le trovi superflue o inutili; è insito nel suo carattere."
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Di ritorno all'interno delle mura, dopo la spedizione disastrosa nella quale ha perso tutta la sua squadra, il soldato più forte dell'Umanità non parla.
Ricorda. Ricorda quello che è stato e quello che non potrà mai essere.
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Angst purissimo | Rivetra
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Che si parlasse della canaglia ribelle dei bassifondi o del soldato più potente dell’umanità, Rivaille non è mai stato uno di tante parole. Non che le trovi superflue o inutili; è insito nel suo carattere.
E la voglia di parlare, al momento, è minore del solito. Ci sono già troppe parole che sfrecciano attorno a lui, sillabe invelenite che lo mordono da ogni parte. E, a prescindere da ciò che lo circonda, quello che ricorda lo tiene sprofondato nel silenzio.
Non per debolezza; ne ha viste troppe per definirsi traumatizzato. Ma c’è un fastidio sordo alla bocca dello stomaco che gli fa desiderare che il silenzio sia universale. Che taccia il popolo, deluso e amareggiato. Che tacciano tutti. Che taccia la voce che sente arrivare da dietro di sé, chiamando il suo nome.
Vuole solo ricordare, o quantomeno lasciare che le immagini gli si snocciolino libere nel cervello. È inevitabile. Sa che è inutile e lo distruggerà, ma è l’unica maniera che ha per vederlai ancora.
 
“Caporale Rivaille!”
 
È incredibile come tutto sia potuto cambiare – e in che maniera. Dai bassifondi alla Capitale, da senzatetto ribelle a Caporale. Caporale Rivaille. “Caporale Rivaille!”. È questo che gli hanno appena esclamato, i soldati di fronte a lui, quelli che andranno a far parte della sua squadra. La sua squadra. È Caporale ed ha una squadra sotto il suo comando.
Sono tutti quanti uomini, di età diverse; in mezzo a questo gruppo androgino, lei spicca in maniera particolare. Più bassa di tutti loro, i capelli che le arrivano alle spalle, la determinazione, l’ammirazione e la fiducia con cui lo guarda. Si chiama Petra Ral.

Fa un muto gesto di assenso e passa oltre.

 
“Mia figlia è nella Vostra squadra. Sono il padre di Petra.”
 
L’uomo è così simile a Petra. Stessa allegria, stessa leggerezza.
Ed è per questo che Rivaille tiene ostinatamene lo sguardo fisso davanti.
E non parla.

 
“Prima che mi veda, volevo parlare un attimo con Voi. Mi aveva mandato questa lettera…”
 
Petra scrive in fretta. Se la immagina così, con il braccio che si sposta appena, mentre la mano semina inchiostro secondo dopo secondo, con una foga serafica, l’espressione concentrata, come se cercasse di inserire il più possibile di sé in quella lettera, perché chi la leggerà possa anche sentirla parlare.
Chissà quando l’avrà scritta, quella lettera. Un momento di solitudine, forse di notte, poco prima di andare a dormire, datosi che trascorreva tutto il tempo con il resto della squadra. Era’così solare, Petra. Così forte.

 
“Aveva detto che rispettavate le sue capacità abbastanza da permetterle di entrare nella Vostra squadra…”
 
“Contieniti, Ral”
“Sì, Caporale” La ragazza si irrigidisce nel saluto militare, distogliendo lo sguardo da Rivaille e fissandolo poco sopra la sua testa, su una pietra della parete, mentre tenta di distendere i lineamenti in un’espressione seria e nascondere l’euforia, la gioia e il sentimento di realizzazione.
Ha gli occhi che brillano, di un sentimento che Rivaille non ha ancora capito. Lo scambia per semplice e sola ammirazione.
Chissà se, in quel momento, c’era già stato qualcosa, in quegli occhi. Rivaille tenta disperatamente di ricordarselo – mentre non parla -, ma non ci riesce. Aveva distolto lo sguardo pochi secondi dopo…

 
“E che aveva intenzione di dedicare la sua vita a Voi.”
 
È strano. È tutto strano, ogni cosa è strana, sembra non esistano Titani, sangue e oppressione, sembra non siano mai esistiti – ed è paradossalmente naturale immaginarlo. La felicità e il fremito impaziente che impregna la sala sembrano così estranei. Si passa un dito nel colletto della camicia che indossa sotto il mantello. Sembrano tutti quanti strani, con abiti da cerimonia invece della divisa, con piccoli e ridicoli bouquet invece del mantello verde, con fiori all’occhiello o intrecciati nei capelli, invece delle Ali della Libertà sulla schiena. Più strana di tutti è Petra; è inusuale vederla in bianco, è inusuale vederla in gonna; ma proprio di lei sono la maniera leggera in cui percorre la navata, assisa al braccio del padre e la purezza del suo sorriso.
Ed è strano come Rivaille si sia reso conto di poter immaginare certi aspetti di lei, con così tanta forza.

 
“Beh, immagino sia un po’ troppo innocente per capire come si possa sentire un padre!”
 
Che gli dessero un Titano. Ma uno alto, pericoloso, velocissimo, un Aberrante, uno completamente folle. No, non uno; di più. Sarebbe senz’altro preferibile a quell’atmosfera di ansia. E il padre di Petra, seduto all’altro capo del tavolo, sembra infinitamente più pericolos- no. Era la situazione in sé a generare una stupida agitazione. Caporale Rivaille, messo in soggezione da una proposta di matrimonio. Ridicolo.
Deglutisce – si sente così stupido – e dà una rapida occhiata alla porta socchiusa; dietro c’è Petra. Sa che, di norma, bisogna chiedere la mano della sposa in un colloquio con il solo padre, ma lei è fatta così. E può giurare che, in quel momento, si sta divertendo da matti.
“Signor Ral…”.
Avrebbe preferito tenere quella conversazione con il padre di Petra, piuttosto che quella attuale.
Nella quale Rivaille non parla.

 
“Beh, in qualità di suo padre, penso sia un po’troppo presto, per lei, per sposarsi…”
 
“Rivaille”
“…”
“Rivaille, respira”
“…”
“Non è successo niente…”
“Questo è da vedere, cazzo”
“Non dire parolacce davanti a lui!”
Gli occhi di Petra mandano un lampo mentre fissa Rivaille reggere il bambino coi capelli neri e gli occhi color miele – quanto avrebbe potuto avere? tre, quattro anni? – a una certa distanza da sé, mentre una considerevole macchia di vomito gialliccio gli si allarga sulla camicia.
“È sporco”.
“Oh, quale vuoi che sia il problema!? Dammi la camicia, ché vado a lavarla…”
Rivaille posa il pargolo, che si sfrega la bocca ancora sporca con la manina e, sbottonata la camicia in pochi secondi, la porge alla moglie. Non gli sfuggono, prima di sedersi davanti al piccolo, i secondi in cui Petra fa vagare lo sguardo sul suo petto.
“Ehi, moglie. Non assumere questi atteggiamenti di fronte a lui”, le fa il verso, alzando appena un sopracciglio, divertito. Petra avvampa, farfuglia qualcosa e, per darsi un contegno, scappa nell’altra stanza.
“Ora veniamo a te” esordisce Rivaille, agguantando lo straccio più vicino “vediamo di pulire quello sporco schifoso dalla bocca…”
“… ‘ccusa se ti ho bomitato addosso, papà” È piccolo, ma ha decisamente preso la dolcezza dalla mamma: gli si arrampica in braccio e nasconde il faccino nella spalla. Rivaille si riscopre a fissarlo spiazzato, le braccia ancora sorprese e mezze spalancate per accoglierlo.
“Oh… fa nulla”.

 
“È ancora così giovane, ha ancora così tanto da vivere…”

Appunto.
Aveva ancora tanto da vivere – lei come tutti. Aveva da vivere quelle situazioni che gli hanno perseguitato la mente negli ultimi secondi, oppure di viverne di diverse, o di affini ma in scenari diversi. Di vivere e far sì che lui scoprisse di voler vivere quelle situazioni. Che le scoprisse perché c’era lei attorno, non che il cuore si scuotesse dallo scudo di cui normalmente si fregiava e gli facesse scoprire certe sensazioni e desideri. Da viverle con lui o senza, ma di viverle.
E quest’uomo non merita quello che è successo.
Rivaille interrompe il flusso di immagini e, anche se non ha mai desiderato meno di farlo come in questo momento, inizia a parlare.
   
 
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